Storie originali > Commedia
Segui la storia  |       
Autore: Yvaine0    30/04/2015    2 recensioni
« Nessuno di voi si è accorto che Giovanna se n'è andata? »
« Davvero? Finalmente! »

Quando Giovanna abbandona il 3b di via Marconi a Urbino, gli abitanti dell'appartamento misto si trovano spaesati e del tutto disorganizzati, alle prese con una routine e delle faccende di cui si era sempre occupata lei sola. L'equilibrio di spezza e loro devono imparare da capo a condividere i propri spazi, con una nuova coinquilina per di più.
Come se se le cose non fossero abbastanza complicate così, ecco che le vite private di ognuno di loro iniziano a penetrare gli invalicabili confini delle loro camere singole per intrecciarsi con quelle degli altri.
E poi era divertente, secondo Marco; insomma quanti avrebbero potuto dire di convivere con una giovane promessa del pallone, la reincarnazione di Cicciobello, l'Anticristo e il futuro Presidente della Repubblica? Mica roba da poco!
STORIA SOSPESA (scusate)
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

The Flat


II. Brava, Giovanna Bravo
 
 
A sentire Sonia, era possibile riconoscere l'umore di Vanna solo ascoltando il rumore dei suoi passi attraverso il cortile di fronte al portone dell'appartamento. Al momento Sonia non poteva sentirli, ma se fosse stata con lei mentre marciava a passi pesanti lungo le ripide stradine di Urbino, diretta alla facoltà di Giurisprudenza, avrebbe potuto certificare senza alcun margine di errore la sua implacabile ira.
Giovanna camminava, infatti, insolitamente a testa bassa, senza guardare dove andava né gettare un'occhiata a chi incrociava, anche quando qualcuno la salutava. Era così presa dai propri pensieri da non riuscire a notare niente al di fuori di essi: si sentiva così frustrata! Aveva vissuto in quell'appartamento per quattro anni accademici – be', tre e qualche mese –, si sentiva a casa lì più che in qualunque altro luogo, eppure, davvero, avrebbe voluto che tutti – tutti! – i suoi coinquilini sparissero senza lasciare traccia. Oppure, giusto per non dar troppa preoccupazione alle rispettiva famiglie o essere indagata per omicidio colposo plurimo, avrebbe potuto accontentarsi di un'improvvisa afasia di gruppo. Sarebbe stato un sogno: niente più risate fastidiose, niente più voci monotone, niente più sentenze sputate a raffica, niente più “io lo so” e grida contro il televisore mentre lei cercava di studiare.
Certo, il silenzio non avrebbe risolto che una piccola parte dei problemi che i suoi coinquilini causavano, ma sarebbe stato fonte di sollievo, almeno un po'.
Non riusciva a credere che i precedenti abitanti della casa, quelli che le avevano tenuto compagnia per i primi due anni di università, l'avessero lasciata in balia di quel branco di opportunisti infami. Ricordava con un certo affetto le tre ragazze e il ragazzo con cui aveva condiviso l'appartamento prima che arrivassero quei quattro squinternati: si era sentita parte di una famiglia, dove tutti si aiutavano a vicenda senza mai lasciare indietro nessuno; si era abituata al rispetto reciproco e al gioco di squadra, per poi ritrovarsi a convivere all'improvviso con quattro individualisti che la trattavano come una governante, senza nemmeno ringraziarla per i pasti pronti, i turni dei lavori domestici già organizzati, la disponibilità a caricarsi la maggior parte di essi. E non solo, come se lo sfruttamento non fosse già un'ingiustizia, Orfeo, Marco, Sonia e Cristina non avevano la minima idea di cosa significasse la parola rispetto. Uscivano e tornavano quando andava loro, magari senza salutare, finivano la carta igienica senza curarsi di sostituire il rotolo, rubavano tranquillamente il cibo dai ripiani altrui, lasciavano i panni sporchi a marcire in ogni angolo e... – Giovanna ringhiò di frustrazione mentre svoltava un angolo, spaventando un gatto acquattato per la caccia – li odiava. Davvero, certe volte li odiava con tutta se stessa.
Aveva resistito un anno intero assieme a loro, cercando di combattere gli attacchi di fame nervosa, sopportando le crisi di nervi (almeno) bisettimanali, i mal di testa causati dalla pessima musica che ascoltavano a tutto volume, dalle grida, dai furiosi e continui litigi con Cristina e da tutto lo stress accumulato giorno dopo giorno. Dopo che ad Agosto si era ritrovata a Padova con tutti i suoi amici di una vita, non aveva potuto che considerare il ritorno a Urbino come il ricominciare di una lenta tortura; aveva la sensazione che passo a passo quella routine avrebbe finito per distruggerla del tutto e, quasi senza accorgersene, aveva iniziato a rispondere “Se vuoi ti lascio il mio” ogni volta che qualcuno le diceva di star cercando un posto letto in città. Era successo così tante volta che ora nella Moleskine rossa di Giovanna era annotata una lista di nomi e numeri di telefono, ordinati per urgenza, che le davano l'immediata possibilità di abbandonare quel luogo e lasciare il proprio posto nella camera condivisa con Sonia ad un sostituto. Era già tutto pronto, l'unica cosa a mancare era la sua determinazione. Aveva sempre considerato l'abbandono un fallimento, che fosse compiuto o subito, e non aveva alcuna intenzione di macchiare la sua scalata per il successo di un fallimento a causa di persone incapaci di collaborare; era convinta di essere perfettamente in grado di occuparsi di tutto da sola. Almeno fino a quella mattina. Quella mattina aveva capito che non sarebbe riuscita a vivere altri due anni con loro, che i suoi nervi non l'avrebbero sopportato; e, in fondo, quanto poteva influire la recessione di un contratto d'affitto sulla sua ripida salita verso la magistratura? Era ambiziosa, Giovanna, forse fin troppo, ma anche abbastanza determinata da poter raggiungere i suoi obiettivi; se la convivenza con i suoi coinquilini si frapponeva alla serenità e alla produttività della sua vita accademica, di certo era la prima a dover essere eliminata.
A questo pensava, mentre, appollaiata su una sedia nelle prime file, prendeva febbrilmente appunti senza capire nulla di ciò che stava scrivendo, ma senza perdere una parola di quelle pronunciate dal professore. In un angolo della sua mente, intanto, risuonava flebile la voce di Cristina: “Maniaca del controllo”, le diceva, “non sei mia madre”.
 
