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Autore: Shark Attack    11/04/2015    3 recensioni
Nehroi e Savannah sono due fratelli decisamente fuori dal normale e dalla legge sia del loro mondo sia del nostro. Lui ha la capacità di respingere la magia, lei è tra le più potenti creature esistenti ma il loro legame è indissolubile e lo pongono sempre al di sopra di ogni cosa.
I due fratelli sono reietti assoluti, senza famiglia né amicizie, ma non si lasciano scoraggiare facilmente dalle difficoltà che l'avere tutti contro comporta: hanno un'ardua missione da portare a termine e niente li fermerà... neanche quando vengono separati da una montagna invalicabile come la morte.
Genere: Dark, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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23
Al Castello


Attraverso il vetro spesso della piccola finestra che dava sul cortile, Savannah osservava le decine di persone che si erano radunate ai cancelli del castello del Padrone. Si erano ordinati in una fila precisa, aspettando diligentemente il proprio turno, certi che sarebbero stati ricevuti.
Accanto a lei, appoggiata al muro, c’era la sua compagna di stanza e sorvegliante, Maille Geat.
«Incredibile quanta gente venga a rivolgersi al demonio», aveva borbottato mentre un uomo attraversava tutto impettito e contento il cortile, per poi sparire oltre il portone d’ingresso.
«Di propria volontà, tra l’altro», aveva aggiunto Savannah.
Maille le aveva scoccato un’occhiataccia di disapprovazione. «Fossi in te non mi lamenterei. »
Savannah l’aveva guardata con un’espressione indecifrabile ma serena. «Non lo sto facendo», aveva detto. «Sono davvero grata a Heebrit per quello che mi ha concesso, ma quei tizi laggiù…»
Aveva interrotto la frase ed aveva iniziato a fissare la compagna, distratta da un battibecco nella coda di persone.
Maille era una donna matura, una di quelle che potrebbe aver già messo al mondo almeno tre figli. I suoi capelli erano ricci e castani, una tonalità così chiara da essere bionda in alcune ciocche, e li teneva sempre raccolti in chignon impeccabili, mai scomposti, che Savannah invidiava.
I suoi capelli, invece, da sempre neri come la notte e folti come una criniera, erano stati tranciati dal coltello di qualche orribile og e da allora non erano mai più ricresciuti, neanche di un millimetro, neanche con la magia.
«Vestiti, andiamo giù», aveva detto la donna interrompendo i pensieri della giovane jiin. «Vediamo chi entrerà a far parte della corte.»
Savannah indossava solamente la parte superiore della divisa nera che il Padrone voleva vederle addosso sempre, tranne quando esplicitamente richiesto, e le sue gambe asciutte erano rimaste svestite da quando si era svegliata, durante tutta la mattinata di straordinario riposo.
Scostatasi dal muro e dalla finestrella, aveva afferrato ed indossato subito i pantaloni, diventati neri al tocco, lisciando la stoffa con le dita in prossimità delle tasche. Maille ne indossava una identica, dalle rifiniture ai bottoni bianchi, ma la stoffa era blu.
Le due donne erano scese dal quinto piano in cui alloggiavano fino al primo piano, dove c’era l’enorme ufficio del Padrone e dove, in quel momento, si stavano svolgendo i colloqui e le selezioni della folla che era giunta al castello da tutta Ataklur.
Attorno a loro, mentre camminavano, la corte del Padrone le salutava con riverenza e chinava il capo. Uomini, donne, anziani, che fossero cuochi, consiglieri, guardie o giardinieri: nessuno ignorava il loro passaggio.
Maille e Savannah, però, non se ne curavano.
Avevano varcato la soglia del salotto privato del Padrone senza guardare in faccia nessuno, per poi attraversarlo e raggiungere l’ufficio.
«Entrate», aveva detto loro il Padrone ancor prima che avessero bussato.
