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Autore: AlexVause    13/05/2015    3 recensioni
- Se qualcosa ti ferisce così tanto da farti male, ricorda che devi sempre alzarti e tornare a combattere per il tuo popolo. L’unico modo per poter andare avanti, è seppellire l’accaduto…anche se fosse così tremendo da non poter essere dimenticato.
La sua voce fece mancare un battito al mio cuore. Non sapevo se piangere o essere furiosa con lei.
Sentimenti contrastanti scaturivano dal mio animo.
- È proprio ciò che non ti aspetti che ti fa stare male.
Aggiunse poi con un tono che tradiva tristezza.
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Clexa
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Oggi ero proprio ispirata :D
e una certa Sky Girl preme perché pubblichi questo capitolo.
Buona lettura :)

Capitolo 3
 
Era notte fonda ormai. Non riuscivo a dormire.
Con tutte le cose successe quel giorno, la consapevolezza che volevano uccidermi e sapere che Lexa era qui a Camp Jaha…di sicuro nulla di ciò aiutava a conciliarmi il sonno.
Ok, questo non era di certo il momento migliore per voler dimenticare l’Heda. Avevo bisogno di lei ora più che mai.
Uscii dalla mia tenda. Decisi di fare una passeggiata all’interno dei resti dell’Arca.
Quanti ricordi dentro quelle mura d’acciaio.
I miei passi rimbombavano sul pavimento. Solo io ero presente in quel lungo corridoio.
Avevano ripristinato l’elettricità in modo da utilizzarne le camere rimaste intatte dopo lo schianto. C’era l’infermeria, la sala grande che avevamo utilizzato per riunirci quella sera…e nel mentre passai accanto a quest’ultima, vidi che non era vuota.
Lexa era intenta a studiare la pianta del territorio circostante.
- Faresti meglio a riposare, Clarke.
Si era accorta di me, senza nemmeno voltarsi.
- Potrei dirti lo stesso.
Risposi con monito di sfida. Mi avvicinai a lei seppur timidamente.
Non si era mossa di mezzo centimetro dalla sua posizione.
Mani poggiate sulla mappa e sguardo fisso su essa.
- Il Villaggio della tribù di Quint è proprio qui.
Mi disse tracciando un cerchio immaginario, con il dito indice, su un’area della mappa.
- Cavalcando fino a qui, usando diplomazia, potremmo discutere di eventuali soluzioni.
Proposi.
- Non so quanto siano disposti a discuterne, Clarke.
- Lexa, tu sei l’Heda…Quint era in errore. Ha disubbidito ai tuoi ordini.
Stette in silenzio fissando la mappa davanti a sé.
- Puoi rimproverar loro di star facendo lo stesso. Dire che l’alleanza è ancora salda e che loro stanno contravvenendo ad essa.
Aggiunsi senza credere davvero a quello che stavo dicendo.
Con un gesto fulmineo del braccio scaraventò a terra la cartina, ringhiando con rabbia, per poi tornare a poggiare le mani sul tavolo e sospirare frustrata.
- Sappiamo entrambe che non ascolteranno. Vorranno che tua madre, Cancelliere e quindi tuo Leader in seconda, compia il sacrificio in nome di una tregua e quindi per l’alleanza stessa. Questa è la legge di noi Grounder. Blood must have blood.
Quelle parole, celavano il suo profondo dolore per quella realtà cui stavamo andando incontro.
Il ricordo di ciò e il sapere cosa mi aspettava, mi distrussero.
“Puoi avere la tua tregua”
“Grazie”
“Mi serve solo una cosa in cambio”
“Dimmi”