Dopo un breve consulto con le sue compagne di facoltà più intime e una telefonata alla migliore amica di sempre durante la pausa pranzo, Giovanna si era convinta: andava fatto. Per l'occasione si concesse di saltare la sessione di sistemazione degli appunti quotidiana, così da poter rientrare a casa per prima. Girò la chiave nella toppa per l'ultima volta alle quattro e ventitré, poi accese la vecchia radio che tenevano sopra il televisore – che non era grosso, ma "curvy", secondo Sonia – e si diresse nell'unica camera doppia dell'appartamento; le bastò un'ora perché, grazie al suo perfetto ordine e all'assoluta efficienza con cui faceva qualunque cosa, tutti i suoi vestiti fossero compostamente riposti in valigia (e un borsone, perché quella da sola non era abbastanza), di seguito passò a recuperare tutto il materiale domestico che aveva portato lei stessa da Padova: qualche tazza, due o tre pentole, la caffettiera che Marco tanto amava (e, ah!, quanto avrebbe voluto vedere la sua reazione quando si sarebbe accorto della sua assenza!), il phon che tutti usavano come se fosse proprio, lo shampoo, il balsamo e la crema per capelli che aveva il dubbio fosse Orfeo a rubarle, la coperta che tenevano sul divano, la sua spazzola, la pianta grassa che teneva sul comodino perché catturasse le radiazioni emesse dai dispositivi elettronici della casa, la bacheca in legno e sughero, i suoi libri, il computer, il carica batterie che Sonia le rubava sempre e tutte le foto che aveva appeso alle pareti dal suo lato della stanza. Poi guardò il muro troppo bianco, il letto e gli scaffali spogli con un sentore di malinconia ad appesantirle il corpo. Prese un respiro profondo per scacciarla: non sarebbe tornata sui suoi passi, si disse; ne valeva la pena e non avrebbe rimpianto questa decisione.
Perlustrò un'ultima volta la casa da cima a fondo, controllò l'orologio per essere sicura di aver abbastanza tempo per andarsene indisturbata e infine, un attimo prima di levare le tende, appiccicò un biglietto sul televisore, dove era certa che qualcuno l'avrebbe visto, prima o poi.
E se ne andò, con un senso di liberazione e l'orgoglio a gonfiarle le vele e spingerla verso una nuova avventura, lontana da crisi di nervi e inutili litigi; quei quattro approfittatori era sicura che non le sarebbero mancati. Tutto d'un tratto era felice: stava per ricominciare da capo, intraprendere una vita nuova, con persone nuove che forse avrebbero compreso lo spirito di squadra e il rispetto che animavano la sua vita domestica.
Dunque Giovanna attraversò per l'ultima volta il cortiletto interno – teoricamente condiviso, ma di cui si erano impossessati i vicini da prima ancora che lei arrivasse a Urbino – e si avviò per le salite della città, portandosi appresso un trolley, due borsoni e qualche busta di plastica; al momento non le importava che la gente la scambiasse per una barbona, né la infastidiva arrampicarsi a fatica con tutta quella zavorra sulle spalle per raggiungere la casa dell'amica che si era offerta di ospitarla per qualche tempo. No, niente le dava fastidio: immaginava di ascoltare gli uccellini cantare e veder il sole splendere alto nel cielo nonostante fossero ormai le sei di una sera di fine ottobre e la nebbia stesse salendo lugubre scivolando nei vicoli; in quel momento Giovanna vedeva tutto rosa, si sentiva più leggera e pronta per cominciare una nuova avventura. La principessa era uscita con le sue gambe dalla torre in cui gli usurpatori la tenevano prigioniera e sapeva che il suo per sempre felici e contenti era dietro l'angolo e lei gli stava andando incontro.
 
