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Autore: Melanyholland    20/02/2005    14 recensioni
Per non perdere per sempre la sua Ran, stavolta Shinichi dovrà combattere la battaglia più dura: quella contro se stesso
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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19. East & West

Kogoro si era appisolato sulla scrivania dello studio, la testa poggiata di lato e un rivolo di saliva che gli scendeva all’angolo della bocca; Conan comprese che il fatto che fosse tornato più tardi del solito sarebbe dunque passato inosservato: la casa, ad eccezione dell’investigatore dormiente, era completamente vuota. Nonostante l’assenza di Ran fosse più funzionale ai suoi scopi, non poté fare a meno di sentirsi un po’ impensierito: sperava solo che fosse stata prudente come le aveva raccomandato il giorno prima.

Sospirò, poggiando la cartella a terra e appendendo il giubbetto all’ingresso. Estrasse il suo cellulare dalla tasca, cercando il numero che voleva in rubrica e restando a fissarlo per un po’, il pollice sul tasto che confermava la chiamata. Telefonare o non telefonare..?

Immise un bel po’ d’aria e la buttò fuori. Doveva farlo. Il pericolo era già grande di per sé, avvantaggiare ulteriormente il suo nemico non era decisamente una buona idea. Spinse il fatidico pulsante e stette ad aspettare, chiudendo gli occhi con un’espressione rassegnata; il suo interlocutore gli rispose al quarto squillo:

“Kudo, ciao. È successo qualcosa?” il suo accento del Kansai era più marcato del solito, come accadeva sempre quando era preoccupato. Naturale, finora non l’aveva mai chiamato per motivi non inerenti il lavoro.

“Direi di sì.” Conan prese un ennesimo un respiro profondo. “La cimice ha captato qualcosa.”

“Cosa??”

Notò che cercava di tenere la voce il più basso possibile, con il risultato che era quasi roca.  

“Non posso spiegartelo al telefono, e mi pare che nemmeno tu possa parlare liberamente in questo momento.”

“Già, sto aspettando Kazuha, può sbucare fuori da un momento all’altro…ma cosa facciamo allora?”

Conan aprì gli occhi, aggiustandosi gli occhiali sul naso con espressione seria. Era venuto il momento di chiederglielo. Stava per coinvolgerlo, per metterlo in pericolo, per trascinarlo in qualcosa che, in effetti, non aveva nulla a che fare con lui. Represse una fitta alla bocca dello stomaco.

“Dovresti venire qui. A Tokyo.”

“Bene. Quando?”

“Oggi, il prima possibile.”

Il suo silenzio attonito e pensieroso diceva più di qualsiasi parola, anche considerando che aveva lasciato ammutolito Heiji Hattori. Conan si appoggiò con la schiena al muro.

“Se vuoi, il biglietto aereo te lo pago io. So che dev’essere costoso fare avanti e indietro da Osaka.” Aggiunse, dall’altro capo del filo Heiji sbuffò. “Non è questo il problema, Kudo.” borbottò, quasi bruscamente. “È accaduto qualcosa di veramente serio se mi chiedi di venire lì con tanta urgenza. Sei nei guai, amico?”

Okay, ora era davvero preoccupato. Nonostante tutto, il piccolo detective si ritrovò a sorridere internamente: il ragazzo di Osaka era l’unico amico maschio che avesse mai avuto in vita sua; stava scoprendo che era davvero bello avere qualcuno su cui contare, una persona leale e fidata che gli stesse vicino. Non avrebbe potuto allacciare un rapporto simile con nessuno dei ragazzi che conosceva; aveva sempre fatto a meno di amici, e aveva creduto di non averne mai veramente bisogno, finché questo tizio non si era presentato all’agenzia chiedendo di lui. Certo, le prime volte che l’aveva visto non era riuscito a sopportarlo – e a dir la verità ancora adesso molto spesso aveva una gran voglia di strozzarlo- ma era rimasto suo malgrado piacevolmente sorpreso dal fatto che lui ci tenesse così tanto ad avere la sua amicizia. Insomma, anche solo dopo il loro primo incontro aveva cominciato a chiamarlo ‘il suo caro amico Kudo’, e continuava a fare di tutto per restare il suo migliore amico, come se lo reputasse in qualche modo speciale. Era una cosa che l’aveva lasciato perplesso e gratificato allo stesso tempo.

Inoltre, dopo aver scoperto il suo segreto, il detective di Osaka non l’aveva rivelato ad anima viva; insomma, giornali e tabloid avrebbero pagato bene per la sua storia, avrebbe potuto arricchirsi a scapito di uno che, a conti fatti, era praticamente un estraneo per lui: l’aveva visto appena due volte in tutta la sua vita, per un tempo brevissimo. E come se non bastasse la prima volta Shinichi l’aveva trattato piuttosto male. Chiunque al suo posto avrebbe parlato, ma Heiji aveva taciuto con tutti, persino con la sua amica d’infanzia, senza guadagnarci nulla.

Sì, avere un amico del genere era un’esperienza tutta nuova per lui. Era per questo che, nonostante Heiji fosse davvero irritante e insopportabile alle volte, continuava a frequentarlo. Anche se, naturalmente, non avrebbe mai detto tutto ciò a lui.

“Kudo..?”

“No, non direi, tranquillizzati.” Rispose in tono leggero e noncurante “Ma se vieni subito mi fai un favore. Così possiamo parlarne.”

“D’accordo, passo da casa a prendere qualcosa e…quanto tempo devo restare?”

“Ehm…non lo so con sicurezza…ma è stasera che abbiamo da fare, dunque…”

“Fare che cos…okay, okay, me lo dirai quando sarò lì. I miei non saranno molto contenti, dovrò saltare scuola. Ma immagino che questo sia più importante di qualche lezione, giusto? Cercherò di convincerli.”

Aveva parlato in fretta e senza pause, rispondendo da sé alle sue domande. Conan socchiuse gli occhi: era sempre Heiji Hattori, in fondo.

“Senti, devo portare Kazuha?”

Il piccolo detective rifletté un attimo ponderando la questione: avrebbe dovuto lasciare a casa da sola Ran tutta la notte, con Kogoro. Il che di solito non era un problema, ma ‘l’incontro’ con l’Organizzazione che aveva avuto il giorno prima cambiava le carte in tavola. Per l’incolumità di Toyama, sarebbe stato meglio che se ne restasse a Osaka, ma si sarebbe sentito più tranquillo se Ran fosse stata in compagnia di più persone possibili. Buttò fuori un bel po’ d’aria.

“Se è come penso sarà una nottata un bel po’ movimentata, Hattori. Forse è meglio che lei resti a casa.”

“Oh.”

Era di nuovo in apprensione, lo percepiva. Voleva che stesse il più calmo possibile, Heiji tendeva a prendere decisioni troppo avventate se era preoccupato, e l’ultima cosa di cui aveva bisogno era che succedesse qualcosa fuori dai suoi piani. Stavolta, doveva fare in modo che tutto si svolgesse come l’aveva studiato, perché sapeva che, se avesse commesso anche un solo errore, le persone che stava coinvolgendo e lui stesso sarebbero potuti morire. Contro l’Organizzazione non erano ammesse sciocchezze.

“Tanto per maggior sicurezza.” Aggiunse, sempre fingendo un tono distratto.

“È qualcosa di veramente grosso, vero Kudo?” commentò cupo Heiji, serio. Conan sbuffò: ovviamente lui non si era fatto ingannare dai suoi piccoli stratagemmi. In fondo però ne fu sollevato: era un detective in gamba, doveva smettere di sottovalutarlo e contare su di lui, dato l’affare in cui lo stava coinvolgendo. Non avrebbe potuto chiedere un favore del genere a qualcuno in cui non riponeva la sua massima fiducia, inoltre Heiji se l’era davvero meritata.

Aprì la bocca per dire qualcosa ma udì dietro di sé una chiave che veniva infilata nella toppa della porta d’ingresso. Capì che doveva tagliare al più presto la conversazione.

“Ehm, sì, ma ne parliamo quando sarai qui. Ora devo andare.” Disse in fretta.

