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Autore: Peep    20/05/2015    2 recensioni
«Io... Voglio davvero ricordarmi di te, Harry. Se è così importante, voglio ricordarti.»
~
Dopo essere stato coinvolto in un incidente stradale, Louis, risvegliatosi da un breve coma, si ritrova con ricordi molto sbiaditi e nessuna delle persone che gli è intorno sembra avere nulla di familiare. Col tempo, però, pezzi frammentari della sua memoria cominciano a ricomporsi e tutto diventa più nitido.
Tutto tranne il ragazzo dagli occhi verdi che gli è costantemente accanto e che continua a ribadire di essere il suo fidanzato.
Harry, dal canto suo, tenta in tutti i modi di aiutare Louis a ricordare, ma sembra non esserci nulla da fare.
A quanto pare, l’unico metodo utile, è rifare tutto daccapo, a partire dal loro primo incontro.
~
larry au | amnesiac!louis | ziam (side)
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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and you have the face of an angel
when I break it's special
when I break it's for you
 
 
 
 
 
Louis una sera decide che deve permettere che gli altri lo aiutino.

Ha rifiutato la terapia psicologica che gli hanno proposto sin da quando l’hanno dimesso, ma Harry riesce finalmente a convincerlo a cominciarla dopo il diciottesimo attacco di panico che ha nel giro di soli pochi giorni.
 
Ne ha avuto uno quando Liam è venuto a casa loro e gli è suonato il cellulare, poi è stata la volta che erano al parco e ha visto alberi identici a quelli contro cui si era schiantato; ne aveva diversi durante la notte, solitamente preceduti da incubi in cui riviveva l’incidente, e così via. Harry lo convince a farsi aiutare davvero un martedì sera. Louis, un po’ scettico e un po’ riluttante, con gli occhi fissi sulle mani di Harry, acconsente in silenzio.
 
 
Lo accompagna Harry al primo appuntamento dalla dottoressa con la quale hanno parlato al telefono, una tale Badger. Fanno un tratto in metropolitana, e poi il resto della strada lo fanno a piedi – Louis ancora non sopporta di entrare in un auto.
 
È stata una settimana un po’ pesante per entrambi, fra una cosa e l’altra: i ricordi di Louis sono ancora sfocati e sbiaditi, il viso di Harry gli è familiare eppure ancora non riesce a trovare un vero collegamento con il resto della sua vita, mentre Harry, dal canto suo, non ha fatto che annegare nei sensi di colpa, distraendosi occasionalmente soltanto sostituendoli con altre preoccupazioni e altre paure.
 
Lo studio della psichiatra si trova in un quartierino residenziale nuovo, un viale pieno di alberi. Harry accompagna Louis alla porta, lo abbraccia forte prima di lasciare che suoni il campanello, ed è un abbraccio al quale Louis non si sottrae. Harry indietreggia scendendo gli scalini e lo saluta con una mano, con un sorrisino vago.
 
«Vengo a prenderti più tardi.» Lo rassicura, spingendo le mani nelle tasche dei jeans. «A dopo, mhm?»
 
Louis annuisce, lo saluta con una mano in modo quasi infantile. «A dopo,» e suona il campanello.
 

 


Quando Harry raggiunge la caffetteria, Liam è già lì ad aspettarlo nel suo grembiule grigio, col telefono in mano e gli occhi sullo schermo, le spalle contro la parete. Il locale è mezzo vuoto, c’è il solito odore di croissant e caffè, e quando Harry vi mette piede ha quasi l’impressione che sia tutto rimasto come sempre, che fuori ci sia stato il più devastante uragano mai visto, eppure la caffetteria sia stata la sola a salvarsi.
 
Appoggia i gomiti sul bancone, sorridente, batte una mano sul ripiano per attirare l’attenzione dell’amico.
 
«Haz!» Liam sorride e gli va incontro con un abbraccio, lasciando il cellulare nella tasca.
 
 
È una mattinata chiara con delle nuvole dalle forme assurde: Harry sta a guardarle dalla grossa vetrina del locale, sovrappensiero. La caffetteria si riempie lentamente, entrano studenti giovani, e poi famiglie, gente che beve il caffè in fretta e furia e dimentica il resto sul bancone.
 
Ha salutato sua sorella Gemma, che è venuta a trovarlo, «Liam mi ha detto che tornavi al lavoro oggi, volevo farti una sorpresa!» ed ha preso un tè con lui. Si è fatta raccontare tutto pazientemente, mentre Liam dava il cambio ad Harry alla cassa. «Come sta andando?»
 