*
 
Come ogni giorno, alle sei del pomeriggio l'appartamento cominciava a ripopolarsi dopo un'intera giornata di desolazione. Per prima tornava Cristina, che dopo aver mangiato un pacchetto dei cracker preso dalle provviste di Vanna si chiudeva in camera a studiare e ascoltare musica.
Circa mezz'ora dopo, mai davvero puntuali, ecco arrivare Marco e Orfeo, che dopo aver finito le lezioni di primo pomeriggio erano soliti comprare lattine di bibite al supermercato da sorseggiare mentre si passavano il pallone nei corridoi del centro commerciale Porta Santa Lucia, per prendere il caldo – o il fresco, a seconda della stagione – e attirare l'attenzione delle ragazze, almeno finché qualcuno non li cacciava spazientito.
Poi di solito toccava a Vanna, che trafelata si tuffava in doccia e, una volta asciugatisi i capelli, si metteva ai fornelli.
L'ultima a rincasare era sempre Sonia, dopo aver trascorso il pomeriggio tra lezioni e aule studio. Anche quel giorno, quindi, strisciò dentro il 3b di via Marconi con un sorrisetto stanco sulle labbra e lo zaino che penzolava da una spalla. « Ciao a tutti! » salutò a mezza voce, mentre si chiudeva la porta alle spalle. Si levò le scarpe, abitudine che aveva preso dai genitori, i quali, a casa, preparavano le pantofole persino per gli ospiti: non fosse mai che il loro prezioso parquet si graffiasse a causa di un sassolino sotto la scarpa. A volte pensava che tenessero a quel parquet più che ai loro figli.
Lasciò le scarpe in terra e andò a sedersi sul bracciolo del divano, dove Marco e Orfeo si davano gomitate nel tentativo di distrarsi a vicenda e poter conquistare il vantaggio necessario a vincere il match di boxe alla consolle. « Come è andata la giornata? »
« Al solito » bofonchiò il biondino, cercando con un calcio di togliere dalle mani dell'amico il joypad.
Marco, nonostante il tentativo fosse tallito, si tuffò per vendetta direttamente addosso al suo carnefice, agitandosi tanto che uno dei suoi piedi passò pericolosamente vicino al volto di Sonia, la quale dovette abbassarsi per evitare di essere colpita.
« Sì, tutto bene, Ciccio! »
Fu più o meno in quel momento, dopo aver roteato gli occhi, che la ragazza di accorse del foglio piegato a metà e appiccicato con lo scotch al bordo inferiore del televisore. « E quello? » chiese quindi, indicandolo. « Cos'è, il tabellone dei punti? »
« Quello cosa? » fu l'acuta risposta di Marco, che non si degnò nemmeno di distogliere lo sguardo dallo schermo.
Dopo aver atteso ancora qualche altro istante in silenzio, Sonia capì che i ragazzi, nonostante ce l'avessero proprio sotto gli occhi, non si erano accorti del biglietto. Quindi si alzò e lo recuperò lei stessa, levandosi poi in fretta da davanti allo schermo.
Controllò il fronte e il retro in cerca di informazioni, poi lo aprì e lesse:
Cari ragazzi,
ho parlato con la signora Nicolì e levato le tende. Dubito che a qualcuno di voi verrà in mente di cercare di trattenermi, ma in ogni caso ogni tentativo sarebbe inutile. L'affitto per questo mese è pagato; per le bollette, se non trovate una coinquilina, contattatemi e ci penserò io. Sono settimane che penso di andarmene e finalmente mi sono decisa; è passato tanto tempo che ho già una lista di possibili interessate al mio posto letto, eccole qui:
 
