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Autore: MelKaine    27/12/2008    62 recensioni
Il piccolo Harry Potter ha sei anni e non ha assolutamente idea di cosa significhi essere felice. Quando viene portato via dalla famiglia dei suoi zii la sua vita è destinata ad intrecciarsi con quella di Severus Snape, giovane maestro di Pozioni. Una storia sulla compassione e l'affetto, il cuore di tutto ciò che è amore.
Genere: Avventura, Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Harry Potter, Minerva McGranitt, Severus Piton
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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The Heart of everything 18
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Auguri a tutti!!! In ritardo, ma giusto in tempo per mantenere la mia promessa di aggiornare oggi. Ecco il regalo di Natale promesso! Senza bisogno di fare nomi, ci siamo capiti ^___=
Il capitolo è stato finalmente sistemato e corretto, con qualche lievissima aggiunta, comprese le traduzioni in fondo.
Un grazie infinito a tutti coloro che sono passati a leggere e che mi hanno scritto. Spero di aggiornare molto presto.

Un grandissimo bacio e ancora auguri!

Mel Kaine

Ps. E passato praticamente più di un anno da quando ho cominciato questa storia, ho trovato gli auguri di Natale scorso su uno dei primi capitoli, oddio, quanto tempo passato in un soffio.

 

 

 

 



The Heart of Everything

 

 

 

18 - / Precious and fragile things /
 

 



“La corte suprema del Wizengamot contro Sirius Black. L’imputato si alzi in piedi”.
Suono di catene stridenti che irrompeva nel silenzio.
“Questa corte, in base alle prove esposte ed esaminate, udite le testimonianze e l’accusa e la difesa, ha raggiunto un verdetto”.
Tre figure ammantate di rosso si alzarono in piedi. Avrebbero di lì a breve enunciato tre sentenze.
“Per l’accusa di associazione e pratica delle Arti Oscure come seguace di Colui-che-non-deve-essere-nominato la corte dichiara l’imputato: non colpevole”.
“Per l’accusa di omicidio plurimo e aggravato di dodici Muggle ed un mago la corte dichiara l’imputato: non colpevole”.
“Per l’accusa di tradimento e partecipazione nell’omicidio di James e Lily Potter e nel tentato omicidio di Harry Potter la corte dichiara l’imputato: non colpevole”.
E pertanto questa corte assolve Sirius Black da tutte le imputazioni a suo carico. Signor Black, è libero di andare”.
Suono di catene che svanivano, l’unico che Sirius Black, l’innocente recluso per cinque anni, riusciva ad udire anche al di sopra dell’enorme brusio della folla.
Quasi due settimane e mezzo di processi ed appelli, dopo l’intervento di Albus, l’anziano Preside poté sorridere benignamente ad uno dei suoi innumerevoli figliol prodighi.
Gli Auror tennero lontano i giornalisti impazziti mentre Black accettava la canuta mano sulla spalla e la stringeva con la propria.
“Grazie. Grazie, mille volte grazie, Albus”.
“La verità vince sempre, mio caro ragazzo. Mi duole soltanto che ci siano voluti tutti questi anni – mesta compassione intersecò il brillio dei suoi occhi azzurri. – Adesso va’, avrai senz’altro desiderio di riposare”.
Ancora gli Auror scortarono l’ex prigioniero fuori dalla corte e lo strapparono alle orde di curiosi e giornalisti.
Sirius Black venne condotto in una graziosa saletta adiacente e lì lasciato libero.
Un pacato suono fece trasalire e voltare il giovane animago.
La sorpresa gli illuminò il viso scurito dai patimenti.
“Remus!”
Il suo vecchio amico, il suo unico amico dopo la morte di James ed il tradimento di Peter Pettigrew.
“Sirius”.
Un esitante passo in avanti, bloccato dal dubbio, dalla paura che non tutto potesse tornare come prima.
Improvvisamente Black esplose in una risata vuota e quasi folle.
“Remus. Remus, vecchio amico mio – poi si fece serio. – Mi credi? Sei convinto della mia innocenza?”
Si fece silenzio.
Remus Lupin chiuse gli occhi.
Era giunto il tempo di affrontare ogni incertezza in nome del loro legame.
“Non c’è Dumbledore fra noi, né una corte del Wizengamot, né Pensatoi, né testimoni. Solo noi. Dimmi Sirius, che non sei stato tu a tradire James, qui, adesso ed io ti crederò. E tutto il resto non avrà importanza, né lo considererò mai esistito”.
Sirius allora guardò negli occhi l’uomo che aveva di fronte, l’amico e compagno di un tempo mai dimenticato.
“Non sono stato io a tradire James e Lily e non ho ucciso nessuno, anche se per cinque anni l’ho desiderato intensamente”.
Remus attese che nel suo cuore scendesse a sedimentarsi quella meravigliosa verità e quindi sorrise. Di vero cuore.
Un istante dopo si abbracciarono, come soldati ritrovatisi alla fine di una lunga, dolorosa, guerra.
Sirius si lasciò andare sulla spalla del suo migliore amico.
“Non hai idea di quanto io sia stanco, Moony”.
“Lo posso immaginare, Padfoot, vieni, andiamo a casa”.
“Ah, quella maledetta topaia è ancora in piedi? Speravo fosse crollata sulla testa di quel maledetto elfo domestico”.
Remus rise.
“Suvvia, è pur sempre la tua casa ed un tetto sulla testa”.

 

 

 



La prima settimana dopo la loro lunga conversazione era trascorsa veloce così come scorrono in pochi secondi le pagine di un libro affascinante appena iniziato.
Severus sedeva sulla sua poltrona, in un salotto deserto, nel mezzo della notte.
Il sonno non aveva desiderio di accompagnarlo verso le terre dell’oblio ed il silenzio immoto del buio era confortante.
Il bambino-Potter pareva aver trovato un suo precario equilibrio in quella vita insieme.
Niente era drasticamente cambiato eppure ugualmente niente era identico a prima.
Le loro due storte, tristi vite non erano più linee tangenti decise a scontrarsi o assi perpendicolari intestarditesi nel proseguire ognuna per la propria strada.
Erano lentamente divenute strade parallele, da percorrersi insieme.
Non ancora mano nella mano, ma almeno fianco a fianco.

Ed era inconcepibile come solo una settimana, come soli sette miseri giorni, potessero portare con loro una pace che nemmeno una vita intera era stata capace di donargli.

Il sorriso del suo bambino-Potter compariva più spesso adesso e cacciava l’oscurità dai suoi quartieri e dalle sue giornate.

La sera dopo avergli regalato la palla magica erano riprese le lezioni ed il tempo a disposizione del maestro di Pozioni si era ridotto drasticamente. Nel giro di quella settimana le piccole mani del bimbo erano diventate rosse fuoco a forza di batterle per accendere e spegnere il suo nuovo gioco. Snape aveva quasi pensato di toglierglielo, ma davvero non voleva venir messo davanti all’evidenza che oramai non era più capace di negare niente al suo bambino-Potter, nemmeno il ridicolo conforto di una palla magica.
E poi sapeva con ogni certezza che la sua assenza era pesante per il bambino. Giorno dopo giorno in quella prima settimana di attività dopo l’interruzione natalizia il loro tempo insieme era diventato sempre meno. Ogni mattina e pomeriggio erano spesi in lezioni dopo lezioni, un’ora ogni sera era per il suo ufficio, dopotutto la casa di Salazar Slytherin era stata affidata a lui ed egli aveva l’obbligo di rendersi disponibile per i suoi studenti. A pranzo era spesso costretto a presentarsi nella Great Hall e le pozioni per l’infermeria, le correzioni dei temi e le riunioni tra gli insegnanti occupavano tutto il poco tempo restante.
Sospirò.
Ogni mattina il bambino-Potter si alzava presto e lo raggiungeva in cucina per fare colazione con lui e da qualche giorno aveva preso l’abitudine di fare i suoi compiti anche di sera, sedendosi alla sua piccola scrivania quando Snape era costretto a sedere alla propria per correggere i compiti degli studenti.
Prima di mandarlo a dormire guardavano insieme il lavoro del piccolo Potter e l’uomo aiutava il bimbo a sistemarlo là dove ve n’era bisogno.
Il piccolo stava diventando sempre più bravo e, senza esagerare, Severus si ricordava sempre di farglielo notare.
Le lettere un tempo tutte storte e sporche erano ogni giorno più dritte e nette, sicure.
E la sua manina non doleva più.
Qualche altra sera, invece, troppo stanco anche per leggere le inanità scritte dai suoi studenti il Maestro di Pozioni si sedeva sulla sua poltrona con un buon trattato di magia e lasciava che il bambino-Potter giocasse nella stanza, ovviamente dopo aver castato un bell’incantesimo di protezione su tutte le cose che potevano rompersi con un tiro di palla.
Altre sere ancora, soprattutto quando non si erano visti per tutto il giorno, lo prendeva in braccio, come la prima volta, e gli insegnava a leggere. Oppure, semplicemente, gli leggeva lui stesso qualcuno dei libri più comprensibili sul mondo della magia.

