EPILOGO
Qualche anno più tardi.
«Papà! Papà! Papà!» John viene scosso da quel terremoto ambulante che è suo figlio ad un’ora indegna (dalle tapparelle lasciate aperte da quel disgraziato di suo marito e dal fatto che non entri un singolo raggio di Sole non devono essere nemmeno le quattro) e cerca di capire cosa possa essere tutta quell’agitazione.
«Che c’è tesoro?» si limita a mormorare, notando che il figlio è semplicemente entusiasta di qualcosa e quindi non c’è motivo di preoccuparsi (a meno che non abbia allagato il bagno al piano di sopra come l’ultima volta per un esperimento, papà. E quelli sono i momenti in cui John vorrebbe soffocare Sherlock).
Hamish alza le coperte e si infila nel lettone con lui, avvicinandosi abbastanza da appoggiargli i piedi ghiacciati (il piccolo genio se n’è andato scalzo per casa un’altra volta) sulle cosce e sorridergli con la fila di denti bianchi che si ritrova (tranne per uno caduto qualche giorno prima. E Sherlock ha storto il naso per ore quando John ha iniziato a parlare a Hamish della fatina dei denti, ma John non ha ammesso repliche. Né su di lei né su Babbo Natale).
Sherlock, dall’altra parte del letto, non si sveglia. Ha imparato negli anni ad avere l’udito selettivo (come abbia fatto John ancora non lo sa) e così appena Hamish fa qualche capriccio lui riesce a non svegliarsi mentre se il cellulare emette appena una minima vibrazione lo si può considerare già in piedi e vestito.
«Sono arrivati i regali. È passato Babbo Natale.» dice contento, senza nemmeno moderare la voce per non svegliare l’intero vicinato, e John annuisce, ricordandosi vagamente che in effetti è dicembre e, a conti fatti, è Natale.
«Non l’hai preso nemmeno quest’anno?» fa John, un sorriso a increspargli le labbra mentre chiude gli occhi perché è davvero troppo stanco, quindi non può vedere ma può benissimo immaginare le labbra di Hamish imbronciarsi esattamente come fanno quelle di Sherlock quand’è offeso.
«No, mi sono addormentato.»
John ride e gli accarezza i capelli. «Vedrai che il prossimo anno andrà meglio. Faremo un piano anche con papà.»
Hamish annuisce e resta in silenzio qualche istante. John sa perfettamente che non è finita.
«Papà!»
«Mh?»
«Aspettiamo si svegli anche papà per aprire i regali, vero?»
«M-mh.»
«E fai i pancake anche quest’anno, vero?»
«M-mh.»
«Yey!» Hamish si mette più comodo, poggiando la schiena contro il fianco di John, e si rimette a dormire raggomitolandosi su se stesso come fosse un gatto.
John sa perfettamente che Hamish è lì solo perché gli piace dormire con loro negli ultimi tempi ma non se ne fa un cruccio, allungando una mano per fare da cuscino al figlio e voltando il viso per osservare la lunga figura di Sherlock a pochi centimetri di distanza.
Non avrebbe mai immaginato che la sua vita avrebbe preso una piega del genere, anni addietro.
Hamish non l’ha mai chiamato John da quanto ha ricominciato a parlare: anche lui è sempre stato papà e di certo non se ne è mai lamentato, non quando anche per lui Hamish era come un figlio, e Sherlock non si è mai mostrato contrario alla cosa, anzi.
E poi Sherlock, da un giorno all’altro, gli ha chiesto di sposarlo.
Nessuna moina o smanceria, nessun mettersi in ginocchio (sia ringraziato il Cielo) o mazzo di fiori, ma un semplice guardarsi in faccia, occhi negli occhi, e Sherlock che se lo fa sfuggire dalle labbra ma non se lo rimangia, stringendo le mani talmente tanto dal nervosismo dietro la schiena da far sbiancare le nocche, sperando nel fatto che John non lo notasse. E John, nello stesso modo in cui la domanda è uscita a Sherlock, si è fatto sfuggire un bel sì, deciso e sicuro come mai è stato un sì in tutta la sua vita e nemmeno lui si è rimangiato la sua risposta.