Manuela, 325...
Clizia, 333...
Francesca, 346...
Enrica, 334...
 
Sono disposte in ordine di urgenza. Non cercate di fregarmi con la storia delle bollette, perché ho contatti con tutte loro e lo scoprirei.
È triste abbandonare quell'appartamento dopo tutto questo tempo, ma non mi dispiace affatto l'idea di lasciarmi alle spalle voi (e, sì, forse è la rabbia a parlare, ma comunque...). Ho provato in tutti i modi a convivere con voi civilmente, ma è difficile insegnare alle galline a volare. Ho finito di farmi sfruttare da voi ingrati. Buona vita.
 
- Giovanna (e essere chiamata “Vanna” mi ha sempre fatto schifo, per la cronaca)
 
Seguirono lunghi istanti di isolamento dalla realtà durante i quali Sonia ripercorse diverse volte il significato della lettera, poi, incredula, corse in camera a controllare che non si trattasse di uno scherzo. Quello che trovò furono le ante dell'armadio di Giovanna spalancate, i ripiani vuoti, il materasso spogliato di lenzuola e cuscino, la scrivania sgombra, le pareti ripulite da tutte le fotografie che giorno dopo giorno si scollavano cadendo sul pavimento, ma lei si premurava di riappiccicare con lo scotch scadente che aveva comprato Marco.
Ebbe un attimo di smarrimento Sonia, che nonostante l'evidenza non riusciva a capacitarsi del fatto che la loro coinquilina potesse essersene andata davvero così all'improvviso, senza avvisarli, lasciando nient'altro che un biglietto. Una vocina dentro di lei glielo ripeteva dalla mattina, che qualcosa non andava, che l'insolita arrendevolezza e il fatto che Vanna fosse uscita senza una parola fossero un segno: avevano passato il limite. O, per dirla con le parole di Orfeo, “avevano pisciato fuori dal vaso”.
E quando Sonia tornò in sala e disse: « Nessuno di voi si è accorto che Giovanna se n'è andata? », Marco replicò: « Davvero? Finalmente! » e a lei calò la mascella per lo sconcerto, mentre Orfeo se la rideva tranquillamente. Non che si aspettasse che i ragazzi scoppiassero in lacrime, ma che per lo meno dessero un minimo cenno di dispiacere! O di pentimento, visto che fino a prova contraria erano stati loro due e Cristina ad esasperarla fin dal giorno del loro arrivo. D'altro canto, sapeva di essere l'unica in casa a cui davvero interessava qualcosa di Giovanna: la sua tendenza maniacale al controllo era sempre stata un po' stretta a tutti i coinquilini; Marco si era rifugiato a Urbino per fuggire la sua vera madre e non aveva intenzione di sopportarne una seconda, Cristina ignorava le sue regole per egoismo e Orfeo per un suo naturale istinto di ribellione. A volte era davvero stancante avere a che fare con dei ventunenni: erano ragazzi sul punto di diventare adulti, con un piede già nel bel mezzo della vita dei grandi, ma l'adolescenza che ancora non si era del tutto chiusa la porta alle spalle: c'era chi continuava a combattere con l'acne, chi i genitori, chi, ancora, se stesso. Sonia, ventitré anni in un corpo da bambina, a volte si sentiva estremamente vecchia tra loro; finché c'era Giovanna con le sue manie da casalinga nevrotica per lo meno poteva confondersi tra la folla di giovincelli, ma ora?
Prese un respiro profondo e cominciò a perlustrare la casa per controllare cos'altro fosse cambiato con la partenza della loro coinquilina; dopo trentacinque minuti di ricerca l'inventario degli oggetti che non erano più a disposizione erano un numero discreto – e fondamentali: tanto per cominciare, nessuno di loro si era mai reso conto che il phon che usavano tutti in realtà apparteneva a Vanna, così come alcuni contenitori, la spatola per i pancake, due pentole, una padella e...
