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Autore: Feynman    30/03/2015    2 recensioni
Doveva essere una cena fra vecchi compagni di classe del liceo, dopo vent'anni di buio.
Noemi, Massimo e Alberto, sono gli unici che sono rimasti insieme - nonostante il tempo dell'adolescenza fosse passato.
Tra vecchi ricordi, bicchieri di vino, litigi idioti, amori del passato e ritorni di fiamma, un sabato sera qualunque può cambiare intere vite.
***
Forse, si dice, avrà anche lui la sua possibilità di rivivere l’adolescenza, ma non è ancora arrivato il tempo: Giulia ha bisogno di lui, non di un sedicenne con l’acne che le dica di buttarsi nel fiume, per dimostrare di valere qualcosa.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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«Finalmente sei arrivata!»
«Sì, scusate ragazzi. La macchina non aveva voglia di partire, stasera»
«Scuse. Sempre scuse, Noemi»
«Ah, Alberto! Non iniziare a rompermi il cazzo, appena arrivata. Le abitudini sono dure a morire, ma tu non sei cambiato di un pelo nemmeno dopo vent’anni»
«Ma se ci siamo visti l’altro giorno!» esclamò Alberto.

Alberto, Noemi e Massimo non si erano mai persi di vista. Erano passati più di vent’anni, dai tempi del liceo – tentavano di perdere il conto, ogni tanto – e non si erano mai lasciati. Era una storia strana, certo, e l’Università, frequentata in zone diverse dell’Italia – persino del continente e del mondo, in alcuni periodi – aveva giocato la sua parte, nel loro rapporto; eppure erano riusciti a non perdersi di vista.
C’erano state le mail, le telefonate intercontinentali e non, le videochiamate e poi Facebook e Skype e così tanti altri modi per vedersi e per riuscire a rimanere in contatto come tanti anni prima.

Quella era nata come un’uscita fra vecchi amici. Erano compagni di classe al liceo, e ritrovare tutti quanti era stata la cosa più difficile che, in dieci anni, Massimo avesse  mai fatto – ed era un professore, quindi le cose difficili le affrontava tutti i giorni –; non aveva nemmeno dovuto specificare, a Noemi e Alberto, che sarebbe stato un revival delle vecchie cene di classe: loro due li aveva dentro casa praticamente tutti i giorni, adesso.
Avevano deciso di rimettere insieme la vecchia 5F – perché vent'anni  erano passati sul serio, avevano il sabato libero e la casa di Massimo aveva un salotto abbastanza grande per ospitarli tutti.

Francesca era in America – a fare il chirurgo plastico, tipo –, Tommaso si trovava in carcere per frode informatica – sarebbe mancato a tutti, quella sera – e chissà cos’altro e Rosa, semplicemente, non se l’era sentita di venire: era ingrassata di trenta chili, dopo le due gravidanze, e non voleva distruggere le fantasie di nessuno – solo quelle di Massimo, che aveva continuato a vederla e aveva fatto da padrino di battesimo a Carolina.

«Cos’è ‘sta storia della macchina, quindi?» le chiede Massimo, versandosi un bicchiere di vino.
«Niente di che. Quando ha scoperto che avrebbe dovuto rivedere quel rompicoglioni del Serravalle mi ha fatto “non credere che io parta! La BMW di quel tizio, mi sta sul cazzo” e quindi non è partita» ammicca verso Massimo, e fa la linguaccia ad Alberto – il Serravalle, appunto.

  Alberto Serravalle e Noemi Cascione erano stati i due secchioni della classe – in materie diverse, fortunatamente.
Lei si era laureata in astrofisica e lavorava con quei maledetti contratti di tre mesi – di cui due li passava all’estero, perché era la studiosa di punta dell’Osservatorio –, Alberto, invece, faceva il filosofo a tempo perso e il padre single a tempo pieno – Giulia, la figlia sedicenne, era un’alunna di Massimo.
Massimo Biagi, invece, non aveva mai amato la scuola come istituzione e infatti, ironia della sorte, aveva finito per lavorarci dentro – nel suo vecchio liceo scientifico – come Garante dell’Educazione di un Manipolo di Giovani Reclute – amava definirsi così, lasciamogli qualche soddisfazione.
«La BMW era una succhia-benzina, mortacci sua»
«Linguaggio, Socrate! Non siamo più al liceo, Serravalle»
«Non mi far parlare, Noemi… già ci pensa Giulia, al mio linguaggio. Da quando ha lui», inizia Alberto, indicando Massimo che era intento a soffiare sul mestolo di legno per assaggiare il sugo, «come professore di Italiano, non fa altro che riempirmi la testa di “il professor Biagi è così bravo! Ed è così intelligente! Papà, ma mi stai ascoltando?”» cercò di imitare una voce stridula da quindicenne senza rendersi conto, però, che Giulia Serravalle non parlava così da almeno cinque anni.