E poi John ha riso, si è alzata dal divano avvicinandosi a Sherlock e l’ha baciato, prendendogli le mani e carezzandole per fargli sentire che c’era, che era lì e che doveva semplicemente rilassarsi perché come poteva pretendere una risposta diversa da quella?
E poi si è allontanato, guardando in quei candidi occhi azzurri, e ha mormorato un semplice “Giusto perché tu lo sappia, il mio secondo nome comunque è Hamish”. E John sa –ne è consapevole- che l’espressione sconcertata sul viso di Sherlock in quel momento non la dimenticherà per il resto della sua vita.
Ma in fondo è proprio lo stesso Sherlock che dice che l’Universo non può essere così pigro. E se si erano incontrati un motivo doveva pur esserci.
Poi, com’è normale aspettarsi dal figlio di Sherlock Holmes, Hamish ha iniziato a parlare senza mai fermarsi e ha iniziato ad interessarsi agli esperimenti del padre, chiedendo curioso ogni passaggio e la motivazione di tale scelta (cosa che a Sherlock faceva solo piacere esporre) ma, al contrario del padre biologico, ha appreso anche la capacità di rapportarsi civilmente agli altri e a farsi degli amici (e questo si sospetta sia tutto merito di John).
John sente una mano scivolare pigramente sul suo addome e riapre gli occhi, notando la figura di Sherlock avvicinarglisi e poggiarsi a lui.
Sherlock gli bacia la guancia e John si volta per un normale e casto bacio sulle labbra che l’altro certamente non gli nega.
«Buongiorno.»
«Non è ancora giorno se proprio vogliamo.» puntualizza John, ancora irritato per essere stato svegliato ad un’ora indegna e baciando nuovamente Sherlock semplicemente perché gli va.
«Come mai sei così pignolo appena sveglio ma non lo sei sulle scene del crimine?»
«Preferisco lasciare il palco tutto per te, il mio acume è sprecato lì fuori.»
Sherlock ride e allunga il braccio per avvolgere anche Hamish.
«Di nuovo qui?» chiede guardando prima John e dopo Hamish che si è ormai addormentato da tempo e respira con la bocca aperta e il volto sereno.
«È Natale, oggi.» fa notare John e Sherlock alza gli occhi al cielo.
«Oh, giusto, buon Natale.»
John rotea gli occhi. «Romantico. Comunque voleva aprire i regali ma aspettavamo ti svegliassi.»
Sherlock annuisce e si appoggia col viso alla spalla di John, mentre il dottore lo circonda con il braccio.
«Questa notte sarebbe meglio chiudere la porta a chiave, allora.»
John ride e abbassa il viso per cercare quello del marito. «Vuoi farmi un bel regalo?»
E Sherlock alza il viso, sorridendo. «Questo starà a te dirmelo, ma non mi sembra tu abbia mai disprezzato.»
«Coglione.» sghignazza John.
«Sì, ti amo anch’io.»
John gli alza il viso e lo bacia.
«Papà! Papà! Papàpapàpapàpapàpapà!»
«Che c’è Hamish?»
«Sono le sei. Ora possiamo aprirli i regali?»
NOTE:
E ci siamo, anche questa è finita.
Vi ringrazio per avermi seguito fino a qui (e chiesto scusa anche per l’immenso ritardo ma davvero ho la vita incasinata ultimamente) e tutti voi che avete commentato, messo la storia in una categoria e voi che anche solo avete letto. Mi siete stati di supporto. XD
Ringrazio millamente Yoko per i betaggi, la pazienza e i “Pubblica perché è bella” quando io ero a lagnarmi di “Yokoooooooooo, ma fa schifo!” e grazie a Hotaru_Tomoe ed ermete perché sono state le prime a dire di continuarla e che andava bene.
Detto questo, chi si aspettava che Irene facesse qualcosa… no. Davvero, sarebbe venuta lunghissima ed interminabile. Non nego che ci avevo pensato, però ultimamente la mia ispirazione su questo fandom sta scarseggiando e non volevo portarla avanti all’infinito e magari rovinarla.
Quindi di nuovo: grazie a chi è arrivato fino a qui. Sono contentissima che Hamish sia piaciuto (era uno dei miei crucci più grandi) e insomma, see you soon!! XD