Sonia si affacciò alla porta della sala e si fece piccolapiccola contro il muro; teneva gli occhi fissi sul pavimento mentre si mordicchiava l'interno della guancia, indecisa se dir loro o meno qual era stata la sua ultima triste scoperta.
Il primo a spazientirsi, sentendosi sotto esame, fu ovviamente Marco, che al posto della pazienza aveva in corpo un'eccessiva dose di teatralità – o più semplicemente idiozia. « Cicciobello, che c'è, hai le pile scariche? » le chiese quindi, rivolgendole un'occhiata di fugace curiosità. Lei si trattenne dal roteare gli occhi, cosa che fu per tutti un segno eloquente della gravità della situazione. « Oddio » sussurrò infatti Marco, mettendo in pausa il gioco; « cosa succede? »
« Ehm, » Sonia prese ancora un istante di tempo prima di decidersi a strappare il cerotto con un colpo secco per abbreviare la tortura: « Vanna si è portata via la caffettiera ».
« MAURICE! »
« Cazzo urli? »
« Della, quella strega s'è fottuta Maurice! Desidero vendetta! »
Era evidente che Marco avesse preso male la notizia – non che Sonia si aspettasse niente di meno da lui; un attimo era seduto sul divano a gridare disperatamente il nomignolo che aveva dato alla caffettiera di casa, quello dopo trottava per la cucina aprendo ogni cassetto e sportello per verificare la notizia: sembrava davvero impossibile che Giovanna avesse potuto fare qualcosa di così crudele – tanto valeva amputar loro un arto e portarselo a casa come pegno!
Orfeo, invece, schioccò la lingua contro il palato, sempre scompostamente disteso sul divano, perché niente sembrava essere davvero in grado di turbarlo. « Nemmeno una disgrazia di queste proporzioni! » sbottò indispettito Marco, che ancora sbatteva sportelli alla ricerca del suo tesoro scomparso. « Quella troia! Come ha potuto farci una cosa simile? »
Sonia immaginò la reazione di Giovanna a quelle parole: non avrebbe saputo dire se si sarebbe arrabbiata per l'insulto misogino o per la totale mancanza di interesse verso la sua partenza – « Rispetto! Dov'è finito il rispetto?! » la citò, in una goffa imitazione del suo accento di Padova.
« Dentro Maurice, cazzo! » replicò in fretta il ragazzo, che, sinceramente scandalizzato dalla sparizione della caffettiera, continuò a inveire pesantemente contro la loro ormai ex coinquilina senza badare al tentativo di sdrammatizzare dell'altra. E continuò Marco finché Sonia, esasperata, non consigliò a lui e Orfeo di correre al supermercato per comprarne una nuova prima che chiudesse, perché di certo nessuno sarebbe riuscito a sopportare quella lagna infinita per tutta la sera – e il giorno dopo, ma a questo ancora non avevano pensato.
Quando effettivamente i due ragazzi si chiusero la porta alle spalle, dopo aver preso una banconota dalla cassa comune, lei si lasciò cadere seduta sul divano ancora caldo, con una strana sensazione di quella che doveva essere nostalgia a raffreddarle la nuca. Viveva in quell'appartamento da un paio d'anni, ma da allora non aveva mai avuto il bisogno di prendere in mano la situazione affidare compiti ai ragazzi per il bene comune – era sempre toccato a Vanna. Era strano tutto d'un tratto trovarsi a farlo in prima persona: passare da ospite a governante.
Erano passati solo quaranta minuti da quando avevano appreso dell'assenza di Giovanna e Sonia già aveva la sensazione che le cose senza di lei sarebbero state profondamente differenti, e i cambiamenti non le erano mai piaciuti molto. Ne sentiva già la mancanza, ma in una maniera strana, molto diversa da quella che aveva avuto modo di provare molte volte da quando si era trasferita a Urbino per studiare. Si raggomitolò su se stessa, stringendo le gambe al petto, e scompigliò energicamente i corti capelli biondi in un tic nervoso che nessuno avrebbe mai capito fino in fondo e poi, piano piano, si addormentò.
 