Maille aveva aperto la porta senza indugio, completamente a suo agio tanto in quel luogo quanto nella sua divisa, e si era posizionata subito accanto al Padrone, sulla sinistra. Nessuna espressione sul volto, nessuna parola ai presenti se non un saluto rispettoso verso l’uomo al suo fianco.
Savannah, invece, sebbene abitasse in quel luogo da più di un mese, ancora non si sentiva degna di tali libertà ed aveva piegato la testa ed il busto in un profondo inchino verso il giovane ed enigmatico uomo coi capelli bianchi.
«Reggeresti in mano questa sfera?», stava chiedendo lui ad un ragazzino indicando un oggetto sulla scrivania. Sembrava essersi a malapena accorto delle donne in divisa.
Il ragazzino avrò avuto al massimo diciotto anni, secondo Savannah, e quella strana richiesta sembrava averlo sorpreso. «Solo… prenderla?», aveva chiesto dubbioso.
Il Padrone aveva annuito, paziente e sornione.
Il ragazzino aveva allungato la mano verso l’oggetto, una sfera di cristallo trasparente e bellissima, senza imperfezioni di nessun tipo, e l’aveva stretta con le dita nodose. Aveva provato a sollevarla, ma sembrava pesare troppo per lui. Anche aiutandosi con l’altra mano non riusciva a smuoverla di un millimetro.
«È tutto», aveva detto il Padrone in un sospiro.
Il ragazzino aveva spalancato gli occhi terrorizzato. «Non…?»
«No», gli aveva risposto. «Sparisci.»
Il candidato si era abbattuto come se gli avessero comunicato un lutto. Aveva chinato il capo in un inchino, provando ad elogiare il Padrone, ma lui lo aveva scacciato come una mosca, spostandolo con la magia fino alla porta. Lì, il ragazzino aveva visto Savannah. «Tu…», aveva balbettato riconoscendola. «Tu non eri all’orfanotrofio di Feinreth?»
Savannah lo aveva guardato con indifferenza, come se non lo vedesse reallmente. «E tu sei troppo debole per la corte.»
Quando la porta si era chiusa dietro di lui, la jiin aveva sentito un familiare bruciore sulla scapola destra. Si era voltata: il Padrone la stava fissando e il suo sguardo diceva molte cose.
Savannah aveva annuito e si era congedata subito. Aveva seguito il ragazzino e, prima che avesse potuto uscire nel cortile principale, di fronte agli altri in coda, lo aveva afferrato per un braccio e trascinato in una piccola stanza in cui stava lavorando solamente una domestica. «Vattene», le aveva detto. Lei era uscita all’istante.
Il ragazzino aveva guardato Savannah spaesato e spaventato. «Che succede?», aveva chiesto con gli occhi sgranati.
«Mi spiace», aveva detto lei. La mano destra sollevata nella sua direzione, come se volesse prendergli il collo a distanza. I suoi occhi viola erano così scuri da sembrare neri ma sul volto aveva un’espressione davvero provata. «Mi spiace davvero. Non avresti dovuto riconoscermi… Ataklur non deve ancora sapere che sono viva.»
La magia fluì dalle dita non appena l’immagine di quel che avrebbe dovuto fare si era visualizzata nella sua testa. Il ragazzino aveva annaspato, boccheggiato, roteato gli occhi all’indietro; infine, aveva smesso di dimenarsi e Savannah lo aveva lasciato cadere inerme in un tonfo.
Uscita, la cameriera era poco distante dalla porta. «Sbarazzatene», le aveva ordinato prima di tornare nell’ufficio del Padrone.
Lì era sotto esame un’altra persona, un uomo alto e grosso, pelato e un po’ puzzolente.
«Voglio servire, signore», stava dicendo. «Ero un membro delle guardie di Lagireth, ma sono nato a Bastreth. Mi sono arruolato laggiù perché speravo in un po’ d’azione ma sono rimasto deluso.»
Il Padrone aveva alzato un sopracciglio ma non si era mosso oltre. «Azione… ai confini dimenticati del mondo?»
Lo stava guardando interessato dalla sua poltrona di pelle scarlatta, tutto rilassato nella sua divisa identica a quella che indossavano Maille e Savannah, ma bianca con rifiniture e bottoni argentei.