“Consegnami quello che chiamate Finn. La nostra tregua comincerà con la sua morte”.
Il mio cuore cominciò a correre senza freno.
Credo di essere sbiancata perché la vidi avvicinarsi e afferrarmi le braccia.
- Sanno anche che io non lo permetterei.
Ero come in uno stato di trance. Le sue parole mi giunsero lontane.
Il volto di Finn nella mia mente… le mie mani sporche di sangue.
“Ho paura”
“Starai bene…”
“Grazie Principessa”.
Alzai lo sguardo mettendo a fuoco il suo volto, tornando così alla realtà.
- Se è questo, ciò che serve al mio popolo…
Dissi flebilmente.
Strinse la presa.
- No! Non se ne parla!
- Hai detto tu stessa che essere Leader, equivale a sacrificare se stessi.
- No, non a questo prezzo.
Deglutii alle sue parole. Doveva forse finire tutto così?
Sentii le sue mani accarezzarmi il viso.
Non mi ero nemmeno accorta che stavo piangendo.
Mi baciò le guance bagnandosi le labbra con le mie lacrime.
La sua mano mi scostò un ciuffo di capelli dal volto. Il tocco delicato.
Posò le sue labbra calde sulle mie ed io mi lasciai andare. La volevo. Avevo bisogno di lei.
La spinsi a ridosso del muro. La sua schiena si poggiò contro il freddo acciaio.
Mi strinse a sé prepotentemente.
Le nostre lingue lottavano in un bacio passionale che andava via via intensificandosi.
Fece alcuni passi avanti, facendomi indietreggiare sino al tavolo. Mi alzò, sedendomi sopra di esso.
Cinsi la sua vita con le mie gambe. Volevo più contatto.
Mi tolse la giacca e subito dopo anche la maglia.
Le sue labbra si spostarono sul mio collo fameliche.
Le poggiai una mano sul petto scostandola. Il suo sguardo si fece interrogativo.
Le sganciai la cappa che portava sulla spalla. Le tolsi il cappotto.
Mi spinsi verso il centro del tavolo.
Le afferrai la maglia e l’attirai sopra di me.
Mi sorrise maliziosa dopo aver compreso le mie intenzioni.
iniziò baciandomi il ventre per poi salire lentamente sul mio seno sino alle labbra.
La sua gamba si muoveva tra le mie facendomi gemere, ma improvvisamente si fermò.
Mi guardò con quei suoi bellissimi occhi verdi.
- Che cosa stiamo facendo, Clarke?
Mi scostai.
- Mi sembra sia una cosa che vuoi anche tu.
Sbottai infastidita.
- Sì ma non così.
Presi i miei vestiti caduti a terra e mi rivestii.
- Fottiti Lexa!
La vidi serrare la mascella.
- Non capisco questo tuo linguaggio, ma leggo ciò che mi trasmette il tuo corpo. Perché ti comporti così?
Il suo tono era duro ma tradiva dolcezza.
- Se ti chiedo di lasciarmi sola mi torturi continuando a seguirmi, mi concedo a te e mi rifiuti. Che cazzo vuoi da me eh? Lasciami in pace allora!
Le urlai contro incamminandomi verso la porta.
In un attimo mi afferrò un polso voltandomi. Mi ritrovai schiena al muro ed entrambi i polsi bloccati addosso ad esso.
Il suo viso mostrava cattiveria ma mi decisi ad affrontarla.
- Vuoi farlo? Ti accontento subito.
Ringhiò. La voce bassa. Faceva paura.
Con uno strattone finii a terra sopra il suo mantello ed il cappotto. Staccò con forza un pezzo di corda che pendeva dal soffitto. Capii. Cercai di fuggire indietreggiando ma mi afferrò una caviglia trascinandomi verso di sé.
In un attimo fu subito sopra di me.
Mi bloccò i polsi con una mano mentre con l’altra li legò annodando la corda ad una grata fissata al muro.
Mi sorrise con cattiveria pura. Non potevo nemmeno scalciare perché era seduta sulle mie gambe.
Era troppo forte rispetto a me…potevo solo subire.
- Lexa fermati.
Le dissi preoccupata. Avevo paura.
Scosse il capo mimando un “No”.
I suoi occhi, ghiaccio puro.
Respirava lentamente, a differenza mia.
Inclinò la testa guardandomi.
Mise una mano dietro la schiena prendendo il coltello che portava sempre con sé.
Il cuore mi saltò alla gola.
Lentamente fece scorrere la sua lama sul mio seno, sul ventre.
- Lexa fermati.
Le urlai terrorizzata.
Mi afferrò il mento con la mano libera. Il suo sguardo freddo nel mio. Chi era la persona che stavo guardando in quell’istante?
- Anch’io posso essere cattiva e irrispettosa. Ho scelto la via più difficile con te, tentare di conquistarmi il tuo perdono, mostrandoti tutto ciò che posso offrirti. Non ho più intenzione farlo. Se qualcosa accade tra noi, non voglio che tu te ne penta il giorno successivo. Non sono un oggetto.
Il suo tocco si fece più gentile ma il suo sguardo non si ammorbidì. Usò il coltello per liberarmi i polsi tagliando la corda.
- Riesci a capirlo?
Mi chiese. Accennai un “Sì” con il capo.
- Non volevo spaventarti, Clarke.
- Io…
Ero incredula per ciò che era appena accaduto…e mi sentii uno schifo per come l’avevo trattata. Me ne resi conto solo ora.
Si mise a sedere sul pavimento ed io la imitai. L’abbracciai e in quel momento la sentii irrigidirsi.
- …mi dispiace, Lexa.
Sciolse il mio abbraccio e si alzò, raccogliendo i suoi indumenti da terra.
- Lo apprezzo.
Disse prima di voltarsi per andarsene. La fermai afferrandole un polso.
Mi alzai in piedi affrontandola.
- Ti prego, resta.
Non mi rispose. Si scostò andando a sedersi su una sedia accanto al tavolo.
- Sono stata egoista. Ho…pensato solo a quanto stavo soffrendo. Forse…avevo solo bisogno di sfogarmi…o di un confronto.
Scossi il capo. Non sapevo nemmeno io dare una spiegazione plausibile…sentivo solo il dolore e ora mi stavo pentendo di tutto.
La vidi sospirare. Mi guardava scrutandomi come se volesse leggere la mia anima.
Mi fece cenno di avvicinarmi e la raggiunsi.
Si sporse, afferrandomi alla vita e portandomi verso sé. Voleva sedermi sulle sue ginocchia.
Mi strinse dolcemente. Ed io nascosi il viso nell’incavo del suo collo. Amavo inspirare il suo profumo.
Mi accorsi di quanto mi era mancata.
- Nonostante il dolore che mi hai causato andandotene, sei l’unica persona che voglio al mio fianco…
Le dissi scostandomi per guardarla.
- Lo apprezzo.
Rispose con tono piatto.
- …e nonostante il cuore mi faccia così male quando ti vedo, sei l’unica persona che vorrei baciare sino a togliermi il respiro.
La sentii irrigidirsi a quelle mie ultime parole, bisbigliate maliziosamente al suo orecchio.
Serrò la mascella deglutendo.
- In questo momento posso solo sopravvivere, ma so, che per vivere davvero ho bisogno di te…Clarke.
Sentii un tuffo al cuore quando incatenò i suoi occhi ai miei per poi abbassare lo sguardo.
- È difficile perdere qualcuno che vorresti avere accanto.
Una frase soffocata la sua. Forse detta a sé stessa. Un pensiero fugace. Pensava a ciò che era successo a Mount Weather?
- Non mi hai persa.
Le bisbigliai di rimando sperando capisse.
Si voltò nuovamente verso di me e in quell’istante la guardai, accennando un sorriso.
I suoi occhi s’illuminarono sorridendo di rimando.
Quel sorriso splendido…un dono riservato solo a me.

 
  
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