Per la prima volta da quando abitava al 3b di via Marconi, quella sera Cristina uscì dalla sua camera da letto aspettandosi di vedere la tavola imbandita e trovò le sue aspettative deluse. « Che è, oggi non si mangia? » domandò a voce alta guardandosi attorno. In casa sembrava non esserci nessuno, o nessuno che avesse intenzione di rispondere. Roteò gli occhi di fronte all'immaturità dei suoi coinquilini, poi lanciò uno sguardo alla lettera di Vanna e fece una smorfia; l'aveva notata subito una volta rientrata, la sua memoria fotografica difficilmente poteva essere ingannata, nessun dettaglio le sfuggiva mai. Dopo averla letta in fretta, aveva tirato un sospiro di sollievo e l'aveva riattaccata al televisore con lo scotch. La sua permanenza in quella casa senza Giovanna non poteva che migliorare; era stufa di tutte le inutili lamentele, le petulanti richieste di attenzione quando secondo lei qualcosa non andava, le raccomandazioni, i rimproveri... Cristina emise un gemito di frustrazione al solo pensiero: da Pesaro avrebbe potuto tranquillamente frequentare le lezioni da pendolare, ma aveva scelto di trasferirsi per poter finalmente gestire la sua vita da sola; convivere con qualcuno che aveva intenzione di monopolizzarla e sottometterla alle sue regole era stata una tortura per lei, che proprio per non dover più sopportare situazioni del genere si era allontanata dai genitori. Non che i signori Antonelli fossero mai stati particolarmente assillanti – niente a che vedere coi genitori di Marco –, semplicemente Cristina aveva sempre nutrito un fortissimo spirito di individualità e indipendenza che l'aveva spinta ad allontanarsi appena gliene si era presentata l'occasione. Voleva vivere la sua vita senza pesare sugli altri e senza che essi pesassero su di lei: aveva dei progetti ed era intenzionata a seguirli passo a passo; doveva ancora arrivare la megalomane maniaca del controllo che le avrebbe messo le catene ai polsi. Aveva preso la partenza di Giovanna come una piccola vittoria personale: finalmente aveva compreso che nessuno di loro aveva tempo per assecondare le sue manie.
Cristina bussò alla porta del bagno, da dove proveniva il rumore dell'acqua corrente abbinato ad una musica insopportabilmente commerciale. « Chi c'è qui dentro? » chiese, senza smettere di bussare.
Ancora una volta non ottenne risposta, ma di nuovo non si diede per vinta. « Chi c'è? Ehi, perché nessuno sta cucinando? » continuò, ancora e ancora, finché quasi un minuto dopo la porta non si aprì, mostrando Sonia infagottata in accappatoio e asciugamano, tremante di freddo.
« Che c'è? » ebbe il coraggio di domandare, come se Cristina non l'avesse già ripetuto un sacco di volte.
« Se spegnessi quel casino mi sentiresti quando ti parlo » le fece notare l'altra, accompagnando quel rimprovero con uno sguardo di sufficienza a cui la prima rispose alzando gli occhi al soffitto. « Perché non c'è odore di cibo? »
Sonia prese a frizionarsi i capelli con calma. « Giovanna se n'è andata ».
Fu il turno di Cristina per roteare gli occhi. « E allora? »
« Lo sapevi già? » si sentì domandare in tono inquisitore; la piccoletta sembrava sorpresa: certo che lo sapeva, ma cosa si aspettava? Che forse lei si disperasse o magari organizzasse un festino per celebrare l'evento? Vanna non era così importante, aveva cose più urgenti a cui pensare – la cena, per esempio.
« Sì, ho letto il biglietto. Ti dispiace, per favore, rispondere alla mia domanda? » L'estrema gentilezza e la calma con cui le si rivolse non indicavano altro che l'implicita insinuazione delle sue difficoltà di comprendonio.
Altra cosa su cui Sonia preferì glissare e a lei non dispiacque. « Non c'è odore di cibo, perché la cena non si prepara da sola » rispose nel suo solito tono pacato, sempre strofinandosi l'asciugamano sulla testa.
Cristina sbuffò, dovendosi dichiarare d'accordo. « Appunto » le concesse: « perché nessuno provvede? » Era semplice, no? Se alle otto di sera ancora niente era sui fornelli, bisognava mettercelo; cosa impediva ai suoi coinquilini di svolgere quelle semplici funzioni?
« Io stavo facendo la doccia » le fece notare Sonia, indicando col pollice la stanza alle sue spalle. « E non so cucinare » si premurò di ricordarle, nel caso dopo un anno e mezzo di convivenza ancora non se ne fosse accorta. Non che lei fosse una di quelle persone che in cucina non ci avrebbero messo piede nemmeno sotto minaccia, anzi era proprio il contrario: tutte le cucine del mondo sembravano desiderare ardentemente che Sonia si tenesse alla larga da loro. Era il genere di persona che riusciva a fare un macello anche solo nel tentativo di scaldarsi il latte per la colazione, a meno che non avesse un forno a microonde a portata di mano. Ma anche quello non costituiva una garanzia per la riuscita dell'impresa, per niente. Per dirla in maniera semplice: era negata nella maniera più totale.
A quelle parole, tornando a noi, Cristina fu costretta a dargliela vinta; tendeva a dimenticare le incapacità delle altre persone, più che altro perché le sembrava normale che ognuno si impegnasse giorno dopo giorno per colmare le proprie lacune, ma, be', evidentemente Sonia non la pensava allo stesso modo. « Prima o poi » le disse, mentre già si dirigeva verso la cucina, « mi spiegherò qual è la tua utilità al mondo, ma temo che quel giorno non sia oggi ».
Sonia roteò gli occhi per l'ennesima volta durante la giornata, reprimendo per quieto vivere una risatina di scherno che era certa all'altra non sarebbe piaciuta; si limitò quindi ad esclamare un « Grazie, Cri! », prima di tornare in bagno.
Quello che non aveva capito era che Cristina non aveva nessuna intenzione di preparare la cena, ma si sarebbe rinchiusa in camera, avrebbe ordinato una pizza a domicilio e avrebbe lasciato tutti i coinquilini a cuocere nel loro brodo – di inutilità cosmica, a sentir lei.
 