«Tua figlia non parla così, Alberto.» gli fece notare, ovviamente, Massimo che doveva ascoltarla parlare per almeno quattro ore a settimana – senza contare le ore di latino, ovviamente – «E poi, è una delle mie alunne migliori! Dovresti esserne felice».
«Mi ricorda tanto Teresa, lo sai?» gli dice Alberto, voltandosi. Massimo ha inarcato un sopracciglio, nel frattempo, e cerca il nesso tra quella ragazzina con lo sguardo sveglio e Teresa, una delle loro vecchie compagne di classe, che non brillava per intelligenza e prontezza.
«Giulia non è per niente come Teresa, Alberto! Che cazzo dici?» si intromise Noemi che, al contrario di Massimo, non stava, per niente, dando una possibilità alle constatazioni di Alberto.
«Hanno la stessa dedizione per lo studio» e lo disse come se fosse stata una cosa ovvia. Lampante. Cristallina. Matematica, si potrebbe definire.

«Alberto…» lo apostrofa Massimo, togliendosi gli occhiali dal naso, «tu mi stai forse dicendo, sul serio, che Giulia avrebbe la stessa dedizione di Teresa, nello studio?»
«Sì, ovvio! Ma te la ricordi quanto era secchiona? Prendeva un sacco di bei voti…»
«Ma tu parli di Teresa Iannone?» volle sincerarsi Noemi.
«Sì, Teresa Iannone. Alta, non riusciva a vedersi i piedi per quanto aveva le tette grosse, portava le extension nere… dai che ce l’hai presente, Massimo!»
«Alberto Serravalle!» esplose Noemi, alzandosi in piedi e scostando la sedia di legno, con forza, «Teresa Iannone usava la bocca, più del dovuto, con la maggior parte dei nostri insegnanti. Stai dicendo, forse, che tua figlia fa i lavoretti a Massimo?»