Harry, con una voce incerta, parla e parla a non finire e le dice che a volte si sente morire, non sa che cosa fare, che a volte parla da solo e fuma come una ciminiera. Racconta di Louis e dei suoi attacchi di panico, dei suoi incubi, che ha paura di fargli del male e di farsene da solo, che non dorme, che Louis è sempre stato la sua anima gemella eppure ora sembra uno sconosciuto. È possibile che tutto cambi così, come nulla fosse? E perché mai? Le dice che è andato in chiesa una mattina, quando Louis era dai suoi genitori, e vi è rimasto un’eternità a chiedersi se c’è un dio, se c’è qualcuno che decide queste cose, perché proprio lui?
 
 


 
Seduto in una poltrona enorme, nello studio della dottoressa Badger, Louis avverte l’odore dolciastro alla vaniglia di quei diffusori per ambienti agli oli essenziali, quelli che si usano a volte negli ambulatori, e lo associa vagamente con qualcosa che non riesce ad identificare, ma che deve provenire dalla sua infanzia. Ha le mani sempre tremolanti giunte in grembo e la dottoressa gli siede a pochi metri di distanza, su un’altra poltrona, con un blocchetto tra le mani che sfoglia lentamente, prima di posarselo sulle ginocchia ed alzare lo sguardo su Louis.
 
Sono due ore scarse che Louis vive inizialmente come il peggiore dei supplizi, ma a cui, col passare dei minuti, comincia ad adattarsi. La Badger chiede se può dargli del tu, sorride cordiale, gli chiede come mai si è rivolto a lei. Louis è sul punto di dirle che non lo sa nemmeno lui, eppure qualcosa lo ferma: le confessa che ha accettato di farsi aiutare.
 
Con uno sforzo immane riesce a parlare dell’incidente, racconta di questo Harry che è così familiare eppure così estraneo, del modo in cui lo sente vicino eppure lontano anni luce. Le dice delle crisi che ha avuto, che non riesce ad entrare in macchina, che non sopporta nemmeno il rumore delle ruote di un’auto sull’asfalto, che conosce il volto dei suoi famigliari, che saprebbe tracciare a memoria gli occhi di sua madre, quelli dei suoi nonni, delle sorelle, riconoscerebbe le loro voci in una stanza gremita di gente che grida. Ma Harry, questo ragazzo che non fa che cercare di aiutarlo, e quelli che ha incontrato e che dovrebbero essere gli amici di una vita, e persino le sue sorelle più piccole, le gemelle, li sente distanti in un modo che lo fa uscire di senno. Le dice di sentirsi morto, addirittura, di doversi pizzicare le braccia per constatare d’essere reale, qualche volta: senza controllo sulla sua vita, è praticamente un morto che cammina.
 
È un incontro che dura un po’ più di quanto Louis avesse pensato: la dottoressa gli spiega che la sua si chiama amnesia retrograda e che, dopo il trauma, i ricordi che ha, da un determinato periodo in poi, sono andati perduti, mentre quelli più antichi sono rimasti con lui. Che non esiste una cura specifica per far tornare indietro i ricordi. Che può prescrivergli degli ansiolitici per calmare le crisi di panico, ma che per far sì che non si presentino più dovrà arrivare alla radice del trauma e superarlo.
 
 


 
Harry si fa dare un passaggio da Liam, che accosta all’angolo del viale alberato, e lo saluta con un abbraccio affettuoso – «Coraggio, Haz.»
 
Harry sorride, lo ringrazia per tutto, lo saluta con una mano quando lo vede allontanarsi in macchina, e poi si dirige verso lo studio. Trova Louis già fuori, appoggiato ad una staccionata, con lo sguardo un po’ vuoto fisso sulla strada, ed un foglio stretto in una mano.
 
«Lou, eccomi... Scusa, è da molto che aspetti? È che il caffè era pieno, e poi è venuta a trovarmi Gemma, non mi sono accorto del tempo...» Harry come al solito parla a macchinetta. Passa un braccio intorno alle spalle di Louis, gli sorride come a chiedergli scusa.
 
Louis alza lo sguardo, decisamente non stupito, ma sorride appena, si lascia stringere da Harry, lo segue verso la stazione. È breve, nel raccontare dell’appuntamento, e per il resto del tragitto verso casa è silenzioso e stranamente calmo, si limita ad annuire o scuotere la testa alle occasionali domande di Harry. È poco dopo mezzogiorno, la metropolitana è strapiena di gente tutta appiccicata, ma nonostante ciò Harry è bene attento che Louis abbia il suo spazio, che riesca a respirare, gli fa da guardia del corpo, “Louis, tutto okay?”
 