La porta si aprì cigolando, una divisa azzurra fece capolino da dietro il legno di frassino.

“Perché? Che è successo??” domandò insistente Heiji, in allarme.

“Niente, tranquillo, solo che…”

“Ciao a tutti, sono tornata.” Esclamò la ragazza con un sorriso.

“…è tornata.” Sospirò, gli occhi sbarrati. Ran gli scoccò un’occhiata perplessa, inarcando le sopracciglia.

“Sei al telefono con qualcuno, Conan?” domandò, piegandosi sulle ginocchia per essere alla sua stessa altezza. Prima che potesse rispondere la voce accentata, modificata dalla cornetta del telefono, lo fece per lui.

“Chi è tornata? Ohi, Kudo..?”

Sembrò quasi che il tempo si congelasse. Ran sbarrò gli occhi, guardando sorpresa il piccolo detective, che era impallidito di colpo, incapace di proferire parole che non fossero balbettii. La voce con l’accento del Kansai nel frattempo continuava a martellare, insistente, il suo vero nome.

Prima che potesse riprendere coscienza di sé e interrompere la telefonata, Ran gli prese il cellulare dalle mani, senza smettere di fissarlo in uno strano modo.

“Hattori-kun?” pronunciò, in tono tiepido.

Silenzio dall’altro capo del filo. Evidentemente, Heiji si era reso conto di ciò che era successo. Quando parlò di nuovo, la sua voce era salita di qualche ottava. “Mouri-kun? Ciao, come va? Ehm…stavo giusto chiedendo al moccioso di Kudo…ehm…se alla fine si era fatto rivedere, cose così.”

“Davvero?” chiese Ran in tono scettico, i suoi occhi non lasciarono mai quelli di Conan, ammutolito davanti a lei.

“Non sembrava che stessi parlando di Shinichi, ma piuttosto con Shinichi.” Commentò, seria, Conan sentì un groppo in gola, impossibile da inghiottire, che gli impediva il respiro.

“Cosa..!?! Ma come ti viene in mente?! Ma dai!!!” ribatté Heiji, in modo davvero poco convincente. Il piccolo detective era certo che di lì a poco il cuore gli sarebbe saltato fuori dalla gabbia toracica, tanto picchiava violentemente contro di essa. Piccole gocce di sudore freddo gli imperlavano la fronte bianchissima.

“Non prendermi in giro.” Aveva parlato con una voce gelida e tagliente, che non le aveva mai sentito prima d’allora e che gli provocò un brivido lungo la schiena.

E così alla fine è successo…mi ha scoperto…e dalla sua faccia sembra proprio che non l’abbia presa bene…per niente davvero…per favore Ran, non guardarmi così non lo sopporto…

“Ran, ecco vedi…” balbettò con voce incerta, cercando di intromettersi.

La ragazza si portò un dito alle labbra, facendogli cenno di tacere, poi continuò.

“Dimmi la verità, Hattori…” chiuse gli occhi un momento, come a voler raccogliere tutta la sua pazienza, poi parlò, dopo averli aperti lentamente. “Shinichi…è lì con te?”

Sembrò quasi che l’atmosfera intorno a loro divenisse più leggera di qualche quintale. Il groppo in gola si sciolse e i polmoni poterono gonfiarsi di nuovo d’aria, il cuore cominciò pian piano a riprendere il suo battito regolare. Conan represse con tutte le forze un sospiro di sollievo e un sorriso.

Dall’altra parte, Heiji sembrò a sua volta più tranquillo. “Beh, ehm…in effetti era qui un momento fa…ma ora è andato via. Ha detto che aveva da fare.” Conan condivise la sua decisione di prendere questa strada: continuare a negarlo sarebbe stato inutile e avrebbe potuto farla avvicinare alla verità. Ran socchiuse gli occhi in un’espressione davvero infuriata. “Non avrei mai immaginato che potesse essere così...idiota.” Conan capì che aveva volutamente cambiato l’epiteto con cui voleva apostrofarlo realmente, forse per non imprecare davanti a un bambino di sette anni. 

“Adesso ho capito perché Conan lo difende sempre. È lui che gli dice di farlo, vero? Approfitta della sua innocenza e dell’ammirazione che prova nei suoi confronti. Povero piccolo. E anche tu Hattori, che gli reggi il gioco, capisco che sei suo amico, ma…” sospirò, scocciata.

“Non è che gli reggo il gioco, cioè, un po’ sì, ma devi capire che…sta passando un momento difficile e gli è impossibile venire da te, adesso. Credimi.”

Ran sbuffò, scuotendo la testa. “Il suo momento difficile non gli crea problemi a venire da te, a quanto sembra. Ma immagino che vi siate visti per lavoro, vero?”

“Ehm…in effetti…”

“Lavoro. Certo, capisco.”

Conan notò che gli occhi di lei stavano diventando lievemente lucidi, e la sua espressione era contratta, innaturale. Dentro di sé, il senso di colpa cominciò a crescere, premendo sulle pareti del suo animo con intense scariche di dolore; la maschera che lei aveva indossato quella mattina era caduta, rivelando il suo vero stato d’animo: Ran aveva l’aria di chi era stata tradita dalla persona più importante che aveva. Conan tese un braccio, raggiungendo la mano di lei, inerme appoggiata alla coscia, e vi posò sopra la propria. Ran batté le palpebre, guardandolo sorpresa, poi gli rivolse quel sorriso così bello e carico di dolcezza che lui amava tanto, stringendo la sua piccola mano con delicata fermezza e facendola scomparire del tutto, con triste amarezza di Shinichi.

Si era dimenticato quanto fossero diventati diversi i loro palmi, cresciuti insieme e rimasti così a lungo simili.

Si era dimenticato che non era la propria, la mano che le stava offrendo sostegno.

Si era dimenticato che Shinichi Kudo non era lì, in quel momento.

“Mouri-kun…” chiamò Heiji, titubante.

“Va tutto bene, Hattori-kun, non preoccuparti.” Lo rassicurò lei, la voce più addolcita. Non aveva ancora smesso di sorridergli, e Conan rispose sorridendo a sua volta, sollevato del suo cambiamento. Sapeva che lei era ancora arrabbiata e ferita, ma era contento di vederla più tranquilla. Se non altro, riusciva ancora a farla stare bene, se voleva. 

O almeno è Conan a riuscirci…

“Devi dire qualcos’altro a Conan?” chiese Ran in tono discorsivo.  

“Ehm, no, ci stavamo salutando…”

“Bene, allora ti saluto anch’io. Devo preparare il pranzo per papà e il piccolo e poi devo fare i compiti. Torna presto a trovarci, mi raccomando, e dì a Kazuha che la chiamerò presto!”

Spense il cellulare, rivolgendo uno sguardo pieno di tenerezza e riconoscenza al piccolo detective, che si sentì arrossire. Dopo qualche minuto passato in silenzio, durante i quali Ran fissò con aria abbattuta la sua mano stretta su quella del piccolo, che accarezzava lievemente con le proprie dita, lo lasciò andare e gli arruffò i capelli con un sorriso più giocoso, ridendo quando lui sbuffò tentando disperatamente di rimettersi a posto la testa spettinata.

“Che vuoi per pranzo Conan-kun?” domandò, mentre si alzava in piedi.

Il suo stomaco, seppure rimpicciolito, sembrava esageratamente grande e infinitamente vuoto. Al pensiero del cibo brontolò con un gorgoglio maleducato. Conan arrossì, lei lo guardò clemente.

“Riso al curry?” propose speranzoso, la pancia approvò con un ennesimo rumorino. Ran considerò la questione, poi annuì. “Sì, dovrei avere tutti gli ingredienti.”