Il suddetto, aveva le braccia incrociate al petto mentre Noemi stava sbattendo la pianta del piede a terra, impaziente di ricevere una risposta da Alberto. Quest’ultimo, intanto, iniziò ad esaminare l’amico con occhio attento: «Spero per lei, che tu abbia un’ottima igiene intima…».
«Porca miseria, Alberto! È tua figlia!» sbottò la donna, alzando le braccia al cielo e chiedendo venia a chissà quale entità ancestrale – forse il dio Pan, conoscendo il tipo. «E poi, sappiamo bene che a Massimo non piacciono, queste cose».
«Che c’entra, Noemi!? Tanto, sicuramente, queste cose già le fa… e così, si assicura un buon voto senza molti sforzi»
«Ma che percezione hai di tua figlia?» gli chiese Massimo, a quel punto, aprendo un’altra bottiglia di vino rosso – avrebbe prosciugato la cantina, di quel passo – «e poi, cosa le insegni?».
«I giovani d’oggi sono più liberali e-»
«Non ci vendere fumo, coglione d’un filosofo. Ha sedici anni, diamine! Tu hai davvero pensato una cosa del genere, di tua figlia?» chiese allibita Noemi, riprendendo il suo posto.
«In mia difesa, dico che non sapevo nulla dei… passatempi di Teresa, a diciassette anni»
«A quindici, a sedici, a diciotto…»
«Noemi, abbiamo recepito il messaggio» puntualizzò Massimo, fermando il monologo della donna. «Anche noi professori abbiamo una deontologia, non credere».
«Non ti mascherare dietro questi paroloni, Max! Mia figlia è una bellissima ragazza…»
«Fortuna che ha ripreso da tua moglie» disse Noemi, sperando che Alberto la sentisse – cosa non esattamente difficile visto che la cucina di Massimo poteva stare all’interno di una palla con la neve.
«Stai dicendo che sono brutto?».
«Oltre che brutto, caro Alberto, sei anche coglione.» volle puntualizzare la donna, versandosi a sua volta del vino, «Preferiresti che tua figlia facesse dei… servizi al tuo migliore amico, piuttosto che sentirti dire che è intelligente?».
«Fa sempre piacere sentirsi dire che l’intelligenza l’ha ripresa dal padre, e non dalla madre».
«Continui a insultare Giulia» gli fece notare Massimo. «E poi, il fatto che sia una bella ragazza, non c’entra assolutamente nulla: non farei una cosa del genere con nessuna delle mie alunne».
«Solo perché non sono il tuo genere» concluse Alberto. «Ma davvero Teresa faceva le pompe ai professori?» chiese, dopo una lunga riflessione durata trenta secondi – il tempo per un altro bicchiere, insomma.
«Quanta grazia» sospirò Noemi, accavallando le gambe sotto il piccolo tavolo della cucina.
«Le chiamo solo con il loro nome, Noemi! Non fare la donna pudica e vergine: non ti si addice né l’una né, tantomeno, l’altra».
«Il tuo è un rarissimo caso di misoginia fulminante, a quanto pare» diagnosticò Massimo, guardando Alberto sopra le lenti degli occhiali.
«Oggi è uno di quei giorni» disse Noemi come se la sapesse fin troppo lunga – avrebbe potuto scriverci un trattato sopra, per quanto ne sapeva.
«Io non ho nessun giorno, Noemi. Non iniziare con le tue teorie fuori da ogni concezione».
«Sei te, fra i tre, che sei fuori ogni concezione. Se solo lo venisse a sapere Giulia…» ridacchiò Massimo decidendosi, finalmente, a spegnere il fuoco sotto il sugo e controllando l’arrosto nel forno.
«Cambiando argomento…» iniziò Noemi, furbamente, «tu non hai niente da raccontarci, professor Biagi?»
«Cosa dovrei raccontarvi, di grazia?».
«Ma del tuo appuntamento, ovvio!».
«Max?! Un appuntamento? Ma quando? Perché non me l’hai detto?».
«Perché so come reagisci ogni volta che ne ho uno, Alberto».
«E come reagisco?».
«Non mi stai facendo, sul serio, ‘sta domanda».
«Certo che te la faccio! Come reagisco?».
«Tu non aiutarmi, eh!?» si voltò verso Noemi.
«Mi sto divertendo troppo, per intervenire».

Massimo, sbuffando, si strinse la radice del naso e chiuse gli occhi; stava cercando, nel suo quasi infinito vocabolario, le parole necessarie per non ferire Alberto – che non sembrava in sé, quel giorno – e di risultare il più chiaro possibile, allo stesso tempo.

«Diventi una madre isterica, quando Massimo esce con qualcuno».
«Noemi!».
«Be’?! Ho detto solo la verità. E poi, tu ci stavi mettendo troppo».
«È davvero come dice lei, Massimo?» gli chiese l’amico, guardandolo dritto negli occhi. Massimo stava cercando di mantenere, il più possibile, il contatto visivo con Alberto ma stava perdendo miseramente; l’amico aveva tirato fuori il labbro inferiore e i suoi occhi si stavano illanguidendo sempre di più – dannata Noemi!
«Fo- forse…».
«Oddio, lo faccio davvero!» esclamò, uscendo dalla cucina come un’attrice di teatro.
«Non esagerare, Alberto! Succede a tutti…» cercò di convincerlo Massimo, correndogli dietro in salotto. «Mi raccomando, Noemi, non muovere un muscolo, eh!».
«Non succede a tutti, Massimo! Io non lo faccio apposta… io mi preoccupo per te-».
«Come faceva sua madre, insomma».
«Noemi, finiscila di fare la vipera! Se fosse per te, andrebbe col primo che capita!».
«E usa anche le stesse parole di tua madre» notò la donna, raggiungendo gli amici in salotto.

