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Autore: tonksnape    22/04/2015    0 recensioni
Una fanfiction per immaginare un nuovo modo di stare insieme di un Mentore e di una Accompagnatrice che non hanno più motivo per sentirsi tali, ma non hanno ancora trovato un nuovo modo di vivere con se stessi e di stare vicini senza ripetere quello che hanno sempre fatto. Haymitch ed Effie fuori dal mondo degli Hunger Games.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Effie Trinket, Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO SEI

 
Haymitch chiamo Plutarch e lo avvisò che arrivava con Effie e che quindi gli cambiasse la prenotazione per il treno e per l’albergo. Plutarch gli chiese se doveva chiedere due camere o una. Haymitch tentennò un attimo, abbastanza per far sorridere Plutarch, poi confermò due camere separate. La cuccetta nel treno sarebbe stata comunque unica.
Il giorno della partenza, per la prima volta, la valigia di Haymitch era più grande di quella di Effie. Saliti sul treno si ritrovarono in uno scompartimento di prima classe, solo per loro. Effie depositò la valigia e, tolta la giacca, si mise a guardare fuori dal finestrino. Sentiva Haymitch sistemare i bagagli mentre, le braccia conserte, osservava il paesaggio. Sembrava addirittura nuovo visto da quel treno, come se il viaggio la stesse portando in un luogo diverso rispetto a tutti quelli fatti negli anni. Haymitch crollò sul sedile e girandosi a guardarlo lo trovò disteso con le braccia dietro la testa. Le gambe, troppo lunghe, erano piegate e i piedi appoggiati sul muro di fronte a lui. La stava guardando.
“Non hai fame?” gli chiese . Haymitch scosse la testa. Con la mano le fece cenno di sedersi vicino a lui.
Effie si mise a sedere al suo fianco e lui le appoggiò la mano su un ginocchio.
“Plutarch mi ha chiesto se volevamo una o due camere in albergo. Ne ho chieste due. Non mi sono ricordato della cuccetta. È un problema?” Effie scosse la testa.
“Bene, perché volevo guardarti dormire.”
Effie sorrise. “Con il tuo russare? Sarà difficile.”
Haymitch le diede uno schiaffo al ginocchio.
“Ti meriti di andare a mangiare, allora!” E si alzò con lentezza, mentre Effie a sua volta, alzandosi, si sistemava il vestito. Era uno di quelli di Katniss, che comunque lei non usava, riadattato.
“A proposito!” Haymmitch prese la più piccola delle due valigie che aveva portato, nascosta dentro quella grande. “Questa è tua.”
“No,” Effie lo guardò di sfuggita, ormai alla porta. “Io ho solo quella borsa gialla.”
“Anche questa è tua. L’ho preparata io.”
L’espressione di Effie si fece perplessa. Haymitch le fece cenno di aprirla e Effie fece scattare le due serrature e tirò la zip.
“Sono tornato al mercato ieri.” Dentro la borsa Effie vide un tessuto blu e bianco, damascato. Alzandolo scoprì che era un abito e sotto ne trovò un altro giallo limone. E due paia di scarpe.
“No!” Effie chiuse di scatto la borsa, con i vestiti nel mezzo. “No, Haymitch.”
“Non ti piacciono?” le chiese sorpreso.
Effie aveva la testa bassa e le mani si muovevano lungo l’abito come se dovesse lisciarlo.
“Perché?” gli chiese alzando lo sguardo verso di lui.
“Perché li ho presi? Per farti un regalo. Ti eri occupato dei miei vestiti, volevo occuparmi dei tuoi. Cosa è successo che non ho capito?”
Effie non disse altro e gli buttò le braccia al collo. Haymitch quasi si sbilanciò all’indietro e poi ricambiò l’abbraccio. Non capiva cosa le fosse successo. Era solo un regalo, niente di più. Adesso.
“Effie,” sospirò con la bocca contro il suo orecchio, “sono io. Siamo qui. Non voglio nulla in cambio. È solo un regalo.”
“Lo so, lo so.” La voce di Effie gli arrivò attutita dalla sua spalla. “Lo so che sei un uomo leale. Scusami.”