La prima volta che il bambino-Potter si era addormentato sulle sue ginocchia mentre lo ascoltava, Severus era stato colto da un senso di ‘famiglia’ così forte che per un attimo era rimasto in silenzio. Incredulo per quanto tutto quello sembrasse giusto e perfetto. Quando aveva avvertito il piccolo corpicino muoversi, con ogni probabilità inconsciamente infastidito dal prolungato silenzio, gli aveva accarezzato la testa ed aveva ripreso a leggere. Lo aveva tenuto stretto mentre si alzava e, senza interrompere la lettura, l’aveva portato in camera e messo a letto. Lo aveva coperto e aveva letto per qualche minuto ancora, fino a che il respiro del bambino non si era fatto ancor più profondo.

Quella memoria gli tenne compagnia quella notte insonne e, per la prima volta in quelli che parevano anni, Severus non ebbe bisogno di indulgere nell’alcol per trovare pensieri ovattati e tranquilli. Tutto quello che doveva fare era ricordare giorno per giorno quella settimana insieme e lasciare che qualcosa di simile ad un sorriso gli si dipingesse sulle labbra, nascosto nella fedele ombra della notte.

Qualche altro giorno passò discretamente.
Alle volte il piccolo Harry si ritrovava minuti interi a pensare che non fosse altro che un sogno. Magari era lì a giocare in camera sua con la sua palla di vetro e ad un tratto si fermava e pensava che era tutto così bello che davvero non c’era altra spiegazione. Doveva essere un sogno. Allora prendeva la palla di vetro e se la poggiava al viso, pensando che il freddo lo avrebbe svegliato e chiudeva gli occhi e chiudeva forte le labbra, coraggiosamente pronto a svegliarsi nel suo sottoscala dai Dursley.
Ed invece, quando riapriva gli occhi, era ancora nella sua nuova stanza e nessuno gli urlava contro e la palla contro la guancia era sì fredda, ma così vera, così meravigliosamente vera e reale…
E pensava a tutto il tempo che era passato veloce con il suo uomo-Sevreus. A tutte le cose bellissime che avevano fatto insieme. Alle coperte, al letto, al camino, al cibo ogni volta che voleva (ogni volta!). E lo stare bene ed il sentirsi al sicuro, il sapere cosa fare. I compiti, imparare a leggere, a scrivere. Essere bravo. Le mani dell’uomo-Sevreus sulla schiena, sulla testa, sui capelli, sul viso. E la sua voce. Ed i suoi occhi. E le sue ginocchia.
Ecco che il piccolo Harry realizzava che era tutto vero e subito dopo si faceva piccolo piccolo lì sul suo letto e tremava al pensiero che tutto potesse finire.

La sua nuova paura era non veder tornare l’uomo-Sevreus.

Quando ci pensava correva alla porta e restava lì vicino per tutto il tempo, fino a che l’uomo non ritornava. E quando il viso di quello che era tutto il suo mondo si abbassava per guardarlo il piccolo Harry trovava impossibile non sorridere e passava la sera felice, in silenzio, ma sempre intorno al suo uomo-Sevreus.

Eppure quella sera era già tardi, ma il suo maestro non era ancora rientrato. Il buffo e basso omino che gli portava la cena era già comparso ed Harry aveva mangiato soltanto per tre motivi. Perché il signore-Sevreus gli aveva detto di mangiare sempre, perché altrimenti il basso omino non sarebbe andato via e perché non era giusto sprecare il cibo, assolutamente.
Il piccolo Harry mangiò in fretta, girandosi ogni tanto verso la porta, desiderando vederla aprirsi.
Ma il bimbo ebbe tutto il tempo di mangiare, alzarsi, tornare in salotto e continuare a fissare la porta.
L’uomo-Sevreus non era ancora tornato.

Quando l’orologio sul camino batté le undici il piccolo Harry sentì che non poteva più trattenere le lacrime. Era troppo tardi e questo voleva dire che l’uomo-Sevreus non sarebbe tornato mai più. Forse qualcuno lo aveva portato via oppure, stanco di dover stare con l’inutile piccolo Harry, se ne era andato lontano.
Harry tremò forte.
Eppure avrebbe dovuto saperlo. Niente di bello durava nella sua vita. E adesso che il signore-Sevreus era sparito per sempre Harry sarebbe rimasto chiuso in quelle stanze per tantissimi anni, senza più nessuno.
Oh, era un pensiero così brutto e triste che il bambino si strinse al petto la palla di vetro e pianse in silenzio.
Avrebbe fatto di tutto pur di avere la possibilità di vedere il suo uomo-Sevreus un’ultima volta… di tutto.


Severus si affrettò lungo il tetro corridoio che conduceva ai suoi quartieri. La stanchezza gli faceva bruciare gli occhi e gli annebbiava la mente. Era così tardi…
Il meeting fra Capi delle Case, le due punizioni da supervisionare e come se non bastasse una lite nella sala comune dei suoi Slytherin. Tutto aveva giocato a suo sfavore. Ed era così tardi…
Sperava che, non vedendolo arrivare, il bambino-Potter avesse cenato e fosse andato a dormire.
Mentre pensava ancora una volta al bimbo i suoi passi si fecero più rapidi.
Ancor prima di aver varcato la soglia squadrò la sala e quindi lanciò un paio di imprecazioni fra sé e sé.

Il piccolo Potter era sul tappeto, addormentato contro una delle gambe della poltrona, la palla di vetro stretta in mano. Il viso rigato di lacrime.

Severus si passò una mano nei capelli, frustrato.

Si ricordò di quando, quella che sembrava una vita fa, aveva espressamente avvertito Albus di non avere tempo materiale per allevare un bambino.
E per quanto adesso fosse intenzionato a farlo, la realtà era che quel giorno non aveva mentito.
I suoi obblighi e doveri e compiti erano troppi, semplicemente troppi.

Senza indulgere ancora nella propria commiserazione si affrettò e delicatamente raccolse il bimbo da terra. I piccoli occhi chiusi erano gonfi e umidi. Gli tolse la palla dalle mani e la lasciò in sala poi si diresse nella stanza del bambino.
Sedé sul letto, cercando di adagiarlo sotto le coperte senza svegliarlo. Nell’attimo in cui, quasi certo di essere riuscito nel suo intento, Snape fece per togliere le mani da sotto quel corpicino il piccolo Potter si destò. Severus lo sentì irrigidirsi tutto per un istante poi le due piccole braccia che fino a quel momento erano rimaste inermi si avvolsero intorno al suo collo ed il bimbo lo strinse forte quanto poteva. Un singhiozzo ed un mormorio.
Severus non gli chiese di ripetere l’incomprensibile sussurro, ma ricambiò l’abbraccio.

“Mi dispiace, Harry. So che è molto tardi, ma tu sai che ho il mio lavoro e questa sera ha richiesto più tempo del solito. Hai cenato?”

Avvertì un cenno di assenso contro la spalla ed in parte si tranquillizzò.

Senza staccarsi da quel piccolo, goffo abbraccio sospirò.
“Perché hai pianto, Harry?”

Ancora un mormorio incomprensibile, ma questa volta Snape non lasciò correre.
“Cercare di parlare con la bocca attaccata alla mia veste non mi sembra una buona idea se la tua intenzione è quella di darmi una risposta”.
Il tono comunque era leggero, quasi faceto.