Quando i ragazzi rientrarono con una caffettiera nuova e una cassetta di birra in lattina, poco dopo, trovarono Sonia sul divano intenta a divorare i propri biscotti della colazione per riempire lo stomaco, mentre borbottava commenti innervositi in direzione del televisore ogni tre per due (o due per tre?, si chiesero).
« Be'? » Mentre Orfeo già si avviava verso la propria camera da letto, Marco si lasciò cadere al suo fianco, reggendo trionfante tra le mani il suo nuovo acquisto come il più prezioso dei tesori: « Non dici niente? No, ma certo che non dici niente, ancora non vi conoscete. Ora faccio le presentazioni. Cicciobello, questa è la nuova Maurice – Maurice seconda! Maurice, questa è Cicciobello! »
Cicciobell- ehm, Sonia in tutta risposta gli rivolse un'occhiata truce, gesto che, come se la sua vena polemica sfogata sulla televisione non fosse abbastanza eloquente, manifestava ancora più apertamente il suo cattivo umore. « Se è una femmina perché l'hai chiamata Maurice? » commentò aspramente. Era tipico suo abbandonare ogni diplomazia in favore di una continua critica al mondo circostante quando la sua solita tranquillità lasciava spazio al nervosismo.
Marco sgranò gli occhi e sbuffò di incredulità: « Per mantenere viva la tradizione, no? Cos'è tutto questo scetticismo? Mi deludi, Ciccio! »
Sonia scrollò le spalle e mise in bocca un altro biscotto per impedirsi di rispondere male; tutto d'un tratto iniziava a capire come mai a Vanna stesse così stretto l'egoismo di Cristina. Era stata una sciocca a pensare che avrebbe preparato la cena anche per loro, ma che almeno avvisasse prima di chiamare la pizza non era chiedere troppo, no? E aveva la sensazione che questo fosse solo l'inizio del declino di quella compagnia.
Sbuffò dal naso, per poi alzarsi dal divano. « Buonanotte » borbottò e, nonostante fossero a malapena le otto di sera, si rinchiuse nell'unica camera doppia dell'appartamento con il sacchetto dei biscotti e una marea di appunti da rivedere. Non sarebbe tuttavia riuscita a concentrarsi su più di una riga quella sera nella stanza insolitamente vuota. Non era abituata a dormire da sola e a condividere spazi solo con se stessa; farlo in un momento come quello, poi, in cui aveva l'impressione che le loro vite sarebbero cambiate radicalmente non faceva che rendere i suoi pensieri un po' più cupi e tumultuosi, instradandola verso una notte insonne. Sonia era terrorizzata dai cambiamenti e dalla solitudine che era convinta portassero sempre con sé. Era una persona per natura tranquilla e all'apparenza sempre spensierata, ma quando iniziava a preoccuparsi niente poteva rassicurarla: continuava la sua lunga e silenziosa discesa verso il pessimismo assoluto, inarrestabile.
Pensava al modo in cui Giovanna li aveva abbandonati senza una parola, senza nemmeno salutare; a quanto dovesse essere frustrata per mollare – perché Vanna era testarda come un mulo e anche più orgogliosa, non si dava mai per vinta; pensava a Cristina che, nonostante si fosse accorta della sua partenza, non aveva detto niente a nessuno, concentrandosi come al solito solo su se stessa e sulla sua routine; pensava ad Orfeo che sembrava sempre sintonizzato su una lunghezza d'onda diversa dagli altri, intangibile e impassibile a tutto fuorché alle lamentele di Marco, il quale, be', non avrebbe potuto essere più infantile di così. E lei, lo zimbello di tutti, come avrebbe potuto assicurarsi che tutto filasse per il verso giusto? L'idea che Cristina e Orfeo si chiudessero nell'isolamento delle loro camere da letto la spaventava, come il presentimento che Marco avrebbe potuto ben presto seguire il loro esempio, lasciandola da sola in una camera doppia troppo grande per lei. E Sonia più di ogni altra cosa non voleva rimanere sola. Il silenzio e il letto vuoto al suo fianco le incutevano una sorda malinconia che temeva di non saper gestire; a darle un briciolo di coraggio era il mormorio del televisore che attraversava la casa e sgattaiolava fin sotto la porta rossa chiusa: era quel suono a dirle che dopo tutto, per il momento, non era ancora sola.
 