Massimo stava per risponderle quando, improvvisamente, il campanello suonò e interruppe, sul più bello, la discussione fra i tre amici. Erano le otto di sera e, sicuramente, erano i vari invitati che arrivavano.
«Vado ad aprire. Voi due non vi scannate, mi raccomando. Ho appena lavato i tappeti» scherzò il padrone di casa, aprendo la porta d’ingresso.

«Ho portato il vino. Chi è che non deve scannarsi?».
«Teresa…». Massimo si bloccò sul tappeto dell’ingresso, la mano sinistra a tenere la porta aperta, l’altra rivolta verso la donna per invitarla ad entrare – cosa che ancora non le aveva chiesto di fare.
Sarà stato perché fino a cinque minuti prima stavano parlando di lei, sarà stato perché erano vent’anni che non la vedeva, sarà stato per tanti di quei motivi che sarebbe stupido – e inutile – riportare tutti qui, adesso.
Teresa, negli anni, era cambiata. A diciannove anni, presa la maturità scientifica, tutti persero le sue tracce e nessuno seppe che fine avesse fatto la bella e provocante Teresa Iannone, terzo banco a sinistra, accanto alla finestra che dava sul cortile interno del vecchio liceo.
Tutti avevano sognato, almeno una volta, il corpo di Teresa durante le notti da adolescenti – perfino Massimo, quando ancora non sapeva se preferire lei o le mani grandi del suo compagno di banco, o i suoi occhi svegli o quel sedere da peccato, per dirne una – e dopo vent’anni vederla ancora bella, in forma e assolutamente desiderabile – non per Massimo, ovviamente, che alla fine aveva optato per il sedere del compagno di banco – come se tutti quegli anni non fossero passati veramente.  

«Già, Teresa Iannone. Ti ricordi di me? Tu non sei cambiato per niente» gli disse lei, sorridendogli e facendolo sentire in colpa per le cattiverie che aveva detto.
Teresa era cambiata, come erano cambiati tutti loro: Alberto era stato tradito dalla moglie e aveva avuto una figlia, lui era diventato professore e… e Teresa? Teresa che fine aveva fatto?

«Ma certo, Teresa! Scusa è che… nemmeno te sei cambiata! Sei sempre bella». Lei arrossì e Massimo credette, per un attimo, di avere di nuovo davanti quella diciassettenne che tutto sembrava tranne che una puttanella in erba – come quando, diciassette anni li aveva davvero.
«E tu sei sempre un gentiluomo. Io… posso entrare?» esitò sull’uscio, come le signore della buona società con il cappellino e i guanti dei primi anni '20 – i guanti li portava sul serio.
«Certo, certo! Ovviamente! Entra pure».
«È già arrivato qualcuno?».
«Solo Alberto e-».
«Massimo, chi-».
«E Noemi, appunto».
«Ciao, Noemi».
«Teresa…».
«Sei sempre uguale».
«Spero che tu sia cambiata, invece».

Teresa allargò le braccia, Noemi le aveva intrecciate all’altezza del petto. Era in posizione d’attacco: il piede sinistro lo aveva portato leggermente avanti, come se fosse pronta a scattare in qualsiasi momento e se ne avesse avuta l’occasione.

Tra le due, non aveva mai scorso buon sangue: Teresa, al liceo, aveva fatto carte false per escludere Noemi dal “gruppo delle ragazze” – non che a Noemi interessasse, poi, visto che stava sempre con Massimo e Alberto.
L’aveva presa in giro sempre e Noemi ne aveva sofferto. Teresa era una di quelle che aveva scelto il liceo scientifico perché non era distante da casa sua, imparava le materie a memoria e poi faceva in modo di dimenticarsi tutto nel minor tempo possibile.
Era una di quelle ragazze che a sedici anni faceva carte false per rendersi più stupida di quanto fosse; Teresa, poi, stupida non lo era mai stata ma decise di esserlo per non diventare come Noemi – mors tua, vita mea.

«Dammi la giacca, Teresa; fai come se fossi a casa tua», le disse Massimo, prendendole il soprabito elegante dalle spalle e appoggiandolo sull’attaccapanni dietro la porta.
«Ti faccio strada io, Teresa. Massimo non ha mai imparato le norme base del buon padrone di casa» scherza Alberto, prendendola sotto braccio e portandola in salotto.