Il piccolo Potter si allontanò di una frazione di centimetro.
“Il maestro Sevreus non tornava ed Harry pensava che…”
Venne interrotto da un discreto schiarirsi di gola.
“Harry non parlare come un elfo domestico…”
“Mi dispiace, signore, cioè maestro… ”
“Niente di cui scusarsi, cerca soltanto di ricordarlo tutte le volte che ti è possibile. E adesso dimmi di nuovo, perché piangevi?”
Aveva più o meno individuato il problema, ma voleva sentire il bambino-Potter dirlo. Se non altro almeno per renderlo cosciente dell’assurdità della motivazione.
“H-ho pensato che il maestro Sevreus non tornava più e… e… che ero solo…”
Di nuovo il visino cercò di scavarsi un nascondiglio nella sua spalla e Snape mezzo sospirò e mezzo sorrise. Quasi.
“Ti posso assicurare, Harry, che nonostante vi sia la possibilità per me di tardare anche altre sere, non ho alcuna intenzione di abbandonare né te né le mie stanze. Come ti ho detto alle volte devo trattenermi per lavoro, ma farò sempre ritorno e mi devi promettere di non aspettarmi alzato e ovviamente non c’è bisogno di piangere perché non sparirò all’improvviso”.
Questo piccolo discorso, pronunciato lentamente ed in tono gentile, ma fermo, sembrò alleviare tutte le paure del bambino-Potter ed il piccolo si rilassò per la prima volta e lasciò andare il collo del giovane uomo.
Si guardarono ed il bimbo annuì.
Senza riuscirci bene quanto sapeva di poter fare se si fosse impegnato, Severus cercò di usare un tono autoritario.
“A dormire adesso, è assolutamente tardi”.
Il piccolo Potter sorrise.

Snape lo lasciò sotto le coperte per recarsi in salotto, servirsi due dita di scotch e ritirarsi in camera.
Era stata un giornata dannatamente lunga e pensare che davvero esisteva la possibilità che divenisse la norma…

No, assolutamente no.
Urgeva prendere dei provvedimenti.
L’indomani avrebbe parlato con Albus.


Nonostante aver potuto sentire il calore del corpo e le mani del suo uomo-Sevreus prima di addormentarsi, e sopra ogni altra cosa vederlo tornare veramente, il piccolo Harry non riuscì a passare una notte tranquilla. Brutti pensieri lo avevano svegliato diverse volte fino a che il piccolo orologio nella stanza non si era lentamente quasi spostato sull’ora di alzarsi. Grato di poter smettere di rigirarsi senza dormire il piccolo si era vestito velocemente e si era messo ad attendere il maestro-Sevreus in salotto. L’uomo lo aveva guardato leggermente sorpreso, ma non aveva detto niente, se non che quella sera probabilmente avrebbero avuto visite. Oh, il nonnino veniva a trovarli! Quindi finirono la colazione in silenzio.

Quando Severus si diresse alla porta era ovviamente consapevole che il piccolo Harry lo aveva seguito e che adesso, a debita distanza, lo osservava intensamente, come se non volesse per niente al mondo vederlo andare via.
In cuor suo Snape non desiderava affatto che il bambino-Potter dipendesse da lui così palesemente. Voleva che diventasse forte, invece. Forte e giusto come lui stesso non era riuscito a diventare. D’altra parte sentiva che se adesso avesse ignorato il suo bisogno d’affetto, non lo avrebbe fortificato, ma allontanato e forse perso di nuovo.
Merlino, trovare il giusto equilibrio era così dannatamente difficile.

Si scrutarono mentre Severus rimaneva sulla soglia.

Poi lasciò scivolare via la mano che teneva sulla porta e tornò indietro, di fronte al bimbo.
Molto lentamente allungò una mano e gli accarezzò la testolina.

“A questa sera, Harry. Se il Preside dovesse, per qualche ragione, arrivare prima di me, confido che saprai accoglierlo e farlo accomod... sedere su una delle poltrone, vero?”

Il piccolo Potter annuì.
E Snape fece per andarsene quando effettivamente il bimbo lo sorprese.

Una piccola mano si era appoggiata gentilmente sul suo braccio, senza tirargli la veste o trattenerlo, semplicemente ferma a rendere nota la sua presenza.
Guardando in basso Severus incontrò gli enormi occhi verdi.

“Buo-buona giornata, signore”.

A stento e a fatica l’uomo si trattenne dal regalare un’altra carezza al bimbetto.
“Grazie, Harry”.

E si allontanò, più serenamente, per iniziare le sue lezioni.


Quando quella sera il maestro-Sevreus fece ritorno non era solo.
Il piccolo Harry salutò educatamente il nonnino ed il suo uomo-Sevreus, cercando di non essere maleducato fece tutto il possibile per non fissare i pesci sul vestito del vecchino ed il buffo cappello a forma di stella. Prese la propria palla e, dopo aver ricevuto il permesso dal maestro-Sevreus, si mise in un angolino del tappeto a giocare.


“Posso offrirti qualcosa, Albus? Del tè magari?”

“Oh sì, una bella tazza calda, ragazzo mio, sarebbe perfetta”.

Severus servì entrambi. Avrebbe preferito il sapore deciso del liquore, ma non si sarebbe mai permesso di bere alcol di fronte al bambino-Potter.

Albus prese un sorso, lentamente, poi prima che Snape potesse dire qualsiasi cosa, fissò i suoi occhi azzurri sul giovane maestro di Pozioni.

“Mio caro ragazzo, prima di discutere quello che ti preoccupa mi chiedevo se potevi aiutarmi a risolvere un enigma che mi tormenta dall’altro giorno. E’ arrivata la fattura magica di un oggetto che nessuno del corpo docente ritiene di aver ordinato…”
“Invero, Albus, che cosa bizzarra…”
Un sorrisetto storto si dipinse sulle labbra del mago più giovane.
“E ancora non ti ho parlato della natura di questo misterioso articolo – l’anziano Preside fece una pausa per rendere importante il momento della sua grande rivelazione. – Un gioco! Sì, hai udito bene, ragazzo mio, uno dei giocattoli più classici, una sorta di Infrangipalla, credo si chiami…”
“Mh, non è nemmeno un oggetto curriculare Albus, davvero non capisco”.
Il suo sorriso iniziò ad allargarsi pigramente.
“E sai una cosa, mio caro ragazzo? Potrebbe certamente essere la vecchiaia, ma non posso fare a meno di notare come il giovane Harry qui si stia divertendo con qualcosa di sferico e apparentemente infrangibile…”
Il sorriso di Severus si fece apertamente beffardo.
“Che strana coincidenza…”
“Già, per non menzionare come fosse già stato pagato alla consegna senza usare i fondi scolastici, che come ben sai sono a disposizione soprattutto per il nostro giovane Harry. Sembra che io sia destinato a non scoprire niente benché sia stato praticamente ordinato a mio nome. Ora mi chiedevo se, per caso, ti capita di saperne qualcosa, mio caro ragazzo”.
“Non saprei davvero che direzione indicarti, Albus. Certamente appare evidente che la persona che ha fatto questo possiede indubbiamente una sorta di rispettata reputazione che non intende rovinare ed in questo caso ha tutto il mio appoggio e la mia simpatia”.
Gli occhi del vecchio mago si illuminarono, brillando forte di una luce propria e felice.
“Già, ragazzo mio, ne devo senz’altro convenire”.
Il maestro di Pozioni nascose il suo, adesso compiaciuto, sorriso dietro al bordo della sua tazza e prese un lungo sorso. Nella sala l’unico suono era il ritmico rimbalzare della palla di Harry a terra.
Albus sorrise amabilmente.
“E adesso dimmi, ragazzo mio, cosa posso fare per te?”
“Tempo, Albus. Ho bisogno di tempo”.
L’anziano Preside attese che il giovane uomo si spiegasse.
Severus abbassò il tono della voce per non attirare l’attenzione del bambino-Potter.
“Ho bisogno di passare più tempo qui nelle mie stanze”.
“Tempo con il giovane Harry?”
Snape annuì.
“Durante la settimana le lezioni mi tengono inevitabilmente impegnato, senza contare i meeting con gli altri insegnanti e le ore di counseling con gli studenti della mia casa e poi ovviamente le pozioni per l’infermeria, le punizioni da supervisionare, la correzione dei temi e le mie ricerche. E’ semplicemente troppo tempo, molto più di quanto mi sia concesso di sottrarre al bambino. Il mio tardo rientro l’altra sera ne è stato prova e non mi è possibile ignorare quanto la mia assenza sia di peso per lui”.
Dumbledore non chiese ulteriori spiegazioni e prese ad accarezzarsi la lunga barba.
“Hai già in mente qualche possibile soluzione, ragazzo mio?” chiese l’anziano mago dopo un istante di profonda riflessione.
Snape accavallò le lunghe gambe.
“Ovviamente le lezioni non possono subire nessuna modifica e, prima che tu possa anche solo pensarlo, non intendo accettare un altro insegnante nella mia classe di Pozioni né permettere che l’abominevole indulgenza di cui Minerva e gli altri docenti sono così impunemente dotati possa rovinare il mio accurato lavoro di gradazione, o degradazione a detta di alcuni, dei temi. In più la correzione dei compiti degli studenti è qualcosa che posso facilmente completare qui nelle mie stanze, quindi non vedo la necessità di affidare ad altri l’unico piacere che mi deriva dall’essere costretto a gridare al vento un sapere che non raggiungerà mai il condotto uditivo dei pessimi ed asinini marmocchi che ogni anno mi vengono, ahimè, presentati”.
Albus rise benignamente dietro al suo tè.
Le lunghe, sarcastiche tirate del giovane professore non cessavano mai di divertirlo.
“Inoltre temo non sia possibile evitare le ore di incontro con i miei studenti e sinceramente non voglio privare la mia Casa di tale conforto. Difficilmente i miei Slytherin sono abituati a parlare dei loro problemi e certamente la possibilità che lo facciano con uno degli altri Capi delle Case è praticamente inesistente”.
Albus annuì, concorde.
Entrambi si presero un momento per terminare il loro tè prima che il protrarsi della conversazione lo facesse spiacevolmente raffreddare.
Qualche istante dopo Severus riprese, ancor più seriamente.
“Quando tutto questo è iniziato, Albus, ricordo di averti detto che non avevo il tempo materiale di occuparmi di… ciò che mi veniva affidato, a causa dei miei doveri e delle responsabilità che ho. Benché adesso la mia decisione sia stata presa e sia, come ben sai, definitiva, le mie risorse si stanno esaurendo. Ti ho presentato i fatti questa sera al fine di chiederti se ricordi cosa mi dicesti allora”.
Sia mai che Severus Snape richiedesse brutalmente aiuto. Anche se lo scopo era certamente quello sia mai che egli ignorasse così apertamente l’importanza della contorta e depistante dialettica con la quale tale richiesta poteva essere inoltrata.