Si diresse verso la cucina, allacciandosi il grembiule. Conan si lasciò cadere sul divano, accendendo la televisione per distrarsi e non pensare ai reclami insistenti del suo ventre e alla saliva che cominciava ad accumularsi in bocca. Non aveva davvero avuto il tempo di pensare al cibo, con tutto quello che era successo, e aveva un gran bisogno di riempirsi lo stomaco. Non metteva niente sotto i denti da quella mattina a colazione, dato che durante la ricreazione a scuola aveva volutamente ignorato la merendina e il cartone di latte che gli avevano dato. Sospirò: aveva ancora un mucchio di cose da fare per quella sera, come avvertire l’ispettore Megure, parlare con Ai dell’antidoto, informare Heiji, preoccuparsi di come rispedire sua madre a Los Angeles; non che gli dispiacessero le sue visite, ma quel giorno era proprio il meno indicato per stare con lei. Comunque, ci avrebbe pensato una volta rifocillato: il cervello, per quanto grande e carico di intelligenza e astuzia, era succube in tutto e per tutto dello stomaco, in quel momento.

Si sintonizzò sul telegiornale e si mise ad ascoltare le notizie.

Dietro di lui, Kogoro scivolò giù dalla sedia svegliandosi con un grido di dolorosa sorpresa emesso dai suoi toni soavi.

 

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Heiji Hattori spense il cellulare, ancora un po’ scosso da quello che era accaduto: aveva sempre immaginato Ran Mouri come una ragazza dolce, sensibile, comprensiva. Nonostante Kudo dicesse spesso seccato che aveva più paura di lei che degli assassini a cui dava la caccia quando era arrabbiata, non gli aveva mai dato molto credito: dietro l’espressione imbronciata del piccolo detective infatti si scorgeva chiaramente un sorriso e uno sguardo carico d’affetto, anche mentre si lamentava di lei. Ma la voce che aveva sentito al di là della cornetta era totalmente diversa dal solito tono caldo e gentile della ragazza di Tokyo: era fredda e tagliente, priva di qualsiasi barlume di tepore, ed era sicuro che non fosse solo il frutto della modifica metallica del telefono; l’aveva trafitto e impressionato, sembrava appartenere non a Ran, bensì al fantasma di quella che era stata una volta. Davvero, ne era rimasto allibito.

Inoltre, le cose che aveva detto…aveva parlato di Kudo quasi come se lo odiasse; c’era un abisso fra le maniere che aveva usato riferendosi a lui mentre facevano colazione insieme e quelle di qualche minuto prima. Incredibile, come il calore dell’amore più sincero e leale si fosse tramutato in quella specie di gelido odio represso. Metteva davvero i brividi. Ma c’era qualcos’altro dietro il ghiaccio…qualcosa che riusciva a identificare con un solo nome:

Dolore.

Era soprattutto questo ad averlo colpito.

Nelle ultime fasi della conversazione il tono si era mitigato, ma l’affettazione sarebbe stata evidente anche al peggior detective in circolazione: Mouri stava fingendo, e poteva avere molte qualità ma era davvero una pessima attrice.

Sospirò, infilandosi le mani in tasca: il ruolo che giocava in tutta quella vicenda gli era più pesante di quanto avesse mai immaginato all’inizio: era lo spettatore consapevole che assisteva agli equivoci e alle incomprensioni fra due persone che gli erano care, ma che poteva fare poco e niente per migliorare le cose. Kudo doveva stare davvero male, perennemente in bilico fra la possibilità di dirle tutto e porre fine alle sofferenze, trascinandola però nel pericolo di essere uccisa, e starsene in silenzio vedendola al sicuro fisicamente, ma pian piano crollare sotto i colpi delle sue continue bugie, lentamente mettendola contro l’altra parte di se stesso, quella che non poteva mostrarle. Mouri, dall’altro lato, che continuava ad aspettare il suo ritorno, soffrendo la sua apparente lontananza, mettendo a dura prova la sua fiducia in lui, una fiamma che gradualmente si stava spegnendo e che lei non riusciva più a ravvivare, spossata da tutte le volte in cui era stata ferita e delusa dalla persona che amava di più al mondo. Credendo forse di non importare molto per lui, che invece osservava tutto e ne soffriva, quanto e più di lei.

Sì, Heiji assisteva a tutto questo, incapace di porvi rimedio in qualche modo. Avrebbe tanto voluto aiutare Kudo, era il suo migliore amico, sapeva che non si meritava di essere odiato dalla ragazza a cui teneva così tanto. Insomma, se avesse sentito Kazuha parlare di lui con quel tono di voce, quelle parole...riusciva a immaginare il dolore che stava provando. Voleva fare qualcosa per Kudo…e per Mouri, naturalmente. Non si erano mai frequentati molto, ma gli era subito piaciuta, i suoi modi gentili, il suo carattere. Sì, era decisamente una ragazza a posto. Anche perché era la persona amata da Kudo, e ciò già diceva tutto.

Scoccò un’occhiata all’orologio e sbuffò: Kazuha ci stava mettendo davvero troppo; lui doveva prendere l’aereo e raggiungere Tokyo al più presto, il fatto che il suo rivale avesse richiesto la sua presenza così urgentemente non lo tranquillizzava per niente: Kudo non era tipo da chiedere aiuto, sempre orgogliosissimo e presuntuoso, di solito era il vecchio suo vicino di casa a chiamarlo per chiedergli di venire in soccorso. Se perfino il signor So-Tutto-Io aveva capito che aveva bisogno di rinforzi, doveva essere davvero una faccenda seria. Che avesse trovato il quartier generale dell’Organizzazione e volesse attaccarlo?? Non gli aveva detto molto, anzi, proprio nulla, ed era davvero curioso di sapere in cosa stava per cacciarsi. Giusto per una preparazione psicologica, niente di più: non avrebbe certo abbandonato nel momento del bisogno il suo miglior amico! Era una gran seccatura però dover viaggiare di nuovo: i suoi genitori avrebbero fatto un mucchio di storie, probabilmente avrebbe dovuto pagarsi da solo il biglietto. Tutto sommato, avrebbe fatto meglio ad accettare l’offerta di Kudo: lui era ricco e non ne avrebbe sofferto granché.

“Heiji!” Kazuha arrivò trafelata accanto a lui, il fiocco bordeaux della divisa scolastica alla marinara e la gonna a pieghe che ondeggiavano a ritmo col vento. I suoi capelli erano legati come al solito dietro la testa, con un nastro rosa pastello, e la coda si intravedeva alle sue spalle cadere con una morbidezza unica. Il viso era arrossato per la corsa, gli occhi di un verde deciso. Heiji notò tutto questo, e anche un altro paio di particolari interessanti che gli diedero molte più risposte di quante ne avrebbero date a una qualsiasi altra persona. Sorprendente, quanto ancora potessero divertirlo le sue abilità deduttive. Per il momento però, era meglio tenere le sue deduzioni per sé: Kazuha sembrava già di cattivo umore.

“Ce l’hai fatta finalmente! Quanto cavolo ti ci vuole a sistemare un’aula?” esclamò, con tono seccato.

“Non è stata colpa mia!” si difese lei, con aria indispettita. “Yuko aveva il turno di pulizia insieme a me oggi, ma si è defilata dicendo che aveva un impegno! Ho dovuto fare tutto da sola!” incrociò le braccia con uno sbuffo, le sopracciglia inarcate; il suo viso imbronciato aveva un fascino unico al mondo, sul serio.

“E poi, se non ti andava di aspettare, potevi raggiungermi! Se mi avessi aiutato, avremmo finito prima!”

Heiji sorrise internamente, dato che sarebbe stato imprudente farlo all’esterno: era proprio per quello che aveva evitato di andarla a chiamare. Se c’era una cosa che odiava, era fare le pulizie: il suo turno era stato quattro giorni prima e ne aveva avuto abbastanza, grazie tante.

“Forse hai ragione.” Scrollò le spalle, cominciando a camminare verso il cancello dell’istituto, attraversando il cortile, con Kazuha che fu subito al suo fianco. Come sempre. Incredibile quanto un gesto tanto semplice e innocente potesse far sentire così bene.

“Senti, hai presente la ricerca di storia che c’è da fare per domani?” chiese lei ad un tratto, lui annuì.

“Beh, ti andrebbe di farla insieme oggi pomeriggio?” Il tono della sua amica d’infanzia sembrava speranzoso, cosa che gli fece inspiegabilmente piacere. Tuttavia, sapere di doverle dare una delusione lo fece subito sentire peggio.

“Mi spiace, ho un impegno, proprio non posso.”