Haymitch le prese il volto tra le mani e la scostò da sé fino a farsi guardare.
“Cosa volevano in cambio dei loro regali? E non scusarti.” Effie lo guardò rimanendo in silenzio. Sapevano quale era la merce di scambio chiesta alle Accompagnatrici.
Haymitch lasciò cadere le mani e iniziò ad imprecare, andando verso il finestrino. Si girò e la guardò.
“Dammi il nome di qualcuno che posso pestare a sangue.”
“Non c’è più nessuno.”
“Rufold?”
“Non è il tipo da regali.”
“Chi?”
Effie continuò a guardalo negli occhi. “Sono sempre riuscita ad evitare di ricambiare i regali. Penso che anche per questo a volte non riuscivi a trovare sponsor per il 12. Non offrivo merce di scambio.”
“Qualche Stratega? Crane?” Haymitch si sentiva un drago pronto a sputare fiamme.
Effie negò. “Non sono mai arrivata così in alto. Sono troppo vecchia.”
“Bastardi.” Haymitch allungò la lista degli insulti ancora per qualche minuto, mentre Effie prendeva nuovamente in mano i vestiti, appoggiandoseli contro per capire come le stavano. Poi si avvicinò ad Haymitch e, allungandosi sulle punte dei piedi, gli diede un bacio sulla guancia. Lui si zittì all’improvviso.
Era il loro primo bacio.
 
A cena continuarono a parlare dello scambio di regali  e incontri sessuali che coinvolgevano Mentori e Accompagnatrici, sollevati dal poter parlare liberamente di un segreto sul quale non si erano mai confrontati direttamente. Entrambi avevano raccolto le confessioni di altri oppure avevano condiviso con altri i tentativi che erano stati fatti nei loro confronti. Haymitch aveva accettato degli scambi di favori, ma più per piacere personale che per ottenere qualcosa. Effie si era ritirata in una torre di avorio, lontana da tutti. Non chiese ad Haymitch con chi e quando era successo. All’inizio controllava se rientrava o meno per la notte nella camera vicina alla sua, poi aveva rinunciato dato che spesso era ubriaco e aspettarlo la faceva stare più male che ignorarlo. Stranamente parlarne li rese più tranquilli e, a volte, ironici. La sensazione era di potersi liberare da una delle molte catene del passato.
Rientrando nello scompartimento trovarono che i letti erano già stati preparati e Effie si chiuse in bagno, mentre Haymitch, disteso sul letto, si guardava la televisione.
Effie uscì dopo un buon periodo di tempo, struccata, lucida di crema e con una camicia da notte color lilla che le scendeva ai piedi come una tunica semitrasparente. Stringeva contro di sè i vestiti che si era tolti e l’attaccatura del seno, appena visibile nella scollatura così tenacemente protetta, era una cosa estremamente attraente. Haymitch non fece segreto del suo interesse e la guardò a lungo con lentezza.
“Smettila, impertinente!” Effie lo guardò con stizza.
Haymitch rise e se ne andò in bagno a sua volta. Quando ne uscì, indossando solo i pantaloni del pigiama, Effie spalancò gli occhi, tra l’ammirazione e lo sconcerto.
“Volevo ricambiare il favore di prima,” le disse con il tono di chi spiegava una cosa ovvia.
Effie sbuffò e si girò su un fianco, lo sguardo verso il muro e chiuse la luce del suo letto. Sentì Haymitch ridere di gusto, fino a quando non riuscì ad infilarsi i tappi nelle orecchie per evitare di sentirlo russare.
 
Plutarch li accolse come se non aspettasse altro dalla vita. Era sempre vivace, quasi euforico. Chiese notizie di tutti e raccontò aneddoti di Capitol City più di un giornale scandalistico. Li fece ridere e sconcertò Effie in più di una occasione con un linguaggio troppo simile a quello di Haymitch. Aveva bisogno di Haymitch per verificare un progetto per la scelta della strategia comunicativa del Governo. La cosa richiedeva parecchio tempo, forse tutto il pomeriggio. Forse Effie voleva partecipare?
