Rinvenne sul
pavimento della propria stanza, il libro che aveva impugnato poco
prima di perdere i sensi ora riverso sulla pietra a faccia in giù,
dischiuso. La copertina rigida recava chiaro in caratteri elfici il
titolo in riflessi dorati: La stirpe Morelyn.
Intontita e con un
vago giramento di testa, l'elfa si costrinse ad alzarsi in piedi
seppur avvertendo un'incredibile debolezza, mentre a fatica i ricordi
di ciò che aveva appena vissuto - o sognato, a seconda dei punti di
vista - riaffiorarono uno alla volta, senza alcun ordine preciso.
L'interno della sua modesta camera era ancora tale e quale rammentava
fosse poco prima di perdere i sensi, compresa la presenza di quello
che era un set d'abbigliamento di pregiata fattura elfica che sbucava
da un involto smesso di stoffa. Inquadrando il cappello piumato sopra
il cappotto blu avio ed i guanti, Aredhel si corrucciò maggiormente
in viso mentre le ultime parole dell'uomo che aveva incontrato in una
dimensione spazio-temporale differente le riaffiorarono alla mente.
“Farò in modo
che tu cresca secondo la migliore istruzione elfica..”
Non il genere di
frase da dire ad una nipote per rassicurarla sul suo futuro, in
effetti. Non se quel futuro era ora un presente tanto incerto quanto
minaccioso.
Combattendo il
giramento di testa, l'elfa dai lunghi capelli scuri si cambiò,
indossando i nuovi abiti prima di decidersi ad uscire in corridoio.
Proseguì con passo misurato ma costante, tenendo sotto controllo
come meglio poté il proprio stato confusionale del tutto simile ad
un dopo-sbornia umano, scendendo le scale che l'avrebbero condotta
alla sala comune del castello.
Una volta varcato
l'ampio portone li ritrovò tutti lì. I suoi compagni.
Compreso lui.
Appena prese posto,
più pallida del solito, il ragazzo dalla chioma candida come la neve
le comparve davanti, posizionandole sotto il naso tre piatti ricolmi
di cibo e sfoggiando uno dei suoi sorrisi luminosi.
– Buongiorno –
la salutarono gli altri nel frattempo.
Voltandosi verso di
loro, con un enorme sforzo di volontà Aredhel riuscì a ricambiare
il saluto, ma lo fece con un tono tanto tetro e smorto da rasentare
quello di uno zombie – ..buongiorno..
Un rintocco di
coccio su legno la indusse a tornare con lo sguardo su Sleyn, giusto
in tempo per inquadrarne l'ampio sorrisone e vederlo porgerle per
ultima una tazza di tisana alle erbe. Sospirando dal piccolo naso,
rassegnata, troppo debole per opporsi a quelle attenzioni non
richieste, la ragazza posò gli occhi blu sui tre piatti, notandone
il primo ricolmo di verdure elaboratamente sistemate per formare una
parola in caratteri elfici.
Un gesto piuttosto
carino forse, se le conoscenze dello scrittore fossero state più
complete.
Invece di un
amorevole “Buongiorno”, davanti a lei svettava un osceno
“Buonculo”.
Proprio un buon modo
per accogliere una ragazza che ha avuto già di per sé un pessimo
risveglio.
Spiazzata e incerta
su come reagire, Aredhel non fece in tempo a far altro che scostare
da davanti a sé il piatto incriminato, prima che alle orecchie a
punta le giungesse fioco un mormorio quasi incomprensibile. Un
sussurro che per altro il suo sedicente e prematuro spasimante colse
senza alcun problema, voltandosi verso colui che era suo padre per
rispondere a tono.
– Be', meglio
schiavetto a diciassette anni che alla tua età, padre.
Alla giovane elfa si
tese ogni muscolo del corpo, irrigidendole la postura della schiena e
inducendola a fissare con occhi spalancati il gruppo di guerrieri
all'altro capo del tavolo, dimentica persino di respirare.
L'uomo in questione
rise di un sorriso nervoso e colpevole al tempo stesso, con una mano
dietro la nuca a carezzarsi la corta zazzera argentea.