“Di che si tratta?” Domandò Kazuha, e anche se non si era voltato, poteva sentire gli occhi di lei puntati su di sé. Il suo tono di voce aveva una profonda nota di disagio e una velata tristezza. Comprensibile, visto cosa era accaduto l’ultima volta che le aveva detto di avere un impegno. Si accorse di doverle di nuovo mentire e sentì un moto forte di senso di colpa crescere dentro di lui, nonostante non stesse cercando di nascondere nulla di terribile. Insomma, non stava uscendo con un’altra o roba simile. Cioè, avrebbe potuto farlo, non stavano insieme, ma sapeva che per qualche strana ragione sarebbe stata una cosa orribile nei confronti della sua amica d’infanzia.

All’improvviso, gli tornò in mente il viso di lei a pochi centimetri dal proprio, il suo profumo buonissimo, come di mirtilli, il calore della sua pelle, la sensazione del suo respiro che soffice si posava sulle sue labbra…

Arrossì di colpo, incespicando nei propri piedi, e si rese conto che non aveva lui stesso molta voglia di uscire con un’altra. Insomma, stava davvero per succedere ciò che pensava?? Era così vicina, così dolce…se solo quella strana ragazza non li avesse interrotti!! Un moto di profondo risentimento si fece strada nel suo animo, mentre socchiudeva gli occhi innervosito.

“Allora?” insisté Kazuha, fermandosi davanti a lui. Heiji la guardò dall’alto in basso, avvantaggiato dalla sua statura superiore, aggrottando la fronte: cosa doveva dirle adesso? Kudo gli aveva suggerito di non portarla con sé, e se lei avesse saputo che andava a Tokyo avrebbe insistito per seguirlo. Ma sua madre l’avrebbe informata di certo, erano molto amiche: dunque tanto valeva raccontarle subito la verità.

“Devo tornare a Tokyo. È per lavoro.”

“Cosa?? Quale lavoro?” chiese lei stupefatta.

Lui sfoggiò uno dei suoi tipici sorrisi a trentadue denti.

“Devo ritrovare i genitori di Ellery, me l’ha chiesto ieri sera in aereo.”

“Dai Heiji!” esclamò lei, alzando gli occhi al cielo.

“È vero! Li hanno divisi quando era nell’uovo! Devo cercarli, è importante.”

Accelerò il passo, Kazuha cominciò a sua volta a correre, la gonna a pieghe che ondeggiava a ritmo con i suoi movimenti, concedendo qualche rapida vista delle sue cosce.

“Non scherzare! Perché non vuoi dirmelo?”

Heiji sbuffò, scuotendo la testa. “Kazuha, usa il cervello qualche volta. Se non te lo dico, vuol dire che non posso.” Ribatté seccato, visto che l’approccio ironico non aveva funzionato. Sperò di aver infuso nel tono la giusta nota di irritazione e rabbia, per scoraggiarla a insistere. La sua amica d’infanzia lo guardò tristemente, solo un pochino scocciata, poi gli fece la domanda che temeva di più, quel giorno.

“Posso venire con te?”

Si fermò. Il modo in cui lo stava guardando, gli occhi verdi e profondi che si fissavano nei suoi, le labbra dischiuse… si diede uno scossone mentale, riuscendo in tempo a bloccare il rossore. Ultimamente gli ormoni gli stavano dando più problemi del solito, si accorse.

“Che vieni a fare? Vado lì per lavoro, ti annoieresti solamente.”

“Potrei stare con Ran.” insisté imperterrita.

Heiji sospirò; non era mai stato un tipo paziente, e cominciava davvero a innervosirsi.

“L’hai vista ieri, non puoi presentarti ogni giorno a casa sua a mangiare a sbafo. Smettila di insistere.” Sbottò, riprendendo a camminare. Kazuha sembrava piuttosto contrariata.

“Ma la cosa non crea problemi se sei tu a farlo, mi sembra!” gli gridò dietro, in collera, Heiji si strinse nelle spalle e non si voltò. Non gli piaceva per niente discutere con Kazuha in quel modo, ma doveva ripetersi che lo stava facendo per il suo bene: il tono di voce di Kudo era grave, carico di apprensione dietro quella falsa sfumatura casuale, doveva trattarsi di una cosa seria, oltre gli standard a cui erano abituati. Senza contare che c’era di mezzo l’Organizzazione…non si sarebbe mai perdonato se le fosse successo qualcosa per essere stata coinvolta in quella faccenda; mille volte meglio che se ne restasse a Osaka, a fare quella tanto noiosa quanto priva di rischi ricerca di storia.

Camminarono in silenzio per un po’, lui guardandosi intorno, lei fissando il marciapiede. Non capitava spesso che fossero così a disagio l’uno con l’altra, nonostante discutessero di frequente. Insomma, erano cresciuti insieme, i litigi erano sempre stati una realtà costante della loro vita quotidiana, anno dopo anno, che fosse per chi doveva usare lo scivolo per primo o per chi dovesse decidere il film da vedere al cinema, o qualsiasi altra cosa. Ma adesso, c’era uno strano freddo intorno a loro, e Heiji non capiva il perché: dopotutto non era stata una discussione così violenta, anzi, ne avevano avute di peggiori. Lanciò un’occhiata alla sua amica d’infanzia, ma poteva scorgere solo la sua chioma di capelli corvini dalla propria visuale, e non fu in grado di dedurre nulla riguardo al suo comportamento. Poi lei parlò di nuovo, senza alzare la testa, con un tono di voce così flebile che se ci fosse stato un colpo di vento avrebbe portato via le sue parole.

“Perché non mi vuoi con te, Heiji?”

Rimase stupefatto: la sua domanda era carica di una tristezza e di un’afflizione che non le aveva mai sentito, come se fosse stata in qualche modo ferita dal suo rifiuto, ma nel profondo. Anche questo lo lasciò perplesso: non era la prima volta che andava a Tokyo senza di lei, e nonostante spesso ci fosse rimasta male, non aveva mai dato tanto peso alla questione. Cosa c’era di diverso quel giorno? Cos’era che rendeva così grave la cosa? Sospirò; qualsiasi cosa fosse –e sperava che non credesse di nuovo che avesse un’altra, altrimenti sarebbe stata davvero ridicola- ora doveva pensare solo a tranquillizzarla. Odiava vederla così triste. Lo faceva sentire male dentro, come se qualcosa stesse marcendo all’interno del suo corpo. La sensazione opposta a quella meravigliosa che provava ogni volta che la vedeva sorridere.

“Non essere stupida. Non è così.” borbottò, sentendo le guance in fiamme e guardando nella direzione opposta a quella in cui si trovava lei. “Ma è meglio se resti qui, fidati di me.”

“Heiji…”

“Basta con le domande. Per favore.” Aggiunse, quando si accorse di essere stato troppo brusco. Ebbe il coraggio di voltarsi verso di lei e si accorse che ora lo stava guardando, con quei suoi occhi così stupendamente luminosi, di quel verde tenero e brillante allo stesso tempo.

“Va bene.” Si arrese Kazuha, annuendo e distogliendo lo sguardo. Purtroppo sembrava ancora piuttosto crucciata. Cosa poteva dire di più per farla sentire meglio, si chiese con amarezza.

“E quando torno, potremmo…ehm…” era possibile che la faccia gli prendesse fuoco dall’interno? Da quello che stava provando non era da escludere. “…cenare insieme da qualche parte. Se ti va. Oppure non so…vedere un film…lascerei scegliere a te.” Disse esitante, distogliendo lo sguardo da quello di lei. Quando parlò di nuovo, il tono della sua amica d’infanzia aveva ripreso colore.

“Oh magari! Sarebbe fantastico!!” esclamò, prima di diventare all’improvviso tutta rossa accorgendosi di quello che aveva detto. Heiji non si lasciò sfuggire l’occasione per scoccarle uno dei suoi sorrisetti ironici e divertiti.

“C-Cioè, non intendevo dire che...che sarebbe fantastico uscire con te…”

“Ah. Beh, se dev’essere un sacrificio possiamo farne a meno, sai.” Ribatté, fingendosi offeso. Il viso di Kazuha ormai si confondeva col fiocco della sua divisa.