Albus posò la tazza ormai vuota con delicatezza.
“Nonostante l’età ricordo assai bene le cose importanti, ragazzo mio, e adesso come allora la mia offerta è sempre valida. Avrai tutto l’aiuto che ti serve e non solo perché hai avuto cuore di occuparti di ciò che ti ho chiesto nonostante le difficoltà, ma per il tuo insostituibile valore all’interno di questa scuola e come amico, e figlio, di ognuno di noi”.

Certamente un uomo con meno muri di pietra attorno all’anima si sarebbe sentito in imbarazzo per lo spropositatamente affettivo senso nascosto in quelle parole, ma Severus Snape, in privato, in tutti quegli anni, era venuto a patti con ciò che il piccolo Potter sembrava aver scoperto sin troppo presto. Che non meritava tutto quello. E se per il bimbo ancora c’era tempo e le parole e le azioni potevano cancellare il vuoto e la convinzione di non essere voluto al mondo, alle volte quando anche tali parole di benigna e genuina affezione erano rivolte a lui, Severus sentiva che non erano destinate a raggiungerlo. In cuor suo, nel silenzio della notte, nelle sue visite in se stesso e nelle sue profonde meditazioni sperava che un giorno, per caso, mentre indirizzava il piccolo bambino-Potter verso la strada per la propria realizzazione come persona nel loro mondo, i cancelli, per lui, dal passato oscuro e dai molti peccati, non fossero ancora chiusi e che lentamente avrebbe potuto seguire il figlio della donna che, senza essergli realmente vicina, lo aveva reso partecipe dell’esistenza dell’amore.

“Hai… la mia gratitudine, Albus”.

Il vecchio mago sorrise mentre Severus si adoperava per riempire nuovamente le tazze di tè fumante.

“Molto bene, vediamo dove possiamo recuperare qualche ora…” disse pensosamente Albus.

“I meeting. Quattro incontri a settimana più i tre esclusivi per i Capi delle Case. Sette sere su sette. Improponibile. Il più delle volte la mia presenza non è nemmeno necessaria. A questo proposito volevo chiederti se potevo essere esonerato dagli incontri non indispensabili e quindi ritirarmi prima da quelli di una certa importanza”.

“Senz’altro, ragazzo mio. Considerati libero di prendere la tua decisione di partecipare o meno in base alla tua disponibilità. Sono certo che Minerva o Filius non avranno problemi a farti avere, qui nei tuoi quartieri, un resoconto dei punti salienti delle discussioni alle quali mancherai. Per quanto mi riguarda ti sarei grato se tu potessi avvertirmi in anticipo della tua presenza così che io possa trattare tutto ciò che ti concerne in uno o massimo due degli incontri nei quali sarai con noi”.

“Mi sembra estremamente ragionevole” concordò il maestro di Pozioni.
Dumbledore proseguì, quasi concitatamente, felice di offrire il suo aiuto finalmente.
“Sempre in riferimento alle tue molteplici mansioni, credo che non sarà un problema per la scuola ordinare le pozioni più semplici presso Slug & Jiggers in Diagon Alley…”
“Albus, sai che…”
L’anziano mago alzò una mano per fermare l’offerta dell’altro uomo.
“Sì, so perfettamente che creare pozioni è l’essenza stessa di te nonché la professione nella quale eccelli, ma ritengo inappropriato, date le circostanze, richiederti questo quando è possibile trovare una soluzione così semplice. Certamente Madam Pomfrey non si risentirà se le sue pozioni base non saranno più assolutamente perfette come un tempo, ma solo mediocremente tali, non credi?”
Snape annuì, conscio della mancanza di alternative.
“Ovviamente per le pozioni più complesse ed importanti, non oserei affidare il compito a nessun altro”.
“Tsk, vorrei ben vedere, a meno che tu non voglia vedere il caro Lupin trasformato in un barboncino dal pelo fucsia…”
“Oh cielo, sarebbe terribile, Minerva insisterebbe per tenerlo e dubito che Black ne sarebbe felice al suo ritorno…”

L’involontaria citazione del nome di quel cane rognoso in un istante gelò la conversazione e fece scurire gli occhi di Snape.
Albus bevve lentamente e a lungo.
Quando il suono della palla del bambino-Potter sembrò averlo calmato, Severus riprese.
“Pensavo anche di affidare a Filch la maggior parte delle detenzioni che certamente i petulanti mocciosi con i quali ho a che fare continueranno ad estorcermi…”
“Certamente il nostro Filch non se ne avrà a male”.
Severus annuì, riprendendo.
“Infine ho pensato di conciliare le attività più manovrabili e condensarle nei ritagli di tempo. Certamente la preparazione di alcune pozioni può essere facilmente conseguita mentre supervisiono gli studenti durante le rimanenti punizioni o mentre mi trovo in attesa nel mio ufficio per le ore di counseling. Per il resto limiterò le mie ricerche e le mie altre attività personali come posso…”

Albus sorrise, indulgente.
“Molto bene. Le stesse lezioni, meno meeting, le correzioni e le pozioni durante le supervisioni e le ore di counseling… abbiamo coperto tutto o sbaglio?”

“Ritengo sia tutto”.

“Bene, per qualsiasi altra cosa non esitare. Avvertirò personalmente gli altri docenti delle tue necessità. Per coloro che non sono al corrente della presenza del giovane Harry parlerò di impegni correlati all’Ordine da me stesso affidati a te”.

“Molto bene”.

“E adesso – disse Albus con voce squillante, sistemandosi più comodamente sulla poltrona di Severus. – Parliamo di cose piacevoli… il nostro giovane Harry? Come sta?”
Severus trattenne forzatamente un accenno di sorriso, mentre si voltava a guardare il loro piccolo argomento di conversazione.
“Certamente molto meglio di quando mi è stato presentato. Perfettamente guarito nel corpo come assolutamente non lo è nella mente. Comunque dopo aver chiarito insieme alcuni punti principali è notevolmente meno ansioso e spaventato. Per il momento mi sto concentrando sulla sua educazione”.
Un suono sorpreso.
“Ah, non ero al corrente avessi iniziato a dargli lezioni. Spero non soltanto Pozioni, Severus…”
“Molto divertente, Albus, ma no. Niente Pozioni, né Incantesimi, né Trasfigurazione”.
“Oh, per la barba di Merlino, non riuscirai a convincermi che Divinazione o Cura delle creature magiche siano stati i tuoi primi argomenti…”
“Difficilmente Albus avrei potuto dare al bambino uno dei libri di testo di Madam Trelawney, incomprensibili per principio anche a chi conosce l’alfabeto”.
Dumbledore si fece silenzioso.
“Come certamente hai dedotto i Muggle non si sono preoccupati minimamente della sua educazione. Il bambino Potter non sa leggere né scrivere…”
Albus alzò un canuto sopracciglio.
“Il bambino Potter?”
Diamine! Talmente abituato al termine nella sua testa Snape lo aveva detto ad alta voce…
“Beh, è quello che è, ed era anche analfabeta quando mi è stato presentato. Certamente non puoi aspettarti che rimanga tale, non dopo essere stato affidato a me. Non ho ritenuto necessario avvertirti di questo mio intento, data la sua banalità”.
“Certo, certo, ragazzo mio, non temere, hai fatto più che bene e di sicuro non avrei avuto nulla da dire nemmeno se avessi scelto, in una situazione ideale, Pozioni o Difesa. L’educazione del nostro Harry è senza dubbio compito tuo”.