– Temo sia vero..
Colta da un vago
senso di disappunto, già di per sé di umore irritabile per il senso
di spossatezza a cui doveva ancora porre rimedio, la mora si lasciò
andare ad una risposta diretta e tagliente al tempo stesso in difesa
del ragazzo.
– Non è affatto
il mio schiavetto! – affermò dura, fessurizzando lo sguardo verso
i due uomini con cui soltanto il giorno prima aveva combattuto fianco
a fianco – Io non gli ho dato nessun ordine, si è trattato di un
gesto compiuto di sua spontanea volontà e perciò non si è trattata
d'altro che di gentilezza. È stato gentile! – sottolineò
con veemenza, prima di tacere e soffocare l'irritazione nata da quel
breve scambio di opinioni addentando una mela pescata dal piatto
vicino.
Cavolo, che
situazione spinosa!
Scoccò di sottecchi
un'occhiata in tralice al giovane drago che era rimasto in silenzio
ad osservarla e nell'incrociarne gli occhi color azzurro ghiaccio si
sentì arrossire, motivo in più che la spinse a dedicarsi
completamente al suo pasto.
Non c'era niente di
male in un gesto gentile, si ripeté mentalmente.
Assolutamente
niente di male.
“Non
ho nessun motivo per incontrarti e non ho intenzione di
parlare
con te [..] Mi hai sempre guardato dall'alto in basso [..] Non
dopo
il modo in cui sono stato trattato da tutti voi [..] Ora ho
una gilda e sono
solo
loro la mia famiglia, non ho più nulla da spartire con te [..]
Non è affar mio
se
avete scelto di allearvi con le persone sbagliate.”
Grazie ad Asuna era
riuscita a contattare suo fratello, l'ultimo membro rimasto in vita
della sua famiglia, eppure erano quelle le frasi che, senza sosta,
continuavano a vorticarle nella mente, l'unica risposta che aveva
ricevuto da lui.
In pratica, le aveva
detto chiaramente di non voler avere più nulla a che fare con lei.
Sua sorella
maggiore.
L'ultima Morelyn
ancora in vita disposta a prendersi le sue responsabilità.
Loranis era sempre
stato quel genere di elfo che, se ci sono problemi, tende a lavarsene
le mani, questo era vero, ma arrivare a tanto..
Aredhel si sentì
ribollire il sangue nelle vene e non riuscì più a sopportare
l'immobilità, così si alzò dal suo scranno per raggiungere
l'interno del castello, quando un nuovo messaggio le invase la mente:
erano stati appena convocati nel salone principale.
Con una nuova
smorfia di insoddisfazione, la ragazza si reinfilò cappotto e
cappello a tesa larga, prima di muover passo verso il portone senza
pronunciare alcuna parola. No, perché continuava a ripensare a
quanto da Loranis dettole indirettamente ed alla storia appresa
quello stesso mattino per mezzo di quella visione.
Scosse il capo
quando, giunta subito fuori dall'ampia stanza, scacciò
momentaneamente quei pensieri per riappropriarsi della sua abituale
sicurezza e, quando varcò quella soglia, era nuovamente lucida e
pronta all'azione, qualunque essa fosse.
– L'esercito non è
riapparso.
Furono queste le
parole che udì proferire da uno dei loro informatori, parole che
fecero ammutolire e trasalire i suoi compagni.
Lei stessa si bloccò
sul nascere, pochi passi dopo aver fatto la sua comparsa, gli occhi
che si spalancarono nel vuoto.
Com'era possibile?
Il dì precedente
erano venuti a conoscenza di un enorme contingente armato marciante
da nord, tanto esteso da costeggiare per kilometri le sponde del
grande lago dell'impero settentrionale, ed ora venivano a sapere che
non solo più della metà di esso era scomparsa nel nulla, ma persino
che quella parte che aveva imboccato il tunnel che attraversava nel
sottosuolo la catena montuosa al confine non ne era riemersa né da
un lato, né dall'altro.