“No! Mi piacerebbe…ma io prima mi riferivo al film…al fatto che potevo scegliere e..” si fermò di colpo, quando si accorse che Heiji aveva cominciato a ridacchiare, non riuscendo più a trattenersi. Capì di essere stata presa in giro da lui. Di nuovo.

“Sei un idiota!!” gli gridò contro, colpendolo in testa con la cartella e ignorando il suo lamento di dolore.

“La sai una cosa?? Non so se mi va poi così tanto di uscire con te, stupido!!”

Si allontanò, indispettita, lasciandolo indietro a massaggiarsi il punto in cui l’aveva colpito, con le lacrime agli occhi.

“Ma dai, stavo scherzando! Ehi, Kazuha!” La raggiunse quasi subito, sempre tenendosi la nuca dolorante con la mano,       

 internamente sollevato perché la situazione era tornata alla normalità. Non gli piaceva sentirsi a disagio con lei.

Accanto a lui, Kazuha Toyama sorrise rincuorata all’orizzonte, le guance rosa acceso, solo un fioco barlume di tristezza negli occhi.  

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~* 

 

Conan scostò il simulatore dalla bocca, interrompendo la telefonata: la polizia era stata avvertita. L’ispettore Megure e alcuni dei suoi uomini più fidati gli avrebbero coperto le spalle durante l’operazione, con la massima discrezione. Attraverso la ragionevole paura che provava, non poteva fare a meno di sentirsi eccitato all’idea di poter finalmente sbarazzarsi di quei due demoni; quanto aveva atteso quel momento! Gin e Vodka avrebbero pagato caro l’affronto che gli avevano fatto, rovinando il suo appuntamento con Ran e somministrandogli quell’orribile composto. Li avrebbe fatti pentire di essersi messi contro Shinichi Kudo, il grande studente-detective di Tokyo.

Beh… in quanto a ‘grande’ si potrebbe avere qualcosa da ridire al momento…comunque…

Sorrise, infilandosi le mani in tasca e cercando di scorgere tra la folla la faccia conosciuta del suo corrispondente di Osaka; aveva deciso di andargli incontro all’aeroporto, non poteva permettere che si presentasse all’agenzia: i Mouri non dovevano sapere niente della sua visita. Aveva detto a Ran che andava in biblioteca a cercare un libro da leggere per scuola, pronto a declinare il suo invito ad accompagnarlo, ma stranamente lei aveva accondisceso subito, senza nemmeno fargli le solite domande del tipo “Quando torni” e “Con chi vai”; era una cosa che l’aveva lasciato un po’ perplesso.

Si strinse nelle spalle, scoccando un’occhiata all’orologio e sbuffando; meno male che gli aveva detto subito.

Aveva anche chiamato casa del professor Agasa per chiedere se avessero captato qualcos’altro di interessante, ma a parte alcuni spostamenti all’apparenza senza importanza di Gin –aveva cenato in un ristorante e ora si stava muovendo in macchina- rumori incomprensibili e discorsi senza peso, non sembrava essere accaduto nulla. Non sapeva decidere se fosse una cosa positiva o meno, ma al momento aveva già abbastanza da fare senza aggiungere altre rogne, quindi concluse che era meglio per tutti che Gin se ne stesse un po’ tranquillo. Aveva approfittato della telefonata anche per informarsi sul composto che stava preparando Ai, ma la bionda scienziata si era chiusa in laboratorio con la pretesa di non essere disturbata per nessun motivo, e il professore gli aveva confidato che quando era così decisa e autoritaria preferiva non contraddirla; lui disse che era perché sarebbe stato scortese interromperla mentre lavorava, ma le proprie orecchie da detective gli avevano fatto cogliere nitidamente l’inquietudine nella voce del suo anziano vicino di casa: probabilmente il professore aveva anche un po’ paura a mettersi contro di lei.

Sospirò, cominciando a battere la suola di una delle sue scarpe da tennis a terra, aspettando. Il prossimo volo da Osaka sarebbe arrivato un’ora più tardi, perciò sperava davvero che Hattori fosse su quello appena atterrato: faceva freddo e non aveva alcuna intenzione di restare lì tutto il pomeriggio, senza fare nulla di costruttivo: come il suo idolo Sherlock Holmes, anche Conan non sopportava di annoiarsi, aveva bisogno di essere sempre attivo mentalmente e fisicamente.

E a proposito di cose che gli davano fastidio: quel maledetto nodo alla testa non accennava a sciogliersi. C’era qualcosa di importante che gli sfuggiva, nella sua testa si era accesa la luce rossa lampeggiante di emergenza, che lo esortava a risolvere il suo piccolo mistero personale prima che fosse troppo tardi: il problema era che proprio non riusciva a realizzare cosa fosse. Aveva rivisto mentalmente tutto quello che gli era successo in quegli ultimi due giorni, dall’incontro con quella strega di Vermouth, alla lotta con Gin e Vodka a quello che aveva ascoltato quella mattina ma niente. Vuoto totale. Non c’era nessun particolare che aveva trascurato che avrebbe potuto metterlo in pericolo. Dunque quelle cose non c’entravano, poteva escluderle: ci aveva rimuginato sopra tante di quelle volte che se quella sensazione era davvero connessa a quegli eventi e lui ancora non aveva colto il nesso, poteva anche smettere di fare il detective.

Ripartiamo da zero allora: quando esattamente ho cominciato ad averla??

Quello stesso giorno, a casa del dottor Agasa; c’era stata quella stupida battuta sul film con Eddie Murphy, poi…

“Ehi, Kudo!”

Sussultò, ritrovandosi davanti il detective del Kansai, che lo guardava dall’alto in basso.

“Quasi non ti vedevo in mezzo a tutta questa gente, insomma, sei un nanerottolo, potevi sventolare una bandiera rossa, o metterti in testa uno di quei coni fosforescenti della stradale…non so…”

Conan lo fulminò con lo sguardo, per nulla divertito; Heiji d’altro canto sorrideva beato, fiero di se stesso per essere così spiritoso.

“Andiamo.” Borbottò il piccolo detective, serio, cominciando a incamminarsi. Il ragazzo di Osaka lo seguì docile, senza però smettere di sghignazzare fra sé e sé.

Uscirono dall’aeroporto, e dopo aver camminato per un po’ si trattennero vicino alla fermata dell’autobus.

“Credevo fossi venuto a prendermi in limousine” commentò Heiji con tono deluso, ma con la sua solita aria allegra, mentre aspettavano il mezzo. Conan sbuffò.

È qui da due minuti e già mi sto pentendo della mia decisione…

“Riuscirai a dire qualcosa di serio prima o poi?” brontolò, senza guardarlo.

“Qualcosa di serio.” Lo sentì ribattere.

“Beh, questa è vecchia come battuta. Puoi fare di meglio.” commentò con un sorrisetto. Tanto valeva stare al gioco, si disse, in fondo ci sarebbe stato tempo per la tetraggine quella sera.

“Vero.” Annuì Heiji con entusiasmo immotivato “Ma ero distratto dall’immagine di te con il cono in testa. Impagabile!” Ridacchiò, mentre Conan sospirava, poi si fece meditabondo “Chissà se potrei…”

Heiji gli lanciò un’occhiata che non gli piacque per niente, Conan si imbronciò immediatamente.

“Qualsiasi cosa tu stia pensando, scordatelo.” Grugnì, scoprendo i denti; Heiji lo osservò in silenzio per qualche altro minuto, poi scrollò le spalle e distolse lo sguardo con uno strano sorriso a fior di labbra.

L’autobus arrivò qualche tempo dopo, affollatissimo, e i due fecero una bella faticaccia per riuscire a salire; Conan in particolare, date le sue dimensioni, rischiando di essere calpestato ben due volte. Comunque, a parte la scomodità e il caldo, riuscirono ad arrivare in fretta a destinazione, scesero e raggiunsero un locale piuttosto frequentato vicino al centro di Beika, sedendosi a bere un caffè. Il chiacchiericcio intorno a loro era fitto, le conversazioni dei vari tavoli si mischiavano fra loro, confondendo suoni e voci e quindi rendendo impossibile estrapolare i singoli discorsi. Conan sorrise con aria compiaciuta: era proprio il posto perfetto per loro. Spostò lo sguardo verso il suo collega, seduto davanti a lui, e dalla sua espressione capì che le motivazioni per cui l’aveva portato lì gli erano chiarissime.