I capelli bianchi e lunghi, erano raccolti in un codino laterale che cadeva morbido sulla spalla, come se la stesse accarezzando. Il viso giovanile e gli occhi vispi e neri erano una calamita per chiunque e Savannah stessa si era sorpresa molte volte persa nella loro contemplazione, sebbene fosse conscia che buona parte dell’attrazione che provava nei suoi confronti era dovuta alla marchiatura e, per la restante parte, alla gratitudine ed al rispetto che avrebbe avuto comunque, date le circostanze ad Ogklur.
«Speravo che il Capo Hartis, con le sue numerose dichiarazioni di guerra agli altri Capi, volesse prima o poi fare sul serio.»
«Nessuno ha mai preso sul serio quella pazza, a parte il popolo delle Alte Montagne. Ti saresti dovuto far trasferire ad Eastreth, adesso è lì che il gioco si fa duro.»
“Il Padrone lo sta prendendo in considerazione ed in simpatia”, pensava la giovane jiin dal fondo dell’ufficio, in piedi accanto alla libreria in legno massiccio. “Scommetto che quest’uomo lo teniamo.”
«Reggeresti in mano questa sfera?», aveva chiesto poi alla ex guardia.
L’uomo non si era fatto scrupoli ed aveva allungato la grossa mano tozza verso l’oggetto.
“Il Padrone lo usa come test”, aveva spiegato Maille a Savannah il primo giorno in cui le era stato concesso di presiedere alle selezioni. “Quella è solamente una sfera fatta dello stesso vetro che si usa nei rilevatori di magia, ma la gente non lo immagina perché si aspetterebbe il solito disco. Inciso sopra la superficie, a caratteri minuscoli e di solito verso il lato del tavolo, c’è un incantesimo che impedisce a chi è debole e poco motivato di sollevarla. Quando chiede di prenderla in mano, a prescindere dalle risposte false alle domande di convenevoli, lui capisce chi è degno di entrare nella corte.”
“Ma io non l’ho mai toccata”, aveva replicato Savannah. “A me non ha mai fatto quel test…”
Maille l’aveva guardata male per un attimo, forse invidiosa o colpita, poi la sua espressione era tornata normale. “Forse è per l’altra cosa. Quando una persona solleva la sfera, questa rimane trasparente e non si vede nulla, ma il Padrone sì. Nessuno sa con esattezza cosa riesca a vedere, se solamente il grado magico o l’anima intera, e quando decreta l’idoneità o meno di qualcuno ad entrare nella corte, solo lui ne conosce il motivo. Forse… forse questo potere non dipende dalla sfera e lui l’ha usato con te direttamente?”
L’uomo aveva sollevato la sfera senza problemi, stringendola nella mano come una grossa biglia pronta per essere lanciata sulla sabbia. «E adesso?», aveva chiesto mentre ne osservava la bellezza. Gli occhi del Padrone erano gemme nere incastonate in un viso eburneo e fissavano l’uomo con vivo interesse. «Adesso», aveva detto dopo un po’, «Puoi rimetterla giù. Come ti chiami?»
«Haich Brumenop.»
«Benvenuto nella corte, Haich.»
Il suo sorriso era a dir poco diabolico mentre lo diceva e Savannah provava sempre un brivido nel vederlo.
«Maille ti accompagnerà nella Sala Iniziale», aveva detto poi, congedando tutti i presenti ed alzandosi dalla poltrona. Maille lo aveva guardato ferita nell’orgoglio e anche Savannah rimase sorpresa da quel cambio di programma, pronta ad accompagnare l’uomo come aveva sempre fatto.
Nessuno, però, osava replicare agli ordini del Padrone. Maille aveva stretto le labbra, ingoiato la lamentela ed attraversato l’ufficio con il nuovo membro della corte al seguito.
A porta chiusa, erano rimasti solo Savannah ed il Padrone.
«Guarda», le aveva detto mentre si voltava a contemplare il cortile dall’ampia vetrata che riempiva un’intera parete.
Savannah si era avvicinata quasi correndo. Sul tavolo c’era una copia di AtaNotizie, un quotidiano non ufficiale che quando veniva distribuito nelle regioni veniva prontamente sequestrato dalle autorità perché le notizie che riportava erano troppo grezze e non approvate dai Capi.
La ragazza si era stupita molto nel vedere un giornale del genere tra le importanti carte del Padrone. «Questo?», aveva chiesto.
L’uomo non si era neanche degnato di risponderle, così lei lo aveva sollevato e spiegato, lasciandosi colpire dalle parole della prima pagina.

