I
giorni
passavano e Pandora continuava a girare per i vasti e lussuosi
appartamenti
dove Ares l’aveva fatta prigioniera. Avvertì un
forte senso di disperazione e
sconforto. La gabbia in cui si trovava poteva essere molto
più angusta e
tortuosa, è vero, ma la ragazza aveva vissuto nella
prigionia sin dal suo primo
momento di vita. I suoi genitori, membri di una grande famiglia
aristocratica,
l’avevano sempre tenuta rinchiusa impedendole di uscire.
“se
fossi vincolato nelle quattro mura di una
cella che altri chiamano ‘casa’, costretto a
rimanervi finché il volere di
qualcuno che non vedi mai non
cambia non fuggiresti anche tu, anche se disposto a sacrificare
l’unico
vantaggio dei due pasti caldi assicurati?”
Per
un attimo udì cristallina nella mente la sua
voce da ragazzina. Quelle
parole le
aveva dette a Soter molto tempo prima.
“Bè…Forse. Ma non
ci si può opporre al proprio
destino”
Rispose
ancora vivida nella sua mente la voce del
ragazzo.
“Davvero
lo pensi?”
Rispose lei.
Soter,
l’Innominato, il cane nero di cui la
popolazione faceva riferimento con tremolanti sussurri,
l’uomo che ama.
Solo
nei pochi sporadici momenti passati insieme si
era sentita davvero libera. Ma poi che era successo?
La
sua casa fu
bruciata, assieme alla sua città, tutti gli abitanti furono
trucidati perché
l’Olimpo voleva lei. Sarebbe stata rapita dalle forze di Zeus
se il Falcone
Nero non l’avesse presa in tempo, ma per salvarsi fu
costretta a vagare con
quest’ultimo nell’anonimato per tutti gli anni
vissuti fino a quel momento. E
quindi, fu di nuovo schiava di decisioni altrui.
L’ultimo
sprazzo di libertà lo riottenne quell’unica altra
volta aver rivisto Soter.
Passò con lui pochi giorni, ma furono i più
intensi e felici della propria
vita.
Quando,
l’Ultimatum di Zeus infranse il suo idillio di
felicità e vide che per la
seconda volta non solo coloro che la circondavano ma il mondo intero
stava
rischiando la morte a causa sua, compì quello che
inizialmente credeva essere
un gesto di coraggio. Aprì il Vaso.
Non
ottenne
altro che ulteriore morte e la compromissione del piano del suo
protettore. Fu
quindi catturata nuovamente e resa schiava per l’ennesima
volta.
Ed
ora si
trovava lì. Non sapeva neppure dove, né se avesse
mai più rivisto altre
persone.
Rimase
malinconica a fissare la vallata davanti a sé. Si era fatta
sera. Poteva udire
il canto dei grilli e il fruscio del vento che batteva sulle
meravigliose
montagne di granito ricoperte di foreste e fiumi.
Si
sentì una
stupida, e tutto ciò che voleva era porre termine alla
propria esistenza che
fino ad allora non aveva fatto altro che arrecare guai agli altri.
Ma
anche i
tentativi per togliersi la vita erano risultati vani. Appena provava a
superare
la ringhiera della balconata o scontrarsi con violenza contro le pareti
o il
pavimento, un’energia invisibile la frenava e la cullava a
terra senza
arrecarle alcun danno. Cercò oggetti affilati per tagliarsi
le vene ai polsi ma
non ce n’era nessuno. Tutto il cibo che le veniva lasciato in
una cesta non
aveva bisogno di utensili per essere consumato.
Tentò di mordersi la lingua o strangolarsi con
le proprie mani, ma
sembrava come se la stanza stessa riuscisse a comprendere la sua
volontà e
placasse al principio i suoi tentativi. Ogni volta che tentava il
suicidio la
donna perdeva la propria sensibilità e crollava a terra.
“L’uomo
si
illude di essere il fautore della propria vita, ma esistono elementi
superiori
che controllano e guidano il destino di ognuno di noi. E
questi elementi sono il volere di
quelli che noi chiamiamo divinità”
Ricordò
la
frase del Soter adolescente detta molto tempo prima. Lei non era mai
stata
d’accordo, ma solo ora si capacitava del vero nelle sue
parole.
Tornò
negli
alloggi. Lo spazio a sua disposizione veniva esteso di giorno in
giorno.