Noemi sembrava esser tornata di vent'anni indietro: cupa in volto, si tormentava le mani e aveva già iniziato a mordere le punte dei capelli castani – meno ricci, di quelli che aveva a sedici anni.
«Hai quarant'anni, Nemi. Non è più come al liceo» cercò di rassicurarla Massimo, sfregandole il palmo sulla schiena. «Pensa alla strada che hai fatto...».
La donna scosse la testa, come per scacciare un brutto ricordo – un ricordo che profuma di violetta e burro di cacao – dalla mente: «Non sto pensando a quello che tu pensi che stia pensando».
«Adoro quando ti esprimi così chiaramente» rise Massimo. «Dai, o Alberto penserà che ho raccontato prima a te, dell'appuntamento».
«È quello che hai fatto, Massimo» gli rispose la donna, nuovamente sorridente. «Sai, è strano».
«Cosa?».
«Noi tre, che così poco ci eravamo inseriti, abbiamo organizzato questa cena per rivederli tutti».
«Il bello è che ci eravamo ripromessi di odiarli a vita» ricordò Massimo, avviandosi verso la cucina. «Vado a spegnere l'arrosto nel forno. Tu va’ di là e non pensare».
«Tenterò». Noemi se la ricordava bene, quella notte – la notte prima degli esami – quando, nell’ultimo tentativo di ripassare per il saggio breve che li attendeva la mattina successiva, si erano promessi di dimenticare ogni singolo componente della 5F – per vivere meglio, niente di più.
Si ricorda, Noemi, di averlo proposto lei e che Alberto non aveva capito il perché – mentre lei lo sapeva bene, perché voleva dimenticare tutto e tutti.

«Che fine hai fatto, Teresa, per tutti questi anni?».
Teresa aveva guardato Noemi, prima di non rispondere alla domanda di Alberto. Teresa aveva fatto finta di non aver sentito e aveva puntato quei suoi occhi azzurri – azzurri come il cielo d’estate e il mare sotto casa sua – in quelli marroni – caldi come la terra bruciata dal sole e la corteccia delle querce secolari – di Noemi.
Già, Teresa, che fine hai fatto?, pensa Noemi lasciandosi cadere su una delle poltrone e osservando, distratta, la tavola già apparecchiata da Massimo.

Teresa l’ha seguita con gli occhi – guardami Noemi, le sembrano voler dire – e ha accompagnato la sua figura fino alla poltrona, osservandola mentre ci si adagiava sopra.
Noemi era bella solo per chi riusciva a vederla; una di quelle bellezze vichinghe, giunoniche che sanno di protezione, forza e di selvatico. Noemi era una di quelle belve leggendarie che popolano le favole dei bambini, durante l’inverno e Teresa non ti ha mai amata, quindi finiscila di farti le pippe e passa alla droga seria; il suo cervello si sta ribellando. Si dice che lei non avrebbe mai potuto pensare una cosa così, di Teresa. Si dice che non la vede da vent’anni – bugia – e che non l’ha mai pensata – bugia – perché di quella donna, nel suo cuore, non c’è rimasto niente – bugia – e che la vita continua.

«Niente di che» rispose Teresa, alzando le spalle e accavallando le gambe. Teresa ha ancora gli occhi azzurri come il mare e i capelli biondi come il grano maturo. Teresa non è mai stata banale, come donna – anche se a sedici anni, portava le extension perché non voleva essere né banale né, tanto mai, bionda.

Lei che era stata sempre giudicata dalla forma perfetta, dalla taglia perfetta di reggiseno, dal girovita perfetto, dal taglio degli occhi perfetto e dalla forma della bocca. Lei che non aveva mai potuto schermarsi dietro la solita scusa dell’adolescenza, perché la sua era stata oggettivamente bella; c’erano state le gite al mare, le feste sulla spiaggia, la settimana bianca in montagna e le feste di Capodanno in discoteca. Per Teresa, c’era sempre stata una bottiglia di champagne e un tubino nero ed elegante a scoprirle le spalle.