Effie rifiutò con un sorriso. Spiegò quello che voleva fare per quanto riguardava le sue cose ancora a Capitol City. Rifiutò anche l’invito a cena. Aveva preso contatti con amici ancora residenti in zona e sarebbe uscita con loro. Li salutò e uscì dallo studio di Plutarch. Aveva già deciso con Haymitch che, al loro rientro, si sarebbero cercati nelle rispettive camere, per la buonanotte.
Effie passò il pomeriggio tra diversi uffici, recuperando una parte del denaro che aveva depositato in banca prima della guerra (una seconda parte le sarebbe stata restituita da lì ad un anno). Era più di quanto si aspettasse e questo le permetteva di guardare al futuro con meno paura. Alleggerita dalla scoperta, si dedicò a sistemare i suoi documenti e a cercare qualcosa per festeggiare. Trovò un vestito per sé e uno per Katniss e due maglioni simili per Haymitch e Peeta. Era un modo per ricambiare la loro ospitalità. Avere a disposizione tutto quel denaro metteva in discussione anche la sua scelta di andare a vivere con Katniss. Poteva permettersi l’affitto di un piccolo appartamento adesso e di avviare la sua attività di sarta. Lasciare il Distretto 12, proprio adesso, non era tra i suoi desideri.
La sera gli amici cercarono di mostrarle quanto fosse piacevole la vita che facevano ora. Nulla di paragonabile ai fasti degli anni precedenti, ma si poteva ancora ascoltare musica, ballare, bere e mangiare in compagnia. Effie si divertì con loro, ma sentiva che, dopo l’esperienza della guerra e la vita che passava al 12, tutta quella gioia la rendeva un po’ nauseata. Non ne fece cenno con loro e si lasciò trasportare dal divertimento, ma sentiva che ora desiderava altro. Cominciò a percepire come mai Peeta, Katniss e lo stesso Haymitch avevano sempre trovato fastidiose le feste degli Hunger Games.
La accompagnarono in albergo e la salutarono nella hall. Effie salì con una certa agitazione verso la sua camera, al 15° piano dell’albergo. Bussò alla porta di quella di Haymitch, guardandosi attorno per vedere se arrivava qualcuno.
Haymitch aprì quasi subito. Era ancora vestito con camicia e pantaloni, ma senza cravatta e con i capelli come un cespuglio. A piedi nudi. Le fece cenno di entrare.
La camera era un caos totale. Sembrava impossibile che riuscisse a farlo in così poco tempo. L’essere o meno ubriaco non contribuiva al risultato. Effie si era sempre assicurata, negli anni, che il servizio di lavanderia e stireria fosse sempre a disposizione per lui. Senza rendersene conto iniziò a riordinargli i vestiti.
Haymitch sbuffò. “Se intendi passare il tempo a fare la cameriera, ti spiego meglio cosa vorrei da te.”
Effie si bloccò e lasciò cadere a terra, da dove l’aveva presa, la cravatta che Haymitch aveva indossato durante il pomeriggio. Si mise le mani ai fianchi pronta a ribattere. Non si aspettava lo sguardo ironico e sensuale che gli vide addosso.
“Sei proprio carina con quel vestito.” Aveva scelto il vestito blu e bianco che lui le aveva regalato. Era ben scollato. Durante la serata si era tenuta al collo una sciarpa che attutiva l’effetto, ma ora la stringeva in mano con la giacca. “Hai lasciato tutta quella meraviglia agli occhi di molti?”
“Avevo questa al collo,” gli disse mostrando la sciarpa.
“Tutto per me, allora.” Le sorrise con una smorfia.
“Bah,” sbuffò. “Cosa hai fatto con Plutarch?”
“Cosa da uomini.” Aprì il frigobar e prese una soda e limone. La mostrò a Effie e lei annuì. Mentre ne preparava due continuò. “Mi ha portato in un locale in cui le cameriere servono vestite in sottoveste. Corta. Potrei descriverti gli slip.”