ATAKLUR SPACCATA
Prima era solo il palazzo di Tolakireth ad essere distrutto, ora lo sono anche i Capi e le popolazioni. Tra chi sostiene la monarchia capeggiata dal Capo di Eastreth, Mief Chawia, con lo slogan “Uniti nella stabilità” e chi continua a sostenere il Consiglio dei Capi e la loro capacità di mantenere la pace da oltre un secolo, la tensione è altissima.
La propaganda per convincere la popolazione continua ferrea, mentre i confini tra le regioni si cancellano sempre più man mano che la gente si sposta per unirsi a questa o a quella fazione.
Anche le guardie non rispettano più la lealtà verso il Capo della propria regione: da quando Aner Nekkis, capo delle guardie, è scomparso nessuno sa più a chi rivolgersi ed ogni soldato sceglie da sé, trasferendosi autonomamente dove preferisce servire. L’affluenza di guardie a Tolakireth e ad Eastreth, pronti a giurare fedeltà ad una delle due parti in conflitto, è immensa se paragonata alla quantità di uomini rimasti nei propri territori. Una gioia per ladri e lestofanti: infatti, questi scombussolamenti non fanno altro che portare alle stelle la criminalità in ogni città.

Nella colonna di destra c’era un altro articolo, un trafiletto che rimandava alle pagine interne. Parlava delle dimissioni del Capo di Haffireth, Kaloi Goon, e faceva il resoconto dei motivi di tale scelta.
Nella colonna di sinistra, invece, c’era un altro articolo interessante e gli occhi di Savannah lo lessero avidamente.

DIMORE DEMONIACHE – Lo sono davvero?
Da qualche settimana in tutte le città è comparsa una casa, identica alle altre ed ugualmente vuota. Alcuni abitanti le hanno rinominate le “Dimore degli o’Shea” ma, di demoniaco, hanno solamente la loro apparenza fatiscente a causa dell’evidente stato di abbandono in cui si trovano. La tesi degli o’Shea è stata avvalorata, oltre che da alcune credenze e miti, dai rilevatori: posti di fronte ad esse, questi si riempiono sempre di un vivido e spaventoso colore nero. Ma chi le ha costruite? Perché? E, soprattutto, perché sempre più gente scompare dalle città da quando sono comparse? Anche in questo caso le spiegazioni della gente non mancano: oltre alla classica morte da maledizione che va per la maggiore, molti sostengono che queste persone vadano in cerca degli o’Shea per unirsi alla loro fazione e ribaltare completamente la Ataklur che conosciamo.
“Fesserie”, ha dichiarato di recente l’autoproclamatasi Principessa Chawia, “Gli o’Shea non esistono e, se anche esistessero, di certo non se ne starebbero nascosti ma agirebbero per distruggerci, tanto quanto sto facendo io per il bene della popolazione.”
“Qualunque cosa celino”, ha ribattuto il Capo Gerit, dal suo palazzo a Kyureth, “I Capi uniti possono sconfiggerlo, come hanno sconfitto ogni minaccia che ad Ataklur dalla notte dei tempi”.


«Sul retro», aveva detto il Padrone distogliendo la ragazza dalla lettura, accompagnando le parole con il gesto di un dito che ruota.
Savannah aveva girato il giornale e ciò che aveva visto l’aveva colpita come uno schiaffo: per più di metà pagina c’era Nehroi, in una grande foto vecchia di qualche anno. Nonostante lì fosse più giovane di come lo ricordasse, con i ricci più ribelli e lo sguardo meno maturo, vederlo all’improvviso aveva provocato un forte tremore nelle mani della jiin. Il suo respiro era diventato irregolare per un po’, man mano che si perdeva in quell’immagine come se la stesse bevendo e ne andasse della sua vita.
«Cos’ha di pericoloso tuo fratello?», le stava chiedendo l’uomo distraendola ancora una volta.
Savannah non si era accorta del resto della pagina.
RICERCATO
Per numerosi crimini contro i Capi e le Regioni.
Vivo o morto.
Ricompensa: una Stella d’oro.
(qualunque informazione utile sarà opportunamente ricompensata)