“Racconta.” Disse semplicemente, sostituendo alla faccia allegra  un cipiglio sveglio e attento, quello che gli vedeva sempre mentre investigavano insieme. Sorrideva ancora, ma i suoi occhi erano seri e astuti, le sopracciglia inarcate in una profonda concentrazione. Restò con quella posa durante tutta la sua spiegazione, annuendo ogni tanto quando Conan si fermava a riprendere fiato o a riconsiderare qualche punto, dando segno di aver capito. Quando completò il suo racconto, il piccolo detective prese fra le mani la tazzina e bevve un lungo sorso di caffè caldo, mentre Heiji, davanti a lui, strappava un pezzetto di tovagliolo e cominciava ad appallottolarlo distrattamente.   

“Così stasera dovremmo andare a catturarli…”

Conan annuì.

“…e tu probabilmente sarai di nuovo adulto.”

“Se Haibara riesce a preparare l’antidoto, sì.”

Heiji sospirò, lasciandosi andare con la schiena contro la sedia e guardando per qualche minuto le pale del ventilatore sul soffitto, nel loro lento girare. Conan non disse nulla, lasciandogli il tempo di riflettere su quanto gli aveva appena rivelato; capiva che non doveva essere facile trovarsi implicati in un affare del genere. Alla fine, il ragazzo del Kansai inspirò ed espirò profondamente.

“Adesso capisco perché mi hai consigliato di lasciare Kazuha a casa; sarà pericoloso, vero?”

“Più di quanto abbiamo mai dovuto affrontare, sì.” confermò pacato, in un mormorio denso di pesante consapevolezza.

“Ma voglio che sia chiara una cosa, Heiji.”

Il detective di Osaka, colpito dalla gravità del tono, incrociò lo sguardo del detective di Tokyo: i suoi occhi blu erano solenni, carichi di stanchezza e determinazione allo stesso tempo, si fissavano diritti in quelli di lui senza traccia di esitazione, sembrava quasi che avesse smesso perfino di battere le palpebre.

“Ti ascolto.”

“Non sei obbligato a fare quello che ti chiedo. So che è molto di più di quanto avrei il diritto di esigere da te, e ti giuro che non ti biasimerò se vorrai rifiutare. Io sono nei guai, io mi sono messo contro l’Organizzazione, tu non c’entri niente. È ingiusto coinvolgerti in tutto questo, perciò non voglio che ti senta in obbligo di darmi una mano. Puoi decidere di alzarti e andare via in questo momento e io non farò nulla per fermarti, né la cosa cambierebbe in alcun modo il rapporto che c’è tra noi. Pensaci bene, quindi, se accettare o meno, perché i criminali contro cui dovremmo metterci sono ad un livello molto più alto rispetto ai nostri soliti standard. Te ne rendi conto anche tu. Potremmo morire in questa missione, Heiji. Perciò, rifletti bene, e sappi che, qualsiasi sarà la tua decisione, non cambierà niente.”

Detto questo, Conan distolse lo sguardo da quello di lui, incrociando le braccia e lasciandosi andare a sua volta contro lo schienale. Heiji restò in silenzio per un po’, sul viso un’espressione pensosa e indecifrabile, fissando un punto imprecisato davanti a sé. Quando finalmente parlò, non più di due minuti dopo, lo fece con un tono calmo e serio, carico di distratta gravità, che raramente gli aveva sentito.

“So che non sono obbligato, Kudo. L’ho sempre saputo. Se vengo qui per darti una mano non è certo perché ho paura che tu possa non voler più essere mio amico o roba del genere. Lo faccio perché voglio aiutarti.”

“Va bene, ma stavolta…”

“Stavolta non c’è niente di diverso.” Lo interruppe, di nuovo i loro sguardi si incontrarono “Okay, è pericoloso, potrei morire, ma sono i rischi che ho accettato di correre nel momento in cui ho voluto fare il detective. Se mi tirassi indietro ogni volta che il fantasma della morte aleggia sulla mia testa, non avrei nemmeno il diritto di essere un investigatore, e di certo non ho scelto questo lavoro per starmene al sicuro. Mi offende sul serio il fatto che tu pensi che possa essere così vile da…”

“Non è questione di essere vili” si difese Conan in fretta “quanto…”

“Sì invece.” Lo interruppe di nuovo “Il mio lavoro è combattere contro il crimine per aiutare le persone, ed è quello che ho intenzione di fare. Forse io non sono mai stato negli obiettivi dell’Organizzazione, ma non puoi dire che non ha niente a che fare con me; ha cominciato a riguardarmi nel momento stesso in cui ne ho conosciuto l’esistenza. E soprattutto, se credi che lascerei nei guai il mio migliore amico solo per proteggermi, non hai capito proprio niente di me.”

Abbassò gli occhi sul suo caffè. Conan restò a guardarlo imbambolato, sconcertato da quella dimostrazione di assoluta lealtà, ma non del tutto sorpreso: nel fondo del subconscio si era aspettato quella scenata di indignazione. Ma dopotutto aveva dovuto dire quelle cose, non aveva avuto altra scelta. Era obbligato a lasciargli una chance per tirarsene fuori, o non se lo sarebbe mai perdonato. Sperava che Heiji lo capisse. Trasse un respiro profondo:

“Heiji, non intendevo offenderti, so che sei un bravo detective, è solo che…” buttò fuori l’aria, indeciso su come continuare e molto a disagio internamente. Forse aveva davvero ferito i suoi sentimenti, ed era una cosa che lo lasciava scombussolato e in colpa. 

“…solo che sei un perfetto idiota che non riflette prima di parlare, sì, lo so.” Suggerì Heiji serio, Conan annuì prima di realizzare il significato delle sue parole, in netto contrasto col suo tono e l’atmosfera creata.

“No che non lo sono!!” replicò quasi urlando, seccato dall’essere stato ingannato da un trucchetto così stupido e in imbarazzo per essersi sentito tanto in colpa. Heiji cominciò a ridacchiare malignamente al suo indirizzo, cosa che fece crescere la sua irritazione a livelli stellari.

“E piantala di ridere, antipatico!”

Sbuffò, imbronciato, incrociando le braccia e distogliendo lo sguardo dal volto di lui: il suo sorrisetto gli dava sui nervi. Purtroppo però non poteva fare nulla per gli sghignazzamenti che continuava a sentire.

“Idiota” borbottò contrariato “comincio a pensare di non aver bisogno dell’aiuto di un detective mancato come te, Hattori.”

“Un minuto fa hai detto che  sono in gamba, Kudo, sii coerente.” Replicò lui in tono leggero, asciugandosi una lacrima che era sfuggita alle sue ciglia per il troppo ridere.

“Hmph.”

“È in momenti come questi che rimpiango di non avere con me un registratore.” Considerò Heiji dopo un po’.

È in momenti come questi che apprezzo di più la mia vita…

Pensò Conan ringraziando il cielo; era già abbastanza umiliante senza aver bisogno di una documentazione per i posteri.

“Beh, che ne dici di andare a casa del tuo vicino per prepararci a stasera, Kudo?” propose il ragazzo di Osaka.

Il piccolo detective annuì, alzandosi e dirigendosi verso la porta senza dar segno di notare il pezzo di carta che la cameriera aveva lasciato sul loro tavolo.

“Ehi, Kudo, il conto! Devi pagare la tua metà.”

“Io sono un bambino.” Replicò Conan, confezionando la sua espressione più innocente e sorridendo: “Non pretenderai che paghi per me.”

Uscì, senza dargli il tempo di ribattere, sentendosi un pochino meglio per quella sua piccola rivincita. Non molto, perché il punteggio delle loro battaglie personali era ancora a favore di Hattori, ma almeno aveva segnato un gol a fine partita, e poteva ritenersi soddisfatto. Sorrise nel vedere il viso di Heiji, contratto in una smorfia seccata, quando ricomparve al suo fianco.