Louis annuisce imbarazzato, evita lo sguardo della gente e anche quello di Harry, tiene gli occhi fissi sul suo pomo d’Adamo, quando parla. Sto bene, Harry, sto bene, sto bene, sto bene, sto bene... Sono solo un po’ morto. Tu come stai? «Sto bene, grazie...»
 
 


 
C’è una notte scura in cui Louis si sveglia dopo un breve sonno spezzato, sono le quattro, ed entra in bagno per ritrovarsi di fronte Harry, chino sul lavandino, intento a lavarsi i denti, coi capelli tirati indietro da un elastico.
 
Louis indietreggia, con un mezzo sorriso: «Scusa, H.1
»
 
Harry si commuove un po’, a quella sorta di soprannome, perché è lo stesso che gli dava prima, prima dell’incidente, la sera quando era a pezzi, la mattina quando non aveva voglia di parlare, qualche volta anche dopo che Harry tornava dai suoi concertini nei pub, quando ancora suonava in giro. Louis gli cingeva i fianchi con un braccio, appoggiava una guancia un po’ arrossata per l'ebbrezza contro la sua spalla, rideva piano mentre baciava distrattamente Harry sul collo. Quand’è che insegni anche a me a suonare la chitarra, H... Sei una merda, torniamo a casa. Ti amo.
 
«Non preoccuparti...» Harry si risciacqua la bocca e il viso, si asciuga con un panno, sorride. «Guarda, ho finito. Hai bisogno del bagno?»
 
Louis scuote la testa e fa spallucce, come se non lo sapesse nemmeno lui. «Non riuscivo a dormire...»
 
«Ti va una tisana?»
 
 
Va a finire che è quasi mattina, Harry fa due tazzoni di caffè e ne porge uno a Louis, con due cucchiai e mezzo di zucchero dentro. Ha gli stessi jeans di due giorni fa, gli occhi stanchi e i capelli disordinati, seppur raccolti grossolanamente. Vuoi salire sul tetto?
 
Stanno a guardare l’alba dietro i palazzi, entrambi accucciati sulle vecchie tegole del tetto, Harry coricato, con la sua tazza appoggiata sulla pancia, Louis seduto con le gambe al petto e il sole negli occhi. Tenta di restare a guardarlo fisso fino a quando comincia ad essere insopportabile, e quando abbassa lo sguardo offuscato sulla figura di Harry, sospira e si chiede se anche a lui non faccia male, quando lo guarda. Mi tratti come fossi il Sole, eppure io non ti riconosco... Sei una stella lontana anni luce, sei tutta un’altra galassia...
 
Tacciono a lungo, poi Louis spezza il silenzio con la sua voce che sembra far fatica a uscire, roca. «Sai, la psicologa, – la psicoterapeuta, quello che è, insomma, – mi ha detto che potrei prendere degli ansiolitici.»
 
Harry quasi sbuffa, tirando su il busto, si gratta la fronte col palmo della mano. «Li prendeva anche mia madre... Non fanno altro che renderti più stanco e più morto... Evitali, se puoi.» E si accende una sigaretta.
 
«Non voglio prenderli, infatti,» spiega Louis lentamente, e stringe le dita intorno alla sua tazza di caffè. «Mi ha anche detto che devo affrontare il trauma di petto. Che può migliorare gli attacchi d’ansia.» Lo dice come se non ci credesse davvero, come se cercasse di convincere sé stesso.
 
«Okay...» Harry scandisce con calma, spostando gli occhi dalla cenere della sua sigaretta al volto di Louis, per regalagli un sorriso un po’ storto, ma gentile. «Quindi hai preso un altro appuntamento?»
 
«Il prossimo lunedì.»
 
«Bene... Sono contento. Vedrai, pian piano qualcosa lo tiriamo fuori da questa testina.» Harry ridacchia sottovoce, porta affettuosamente una mano sulla testa di Louis, e Louis ha voglia di strofinarci contro la faccia, come un gatto che chiede altre carezze, fare le fusa accoccolato sul suo grembo.
 
C’è dell’altro silenzio, ma stavolta non è teso. Harry fuma la sua sigaretta in pace, Louis allunga le gambe e tamburella le dita costantemente tremanti sulle sue ginocchia, si volta ogni tanto per sorridere a Harry, con l’imbarazzo di un ragazzino adolescente.
 
 
Sono quasi le sei quando Harry si mette a sedere e sbadiglia, appoggiando sulle tegole la sua tazza vuota. «Forse sabato andrò a suonare all’Astoria, Niall mi ha convinto, alla fine – vuoi venire a sentirmi?»
 
Louis finge di non essere confuso, annuisce. «Sì, certo.»
 