Marco, rimasto da solo in salotto con la sua caffettiera nuova, non poté fare altro che decidere di prepararsi un caffè, per nulla preoccupato dai cambiamenti che l'assenza di Giovanna avrebbe portato. Una volta riempita la tazza e riconosciutosi intimamente entusiasta delle novità che sarebbero di certo piombate su di loro da quel giorno in poi, si gettò sul divano con la nuova Maurice, interamente ricoperta da una vivace vernice verde acido, che lo guardava dal centro del tavolino, come un buon auspicio. Tutto sommato, Marco era ottimista. Era un po' strano starsene lì tranquillo e in perfetta solitudine, senza che Giovanna corresse da una stanza all'altra dando sfoggio della propria implacabile nevrosi, ma non strano in senso negativo. Era curioso di sapere cosa sarebbe successo di lì in poi.
« Maurice, benvenuta a casa! » esclamò sottovoce, un attimo prima di versarsi altro caffè nella tazzina.


 


Ho come l'impressione che questo capitolo sia un po' caotico, ad eccezione forse della parte di Giovanna, ma lascio a voi il giudizio, ché tanto il mio conta poco. Che dire, oggi avrei dovuto studiare, ma a quanto pare la voglia di farlo se n'è di nuovo andata in vacanza (non è vero, l'ansia è dietro la porta, la sento che bussa >D<), mentre quella di aggiornare si faceva sentire, per cui... eccomi. I tre quarti del capitolo erano già scritti, li ho riguardati e spero di non aver tralasciato qualche errore durante la lettura -- in caso contrario, sentitevi liberi di farmelo notare. 
In realtà anche in questo secondo capitolo non succede molto, se non che la nostra Giovanna ha finalmente levato le tende, per di più tutto in una volta, il che, sì, è un po' strano, ma può succedere, no? E abbiamo una lista di persone con cui la nostra compagnia dovrà avere a che fare per scegliere la nuova compagna di stanza di Sonia. 
Spero che qualcuno si sia incuriosito e che abbiate ancora intenzione di seguire la storia, mi auguro di renderla un po' più coinvolgente di così (sempre che i deliri di Marco non bastino a tenervi con me :D).
Grazie a chi ha letto e a chi ha recensito lo scorso capitolo!
Un abbraccio a tutti. ♥
 
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Commedia / Vai alla pagina dell'autore: Yvaine0