Ares
passava
ogni tanto cercando in vano di comunicare con lei ma senza ottenere
alcun
esito. Davanti a
lui la ragazza si
richiudeva in se stessa senza spiccicare una parola. Lo odiava come non
odiava
nessuno, e Ares lo percepiva.
Ogni
giorno,
il dio della guerra le lasciava l’accesso a nuove sale e
corridoi per farla
sentire più libera ma la curiosità della ragazza
fu sempre soppressa da quello
stato di depressione in cui si trovava. Restò in pochi metri
quadrati chiusa
nel suo mutismo, fino a quella sera.
Un
barlume
impulsivo la fece alzare. A
piedi nudi
percorse le diverse lussuose stanze che non aveva ancora potuto vedere.
C’erano
giardini lussureggianti con uccelli variopinti che emettevano suoni
sublimi,
sistemi termali sofisticatissimi, mausolei pieni di meravigliose
sculture e
affreschi.
Ma
niente
riusciva a suscitare la sua attenzione né ad attivare la sua
curiosità, fino a
che, girando per un corridoio, non udì un brusio. Erano dei
sussurri di due
persone.
Provenivano
da una porta socchiusa.
Si
avvicinò
quel che bastava per sentire le parole accostandosi alla porta. Riconobbe una delle voci:
era Ares, ma
l’altra era sconosciuta.
Era
una voce
stridula e sinistra che non aveva mai sentito.
“Lo
hai fatto di nuovo!.. La sei venuta a
trovare! Tu ami
quella donna, Ares? Hai
scambiato l’amore per una mortale per il mio?!”
“Non
è così, Afrodite. Mi assicuro solo che la
ragazza non deperisca…Ci serve viva e lo sai”
“Non
prendermi in giro…C’è
dell’altro. Dimmi tutto ciò che sai o
andrò a prenderla
personalmente per strapparle gli occhi.”
Il
cuore di
Pandora stava per esplodere, ma voleva vedere da chi proveniva quella
voce.
Aprì di poco la porta per vedere chi si celava
all’interno.
La
vasta
sala era vuota. Al centro di essa vi era solo Ares che le dava le
spalle. Si
sforzò di controllare in ogni angolo ma non vi era altri che
lui.
“Non
puoi
farlo! Non te lo lascerò fare!” disse il dio con
decisione. Poi ci fu una lunga
pausa.
“Vuoi mettermi alla prova?” Di nuovo quel sussurro
stridulo
inquietantissimo. Ma sembrava essere stato Ares a sibilare.
“Sento
qualcosa…” il dio iniziò a
sniffare l’aria.
Questa
volta
non c’erano dubbi. Era lui a parlare.
Ares
si
voltò di scatto.
I
suoi occhi
erano sbarrati e guizzavano di follia e la sua espressione era contorta
in una
smorfia di terribile malvagità.
“Eccoti!” Urlò con
quella stessa voce
stridula “De-mo-nio!
De-mo-niooo!”
Con
uno
scatto agguantò il collo della ragazza con le due mani e
incominciò a
stringere.
Mostri
2: Dedalione e altri ibridi-uccelli
(Vedi
Parentesi Anacronistiche 6)
La
peculiarità dell’agente mutageno di Dedalione,
rispetto a quella degli altri ibridi mutati sta
nell’inclusione di un inibitore
di miostatina (presente anche in quello di Cleobi e Bitone) che rende
la
trasformazione molto più imponente e robusta di quanto
potrebbe essere. L’agente
permette anche uno sviluppo delle prerogative sensoriali molto maggiore
e una
superiore manovrabilità e velocità di volo
rispetto a qualsiasi altro mostro.
Le sue spesse penne gli conferiscono un’armatura naturale
più resistente del
ferro. Allo stesso modo, gli artigli sono affilati come lame.
Gli
altri ibridi mutati hanno lo svantaggio di
sacrificare le proprie braccia che divengono ali, mentre Dedalione le
mantiene.
Inoltre gli altri ibridi non sviluppano la stessa sovrannaturale
robustezza, ma
mantengono quella che avevano.
Questo
definisce livelli differenti di mutageni:
Al
livello 1 ci sono tutte quelle mutazioni di
base che realizzano un ibrido tra un uomo e una bestia.
Al livello 2 oltre alla realizzazione dell’ibrido,
il mutageno include accrescimenti di forza, costituzione e dimensioni e
altre
abilità, molto maggiori rispetto a quelle di base dei due
ceppi genetici
genitori.
Non si conoscono altri livelli.