«Alla fine, sei entrata in Accademia?». La voce di Noemi era un sussurro – lei che non aveva mai bisbigliato, in vita sua – e Teresa, stavolta, non può fari finta di non averla sentita perché Noemi – così bella, anche a quarant’anni, da risultare violenta – le sta chiedendo se ha realizzato i suoi sogni o se ha mandato a ‘fanculo tutto, come suo solito.
«Sì, ci sono entrata» le rispose la donna, continuando ad osservare l’altra ancora persa ad osservare l’inesistente panorama che la finestra di Massimo offriva. «E non ne sono più uscita».
Noemi annuì e si abbandonò ad un leggero sorriso che non evitò di rivelare le piccole fossette sulle guance, quelle che tutti avevano amato.
«Tu, invece? L’hai superato l’esame di… cos’era? Termodinamica?»
«Sì, era Termodinamica» sorrise Noemi, ricordando il suo secondo anno all’università – complicato quasi quanto il primo – quando aveva dovuto sostenere tutti quegli esami insieme per non rimanere indietro. «Mi hanno dato un venticinque, alla fine».

Si erano dimenticate di Alberto, e Noemi se ne era resa conto.
Teresa e Noemi avevano, di nuovo, diciassette anni ed erano tornate fra i banchi di scuola. Erano tornate ad odiarsi – e ad amarsi da lontano – quando tutto sembrava più complicato, più bello e più doloroso. Si vedevano così: Teresa si era tolta quelle schifose code di topo dai capelli e aveva rinunciato alla tinta, riprendendo il colore naturale – quello del grano maturato al sole –, e Noemi portava solo jeans strappati sulle ginocchia, camicie maschili e i capelli asciugati al sole.

«Quindi sei entrata all’Accademia di Belle Arti?» le chiese Alberto che mai, a Noemi sembrò più di troppo. Alberto non lo aveva mai capito; anche quando faceva il filo a Teresa e lei rifiutava – anche quando Massimo cercava di non pensare al suo sedere – lui non se n’era mai accorto.
La donna sorrise, toccò i corti capelli biondi – al liceo le arrivavano fino alla base della schiena – e distogliendo lo sguardo dall’altra donna, gli disse: «No, all’Accademia Militare. Sono il colonello del 152° Reggimento di fanteria meccanizzata della Brigata Sassari».

Un fischio di apprezzamento, provenne dall’entrata del salotto. Massimo, portando un vassoio di salatini e quattro Martini, sorrise a Teresa porgendole uno dei bicchieri. «Ecco perché nessuno aveva tue notizie e ho dovuto insistere tanto, per invitarti stasera».
«Tutti pensano che il grado dia dei privilegi in più, confronto ai semplici soldati», iniziò mescolando il drink con l’oliva sul fondo, «e invece porta solo tanti grattacapi in più e… tante soddisfazioni».
«I capelli ti stanno bene, però. Il taglio militare è una di quelle cose che mi ha sempre fermato dal trovare… attraenti, le forze militari», Massimo sapeva bene come dirottare su argomenti più frivoli, una conversazione complicata. Lui sapeva, ovviamente; Noemi aveva sempre preferito parlare di queste cose con lui, piuttosto che con Alberto, lui non aveva preso bene, ai tempi del liceo, scoprire che la prima ragazza che aveva avuto il coraggio di puntare, fosse lesbica – per poi non lasciarsi più.
«Non devo sprecarci tanto tempo, come prima. La disciplina militare rafforza il carattere e mette in evidenza le vere priorità della vita».
«Come il morire circondata da mosche, sangue e terroristi?». Noemi, stavolta, non aveva sussurrato perché non ne aveva avuta l’intenzione. Aveva urlato, anche allora, tutto il suo disappunto per quella scelta – ci siamo allontanate per colpa loro, lo ricordi?
«Mi sembra di essere ancora viva e vegeta» le rispose l’altra, alzando un sopracciglio e lasciando che lo sguardo di Noemi la percorresse – la riscoprisse e la trovasse, di nuovo, bellissima.