«Con una Stella d’oro una famiglia di brehmist vive senza problemi per almeno due generazioni, cosa ha fatto di tanto grave per valere tanto?»
Savannah non aveva risposto. Sentiva gli occhi inumidirsi al pensiero di non poter essere là fuori a proteggerlo.
«Di solito c’eravamo entrambi su questa pagina dei giornali», aveva risposto dopo poco, riprendendosi del tutto. «Quello che ha fatto lui è quello che ho fatto io, ma adesso non possono più darmi la caccia.»
«Scempiaggini che, se fossi stata già marchiata, ti avrei impedito di fare», aveva commentato il Padrone. «Mi servivano Tolakireth in piedi, i Capi uniti e nessuna guerra interna alle regioni. Hai portato il caos, Savannah, nella maniera più inutile e controproducente del mondo.»
Vedere il fratello come unico ricercato di tutta Ataklur le aveva fatto venire voglia di scappare ed andare a cercarlo, per aiutarlo a non sopportare da solo il peso delle azioni che avevano commesso assieme, per proteggerlo, confortarlo…
«Mi dispiace», aveva detto poi, appoggiando il giornale sul tavolo. Non avrebbe mai potuto disobbedire al Padrone, mai.
«Mi hai detto che era un brehmist… quindi perché ricercarlo tanto? Cos’ha di pericoloso?», aveva ripetuto il Padrone, intento a fissare la gente in attesa fuori dai cancelli o la distesa di terreno vergine che circondava il castello.
«Lui…»
Savannah aveva evitato di parlare troppo di Nehroi durante il periodo di cura a cui il Padrone l’aveva sottoposta dopo Ogklur. Non appena avevano lasciato quell’isola di fango, falsa vita e morte, la nebbia che le offuscava la memoria si era dissolta e Savannah aveva ricordato tutto. Era stato come tornare in vita un’altra volta, per davvero. Ogni nome, ogni volto, ogni luogo, ogni momento della sua vita era tornato al proprio posto, nitido e preciso come era sempre stato. Quando il Padrone le chiedeva dettagli della sua vita, però, lei cercava sempre di restare sul vago, come se sentisse di non doversi mettere completamente a nudo di fronte a lui.
Un forte bruciore sulla spalla, laddove era stata marchiata, la stava spingendo a vuotare il sacco e rinunciare alle distanze tanto difficilmente mantenute.
«In realtà è stato maledetto, è un brehkist. Ha il potere di respingere la magia, ne è completamente immune e tutto ciò che c’è di magico attorno a lui ne risente. Se è un oggetto smette di funzionare o lo fa in maniera sbagliata e se invece è una persona… soffre in quantità proporzionale alla magia che possiede».
Il Padrone si era voltato verso di lei con interesse. «Tu hai sempre vissuto con lui».
«Sì, esatto».
«Come hai resistito?»
«Ho imparato, è stato un… allenamento costante. Poi ho scoperto come sigillare la sua maledizione e negli ultimi anni non è più stato un problema».
L’uomo aveva sorriso soddisfatto e le si era avvicinato. Con una mano le aveva afferrato un braccio, con l’altra le aveva sollevato il viso. «Non passa giorno che tu non diventi sempre un po’ più utile, Savannah.»
Poi si era chinato e l’aveva lentamente baciata sulle labbra.
Anche sul viso della ragazza si era formato un sorriso. «È il mio dovere e piacere, Heebrit», aveva risposto fiera.