“Questa me la paghi, Kudo.” sussurrò Heiji ostile, in tono minaccioso.

Conan smise improvvisamente di sorridere. 

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~* 

 

“Allora hai capito? Credi di poter venire?”

“Non lo so…” rispose titubante la voce al telefono. “È che Heiji ha detto di no e io non so se…”

“Hattori-kun sarà con Shinichi, no? Sono quasi certa che lui sappia.” Ran sospirò “Kazuha-chan, è così difficile da credere…vorrei che tu sia con me in quel momento. Chiederei a Sonoko, ma lei non c’entra niente con questa storia, e se è vero, Hattori sta ingannando te, e quindi tu hai diritto di sapere quanto me.”

“Forse hai ragione.” Concluse la ragazza di Osaka, con un sospiro. “Allora quando?”

“Oggi, se non è un problema; vorrei risolvere la questione al più presto.”

Un silenzio meditabondo dall’altra parte del filo, poi un sospiro profondo.

“D’accordo, Ran-chan. Credo di poter convincere i miei. Male che vada, non sarò costretta a fare quella stupida  ricerca.”

“Uh?”

“Lascia stare.” Tagliò corto la ragazza del Kansai. “Verrò, e faremo questa cosa insieme.”

“Grazie mille, Kazuha-chan.” E non era un modo di dire: Ran le era veramente riconoscente. Il colloquio con la madre di Shinichi l’aveva lasciata piena di interrogativi, ed era ansiosa di far luce su quella faccenda.

Salutò Kazuha e riappese il ricevitore, fissando attraverso la finestra il cielo che si andava annuvolando sempre di più; si ravviò i lunghi capelli scuri dietro le spalle con un gesto distratto e allo stesso tempo elegante, cominciando a sbottonarsi senza pensarci la giacca azzurra per togliersi la scomoda divisa scolastica e indossare qualcosa di più comodo. Finalmente era arrivato il momento di scoprire la verità; giurò a se stessa che da quel giorno in poi non avrebbe permesso più a nessuno di ingannarla, proprio come le aveva insegnato il suo amico d’infanzia. Avrebbe chiarito tutto e avrebbe smesso di soffrire e di aspettare, non l’avrebbe più presa in giro. Perché stavolta si sarebbe fatta spiegare tutto, non avrebbe accettato bugie da lui.

Si infilò un paio di jeans chiari e una camicetta candida a righe dello stesso celeste tenero dei suoi occhi, con sopra un giacchetto rosa pastello, slacciato. Si diede un’ultima aggiusta allo specchio della sua stanza, scoccando una profonda occhiata al riflesso della cartella posata sul letto, dietro di lei.

Così Yukiko pensava che quella fosse la soluzione ai suoi problemi? Non sapeva davvero cosa pensare al riguardo.

Beh, stiamo a vedere come andrà a finire, ok?

L’avrebbe visto, e avrebbe capito, ne era sicura. Perché come diceva sempre Shinichi, “Esiste una sola verità”.

Ed era giunto il momento di scoprirla.

 

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 Note dell’Autrice: Eccomi qua, è abbastanza presto? Dato il considerevole ritardo dell’ultima volta ho fatto di tutto per aggiornare il prima possibile questo capitolo, e spero di aver raggiunto il mio scopo, alla faccia di prof sadici che riempiono di compiti, di rappresentanti d’istituto che convocano comitati studenteschi a uffa, di seminari giuridici alle peggiori ore del pomeriggio ecc. Spero che la velocità non abbia in alcun modo avuto conseguenze negative sul capitolo (in fondo non sono stata poi così veloce) e che vi sia piaciuto. La mia parte preferita è il colloquio fra i due detective alla caffetteria, adoro quei due ^__^. Ancora molte chiacchiere e niente azione, ma vi prometto che ce ne sarà in abbondanza nei prossimi capitoli, quindi è meglio lasciare il tempo di riposarsi ai personaggi. Beh, come al solito ringrazio tutti i lettori e in particolare chi ha commentato, siete grandissimi! Passo subito alle risposte singole, e ci rivediamo (si fa per dire) con chi vuole alla fine, per le solite piccole note:

Vì-chan: ciao! È sempre bello ritrovarti, sono contenta che sia una cosa su cui possa contare anche per il futuro. Avevo paura di aver esagerato coi flash-back nello scorso capitolo, ma tu mi hai tranquillizzata. Thanks! #^^# Per quanto riguarda le tue domande…beh, non pretenderai che scopra così le mie carte! Leggi e saprai tutto. In fondo, cosa sarebbe un racconto di detective senza un pizzico di mistero? ^ _ ~

Hoshi: salve! Sono contenta che ancora una volta il mio capitolo ti sia piaciuto, ma sono ancora più contenta che tu mi faccia una domanda su Detective Conan: le adoro! ^//^ Allora: c’è una scenetta molto carina sul manga riguardo alla questione “età di Ai”, che io ho letto in inglese e che ho salvato in un qualche floppy (tanto per precisare che non invento storie, ma che le mie conoscenze sono tutte comprovate da determinati volumi; non riusciresti a immaginare quante stupidaggini girano in rete sull’argomento, infatti prima di credere a qualunque cosa leggo su internet io cerco sempre un riscontro reale): la scena si svolge allo stadio, dove i detective boys sono andati a  vedere una partita di calcio. In effetti, quando Conan chiede alla biondina quale sia la sua vera età, lei spara una cifra come 84, lasciando perplesso e stupito il piccolo detective. L’ennesimo caso li distrae dal loro discorso, che riprendono alla fine della storia, quando Conan si rivolge a lei dicendogli una cosa del tipo: “Dovrò cominciare a chiamarti nonna, allora?” Ai sorride e gli rivela che stava scherzando, precisando che in realtà ha 18 anni, e aggiungendo sotto voce “Proprio l’età giusta per te.” Ti assicuro che la faccia di Conan a quel punto è tutto un programma. Dunque non penso che possa essere considerata una pedofila, in fondo ha solo 1 anno più di Shinichi. Soddisfatta della risposta? ^^

Mareviola: ma dai! Non ti sparerei mai con un mitra, mi è stato insegnato che è meglio non lasciare troppe tracce quando si fanno questo genere di lavori.:P  Eh eh eh…ti spaventeresti se ti dicessi che mi hanno fatto realmente questa raccomandazione? Comunque, ancora non si è fatta luce su molte questioni riguardanti la storia, spero che il capitolo ti sia piaciuto e che continui a seguirmi. E non rubarmi le battute!

Sabry1611: ciao! Come al solito le tue recensioni mi fanno salire al settimo cielo, sei davvero carinissima! #^^# Io,una scrittrice in incognito!? Ma va! Se continui a farmi complimenti di questo tipo mi monterò la testa! Comunque, le intenzioni di Yukiko si scopriranno presto, te lo prometto, nel prossimo capitolo…o magari in quello dopo…o in quello dopo ancora…beh, prima o poi si saprà tutto. Povera Sabry! Davvero ti ho fatto soffrire così tanto!? Mi dispiace é _ è io faccio del mio meglio con gli aggiornamenti, davvero, ma so che l’ultima volta ho impiegato un bel po’ di tempo…il fatto è che con l’indirizzo che ho preso ho un sacco di materie e di conseguenza un sacco di compiti a casa, ed è davvero difficile ritagliare spazi di tempo sufficienti alla stesura di un intero capitolo (ti assicuro che sono piuttosto lenta a scrivere: in un’ora è già molto se viene fuori una pagina! - _ -“) dunque mi è difficile aggiornare in fretta. Non ti preoccupare, non mi sono offesa!^^ Figurati! Potrei mai avere un qualsiasi sentimento negativo nei tuoi confronti dopo tutte le cose carine che mi hai detto!? E poi, il fatto che sei così ansiosa di leggere il seguito della mia ff non può che farmi piacere! Spero che questo chap sia arrivato abbastanza presto, e che lo stesso varrà per il prossimo. Io faccio il possibile! Per quanto riguarda il discorso delle fanfic, sono ben lontana dal dire di aver letto tutte quelle presenti su questo sito (a dirla tutta sono ben lontana dall’affermare anche di averne lette la metà o un quarto) quindi non posso esprimere un giudizio negativo o positivo globale. Fra quelle che ho letto che ne sono di carine, un paio che mi sono piaciute particolarmente (tutte opinioni che ho lasciato nelle recensioni) ma anche numerose che, dal mio punto di vista, non erano granché. Ma in fondo, la bellezza sta nell’occhio dell’osservatore. Io non critico uno scrittore solo perché ha scritto qualcosa che non mi piace, (sarebbe stupido, ma chi cavolo mi crederei di essere!?) ma mi da un po’ fastidio quando si pubblicano storie scritte tanto per, giusto per vedere il proprio nome in lista. È patetico. E si nota al primo sguardo. Questa è la mia opinione generale. Beh, mi sa ho esagerato con tutte queste chiacchiere, grazie ancora per i complimenti, sei davvero gentile, un bacione e a presto!

