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Autore: Stella cadente    04/05/2015    6 recensioni
"Odiava quando era così.
Così ... debole.
Così vulnerabile.
Non doveva esserlo ... e invece lo era."
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Harry Styles è un ragazzo alla deriva. Un ragazzo di vent'anni che si sente perso, vuoto, incompleto.
Vive la vita senza entusiasmo, lasciando che le cose gli scorrano addosso, totalmente indifferente a più o meno tutto ciò che lo circonda.
Finché una sera – una come tante, in realtà – non farà un incontro che, a poco a poco, rappresenterà una svolta ...
Genere: Drammatico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo quarto
 
 
10 Maggio 2014, ore 19:00
 
  
«Non ce la farò mai!» sbottò Harry improvvisamente, passandosi una mano nei ricci castani.
«Rilassati»  replicò Zayn dal divano, senza staccare gli occhi dal suo libro. «Tanto è scontato che sarai preparato comunque.»
Maggio era arrivato con il sole e il caldo, a Boston. Le persone che brulicavano per le strade avevano già vestiti più leggeri; erano più sorridenti; sembravano tutti sereni, e la città si stava riempiendo ulteriormente di turisti, che camminavano continuamente indicando questo e quello, immortalando ogni cosa con le macchine fotografiche o i cellulari. Entusiasti, felici.
«Zayn, per favore. Non mi aiuti così, e tra l’altro non è nemmeno vero» ribatté lui, indispettito.
Silenzio.
«No?»
Harry non si sentiva parte di tutta quella massa che non poteva capirlo; fissava afflitto il suo volume di letteratura, sempre con la sua solita espressione sul viso ombroso come una giornata di pioggia.
Lui non era il sole, non lo era più da molto tempo. Non lo era mai stato per dir la verità, ed ora meno che mai.
Harry era pioggia; Harry era cielo grigio e mare d’inverno, perennemente in tempesta e tremendamente affascinante, anche se non lo sapeva.
«No. Domani mattina c’è un seminario con ospite Cormac McCarthy. McCarthy, capisci? Dovrei essere quantomeno un po’ preparato su almeno uno dei suoi libri.»
«Ma...?» chiese Zayn, con voce un po’ distratta. Per tutto il tempo era rimasto con gli occhi incollati al libro che teneva tra le mani – L’arte della scultura nell’Italia del 1500.
«Ma in realtà non ho mai letto neanche un suo libro!»
«Mh.»
Il ragazzo tornò a concentrarsi, sbuffando: Zayn non era mai stato un tipo loquace. Quando si trattava di libri di storia dell’arte poi, si poteva considerarlo totalmente andato, perché staccava la spina dal mondo reale e si immergeva in quelle pagine piene di sculture e dipinti, leggendo con attento interesse.
«Harry» la voce dell’amico lo richiamò d’un tratto.
«Sì?»
Dimmi che non stai per chiedere...
«Ti sei innamorato?»
Ecco.
«Ma che avete tutti? Perché dovrei essermi innamorato?» sbottò lui, scocciato.
Era dal giorno in cui aveva passeggiato con Claudia che i suoi amici glielo chiedevano continuamente. Ma ormai erano passati mesi e sapeva che poteva considerare quell’episodio come un... beh, non sapeva nemmeno lui cosa.
Di sicuro non aveva dato vita a qualcosa che fosse destinato a durare nel tempo; d’altra parte, un po’ se lo aspettava. Era abituato alla solitudine, da questo punto di vista, e in realtà non gli pesava neanche troppo.
«Non lo so, è da un po’ che sembri diverso. È come se fossi scombussolato e al tempo stesso sereno.» Aveva già sentito quelle parole, e non aveva nessuna voglia di ritornare nel discorso.
«Secondo me non vuole dirci chi è» si inserì Niall, comparendo dalla cucina con un sacchetto di patatine in mano. «Louis dice che è da mesi che è così, quindi la storia dovrebbe andare avanti da un bel po’. Giusto Harry?»
Harry si agitò impercettibilmente sulla sedia.
«Possiamo tornare a studiare, mh?» disse solo, cercando disperatamente un modo per concludere quella conversazione con i suoi amici.
«Come vuoi» rispose Niall, facendo spallucce. «Ma non finisce qui, sappilo» scherzò, facendogli un occhiolino.
Harry fece del suo meglio per trattenere, con scarsi risultati, un sospiro di frustrazione.
 