Nella Sala Iniziale c’erano solamente tre persone: Maille, un uomo sulla sessantina e Haich Brumenop.
«Benvenuto al test pratico», gli aveva detto il vecchio non appena era entrato nel grosso cerchio rosso disegnato a terra. «Qui valuteremo le tue capacità in modo da capire come puoi essere utile alla corte e al Padrone.»
Ai lati del cerchio rosso, in una striscia marrone scura poco delineata, erano posizionati alcuni carrelli di legno pieni di armi di ogni tipo, anche umane, e altri pieni di ingredienti divisi in ciotole e bottigliette.
«Tenetevi pure la roba da erboristi, sono uno che va al sodo», aveva detto il nuovo arrivato con una risata gutturale.
Maille si era slacciata il primo bottone della divisa ed era entrata nel cerchio rosso con lui. «Lo vedremo», aveva detto con uno sguardo acceso. «La tua prova sono io.»
Haich aveva alzato un sopracciglio e la donna aveva scosso la testa.
«Devi riuscire a sconfiggermi», aveva aggiunto paziente. «… o almeno, cercare di essere un valido avversario.»
«Non combatto contro le donne.»
Maille aveva ridacchiato con voce squillante, poi aveva allargato le braccia e ogni arma presente sui tavoli si era sollevata, con la lama o la canna rivolte verso Haich.
«Non avresti dovuto dirlo.»
Le armi erano fluttuate fulminee verso l’uomo, conficcandosi nella barriera che era riuscito ad erigere in tempo. Aveva lasciato la barriera al suo destino creandosene un’altra, più piccola ma più solida. Poi aveva iniziato a camminare, accorciando la distanza con l’avversaria.
«Uh uh uh, provocare Maille in questo modo…», rideva di gusto il vecchio.
Haich era arrivato a quasi un metro e mezzo dalla donna, soddisfatto nel vederla provata per mantenere tutte le armi verso di lui pronte a scattare. Sentiva la pressione di ogni strumento letale, era molto forte, ma la difesa era sempre stata l’orgoglio dell’ex guardia e la sua barriera non l’aveva mai tradito. Giunto sufficientemente vicino, aveva estratto dalla tasca un pugnale, la cui anima era in metallo ma la lama era ricoperta di polvere di Stella Blu.
Nel giro di un istante, Haich aveva rotto la barriera, le armi erano cadute al suolo e il pugnale era saettato verso il cuore della donna.
«Ah-ha! », aveva esclamato il vecchio segnando qualcosa su un taccuino con vigore. «Mira eccellente!»
Maille aveva lo sguardo perplesso ed era rimasta senza fiato. Poi aveva chinato la testa ed aveva visto il pugnale conficcato nel petto e il sangue che sgorgava copioso dalla ferita.
«Che dici ora, sono stato un valido avversario?», aveva chiesto Haich con soddisfazione.
Con sua grande sorpresa, Maille aveva smesso di ansimare ed aveva fatto spallucce. «Abbastanza», aveva risposto mentre estraeva il pugnale con qualche gemito. «Ottima difesa, ma uno stratagemma banale. Di tutti gli strumenti a tua disposizione», commentava tranquilla tastandosi il petto, «Hai preferito usare un’arma esterna alla collezione e devo dire… che è stata una mossa interessante.»
Haich osservava esterrefatto la donna, certo di non aver mai visto nulla di tanto sconvolgente in tutta la sua vita. Aveva sentito qualche voce riguardo alla Marchiatura del demonio, un contratto indelebile che vincolava per sempre la vita di un individuo a quella di tutti gli altri membri della corte, ma quello che aveva davanti non era mai stato raccontato da nessuno.
«Non sei morta?», aveva chiesto con un filo di voce e molto stupore.
Maille aveva ridacchiato lugubre. «Certo che no.»
«Ma… il cuore…»
«Sì, il cuore. Anche lui ha sentito la lama nel petto, vero Tintel?», aveva risposto voltandosi verso il vecchio.
«Molto poderosa, bel lancio», aveva fatto un occhiolino battendosi il petto con vigore.
«Chiunque altro della corte ha percepito lo stesso, ma i loro cuori non sono stati fisicamente feriti e questo impedisce al mio di esserlo. La condizione di salute degli altri influisce sulla tua e ti impedisce di rimanere ferito a lungo o di morire, ma ti permette anche di percepire gioia e dolore, emozioni di ogni genere… fa niente, lo capirai subito quando sarai marchiato anche tu», aveva proseguito Maille senza scomporsi.
Haich, invece, sembrava ancora più confuso.
«Praticamente…»
«Non vivi più del tuo solo corpo», aveva terminato Heebrit entrando nella stanza con Savannah ad un passo di distanza. «Per questo sono certo che domineremo Ataklur e non solo. È un potere immenso… siamo tutti una grande famiglia, più uniti di noi non si può essere.»
L’ex guardia sembrava colpita ma meno spaesata. «Ho capito. E tutti sono ai suoi ordini, giusto?»
Il Padrone aveva annuito e si era avvicinato a Maille, ispezionando la ferita. «Come ti è stato detto, siamo tutti collegati. Voi allo stesso modo, io su un piano diverso. Quello che provate voi io lo percepisco, ma quello che provo io voi lo percepite in maniera più ampliata. È così che io posso controllare tutta la corte. Nessuno può disobbedire.»