Una volta di più il piccolo Harry si sentì chiamare. Ma non era proprio come quando veniva chiamato. Era come quando Zia Petunia parlava di Dudley alle vicine di casa e diceva il suo nome ancora e ancora. Eppure non poteva sentirsi tranquillo. Forse aveva fatto qualcosa di male e il suo uomo-Sevreus si stava lamentando con il nonnino o peggio ancora il nonnino voleva portarlo via. Si strinse la palla al petto. Il nonnino era simpatico con tutte quelle cose strane che aveva sempre addosso, ma Harry non voleva vivere con lui, non voleva lasciare la sua stanza (wow, finalmente aveva una stanza che poteva chiamare sua!) e sopra ogni altra cosa non voleva lasciare l’uomo-Sevreus. Mai.
Ad ogni minuto che passava e ad ogni nuovo sussurro del suo nome, il piccolo Harry si sentiva sempre più inquieto e in colpa e spaventato e confuso e di nuovo da capo e tutto insieme.
Si alzò.
Prese tutto il coraggio che aveva e decise di raggiungere il signore-Sevreus ed il nonnino. Se qualcosa di brutto doveva accadere era meglio subito, no?
Lentamente, con la palla stretta in mano, il piccolo si accostò.
Quando fu abbastanza vicino alzò gli occhi.
Il suo sguardo si perse in quello dell’uomo-Sevreus e senza sapere perché Harry si sentì immediatamente calmo. E al sicuro.
“Oh, Harry, stavamo giusto parlando di te, non è vero, Severus?”
Snape annuì distrattamente.
Una mano era già scivolata verso la schiena del bambino-Potter, rassicurante.
Snape si concesse quell’attimo per confortarlo, infastidito che la presenza di Albus ed il suo stesso orgoglio gli impedissero di manifestare i suoi sentimenti più apertamente in pubblico quando il bambino ne aveva bisogno.
Sì, perché sentiva che qualcosa preoccupava il bimbo, i suoi occhi verdi erano ombrati.
Possibile li avesse ascoltati ed avesse frainteso?
Certamente ve ne era la possibilità.
“Sì, dicevo al Preside dei tuoi progressi nella scrittura, vorresti mostrargli il tuo lavoro? Vai a prendere la scatola dei compiti…”
Prontamente il piccolo Harry ubbidì, ma quando fece ritorno l’imbarazzo e la paura di deludere il suo uomo-Sevreus di fronte al nonnino erano quasi troppo. Sapeva che le sue lettere copiate erano bruttissime e storte e sporche e semplicemente orribilissime. Non voleva che il nonnino le vedesse e lo dicesse al signore-Sevreus e lo facesse vergognare per Harry.
Di nuovo quella mano grande dietro la schiena, così calda e rassicurante, gli diede coraggio.


Albus prese solennemente in mano i fogli che tremolantemente gli venivano offerti.
Poco prima di iniziare a guardarli l’anziano mago si sentì osservato.
Snape gli stava lanciando uno sguardo poco amichevole.
Il suoi occhi praticamente gridavano ‘Dì qualcosa di incoraggiante, Albus, o giuro che ti strappo tutti quei pesci dal mantello e li uso nella prossima pozione’.
Non che Dumbledore avesse in mente di dire altro che buone parole…

Lentamente e con molta attenzione guardò tutti i fogli più volte, mentre il bambino si rigirava le manine l’una nell’altra.

“Posso senz’altro dire che sei molto portato Harry, davvero molto bravo” aggiunse quando vide la confusione sul suo visino.
Il bambino sembrava incertamente felice.
“D-davvero signore?”

“Certamente sì. Alla tua età, tanti tanti anni fa, io riuscivo soltanto a fare fogli tutti neri con l’inchiostro. Tu invece sei stato veramente preciso e guarda quanto hai lavorato. Veramente bravo, sì”.

Tsk, si poteva sempre fare affidamento su Albus quando si trattava di ricoprire di melassosi complimenti qualcuno. Non che Snape si aspettasse diversamente dopo il suo meno che gentile sguardo qualche attimo prima…

Severus intervenne. Incoraggiare il bimbo era una cosa. Mentirgli spudoratamente, anche se in bene, non era invece contemplato.
“Sì, Harry è stato bravo, abbiamo ancora tanto da fare con le lettere, ma è un buon inizio”.

Il bambino-Potter gli sorrise, radioso.
L’orologio sul camino rintoccò. Severus lanciò uno sguardo veloce all’ora e disse al bambino-Potter di mettere a posto la scatola. Guardandolo tornare subito dopo al suo fianco gli porse la solita tazza di latte che prendeva ogni sera.
Sentiva inconsciamente che il piccolo Potter desiderava bere quel latte seduto sulle sue ginocchia, ma Albus era presente e Snape non era assolutamente avvezzo a mostrare quel lato di sé in pubblico. Tristemente si chiese se mai sarebbe stato pronto o anche solo meno orgoglioso. La risposta era lontana e nebbiosa.

Severus si alzò cedendo il proprio posto al piccolo.
Il silenzio non era buono per il bambino-Potter, ma Snape non riusciva a trovare niente su cui iniziare una conversazione e comunque non sarebbe stato da lui.
Quindi si risolse ad attendere che il bimbo finisse di bere per mandarlo a letto.

Rimasto solo con il Preside si preparò a congedarlo.
“Molto bene, Albus, ti ringrazio per aver accolto le mie richieste…”

Prontamente l’anziano mago si alzò.
“Non farti alcuno scrupolo a domandare, qualsiasi altra cosa possa fare per te, mio caro ragazzo”.

Snape si prese un attimo per riflettere circa i suoi piani per il weekend.
L’interesse di Albus si accese nuovamente.
“Abbiamo tralasciato qualcosa?”

Incerto se fosse una buona idea o meno, Snape sospirò.
Ma in fondo quando mai si era tirato indietro di fronte al rischio?

“Una cosa ancora, forse…”
Albus lo guardava, incoraggiante.

Severus sospirò nuovamente.
“Mi sarebbe utile se tu potessi proclamare più weekend ad Hogsmead, in modo da allontanare gli studenti dai terreni della scuola e permettermi di uscire indisturbato con il bambino”.
Albus annuì.
“Ma certo, gli studenti ne saranno entusiasti e sembra un buon proposito approfittare di questo periodo di pace sotto tutti gli aspetti – il riferimento alla certezza che un giorno non lontano il Signore Oscuro sarebbe risorto non andò perso alle orecchie del mago più giovane. – Il nostro giovane Harry ti ha chiesto esplicitamente di volere degli spazi aperti? Non so, se hai bisogno di spostarti in un quartiere più arioso posso provvedere…”
“Hai visto anche tu, il bambino è sempre davanti alla porta quando rientro, sospetto che abbia desiderio di uscire fuori in giardino anche se non ha ancora trovato il coraggio di formulare a voce questa richiesta”.
Albus si accarezzò distrattamente la lunga barba.
Poi con occhio critico osservò il maestro di Pozioni.
“Sei realmente certo che sia solo desiderio di uscire quello che spinge il giovane Harry ad aspettarti davanti alla porta?”
E quindi, nello scosso silenzio che seguì la sua affermazione, fece per andarsene. Sulla soglia si volse.
“Avrai certamente i tuoi weekend ad Hogsmead in più, domani, se prima di uscire desideri passare nel mio ufficio vorrei consegnarti qualcosa che tenevo da parte per il nostro Harry e che adesso ritengo sia utile fargli avere in anticipo”.