 
 
Aveva invitato i ragazzi per un pomeriggio studio tutti insieme – del resto, Zayn ad esempio era un’ottima compagnia per questo genere di cose – ma da un po’ avevano cominciato ad assillarlo con domande riguardo alla sua presunta fidanzata inesistente.
Certo, non poteva negare che fosse accaduto qualcosa di davvero singolare tra lui e Claudia; si era formato un legame strano e inspiegabile, ma non voleva dire che avesse trovato l’anima gemella o che si fosse innamorato.
In un certo senso, era meglio così; era un bene che non si fosse affezionato. Affezionarsi faceva male, Harry lo sapeva. Gli avrebbe fatto male, perché gli avrebbe dato la felicità; quella felicità terribile, quella felicità che ti dà aspettative, aspettative che novantanove volte su cento vengono poi deluse, lasciandoti solo con un’enorme rabbia addosso. Ed Harry non aveva voglia di stare male per altre persone; aveva già abbastanza grane a cui pensare.
In un certo senso però, anche se l’aveva vista una volta sola, stare con Claudia gli era mancato.
Più che altro, gli mancava sentirsi come si era sentito con Claudia: spontaneo, tranquillo e stranamente a suo agio. Pensandoci, era semplicemente un dato di fatto, anche se per lui non voleva dire nulla di particolare: quella ragazza lo aveva fatto stare bene.
Forse era troppo tardi, forse si era già legato a lei inesorabilmente.
Eppure era praticamente una sconosciuta; una sconosciuta che però sembrava in qualche modo sapere tutto di lui. Non sapeva dire se la cosa lo infastidisse o semplicemente lo incuriosisse, ma quando era solo si lasciava andare spesso a queste riflessioni – come adesso, ad esempio.
Erano le dieci di sera ed Harry era ai giardini ad assaporare quel vago odore di primavera, seduto sulla stessa panchina dove avevano parlato davvero per la prima e ultima volta.
La prima ed ultima volta.
Sospirò con rabbia.
Perché mi faccio prendere dalla nostalgia per una persona che neanche conosco?
Per un attimo se la rivide accanto come fosse una visione. Scosse la testa; che cosa gli stava succedendo?
Sei sempre così?
Lo aveva detto con una sincerità che lo aveva spiazzato.
Non voleva dirlo ai ragazzi, che un po’ gli mancava. Anche perché, in fin dei conti, quanto sapeva di lei?
Così come?
Le immagini di qualche mese prima gli scorrevano nella mente in una sorta di flashback.
Riservato, solitario e di poche parole.
L’aria di maggio era tiepida e si stava bene.
Si stava bene.
Ma Harry non si era mai sentito veramente bene. Gli piaceva uscire, prendere un po’ d’aria, e per un po’ riusciva a farlo sentire meglio.
Per un po’.
Ma non voleva tornare indietro.
Era perennemente in tempesta, lui, come lo era il mare in inverno.
 
 
 
****
 
 
 
«Ma dove diavolo è?» sbottò Louis, lanciando il telefono sul letto.
«Fuori, Louis, fuori. Sai com’è fatto Harry, quando ha bisogno di uscire esce. Ma se la cava. Insomma, lo ha sempre fatto, no?» tentò Liam.
«Sì ma sono tre ore che non torna, lo capisci?»
«Sembri un fidanzato in pensiero per il suo amore» ridacchiò Zayn.
«Ragazzi, non è divertente. Sono preoccupato per il mio migliore amico, okay? Che c’è, non dovrei esserlo?» chiese, un po’ spazientito.
«In effetti...» convenne Niall. «Non si è mai trattenuto fuori così tanto.»
Silenzio.
«Credete davvero che gli sia successo qualcosa?» aggiunse il ragazzo biondo.
Louis gli rivolse un’occhiata turbata.
«Non lo so» disse solo.
 