– Non è possibile
– si lasciò sfuggire, incredula, a mezza voce.
– E dove sono
finiti? – proruppe con la stessa intonazione Kein, l'umano a capo
della nuova alleanza delle Terre del Sud.
– Non si sa.
Ebbene, pensò di
getto lei, era una delle cose da appurare.
Così come lei
avrebbe dovuto appurare cosa diavolo aveva voluto dire suo fratello
con “avete scelto di allearvi con le persone sbagliate”.
Nel pieno della
discussione, Aredhel non riuscì a non ripensarci ancora una volta,
trovandosi a serrare i pugni lungo i fianchi sino a far scricchiolare
i guanti in pelle. Perse persino il filo del discorso, ritrovandosi a
chiedersi perché mai avesse dovuto sentirsi dire la stessa cosa da
due persone totalmente diverse fra loro e che non vantavano alcun
legame l'una con l'altra.
Prima il defunto
fratello di Kein, fu Miroslav.
E poi il suo caro
fratellino, Loranis Morelyn.
Non aveva alcun
senso.
– Io, mia sorella
ed un contingente di scorta andremo a controllare all'imbocco del
passo.
A quelle parole,
proferite da quella voce, Aredhel tornò improvvisamente al presente
e sollevò lo sguardo ancora una volta sulla figura di Sleyn, fermo
al suo fianco. Sul suo volto era comparsa un'espressione talmente
seria e carica di determinazione da farle dubitare per un momento di
aver di fronte lo stesso ragazzo che, sin dal primo giorno, le aveva
fatto una corte spietata.
Un nuovo moto di
contrarietà le attanagliò il petto, al pensiero, facendole
digrignare appena i denti dietro un'espressione priva di qualsivoglia
chiara emozione.
– Uhm... va bene,
ma fate attenzione – esordì per primo il loro genitore.
– Sì, state
attenti – si aggiunse Kein – Noi intanto andremo a dare una
controllata a quel Tempio..
Voltando gli occhi
blu verso i suoi compagni, la ragazza elfa non faticò a rammentare
di che tempio stesse parlando. Un'altra incombenza da affrontare con
la massima cautela, che li avrebbe condotti alla ricerca di tutti i
pezzi necessari a compiere un rituale di liberazione di un'anima
imprigionata con la magia. L'anima di un antico guerriero il cui
passato glorioso era noto a molti e le cui conoscenze d'essere
millenario erano ora ciò di cui avevano più bisogno per uscire vivi
da tutta quella storia.
Osservando con
discrezione i movimenti del giovane drago, l'elfa rimase tutto il
tempo in silenzio, lottando con l'inatteso conflitto interiore che
stava prendendo il sopravvento all'interno del suo animo. Non avrebbe
voluto vederlo andare in quel luogo da solo, per quanto solo in
realtà non fosse. Era stata lei la prima ad affermare che sarebbe
stato meglio recarsi sul posto per dare un'occhiata, magari trovare
persino il modo di parlare con qualcuno di quegli uomini in armi e
scoprire qualcosa di più sugli scopi di quella carovana militare.
Per un attimo fu sul
punto di aprire bocca, di cedere e farsi avanti, annunciando che
sarebbe andata con loro.
Poi il momento
passò, infranto dalla voce di lui.
– Non
preoccupatevi: in caso le cose dovessero mettersi troppo male ce la
svigneremo in un batter d'occhio!
Eccolo quel suo
sorrisetto sghembo riaffiorare, sfrontato e arrogante, decisamente
sicuro di sé.
Quella visione
familiare per un certo verso la rincuorò, aiutandola a farsene una
ragione, pensiero che appena la colse le causò una nuova ondata di
stupore. Come poteva provare un'emozione del genere per un ragazzino
la cui età anagrafica era un misero granello di sabbia in confronto
alla sua?
Come poteva essere,
quando era perfettamente a conoscenza delle straordinarie capacità
di lui?
Sì, ormai non aveva
più dubbi sul suo potenziale, non dopo l'ultima battaglia affrontata
insieme sul campo.