Yuki: beh, se ti è piaciuta quella parte, immagino che anche quella finale fra Ran e Kazuha in questo capitolo ti abbia interessato; non preoccuparti, i non dire verranno al più presto svelati! ^ _ -

Wilwarind: tesora!! Ciao!! È bello risentirti dopo tutto questo tempo! ^//^ Spero che tu stia bene, io non mi lamento (ho avuto la febbre la settimana scorsa, ma adesso è tutto passato). Grazie dei complimenti sulla fanfic, il tuo sadismo nei confronti del povero Conan è inquietante, ma sono contenta che i flash-back ti piacciano così tanto! Sai com’è, è l’unico modo per far stare la coppietta insieme, poveracci!^^; (qui il perfido è lo stesso Gosho, immagino)  ma mi chiedo quand’è che verrai a farmi concorrenza (o meglio a stracciarmi ^^“) con la tua fanfic!! Lo sai che adoro TB…Comunque, aspetto tue notizie attraverso e-mail, ma come al solito prenditi pure tutto il tempo che vuoi…comincio a capire seriamente cosa significhi non avere un minuto libero! Oh, se hai qualche suggerimento da fare o qualche critica nei confronti della storia, accomodati pure; sai quanto ci tengo al tuo giudizio. Baci, a risentirci, Wil-chan!^^

Ginny85: oh, anche tu ammalata!? Questa febbre sta facendo stragi ultimamente, l’ho avuta anch’io la settimana scorsa, e in classe facciamo a turno (prof compresi, per nostra fortuna); spero che adesso sarai ormai guarita. Come sempre, grazie mille per i complimenti, sei gentilissima; il discorso di Shinichi in effetti l’ho creato io, dopo aver riflettuto astrattamente sulla questione qualche tempo fa. Mi si è accesa all’improvviso una lampadina quando ho messo a confronto prestigiatori e detective (so cosa vorresti chiedermi: “Non hai niente di meglio da fare?” beh, ti dirò, ci sono giorni in cui penserei anche ai vantaggi dei lacci per le scarpe pur di non prestare attenzione al libro di testo che attende di essere letto sulla scrivania), sono felice che il discorso ti sia piaciuto. Per quanto riguarda i MIB…diciamo che non è a tutti gli effetti un’idea genuina. Ti spiego: leggo molte ff di Detective Conan in inglese, e lì capisci che gli Uomini in Nero non possono che essere chiamati “Men in Black”, così, la prima volta che mi è capitato sotto gli occhi l’appellativo, il mio strano cervello ha subito fatto un collegamento col film di Eddie Murphy…ed ecco qui la battuta.^^ Ti ringrazio tanto per le lodi, mi fai arrossire! ^//^ Beh, il manga per fortuna è più solare e spensierato della mia storia, Conan deve pensare solo alla cosa che gli riesce meglio (risolvere omicidi), Ran sopporta bene la lontananza di lui ecc. i miei personaggi sono un po’ più complessati. Poveri. Ai…uhm, non avevo mai pensato ad accoppiarla con qualcuno. Lei è un tipo solitario di natura. Facciamo così, ci penso e poi ti dico, ok? Un bacione, ciao! 

Lili: ti ringrazio!^//^ Beh, non sono sicura nemmeno io di avere la mente adatta al giallo, è la prima volta che mi cimento con questo genere, e mi preoccupa la prospettiva di poter commettere degli errori e delle imprecisioni; ma sai come si dice: o la va o la spacca! ^__^  Sono contenta che questi capitoli tranquilli ti piacciano, spero di non deluderti nemmeno quando arriveranno quelli un po’ più movimentati; per quanto riguarda Yukiko…tu continua a seguirmi e scoprirai tutto, promesso!^ _ ~ Un bacio, a presto.

APTX4869: ciao! Eh già, povero Conan…poveri tutti i miei personaggi!! Però dai, alla fine sto dando loro un attimo di respiro con questi capitoli.^^ Grazie tantissimo dei complimenti, felice che la battuta di Gin e Vodka ti sia piaciuta e che approvi anche l’entrata in scena di Yukiko. Vedrai che cosa combinerà! ^__^ A risentirci, spero che anche quest’ultimo chap sia stato all’altezza delle tue aspettative!

Lisa Lawer: grazie mille! Spero di non averti fatto penare troppo…ho fatto più veloce che potevo, ma un po’ di giorni (o meglio, settimane ^^;) mi ci vogliono per aggiornare, capisci. Mi auguro comunque che anche questo capitolo ti sia piaciuto e che sia valsa la pena di aspettare un po’ per leggerlo. Ciao!

Terabyte: ciao, mi ha fatto veramente piacere leggere la tua recensione: sei stata carinissima! Grazie! #^^# Hai ragione, cerco di frullarci dentro un po’ di tutto in questa storia, azione, umorismo, tristezza ecc. nonostante come genere sul sito abbia scritto solo “Romantico” (piccola confessione: quando l’ho pubblicata il giugno scorso non ero riuscita a mettere più di un genere ^^;). Se ti piacciono Shinichi e Heiji sarai stata contenta dello spazio che ho dedicato loro in questo capitolo, e a proposito, se nel dialogo che hanno avuto c’è qualcosa che non ti sta bene sentiti libera di dirmelo! Le critiche costruttive sono sempre utili. Ai invece non si vede qui…ma rimedierò presto, don’t worry!^ _ ~ Avrà una parte fondamentale nella storia. Oh, mi hai fatto ridere con la scena dell’elefante in tutù…grazie ancora dei complimenti, spero di risentirti.

Akemichan: salve!^^ Felice di risentirti, e che la mia ff continui a piacerti (grazie per i complimenti!). Beh, ci sono scene carine anche fra Ai e Conan, sebbene  non siano romantiche, e credo che ce ne saranno anche in futuro (a me la biondina piace ^//^), perciò…

Con questo è tutto; le solite precisazioni: avete presente il modo in cui si veste Ran alla fine del chap? Jeans, camicia bianca a righe blu e giacchetto rosa!? Sono gli stessi indumenti che indossa in un’immagine che ho trovato su internet, in cui giace addormentata sul pavimento con in mano un maglione che sta sferruzzando per Shinichi. Adoro quell’immagine, lei è davvero carina, così quando ho dovuto decidere che vestiti farle mettere mi è subito venuta in mente. Per quanto riguarda i volumi del manga, non mi sembra di averne citati stavolta (ma potrei anche sbagliarmi; oggi sono piuttosto frastornata). L’idea di andare a parlare in un locale affollato, in modo da non essere ascoltati da orecchie indiscrete, posso dire che mi sia stato suggerito da un tizio di nome Sirius Black. ^^ Moltissimi di voi avranno già capito a chi mi riferisco, ma per scrupolo aggiungo comunque che si tratta di un personaggio di J.K. Rowling, dei romanzi di Harry Potter. Sirius lo dice ai tre protagonisti nel quinto libro.

Beh, credo di aver finito, per oggi. Ringrazio ancora tutti i lettori, ma sapete già che la mia riconoscenza andrà in particolar modo a quegli angeli che commenteranno.

A presto, con il ventesimo capitolo.

-Melany

 

 

  

  
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