 
 
La mezzanotte era arrivata con una velocità sorprendente. Era assurdo che avesse passato tutto il tempo a camminare per i giardini di Boston, ma non aveva voglia di tornare. Aveva voglia di fermarsi, di infischiarsene di tutto e tutti, senza preoccuparsi di cosa avrebbero pensato i suoi amici.
Aveva bisogno di pensare, di stare solo.
La notte gli piaceva. La notte era fatta per pensare e per essere se stessi, per fare quel tipo di cose che di giorno non si farebbero mai. A lui piaceva la notte; gli piaceva l’impercettibile alito di vento caldo che c’era, gli piacevano le stelle, gli piaceva la falce di luna che spiccava in quel cielo nero e sembrava in qualche modo rischiararlo.
Gli piaceva la calma.
Ma qualcosa la interruppe bruscamente.
«Non toccarmi!» una voce femminile, impaurita, ansante. E una risata sguaiata che riempì l’aria e che lo innervosì.
«Dove credi di andare?» questa voce era maschile, cattiva, strascicata – era pronto a scommettere che il suo proprietario fosse ubriaco. Harry, coperto alla vista dell’altro dalla fronda di un salice piangente che sfiorava il terreno con le sue foglie cadenti, lo vide, da quei pochi metri che li separavano. Gli ci volle un attimo per capire che cosa doveva fare; non gli importava se quella ragazza non lo conosceva, non gli importava se lo avrebbe preso per un altro aggressore, non gli importava più di niente. Doveva fare qualcosa, e questa era una certezza.
Si alzò e si avvicinò con lunghe, decise falcate, poi disse, con un tono che non ammetteva repliche:
«Hai finito, stronzo?»
L’idiota si voltò, scoprendo la sagoma della ragazza. E Harry ebbe un mancamento.
Di tutte le facce che avrebbe immaginato di vedere, quella era veramente l’ultima.
Immobile, inerme, che ora sembrava piccola piccola, c’era l’ultima persona che avrebbe giurato di vedere in quel contesto.
Claudia.
Ma la cosa che più lo stupì fu la sua aria così fragile e indifesa. Aveva gli occhi intrisi di paura e tremava dalla testa ai piedi, la faccia pallida di terrore.
«Cosa hai detto, amico?»
La voce roca dell’aggressore lo distrasse temporaneamente, facendogli distogliere lo sguardo.
«Non sono tuo amico, primo» ribatté con decisione. «E secondo, lasciala stare.»
Lui iniziò a ridere.
«Che c’è, sei il suo fidanzato?»
Harry deglutì appena.
«Non importa chi sono. Lasciala stare, ho detto.»
Un’altra risata. E Harry non ci vide più.
Prima che se ne potesse rendere anche solo lontanamente conto, gli aveva assestato una ginocchiata nello stomaco, facendolo piegare in due. Non provò pietà per il ragazzo agonizzante a terra; sentiva un’ondata di adrenalina e rabbia indescrivibile. Voleva solo che quel deficiente si togliesse dai piedi e lasciasse in pace Claudia.
«È finita» disse, freddo, muovendo minaccioso qualche passo in avanti come per stabilire chi comandava, il tizio sofferente accasciato pateticamente ai suoi piedi.
Prese Claudia per un braccio e la trascinò via, mentre i suoi occhi restavano ancora fissi sul suo aggressore che continuava a sputare sangue.
 
 
 
****
 
 

 Era successo tutto troppo velocemente e ancora non ci credeva. 
«Ehi...» provò a tendere un braccio verso di lei, ma la ragazza si scansò bruscamente.
«Non mi toccare!» ansimò.
L’aveva portata vicino alla fontana, che con tutte le sue luci rischiarava un po’ la notte. Claudia era fredda, rigida: in un gesto istintivo di cui si stupì, la imprigionò fra le sue braccia, stringendola forte, in modo insolitamente protettivo.
«Non mi toccare, non mi toccare!» ripeteva, scuotendo la testa con veemenza. Si allontanava, muovendo qualche barcollante passo all’indietro.
«Claudia, ehi!» la richiamò, prendendola per le spalle. «Calmati.»
«Vai via!»
«Claudia! Sono Harry!»
Lei si fermò di un colpo e lo guardò per la prima volta. Aveva gli occhi spaventati, i capelli arruffati, il respiro corto. Non avrebbe mai detto di vederla in quelle condizioni – non avrebbe mai detto di poterla rivedere proprio in generale, in realtà, figuriamoci in quella situazione.
«Harry...?» sussurrò, mentre i suoi occhi saettavano sul volto del ragazzo, le sopracciglia aggrottate. Perplessa, impaurita e smarrita insieme; un mix che, visto su di lei, lo lasciò sconcertato.
«Sì, sono io. Quello dei giardini e della discoteca» disse, con una dolcezza che con lei non aveva mai usato.
Claudia non disse nulla, ma fece una cosa che lo colse di sorpresa.
Si buttò tra le sue braccia, abbandonandosi come una bambina.
 