Per quanto le
costasse ammetterlo a sé stessa, Sleyn era di gran lunga più
potente di lei.
Immersa in quei
pensieri, si accorse soltanto dopo un istante che il ragazzo era
tornato a farlesi vicino. Quando le si fermò di fronte, Aredhel non
se ne sorprese più di tanto, sebbene non fu altrettanto preparata
quando lui le rivolse la sua richiesta.
– Puoi ridarmi un
momento l'amuleto?
Inarcando un
sopracciglio, la ragazza colse distrattamente qualche esclamazione
interrogativa provenire dal gruppo lì vicino e dopo un istante,
arrossendo inspiegabilmente in viso, annuì.
Sganciandosi la
catenina in argento che, sin dalla sera prima, aveva tenuto sino a
quel momento al collo, porse il ciondolo a forma di chiave al giovane
drago senza una sola parola, osservandone il fare.
Sleyn si portò la
mano libera alla bocca, incidendosi la pelle di un graffio abbastanza
profondo da far sgorgare qualche goccia di sangue, che riversò nella
perla oscura incastonata nel metallo del ciondolo. Nel momento in cui
il liquido sfiorò la superficie serica della piccola sfera, sotto
gli occhi della ragazza, essa si accese di una luminescenza violacea,
reagendo con sorprendente facilità al sangue draconico.
– Ecco fatto –
annunciò a quel punto il bianco, porgendole nuovamente l'amuleto
magico – Ora il suo livello di protezione è nettamente più alto.
Aredhel lì per lì
non riuscì a far altro che prendere nuovamente in consegna quel
ciondolo, osservandolo sorpresa ed assorta sul palmo della mano per
un paio di secondi soltanto, prima che l'altro tornasse a
rivolgerlesi, in un tono più confidenziale.
– Non farti
ammazzare – le disse, con una voce tanto seria da indurla a
sollevare ancora una volta di scatto lo sguardo sul suo volto.
Presa in
contropiede, ella non riuscì a dir altro che un semplice – Lo
stesso vale per te – delineando la piega delle labbra a metà fra
un sorrisetto ed una smorfia.
Sleyn sfoggiò un
nuovo sorrisetto – ..e torna sana e salva; soprattutto non
permettere che la bellezza del tuo viso venga deturpata in qualche
modo.
Eccolo lì, quel
pizzico di marpioneria che sfoggiava in ogni occasione - retaggio
indubbiamente paterno - far di nuovo capolino, freddando il sangue
nelle vene della giovane elfa e cristallizzandole la piega
asimmetrica di quel sorrisetto teso.
Ogni sentimento come
l'ansia o il disagio per la sua partenza svanirono, come evaporati al
sole, lasciando a colmare quel vuoto soltanto un fastidio che le fece
gonfiare una piccola vena a lato della tempia destra, sotto il
cappello.
Scoccò
un'occhiataccia al giovane drago, che per contro non batté ciglio e
con un ultimo saluto generico lasciò la sala in compagnia della
sorella, accompagnato da un paio di risatine di dubbia provenienza,
le cui fonti ella non riuscì in alcun modo a determinare.
– Andiamo anche
noi – annunciò Kein dopo una manciata di secondi, prima di
ricevere l'assenso della maggior parte dei loro compagni.
Eppure Aredhel tardò
a muoversi, rimanendo una manciata di secondi a fissare la porta
dalla quale erano scomparsi i due fratelli.
“..alleati con
le persone sbagliate..”
Serrò
meccanicamente la destra a pugno, avvertendo la forma dell'amuleto
contro il palmo della mano trasmetterle, nonostante la presenza del
guanto, un inatteso e piacevole tepore. Quello era la prova dello
status attivo del suo potere magico, consapevolezza che contribuì a
farle rilassare nuovamente parte dei muscoli delle spalle.
Voltandosi con un
movimento rapido, quasi brusco, allo stesso modo scacciò ancora una
volta il dubbio dalla propria mente.
Perché di una cosa
era ormai assolutamente sicura: lui non poteva essere
sbagliato.
Non c'era nulla
di male in un gesto gentile.