«Sono passati vent’anni e Noemi continua a urlarti addosso» scherza Alberto, bevendo il Martini tutto d’un sorso. Massimo cercò di incenerirlo con lo sguardo, non sortendo effetti visibili. «Non riuscirete ad andare d’accordo nemmeno nella tomba, voi due».
«Alberto, per favore, ‘sta zitto».
«Non te la prendere anche con me, Noemi».
Noemi, di nuovo diciassettenne, si alzò in piedi e uscì dal salotto. Alberto guardò Massimo come a chiedergli cosa caspita fosse accaduto e Massimo alzò gli occhi verso il soffitto. La porta, nel mentre, sbatté forte e una voce si sentì nel corridoio: «Che mi sono perso?».

Nicola – l’ultimo arrivato – comparve sulla porta e indicando l’ingresso disse: «Mi ha fatto entrare la Cascione, credo. Anche se mi ha investito sulla porta…».
«Ciao, Nicola. Accomodati pure», lo salutò Massimo, ancora scosso, per la prematura uscita di scena di Noemi. «Credo sia meglio che qualcuno di noi la vada a riprendere».
«Troppo tardi» annunciò Teresa, accanto alla finestra del salotto, «ha appena preso il via con la macchina».
«Cazzo», esclamò Massimo. «Questa è tutta colpa tua, come al solito! Ma io dico: che cazzo ti è saltato in testa, cretino?!».
«Perché deve essere sempre colpa mia? Avrà avuto il ciclo!».
«No, non aveva il ciclo. Non ti sei mai accorto di niente, tu, e hai pensato bene di ricordarcelo proprio stasera» sbottò l’uomo mentre apriva la bottiglia di vino che stava sopra il tavolo apparecchiato.
«In effetti sembrava parecchio incazzata» assicurò Nicola, prendendo il bicchiere dalle mani di Massimo e indugiando nello sfiorare le sue dita.
«Credo sia colpa mia» azzardò Teresa, riprendendo posto sul divano, accanto ad Alberto che non sembrava per nulla sconvolto, dall’uscita di Noemi e infatti disse: «Noemi è sempre stata instabile».
«Ma cos’è successo?» chiese, di nuovo, Nicola che sembrava sempre più confuso e spaesato. Aveva riconosciuto Teresa – pensava fosse morta, visto che nessuno aveva mai saputo che fine avesse fatto.
«Alberto ha esagerato, come suo solito» spiegò, sbrigativamente, Massimo.
«Nessuno gli ha tolto il vizio, allora. Il piccolo incidente che abita dentro casa tua, non ti ha proprio insegnato niente, eh Alberto?» gli chiese Nicola, ridendo.
Alberto alzò un sopracciglio, guardò Massimo per pochi secondi e, poi, chiese: «Come fai a sapere che ho una figlia?».
«Lo… lo sanno tutti, Alberto» tentennò Nicola, sulle prime sillabe.
«No, non lo sanno tutti. Sono vent’anni che non ti vedo, Nicola, e non capisco come tu sappia di Giulia. Non ti ho invitato, al mio matrimonio» puntualizzò, con le mani sui fianchi.

L’uomo, a quel punto, colto in fallo, iniziò a chiedere aiuto con lo sguardo a Massimo che, alla sua sinistra, si era di nuovo preso la radice del naso fra le dita ed era impegnato in un’accesa discussione col Signore sul perché capitassero, sempre a lui, tutti quegli uomini stupidi e infantili. «Gliel’ho detto io, Alberto» decise di tagliare corto Massimo, guardando l’amico negli occhi.
«E perché gliel’avresti detto?».
«Perché ad un appuntamento si è soliti parlare delle conoscenze in comune».
«Quindi è con lui, che sei uscito?» chiese, un po’ troppo calmo, Alberto.
«Esatto».
«E Noemi lo sapeva?».
Massimo annuì. «Ovvio».
«Ecco perché se n’è andata» sparò Alberto, teatralmente. «L’ho sempre saputo che era innamorata di te, e non ha potuto trattenere la sua rabbia quando ha visto lui,» disse indicando Nicola, come un novello Hercule Poirot, «in casa tua».
«Ma lei-» tentò Nicola, di inserirsi nel discorso ma venne prontamente interrotto da Massimo che stava perdendo, velocemente, quel poco di pazienza che gli permetteva di non urlare contro gli studenti più stupidi: «Ti senti quando parli, Alberto? Senti quello che dici? Certo che lo senti; tu ami il suono della tua voce, o no? Noemi. Innamorata di me. Noemi è lesbica, razza di cazzone, e il bello è che lo sai pure!».
«L’amore non ha sesso».
«Non ricominciare con le tue cazzate filosofiche» lo redarguì Massimo, alzandosi rabbiosamente dalla poltrona. «Non ti sei mai fermato a pensare, prima di dare aria alla tua grossa bocca. I filosofi pensano; forse è per questo che non hai ancora pubblicato niente».
Alberto si scoprì a trattenere il fiato. Certo che sapeva che Noemi era omosessuale, chissà perché, però, nella sua mente funzionava tutto così bene. Massimo e Noemi avevano, da sempre, avuto un rapporto diverso, anche quando erano ragazzi. Lui aveva sempre preferito far finta di niente e continuava a scherzare, come se niente fosse – è così che funzionano i triangoli, amico mio.