 
****
 
 
«Dov’è che abiti?» chiese Harry.
«Ancora a dritto e poi a sinistra» rispose lei.
Erano le una.
Stavano camminando per le strade vicino ai giardini; lui aveva voluto accompagnarla a casa, e lei non aveva rifiutato.
C’era un silenzio quasi imbarazzante, ma al ragazzo non importava. Claudia era rimasta scioccata, era normale che non parlasse. La guardò: aveva gli occhi persi nel vuoto.
Una lacrima le rigò la guancia. Harry esitò: non era mai stato bravo ad esternare i propri sentimenti, era sempre una frana a consolare le persone. Temeva di non dire la cosa giusta e di apparire fuori luogo, e così non diceva mai niente.
«Ehm» tentennò. «Claudia» la chiamò.
Lei si voltò verso di lui.
«Stai bene?»
Sì, Harry, proprio la cosa più giusta da dire.
«Sì. Tutto a posto. È tutto a posto, tranquillo. Ora entro in casa e... e starò bene» stirò un sorriso. «Grazie, comunque.»
Ormai erano arrivati davanti ad una grande porta di legno scuro.
«No. Non è tutto a posto. Stai piangendo» replicò lui improvvisamente.
Lei non disse nulla.
«Senti» cominciò, improvvisamente disinvolto. «Se vuoi ti faccio un po’ di compagnia.»
Si sorprese di ciò che aveva detto: da quando era diventato così intraprendente?
Anche lei sembrò stupita e in un primo momento spalancò appena gli occhi, ma poi lo squadrò da capo a piedi, improvvisamente diffidente.
«Sei sicuro di quello che fai, Harry? Sai, non mi piace la gente che finge di preoccuparsi per me.»
«Ma io non sto fingendo.»
«Come no. Quando ci siamo conosciuti mi trattavi come se fossi insignificante, non ci siamo sentiti per mesi e ora vuoi stare con me? Guarda che lo so che è perché ti faccio pena. Non sono stupida.»
Fece come per entrare in casa, ma lui la trattenne per un braccio.
È proprio vero che la notte si fanno cose che di giorno non si farebbero mai.
«Claudia, ascolta» iniziò. «So che abbiamo cominciato con il piede sbagliato, okay? Ma non voglio fare lo scontroso anche con te. Tu... la verità è che tu sei stata l’unica persona ad essere sin da subito almeno un po’ gentile con me...» senza etichettarmi come strano o musone, avrebbe voluto aggiungere, ma non lo fece.
Le parole gli erano rotolate letteralmente fuori di bocca, facendolo sentire insopportabilmente nudo, esposto.
Lei lo guardava con quei suoi occhi verdi, mentre la sua espressione non tradiva la sua sorpresa per quelle parole. Probabilmente non ce lo vedeva a dire quelle cose; tra l’altro, nemmeno lui stesso si aspettava di sentirsi parlare in quel modo.
«Perché stai facendo questo?» il suo tono era duro, quasi arrabbiato.
«Perché voglio» si sorprese a dire il ragazzo. «Ma se preferisci, me ne vado.»
Claudia sembrò in difficoltà, indecisa se permettergli di restare o meno.
Poi aprì la grande porta di legno scuro, facendogli segno di entrare.

 
 

Bentornati, lettori :)
Questo capitolo è un pochino più lungo del solito... spero non vi abbia annoiati.
Dunque, è passato un po' di tempo da quando Harry e Claudia hanno fatto la loro passeggiata al parco, ma si incontrano di nuovo.
In un contesto poco simpatico, aggiungerei.
Alla fine abbiamo una Claudia sospettosa verso Harry e un Harry che si sorprende a voler aiutare Claudia.
Molto strano da parte sua, non trovate?
Eppure potrebbe anche finire lì. Voi cosa ne pensate?
Scrivetemi tutto quello che volete, supposizioni, domande... tenete presente che io non farò assolutamente spoiler, ma mi piace vedere come immaginereste la storia :)
Ad ogni modo, spero come sempre che vi sia piaciuto.
Alla prossima,

Stella cadente
  
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