“No, grazie. Vi siete divertiti, allora.”
“Parecchio Plutarch, io dopo un po’ mi sono annoiato dello spettacolo. Sempre uguale. E tu?”
Entrambi si erano seduti sul divano che c’era sotto la finestra che dava sulla facciata dell’hotel, con il bicchiere pieno in mano.
“Serata con gli amici. Divertente. Nessun cameriere in slip.”
“Delusa?”
“Assolutamente no.” Brindarono alzando il bicchiere e poi rivolsero lo sguardo alla città. Era notte inoltrata in quel momento e si vedeva la luce di qualche locale e della gente in giro, ma era deserto rispetto a quello che accadeva durante gli Hunger Games.
“Non tornerei indietro,” disse Effie. Haymitch le spostò un ciuffo di capelli da viso, per poterla vedere meglio.
“Anche se hai perso tutta la tua vita?”
Effie annuì. “Sto cominciando a pensare di avere vissuto in un mondo diverso dalla realtà. Questa sera sono stata con gli amici, abbiamo fatto cose diverse, parlato di cose diverse. È strano.”
“Vieni qui?” le chiese Haymitch facendole segno di sedersi vicino a lui. Effie si spostò, si tolse le scarpe e appoggiò la schiena al petto di Haymitch. Lui fece scorrere il braccio libero lungo il suo fianco e appoggiò la mano sopra la sua pancia. Entrambi guardarono lo spettacolo del cielo stellato in silenzio.
Rimasero così a lungo, sorseggiando la soda fino a lasciare i bicchieri vuoti sul pavimento.
“Haymitch…” sussurrò Effie.
“Mmmh?” mugugnò lui.
“Hai detto che non sapevi se eri ancora capace di amare.”
Haymitch si tese. Effie lo sentì contro la sua schiena.
“Si.”
“Sei riuscito a darti una risposta?”
“Quasi,” sussurrò.
“Haymitch….”
“Dimmi…”
“Vuoi baciarmi?”
Sentì le sue labbra contro il collo, risalire verso l’orecchio e poi alla tempia. Leggero come una piuma. Effie sentì schiudersi la bocca. Lentamente, troppo lentamente la bocca di Haymitch raggiunse  l’angolo della sua.
 “Ho desiderato di essere baciata da te molto spesso in questi anni,” gli sussurrò.
Poi lentamente iniziarono a baciarsi. Occhi chiusi, battito accelerato, mani che si muovevano sul corpo dell’altro. Non erano molto consapevoli di quello che stavano facendo. Né per quanto tempo lo avrebbero fatto.
La mano di Haymitch era salita verso il seno, ma si era fermato.
“Posso?” le sussurrò all’orecchio, premendo leggermente il palmo contro di lei.
Effie rispose con un gemito. Haymitch strinse la mano attorno al suo seno, mentre il suo respiro, contro la bocca di Effie si faceva sempre più pesante.
Haymitch si staccò da lei con estrema lentezza. Dopo molto tempo. La guardò finché Effie non aprì anche lei gli occhi.
“Ti ho desiderata tanto in questi anni,” le disse.
Effie spalancò gli occhi. Si sentiva spaesata. Da quello che facevano, da quello che diceva. Desiderio, forse paura.
“Mi sono raccontato un mucchio di fesserie su di te negli anni. Sul fatto che fossi poco interessante. Come donna.” Haymitch la strinse a sé e poi si alzò andando verso il centro della stanza. “Mi fa paura tutto questo. Anche a te?” le chiese.
Effie annuì con il respiro corto.
“Quanto sei bella Effie… Donna, sei più di qualsiasi immaginazione.” la stava guardando, in piedi, mentre lei era ancora semidistesa sul divano, il vestito alzato che lasciava vedere le gambe. Haymitch aveva il respiro corto quanto lei, la camicia aperta, i pantaloni stropicciati e tesi.
“E’ troppo Effie, adesso…. È troppo tutto questo adesso. Stiamo correndo?”
“Haymitch…” Lo guardò camminare nella stanza come un leone in gabbia, confuso. Lo conosceva abbastanza da sapere che era confuso, non arrabbiato. “Haymitch, fermati e ascoltami.”