Ancora incapace di una risposta perfettamente articolata, il giovane uomo annuì brevemente e pronunciò un saluto stringato, borbottando qualcosa sulla necessità di andare a controllare che il bambino fosse a letto.


Il pensiero che davvero il bambino-Potter lo aspettasse davanti alla porta soltanto per vederlo tornare e non per chiedere silenziosamente di andare in giardino lo accompagnò per tutto il suo tragitto verso la camera del piccolo.
Sapeva che le insicurezze emotive del figlio di Lily erano tante e profonde, ma certamente non si aspettava di essere oggetto di una sorta di… così tangibile necessità. Si passò una mano fra i lunghi capelli, un gesto di nervosismo che non si permetteva spesso. Che il bambino-Potter dipendesse da lui così totalmente era catalizzante e tremendo al tempo stesso, lo aveva già detto vero?
Lui, Severus Snape, sarebbe stato all’altezza di quella rinnovata fiducia?

Bussò leggermente entrando nella camera. Il camino era spento e l’aria troppo fredda. Con un gesto della bacchetta l’uomo fece sì che un allegro fuoco illuminasse la stanza, scaldandola.

Il piccolo si bloccò nell’atto di salire sul letto e con ansia lo guardava, adesso.

Benché non ve ne fosse assolutamente la necessità, e benché il bambino-Potter fosse più che capace di mettersi sotto le coperte da solo, Snape non poté ignorare l’improvviso, irrinunciabile istinto che lo fece muovere e prendere fra le braccia il piccolo.

Possibilmente sapeva di averlo ignorato in favore del proprio orgoglio, prima. E adesso un po’ di contatto fisico non sembrava affatto una pessima idea.

Lo strinse per un secondo poi provvide a depositarlo sul letto.
Quando si volse sulla soglia, pronto ad andare via, il bambino-Potter ebbe il fegato di continuare a sorridergli da sotto la coperta.




Se davvero quel giorno Snape intendeva portare fuori il bambino dopo pranzo avrebbe dovuto cominciare presto la propria giornata per organizzare le molteplici attività e farle rientrare tutte. Ad un quarto alle sei quella mattina si diresse in cucina, una tazza di caffè poteva aiutarlo nel cominciare la stesura del più che meritato compito a sorpresa per quei dannatamente inetti Hufflepuff.
Trovare il bambino-Potter ad attenderlo vicino al tavolo a quell’ora incivile del giorno lo sorprese.
Di nuovo non disse niente, come la volta precedente, ma si annotò mentalmente di approfondire quella stranezza quando ne avrebbe avuto il tempo. Semplicemente non era un orario plausibile per un bambino.

Dopo colazione, senza una parola, il piccolo Potter andò a prendere la sua scatola e lavorò sulle sue lettere fino a quando Severus non lo chiamò per controllare il suo operato. Fino a quel momento, benché non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto Cruciatus, insegnare al figlio di James Potter si era rivelato certamente più produttivo di tutte le sue lezioni con l’intera casa di Helga Hufflepuff.
Dopo pranzo Snape si apprestò a coprire la cicatrice sulla fronte del bambino-Potter con l’unguento, come di consueto, e lo fece vestire per portarlo finalmente fuori.
Sapeva che le carrozze per Hogsmead stavano partendo in quei momenti, il salone ed i corridoi erano pieni di studenti in ritardo, ma Severus non voleva attendere, il sole ogni tanto veniva coperto dalle nuvole, con ogni probabilità il bel tempo non sarebbe durato a lungo. In fondo avrebbero potuto utilizzare le scale di riserva dell’ala ovest per raggiungere indisturbati i piani superiori e l’ufficio di Dumbledore. Davvero non riusciva ad immaginare cosa il Preside avesse da dargli, sperava solo di doverci impiegare poco tempo. Di fretta passò accanto alla sua scrivania per prendere dei fogli, se proprio doveva far visita al Preside almeno avrebbe approfittato dell’opportunità per consegnare alcune note e dei registri. Accidentalmente urtò lo spigolo, un lotto di fiale vuote, pronte per essere portate nel suo laboratorio e riempite, cadde a terra, infrangendosi. Imprecando senza voce Snape si rimproverò di non averle rese infrangibili subito. Ma ormai era tardi, gli elfi domestici che sarebbero venuti a ritirare i vassoi del pranzo avrebbero pensato a pulire, inutile sprecare altro tempo.

Il piccolo Harry si affrettò a prepararsi. Il signore-Sevreus lo portava fuori! Questa era una cosa incredibile se il bimbo ripensava a cosa era successo una delle ultime volte e tutto il disturbo che aveva causato al suo uomo-Sevreus quando quell’uomo tutto vestito lo aveva portato via attraverso il bosco. Era assolutamente convinto che non sarebbero usciti così spesso, forse una volta ogni quatto, cinque mesi. Troppo seccante, avrebbe detto Zio Vernon (non che avesse mai portato fuori Harry, eccezione fatta per quando ovviamente lo trascinava sul portico e lo gettava sul prato per togliere le erbacce). Harry sperava ci fosse il sole in giardino. Mentre aspettava l’uomo si guardò intorno. Alle volte quando si sentiva così in pace era completamente certo che tutto quello non potesse durare affatto. Guardava le librerie e sapeva con sicurezza che prima o poi le avrebbe dovute pulire perché così era sempre stato nella sua vita e davvero il piccolo Harry non credeva che qualcosa sarebbe mai cambiato, il suo uomo-Sevreus era così gentile e forse gli stava facendo fare una vacanza o qualcosa del genere perché Harry non era stato bene ed avevano parlato, sì, ed Harry sapeva che il signore-Sevreus aveva detto la verità, perché la diceva ogni volta, ma non aveva detto quanto quella verità sarebbe durata. Non aveva parlato né di giorni, né di mesi, né di anni, aveva detto un ‘mai’ che per il piccolo Harry non aveva molto significato all’interno di tutto quel discorso lungo e sorprendente. Ma davvero ad Harry andava bene così, anche soltanto avere le ginocchia dell’uomo-Sevreus era qualcosa di meraviglioso e quando, certamente, sarebbe arrivato il momento di tornare a fare i suoi doveri non si sarebbe lamentato per nessun motivo.
In silenzio guardò il signore-Sevreus prendere dei fogli e far cadere dei vasetti di vetro. Da qualche parte nella sua testa una memoria non così lontana come credeva fece per risalire alla luce, lasciandolo subito pieno d’ansia. L’ombra del suo signore-Sevreus che si avvicinava improvvisamente lo terrorizzò. Sentiva nella testa una voce che non ascoltava da quando era stato portato via e l’ansia di prima crebbe in lui, ad ogni respiro che si faceva sempre più veloce, diventando panico.
“Vieni Harry, credo proprio che dovremmo passare dalle scale” disse l’uomo ed il mondo del piccolo Harry si infranse in milioni di schegge di paura.

Un tremore violento lo fece quasi cadere a terra, sul tappeto dell’uomo.
No!
Le scale no!
Andava tutto così bene, l’uomo-Sevreus aveva detto che lo avrebbe portato fuori e che Harry avrebbe potuto giocare con la sua palla sulla neve, perché le scale adesso? Perché?

Nella sua testa quella voce che non voleva essere scordata adesso gridava: “Alle scale, ragazzo, adesso!” ed era così cattiva che il piccolo Harry si chiese come avesse potuto quasi dimenticarla.
I suoi occhi verdi improvvisamente si aprirono su un passato che, nei momenti d’orrore, ancora faceva parte del suo presente.
“Le scale no, signore… – pigolò – No, le scale no, per piacere… non voglio…”

Severus seppe che qualcosa non andava solo quando si volse per farsi spiegare perché, per il santo Merlino, non potevano prendere le scale. La dolorosa visione del suo bambino-Potter soffocato dai fantasmi di un’altra vita, una vita degradante, sbagliata, lo angosciò.
Metaforicamente poteva quasi vedere le scheletriche mani dei suoi peggiori incubi ghermirlo e prima che essi potessero portarlo via nel loro mondo oscuro, Severus si inginocchiò per stringerlo a sé e salvarlo. Ma non appena le sue mani si chiusero su quelle piccole spalle tremanti ed incavate, gli occhi verdi del bambino saettarono in alto ed erano un lago che la sua magia innata aprì alla mente di Snape.
Questa volta la Legilimens fu involontaria per entrambi.
Immagini di turpi violenze riempirono gli occhi neri di Severus, senza che le sue mani potessero far niente per impedire che la loro stessa stretta non facesse del male al bimbo. Le scale, in quella che Snape assunse fosse la casa dei Dursley, erano il luogo in cui Vernon Dursley soleva picchiare il piccolo Harry fino a fargli perdere conoscenza, così da poterlo poi gettare, come un sacco di stracci, dentro il sottoscala e chiudere a chiave la piccola porta per giorni. Scena dopo scena, violenza dopo violenza, giorno ricordato dopo giorno ricordato, sembrò un tempo infinito come fosse davvero il riassunto di cinque lunghissimi anni passati davanti a quelle scale che lasciò il giovane uomo nauseato e furente. Uno scatto deciso e Snape volse il viso, interrompendo il contatto, interrompendo la magia, interrompendo le visioni su un’immagine.