«Questa te la potevi risparmiare, Massimo» gli dice Alberto, a testa bassa e ringhiando leggermente. Lui lo sapeva che non era mai stato quello intelligente del gruppo. L’aveva sempre saputo che non sarebbe mai riuscito a prendere il posto di Noemi nel cuore di Massimo, e il posto di Massimo nella mente di Noemi. Non voleva dire niente, per quei due, aver diviso più di vent’anni di vita – sempre a stretto contatto – come se il mondo non gli sarebbe mai bastato.
«Io credo che potremmo concludere qui la serata» propose Teresa, alzandosi dalla poltrona. «Chiama gli altri; hai i loro cellulari. Di’ a tutti che tua madre si è sentita male… o qualche altra stronzata del genere» disse Teresa, come a voler rispondere alla muta domanda di Massimo.
«Sì, credo sarà meglio per tutti».
Alberto si alza, finisce il vino nel suo bicchiere, prende la giacca leggera dall’attaccapanni dell’ingresso ed esce, sbattendo la porta. Teresa rivolge un timido sorriso a Massimo, gli dà un paio di baci sulle guance e gli promette, con gli occhi, che si rivedranno presto anche se lei ha talmente tanti impegni che le bastano per due vite intere. Saluta Nicola con una semplice stretta di mano, prende il suo soprabito elegante anche lei e va via, così come era entrata nell’appartamento in stile vintage di Massimo.
Tra lui e Nicola, adesso, c’era il classico imbarazzo di due amanti che si conoscono poco e che si sono già visti nudi, fin troppe volte.
«C’è dell’arrosto, in forno» gli comunica Massimo, indicando la cucina con un cenno della testa. «Lo riscaldo, mentre chiamo gli altri per avvisarli?».
«Mi piacerebbe assaggiarlo, sì» gli sorride Nicola, porgendogli l’ennesimo bicchiere di vino rosso della serata.
«Sai, è piuttosto strano che non mi sia ancora ubriacato».
«È ora di rimediare, non credi?». 










 

**Angolo Autrice**

Salve a tutti quelli che sono arrivati fino a quaggiù. 
Questa piccola storia - saranno solo tre capitoli ed è finita, praticamente - è stata pensata, dalla sottoscritta, come una piccola pausa dalla mia storia originale. Nata da uno dei tanti prompt che mi regala la mia mogliaH praticamente ogni giorno, è diventata qualcosa di completamente diverso in praticamente tre giorni di scrittura ininterrotta. 
Spero che possa piacervi. 

Alla prossima, 
Feynman. 



 MESSAGGIO ALLA GENTILE CLIENTELA *PLIN PLON*



Per chi bazzica sul fandom di Sherlock, 
Avrete sicuramente notato, per chi ha letto la storia di ermete, che mi sono permessa di usare il nome con cui Sherlock, chiama Tom Stone, "Socrate", riferendosi al suddetto professore di filosofia. Se ermete dovesse passare di qui, spero non se la prenda a male ma è stata una tentazione troppo forte e non ho saputo resistere (ho adorato quella storia, così come adoro la Tomcroft). Perdonatemi, se questa cosa dovesse offendere qualcuno ma non era mia intenzione. 

   
 
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