Haymitch si fermò quando sentì il tono autoritario di Effie. Era il suo tono di comando, quello che serviva a farlo rientrare nei ranghi. Di solito il risultato non era quello atteso da Effie e lui continuava a fare quello che voleva. Ma in quelle occasioni si trattava di feste, strategie, regolamenti. Ora si trattava di loro e si fermò.
“Smettila di girare come una trottola. Non capisco cosa stai pensando.”
Haymitch prese un lungo respiro e chiuse la bocca in una smorfia pensierosa. “Mi sento travolto, stravolto.” La guardò negli occhi. “Sei bella, Effie,” le disse nuovamente. “Baciarti va oltre ogni immaginazione.” Fece un piccolo sorriso storto. “Credevo di avere sotto controllo la mia vita adesso, ma invece non è vero. Ho paura di perdere il controllo.” Quando si rese conto di quello che aveva detto iniziò a ridere con una mano davanti alla faccia.
Effie lo guardò un po’ perplessa. Anche lei sentiva che stavano esplodendo desideri repressi a lungo e ne aveva paura. Ma Haymitch sembrava veramente spaesato. Le ci volle un po’ per capire che stava piangendo. Era seduto sul letto, con le mani davanti alla faccia e il fiato corto.
“Haymitch…” gli si avvicinò e si mise davanti a lui appoggiandogli una mano sulla testa. Haymitch si lasciò cadere in avanti, verso di lei, fino ad appoggiarle la testa sulla pancia. “Aiutami…” le chiese con la voce rotta di pianto.
Per la prima volta, da quando si conoscevano, Effie vide il dolore di Haymitch, quello che per anni nascondeva dentro la bottiglia. Gli si avvicinò abbracciandolo come fosse un bambino, accarezzandogli la testa e rassicurandolo che tutto sarebbe andato bene. Sentì le braccia dell’uomo circondarla e stringerla a lui. Gli accarezzò a schiena e la testa, con movimenti lenti e costanti. I sussulti finirono e il respiro riprese un ritmo normale.
“Di cosa hai paura?” gli chiese sottovoce.
“Non voglio perderti,” le disse con voce ancora rotta. “Ho perso tutti ogni volta che mi sono avvicinato a qualcuno. Oppure ho rischiato di perderli come Katniss e Peeta. Ho perso la mia ragazza per gli Hunger Games. Non voglio desiderarti, averti, per poi perderti.”
“Non ho nessuna intenzione di lasciarti andare da solo da qualche parte.”
Haymitch la strinse ancora di più. “Sciocca donna.” Effie sentì il solito tono ironico. Lentamente riprese il controllo di sé  e si staccò da lei. Alzando lo sguardo verso il suo volto le fece un leggero sorriso con gli occhi arrossati.
“La mia bionda…”
Effie ricambiò il sorriso. “Il mio sogno di adolescente…”
Si accordarono per rivedersi il mattino successivo. In qualche modo Haymitch sentiva che Capitol City non meritava di avere l’esclusiva della loro prima notte insieme, non in un misero albergo che non diceva nulla a nessuno dei due. Effie si sentiva più tranquilla all’idea di poter rinviare quel momento. Si sentiva veramente una adolescente imbranata. La buonanotte durò comunque molto tempo.
“A che ora domani mattina?” le chiese Haymitch dopo un ultimo, ennesimo bacio.
“Alle otto, a colazione,” risposte Effie un po’ senza voce.
“Alle otto?” Haymitch la allontanò da sé guardandola con gli occhi sbarrati. “Il treno parte dopo le 10.00! Anche volendo fare lentamente alle 8.15 abbiamo finito colazione, alle 8.20 abbiamo fatto i bagagli e in 40 minuti siamo in stazione. Che faccio per il resto del tempo?”
“Mi guardi mentre mi aspetti,” gli rispose Effie come se fosse ovvio.
Lo spinse contro il letto lasciandolo cadere mentre rideva e andò, sorridendo, nella sua stanza.
  
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