Un piccolo occhio verde socchiuso, gonfio e rosso e disperato e solo e appeso alla vita senza un motivo e senza una speranza, che stremato, infine, si chiudeva.

Severus si allontanò dal bambino come bruciato e si girò di scatto. Il suo pugno chiuso si scagliò contro il lato di una delle libreria, sfondando l’asse laterale. I suoi occhi bruciavano d’ira nefasta e promettevano il tormento eterno. Dai suoi denti stretti fuggì un sibilo velenoso.
“Vernon Dursley, tu morirai”.

Immediatamente dopo si ricompose, seppellendo il desiderio di violenza sotto la forza di volontà e serbandolo per quando avrebbe fatto visita al numero quattro di Privet Drive.

Il bambino-Potter adesso aveva bisogno di lui.
Raccolse il piccolo da terra, nonostante la sua classicamente futile resistenza, e lo tenne in braccio, mentre lentamente, molto lentamente, andava su e giù per la stanza, dondolandolo un po’.
Non disse niente, come aveva l’abitudine di fare quando quelle dannate crisi colpivano il bambino.
Semplicemente lasciò che il calore del loro abbraccio condiviso fosse il balsamo che poteva lenire quell’attimo di intensa agonia.
Percorse la stanza molte volte, avanti ed indietro, Harry stretto fra le sue braccia, il visino contro il suo collo, la testolina rannicchiata sotto il suo mento, in attesa che si calmasse e gli parlasse e che tornasse da lui.
Chiamò un elfo domestico e con voce bassa gli ordinò di occuparsi del vetro rotto in terra e di un messaggio da portare a Dumbledore.
“Riferisci al Preside che oggi non ci sarà possibile incontrarlo e che tutto deve essere rimandato a domani, se dovesse chiedere perché puoi rispondergli menzionando che un imprevisto, peraltro già risolto, ha cambiato i nostri programmi”.
L’elfo si inchinò e scomparve in un soffio.

Ancora Snape continuò a passeggiare nei suoi quartieri. Dalla scrivania alla porta principale, da lì alla cucina, dalla cucina al corridoio e di nuovo indietro e da capo. Quando avvertì ogni tensione lasciare il corpo del piccolo Potter lo portò in camera e di nuovo prese ad andare avanti ed indietro. Quando fu certo che fosse profondamente addormentato lo mise a letto e si coprì il viso con le mani.
Non era certo quello il pomeriggio che aveva preventivato.
Con un colpo di bacchetta richiamò a sé un libro e si apprestò a passare lì ciò che rimaneva di quel maledetto sabato, vegliando sul bambino, asciugando le piccole lacrime da quel visino con calma e giurando vendetta.


Domenica mattina il sole era alto e brillante ed Albus Dumbledore era un folle lasciato libero al solo scopo di rendergli la vita un inferno!
Come aveva potuto progettare di regalare un oggetto magico tanto potente e pericoloso ad un ragazzino di undici anni?
Perché anche se non gli era stato confermato sapeva che il suo orribile sospetto era fondato. Albus avrebbe graziato Harry di tale dono durante il suo primo anno ad Hogwarts come studente, ne era certo!
Regalo in memoria del padre un corno di Thestral!
Tsk. Un mantello dell’invisibilità!
Ad un ragazzino!
Non si rendeva conto dell’enormità di quell’incoscienza?
Regalargli praticamente la possibilità di eludere tutte le regole scolastiche e di cacciarsi, non visto ( e quindi non possibilmente salvabile), in qualsiasi genere di pericolosa situazione.
Una follia!
Per una fortuita serie di coincidenze, quali l’arrivo ad Hogwarts in anticipo rispetto al tempo prestabilito e la necessità di non essere visti, il peggio era stato evitato.
Snape avrebbe custodito personalmente il mantello e ne avrebbe regolato l’uso in modo appropriato.
A mente fredda, adesso, poteva ammettere di poter trarre dal possesso dell’oggetto in quel momento un discreto vantaggio. Poteva portare il bambino-Potter in giardino non visto e lasciarlo libero di giocare dietro la capanna di Hagrid o nella radura ad ovest del lago.
Non restava che testarne l’efficienza.
Si fermò nel corridoio dove il bambino lo seguiva solerte e si inginocchiò.
Guardando i suoi occhi verdi ripercorse fugacemente l’accaduto del giorno precedente.
Quando il piccolo Potter si era destato dal sonno avevano brevemente parlato di quanto era successo e del perché. Altre rassicurazioni erano state fatte, le cose precedentemente dette erano state ripetute con convinzione, ma Snape sapeva che ci sarebbe voluto altro tempo. Tanto altro tempo.
Posò gentilmente le mani sulle spalle del bimbo.

“Adesso andremo in giardino, come promesso. Ma desidero che tu ti copra con questo mantello, Harry. E non devi toglierlo fino a che non ti dirò che puoi farlo. E’ importante”.

“Sì, maestro Sevreus”.

Con mani veloci il giovane uomo coprì interamente il bambino con il mantello dell’invisibilità appartenuto a James Potter e lo vide scomparire. Irrazionalmente allarmato lo prese per mano e anche se non le poteva vedere sentì le piccole dita stringersi contro il suo palmo.

“Andiamo”.

Lo condusse fuori, sulla neve, facendolo camminare leggermente davanti a sé, in modo da calpestare le sue orme con le proprie e non far scoprire il trucco della sua invisibilità.
In fretta si diresse verso la capanna di Hagrid e lì fu costretto a lasciar andare la sua mano. Razionalmente sapeva che con ‘l’educazione’ che aveva ricevuto il bambino-Potter non si sarebbe mai allontanato senza permesso, ma ugualmente non riusciva a farsi piacere l’idea di non poterlo vedere.
Erano abbastanza lontani da non essere uditi, così il giovane mago si propose di far parlare il bambino-Potter in modo da sapere dove si trovava dal suono della sua voce.
Severus Snape non si era mai prodigato ad approfondire l’arte della conversazione, ma mise da parte la sua naturale avversione per tali convenzioni sociali per un bene superiore, apparentemente un bene di nome Harry.
Rifletté un istante su cosa chiedere al bimbo. Certamente non intendeva rivangare vecchi incubi o ricordi assolutamente sgradevoli. Non che rimanesse molto di cui discutere, allora. Praticamente l’intera esistenza del figlio di Lily non era altro che una vergognosa parata di insulti, violenza e deprivazione. In breve selezionò l’unico argomento sicuro che poteva trovare e chiese, con finta casualità ed una punta di finto interesse, cosa ricordasse il bambino-Potter del suo primo e unico giorno di scuola.

Inizialmente incerto il piccolo Harry prese a narrare ciò che gli tornò in mente di quelle poche ore così diverse dal solito, in mezzo a tanti altri bambini e nel frattempo costruiva piste di neve con i piedi.

Erano dietro la capanna di Hagrid, ma Snape non aveva considerato che l’edificio in questione, sempre che edificio si potesse definire, non era alto quanto credeva di ricordare, non era un buon posto dove far stare il bambino. Lo avrebbe portato sulla riva ovest del lago. Sull’altra sponda non sarebbero stati visti così facilmente.

Come prima lo fece camminare davanti a sé e lo incitò a continuare nel suo racconto, giusto per sentirlo parlare e sapere dov’era. Ma qualcosa che il bambino-Potter disse attirò la sua attenzione.