È ormai giorno, ci sono gli uccellini che cinguettano e, per la prima volta dopo mesi, Harry non ne è infastidito a morte. Sorride a Louis e parla come se stesse pensando ad alta voce. «Lo sai, qui è dove ti ho baciato per la prima volta.»
 
Louis esita, e poi si alza in piedi. Il più antico ricordo che ho di questo posto è la voglia di gettarmi nel vuoto, lo pensa con un’amarezza fastidiosa in gola. Poi si volta, quasi sul punto di tornare dentro, ma si ferma di nuovo. Si accovaccia davanti ad Harry, dice «Io voglio davvero ricordarmi di te, H.» E poi lo bacia.
 
Harry chiude gli occhi nello stupore per quel gesto inaspettato, sente l’ossigeno mancargli, mentre le labbra del maggiore premono contro le sue, screpolate dal vento e dai morsi. Louis ha le guance rosse, negli occhi l’imbarazzo di un bambino e un certo disagio, quando infine si distacca lentamente dal suo viso. Si infila nella mansarda e torna in casa senza una parola.
 

 
Harry non dice nulla. Non ne parla nei giorni seguenti, fa finta di niente, ma non smette un attimo di pensarci. Lo racconta soltanto a Liam quel pomeriggio, alla caffetteria: «L’ha fatto per me... Non voleva, l’ho capito.  Io non voglio che si senta forzato a fare cose del genere.»
 
Sa di aver sbagliato, i primi giorni che Louis era di nuovo a casa, quando ha tentato di portarlo a letto, quando gli ha esposto il suo amore senza rendersi conto che a lui era completamente estraneo. Louis deve avere una tale confusione in testa, e Harry è un completo coglione.
 
 
Più tardi, Louis sta tornando a casa con una busta del supermercato, perché si è detto questo è quello che fa la gente normale: ha comprato il latte, il pane per i sandwich, della schiuma da barba, diverse barrette di snickers, anche se nella dispensa ce n’è ancora un pacco intero.
 
Harry non era ancora a casa, Louis ha posato il sacchetto sul ripiano della cucina, ha riposto ogni cosa al suo posto con cautela, come controllando anche i gesti più naturali.
 
Stamattina si è sentito un deficiente, a baciare Harry così. Non gli ha detto nulla. È passato, in un millisecondo, dal sentirsi come se avesse avuto il mondo in mano, all’avere alla base della gola un prurito e un disagio incredibili, tanto da fargli quasi venire da vomitare.
 
Sospira, seduto sul divano, si massaggia il setto nasale con due dita, poi recupera il cellulare da una tasca dei pantaloni. C’è un messaggio da Harry.
 
Sono un coglione, ma tu non devi fare nulla di ciò che non vuoi fare davvero, nemmeno se è qualcosa che a me può fare piacere. Non devi sentirti costretto da me a fare nulla.
Sono una testa di cazzo, ma tengo a te. Non amarmi per forza. Io sono sempre tuo, ti aspetterei anche sapendo che non torneresti mai.  - H
 
 
Harry sta mestamente preparando cappuccini per un gruppo di ragazzine che non fanno che voltarsi a guardarlo e ridacchiare eccitate, quando legge il messaggio di Louis, sullo schermo dell’iPhone che s’illumina per un istante:
 
Mi dispiace farti aspettare. Prima o poi tornerò. - L






H è pronunciato come la lettera dell'alfabeto in inglese, eich (eɪtʃ).



Ed eccoci, alla fine di questo beneamato quinto capitolo! Come sempre, un abbraccione a chi continua da tempo a seguire la storia, a chi l'ha cominciata da poco, a chi si è addirittura preso il tempo di recensirla, e a chi legge in silenzio.
Per questo capitolo in particolare, un grosso ringraziamento va a flatsound, che mi ha fatto compagnia nel processo di brainstorming.

Come penso avrete notato, leggendo i capitoli precedenti, si nota decisamente quanto il mio stile sia cambiato, rispetto a due anni fa, quanto i personaggi si siano un po' meglio sviluppati, col resto della storia... Prima o poi mi prenderò un momento per editare meglio i primi capitoli: nel frattempo, godetevi questo.
Sto tentando di trovare un modo per scrivere (e postare, ovviamente) con un certo ritmo e più decentemente possibile, così da non lasciarvi troppo a lungo senza aggiornamenti, quindi scusate se per ora sono sparsi e senza una programmazione precisa, ma è qualcosa su cui sto lavorando.
Per ora, spero vi stia piacendo. La storia cresce e si sviluppa lentamente, mi piace particolarmente lo sviluppo Louis, ancora nella sua bolla appannata di confusione, ma che cerca di uscirne nonostante tutto. 

Che ne pensate? Fatemi sapere!
Vi adoro, un bacione enorme. 

 
  
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