«Ecco perché tutti la chiamano “padrone”».
Heebrit aveva sospirato brevemente. «In realtà non ho mai chiesto a nessuno di chiamarmi così ma non ho potuto non notare che è una cosa che viene naturale all’intera corte quindi, in effetti, può essere causato dal potere del marchio».
Aveva poi preso in mano il taccuino di Tintel, molto più fitto di appunti di quanti Haich avesse visto scrivere in quei minuti di combattimento, e lo aveva scorso con attenzione.
«Ti affiderò alle missioni di avanscoperta, mi serve qualcuno in grado di resistere senza sfruttare la marchiatura. La userai come piano B se le cose andassero male», aveva decretato poi.
Haich sembrava però aver perso un po’ di entusiasmo e Heebrit se n’era accorto.
«Se non vuoi più unirti a noi lo capisco… ma sappi che non sarebbe una scelta saggia andarsene ora.»
L’uomo aveva scosso la testa con decisione. «No, signore, non è questo. Ho combattuto contro questa donna, ma capisco che non ha fatto altro che mettermi alla prova. Mi chiedevo se anche la magia si accomunasse nella corte. Vede, io… sono solo un livello arancione.»
Il Padrone aveva sorriso sornione, nella sua maniera affabile, inquietante e decisamente unica. «Il settantotto percento delle guardie è addirittura brehmist, eppure sono ugualmente utili. Tu dovresti saperlo meglio di me. Ad ogni modo, quando qualcuno si unisce alla corte mantiene il proprio grado. Al massimo può imparare qualche trucco, verrà sicuramente allenato allo scontro, ma il colore non cambierà a meno di maturazioni personali. L’unione non influisce… è successo in un solo caso, ed è ancora avvolto nel mistero.»
Haich aveva corrugato la fronte, perplesso. Il Padrone aveva appena detto che era in grado di venire a conoscenza di qualunque cosa accadesse nella corte, com’era possibile che succedesse qualcosa senza che lo sapesse?
Heebrit si era voltato verso Savannah, ancora alle sue spalle, e l’aveva invitata ad avvicinarsi.
«Questo scricciolo?», aveva commentato Haich senza riuscire a trattenersi. «Senza offesa, ma è solo una ragazzina…»
«Piccola corporatura, pochi anni alle spalle, un’apparenza poco minacciosa sotto ogni punto di vista… te lo concedo, anch’io all’inizio ero dubbioso. Eppure ha vissuto più esperienze della maggior parte delle persone che abbia mai vissuto ad Ataklur», la voce di Heebrit era melliflua e Savannah stava sorridendo senza accorgersene; un sorriso che ad Haich e a Maille sembrava sghembo e sinistro.
«Quando è stata marchiata, però, è salita di grado. Non me lo spiego, ma ne sono ovviamente molto contento», aveva terminato poi il Padrone accarezzandole i capelli come se fosse un gatto.
Haich la stava fissando incuriosito e Heebrit fissava lui. «Se ti stai chiedendo che grado abbia raggiunto, basta che guardi il colore della sua divisa. Sia lei sia Maille, la tua avversaria, indossano una divisa in Tessuto Cangiante.»
L’uomo sbiancò. «Ho combattuto contro una jiin blu… e lei, questa… questa ragazzina è uno jiin nero?», balbettava mentre faceva un passo indietro, come se Savannah potesse esplodere da un momento all’altro.
Sbatteva le palpebre freneticamente, sempre più incredulo di tutta quella situazione, con le ginocchia che tremavano. Poi i suoi occhi si erano posati sulla divisa di Heebrit, e si erano spalancati ancora di più: era bianca, lo stava notando realmente solo in quel momento.
«Signore, lei… anche lei indossa una divisa cangiante?»
La sua voce tremava e il respiro era irregolare, frenetico.
Il Padrone aveva sollevato il mento ed aveva annuito pacato.
«Sì», aveva risposto fiero e sereno. Maille, Tintel, Savannah e la corte intera percepivano un forte orgoglio nel petto. «Sono uno jiin bianco. L’unico al mondo.»
Haich era sbiancato ed era caduto in ginocchio, senza fiato, con gli occhi sgranati.







*°*°*°*


Gh, chiedo perdono a tutti. Ci sto mettendo davvero troppo ad aggiornare, ultimamente... sono solo moltomoltomoltomolto presa da moltissime cose e, purtroppo, questo è il risultato. Questo capitolo era solo da ricontrollare e quindi, quando stamattina mi sono finalmente ricordata di EFP e della storia (la mia testa è altrove T_T), ho deciso che avrei dovuto fare qualcosa al riguardo... e per fortuna che non scrivo mai un solo capitolo alla volta xD

Ringrazio infinitamente chi ancora segue la storia! Pian piano qualcuno esce allo scoperto... e la cosa non può che farmi piacere <3

Il meglio sta arrivando, spero vi sia piaciuto questo capitolo di spiegazione/flashback!
Alla prossima, ciao!!

Shark - l'esaurita
   
 
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