“E poi quando sono tornato a casa due signori sono venuti a prendermi ed io stavo pulendo i giocattoli di Dudley mentre Zia Petunia mi guardava, perché Zia Petunia mi guarda sempre quando pulisco i giocattoli per ricordarmi che non ci posso giocare e quando sono arrivati mi hanno portato via anche se non volevo, ma non l’ho detto, però lo stesso non volevo…”

Snape alzò un sopracciglio, genuinamente sorpreso. No, non perché ricordava quanto Moody si fosse sbagliato a credere tutti quei giocattoli di Harry, ma per altro...
“Non desideravi andare via da quella casa, Harry? Dai tuoi terribili parenti?”

Il piccolo scosse la testa, inconsapevole che l’uomo non poteva vederlo, agitandosi.
“Harry voleva andare via, ma…”

“Parla in prima persona, Harry, come hai fatto prima”.

“Oh, sì maestro Sevreus, mi dispiace maestro Sevreus”.

Costeggiarono il principiare della foresta mentre il bambino-Potter riprendeva a parlare a bassa voce.
“Non volevo rimanere con i miei zii, ma volevo andare a scuola il giorno dopo perché le maestre avevano promesso di portarci a vedere i delfini e… ed io non li ho potuti vedere”.

Raggiunsero la sponda del lago e l’uomo si fermò.
“Puoi toglierti il mantello che ti ho dato prima Harry, se vuoi”.

Il bambino annuì e se lo tolse. Certo, portava caldo, ma era anche difficile muoversi sotto di esso, era così pesante e non lo faceva camminare bene.

La sua testolina arruffata spuntò da sotto il materiale iridescente e l’uomo soffocò uno sbuffo divertito.
Ma gli occhi del bambino-Potter non erano felici.

“Cosa c’è, Harry?” chiese Snape prendendo il mantello dell’invisibilità dalle sue mani e ripiegandolo accuratamente.

Il bambino-Potter rimase in silenzio così a lungo da fargli pensare che non avrebbe mai risposto, poi, lentamente parlò.
“I delfini, signore, avrei tanto voluto vederli…”

La tristezza per quell’occasione mancata era palpabile nella sua piccola voce affranta. Snape sospirò e senza pensarci rispose immediatamente, come se qualcosa dentro di lui non potesse sopportare l’affronto di quel tono disperato.

“Non abbiamo certamente delfini qui ad Hogwarts, Harry, ma abbiamo un calamaro gigante in questo lago e sospetto che nessuno dei tuoi compagni di classe avrà mai la possibilità di vederlo da così vicino”.

Il bambino-Potter adesso lo guardava con un’espressione di pura meraviglia e due occhi verdi e tondi.
“Davvero, signore? Tipo un polipo grandissimo?”

Snape quasi sorrise, indubbiamente divertito.
“Non propriamente un polipo. I polipi sono della famiglia dei celenterati mentre invece il calamaro è un cefalopode, senza contare la differenza di dimensioni e la conformazione dei…”

Il piccolo Potter lo guardava con le labbra leggermente schiuse e la testa inclinata.
Severus sospettò fortemente che non lo stesse affatto seguendo in quel ragionamento e in assenza di un paragone migliore si rassegnò ad accettare quello fatto.
Con un sospirò concesse: “Sì, Harry, quasi come un polipo grandissimo”.

Il bambino-Potter batté le manine, entusiasta.
“E’ qui, maestro Sevreus?”

L’uomo annuì.
“Nel lago che abbiamo di fronte, Harry”.
“E…” fece per cominciare il bimbo, ma si fermò, come insicuro del permesso di poter chiedere ancora qualcosa o meno.

“Chiedi pure, Harry” concesse Snape, sedendosi su un masso fortunosamente privo di neve.

“E lo posso vedere?”

“Certamente non possiamo costringerlo a mostrarsi, ma se abbiamo pazienza prima o poi lo potremo vedere”.

“Oh”.

Un passetto alla volta il piccolo Harry si fece più vicino all’uomo-Sevreus. Anche se assolutamente Harry non aveva molto chiaro cosa fosse un calamaro gigante ne voleva vedere uno. Dudley sarebbe stato così invidioso di lui…
Il maestro-Sevreus aveva detto che poteva chiedere e dopo un minuto passato a torcersi le manine il bimbo si decise.

“Posso… posso sedermi anch’io ad aspettare, signore?”

Snape sospirò, ad un occhio inesperto poteva sembrare infastidito, ma fondamentalmente era più rilassato di quanto non fosse stato da molto tempo.

Si girò quel tanto che bastava e prese sotto le braccia il bimbo.
Se lo sistemò sulle gambe e riprese a guardare il lago.
Il vento spirava basso creando piccole onde.
Il sole era ancora caldo.

Evento più unico che raro il silenzio fu rotto dal bambino-Potter.
Sentirlo cominciare una conversazione quando non gli veniva rivolta una domanda era qualcosa a cui Severus non era ancora abituato e non poté trattenere uno sbuffo compiaciuto.

“Sai, maestro Sevreus, un giorno ho sognato un polipo gigante. Ero nel profondo del mare ed era tutto blu e scuro e c’era una grotta con le alghe ed io sapevo che dentro la grotta c’era un tesoro…”

“Mh, che tesoro?” Severus chiese soltanto per incoraggiarlo a parlare, non che fosse realmente interessato o almeno così si disse…

“Giocattoli e cibo e coperte, signore, tantissimo cibo”.

Snape chiuse gli occhi, chissà perché avrebbe preferito sentire un’altra risposta, questa portava troppa tristezza.

Il bambino-Potter riprese lentamente.
“Ma un polipo enorme non voleva farmi passare così ho preso un bastone… per spaventarlo e l’ho colpito, ma molto piano, maestro Sevreus – affermò con convinzione ed importanza il bimbo, girandosi a cercare i suoi occhi. – Perché so che il bastone fa malissimo ed anche se il polipo era cattivo non volevo fargli così tanto male…”

Le mani di Snape si mossero da sole, stringendo il bambino e salendo a carezzargli quei capelli tutti spettinati.
Un sospiro angosciato lasciò le labbra dell’uomo. “Harry”.
Probabilmente il bambino nemmeno si era reso conto di cosa aveva rivelato con quelle poche semplici frasi e di nuovo l’ingiustizia e la crudeltà della sorte che gli era stata riservata sembrava poca cosa in confronto a ciò che il figlio della sua Lily aveva dovuto sopportare in quegli anni.

“Hai fatto molto bene, Harry” fu tutto quello che riuscì a dirgli.

E mentre il vento si muoveva ancora attorno a loro Severus mandò il bambino-Potter a giocare, promettendo che, se mai il calamaro si fosse fatto vedere, l’uomo lo avrebbe chiamato.

Ma probabilmente faceva troppo freddo quel pomeriggio e quando Severus riavvolse il mantello dell’invisibilità attorno al piccolo Potter non poté fare a meno di notare la sua espressione dispiaciuta.

Sbuffò per l’ennesima volta.
“Avremo altre occasioni, Harry. Adesso il vento si è alzato e dobbiamo rientrare”.

“Sì, signore”.

E lo prese per mano e non coprì le sue orme, perché ormai era quasi buio e nemmeno lui riusciva a scorgerle.
Il silenzio sapeva ancora un po’ di disappunto.

“Stasera ti parlerò delle creature e degli animali del mare, Harry, vuoi?”

La sera parve illuminarsi della piccola felicità nella voce del bimbo.
“Sì, maestro Sevreus”.

“Andiamo allora” sussurrò a metà fra l’agonia e la rassegnazione.
Oh, per il santo Merlino, stava diventando un padre.



Insieme rientrarono, mano nella mano.
Forse il cammino che avrebbero intrapreso insieme non sarebbe stato così improponibile, pensò Severus mentre la sua voce accompagnava il bimbo nel mondo dei sogni. Fra le sue mani un libro sui pesci.
E di nuovo quasi sorrise, ancora una volta capace di lasciare che il bambino-Potter quasi lo rendesse, almeno per un po’, inconsapevole della natura effimera delle cose.




Alla fine di quella seconda settimana la notizia della scarcerazione di Sirius Black lo lasciò teso ed irritantemente in ansia. In attesa di un amaro, violento confronto.


 


 







Continua…

 

 

Peter Pettigrew: Peter Minus;
Moony: Lunastorta;
Padfoot: Felpato;
Filch Argus: Gazza Argus;
Helga Hufflepuff: Tosca Tassorosso.

L’Infrangipalla è una mia invenzione. Slug & Jiggers è il nome del negozio di Pozioni (o farmacia) situato in Diagon Alley. Cruciatus è una delle maledizioni imperdonabili che come tutti ben sanno causa dolori terribili a chi ne viene colpito.

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.
 

   

   
 
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