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Autore: mairileni    29/05/2015    3 recensioni
«Siediti.»
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Frank Iero, Gerard Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Adagietto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ci sono io e c'è Gerard, e Gerard sta aprendo il sacchettino che tiene tra le dita con l'aria assorta e i capelli sugli occhi e la giacca a vento nera che quasi quasi se lo vedi di profilo sembra etero. Apre il sacchettino, dalla tasca interna della giacca estrae uno specchietto di quelli che usano le donne quando stanno alla fermata del bus e per ammazzare il tempo si rimettono il rossetto. In tutto ciò, io non so che pesci prendere. Gerard è davvero affascinante e meraviglioso è stupendo e tutte le altre cose belle, ma non mi infilerò quella polvere nel naso, ed è bene che lui lo sappia. Glielo dico.

    «Non mi infilerò quella polvere nel naso, ed è bene che tu lo sappia.»

    «Nessuno ti ha chiesto di farlo», ribatte calmo lui.

    Sostanzialmente è vero, ma praticamente non lo è. Nel senso che se ora Gerard mette la polvere sullo specchietto e si aspetta che io stia qui a guardarlo, allora si sbaglia di grosso, tanto più che io in vita mia non mi sono mai drogato e adesso ci manca solo che la polizia mi arresti solo perché sono stato accanto a uno che invece si drogava.

    Sto per mettermi in piedi.

    Mi andrebbe di dire a Gerard che se invece di sniffare ketamina cominciasse a guardarsi un po' intorno scoprirebbe che a volte il mondo non fa nemmeno così schifo, però me lo tengo per me.

    Adesso giuro che mi metto in piedi e me ne vado.

    Gerard non mi degna di uno sguardo e tira fuori dalla giacca uno spray nasale con la confezione bianca e le scritte rosa, e le scritte rosa dicono che se te lo metti riscopri il piacere di respirare. Ora come ora vorrei riscoprirlo io, il piacere di respirare. Sono a metà tra due estremi ugualmente orrendi. O mollo qui Gerard e me ne vado, rischiando che qualcun altro lo trovi e lo porti fino alla centrale di polizia tenendolo per la collottola; oppure resto qui a guardarlo mentre esce di testa, e allora sì, potrei fargli da palo, ma se arrivasse un poliziotto io sarei fottuto, ma con la F maiuscola, proprio, del tipo che mi arrestano e tanti cari saluti.

    Adesso mi alzo, giuro che lo faccio. Giuro che adesso mi metto in piedi e me ne vado.

    ...Ovviamente resto. Gerard ha sempre i capelli davanti agli occhi e la giacca a vento nera che quasi quasi se lo vedi di profilo sembra etero, e adesso sta pulendo lo specchietto con un fazzolettino di stoffa che forse sono malato io a notarlo, ma si intona perfettamente con la confezione di spray nasale. Dovrei dirgli di non farlo. Dovrei dirgli che è già stato arrestato una volta e che ha già avuto la sua seconda chance. Se adesso arriva la polizia e lo becca con le mani nel sacco, se gli va proprio benone, Gerard viene processato e finisce in prigione per almeno tre anni. Questo se gli va proprio molto bene. Se gli va proprio molto male, invece, lo ingabbiano per trent'anni e via la chiave, grazie di aver scelto il nostro carcere minorile.

    «Non credo che sia una buona idea.»

    A parlare sono stato io. Non avevo nessuna intenzione di dire questo e soprattutto non avevo nessuna intenzione di aprir bocca, e sarà che Gerard ha gli occhi grandi grandi e le sigarette con il filtro bianco, ma io quando c'è lui non ho piena coscienza di me stesso. Lui mi guarda stranito, per la seconda volta da quando ci siamo seduti qui. Dura solo un attimo, dopodiché torna al suo lavoro come se non avessi detto nulla.

    «Gerard. Sto parlando con te.»

    «Ah sì?», chiede sarcasticamente, senza sollevare la testa di un millimetro.

    «Sì.»

    «E allora dimmi, Iero.»

    «L'ho già detto: non credo che sia una buona idea. Questa cosa della droga, intendo.»

    «Mh-mh. E...?»

    Così. Come se stessi parlando di un altro, uno a caso; come se in questo preciso istante lui non stesse controllando la superficie dello specchietto per verificare che sia perfettamente pulito e per potersi finalmente infilare quella dannatissima roba su per il naso. Mi devo fare violenza per continuare con il mio discorso senza lasciarmi sedurre dall'opzione sempre valida di alzarmi e tirarmene fuori definitivamente.

    «Hai dei precedenti. Ti hanno già arrestato una volta, e tra l'altro è stato solo la settimana scorsa. Se adesso ti beccano con questa roba, tu...»

    «“Tu”...?»

    Io ve l'avevo detto che quando uno parla, Gerard non lo interrompe mai. Al massimo Gerard lo incalza. Sì, ecco che cosa fa Gerard: incalza.

    «Tu finiresti in prigione, e con una droga come quella potresti finire in prigione anche per vent'anni», concludo io.

    È un attacco piuttosto blando, ma giuro che è blando solo nella forma. Non so in quanti non resterebbero di stucco, a sentirsi dire che rischiano vent'anni di prigione. Adesso Gerard mi sta guardando. Non solo negli occhi. Anche sulle labbra, e poi anche più giù, ma forse è solo una mia impressione perché ora come ora ho il terrore che questa serata si trasformi in un incubo, e allora non sono molto lucido — e tutto d'un tratto penso disordinatamente che forse è vero, forse Craig Russell e la sua famiglia un bel mattino si sono svegliati alle sei e sono andati a Kearny soltanto per farsi scattare una foto di gruppo.

    E allora Gerard si avvicina un pochettino con la testa e intanto ha sempre le gambe incrociate e lo specchietto perfettamente lucidato in mano, sento il suo profumo e no, non sa di sesso e di filtro bruciato, è più a metà tra quello delle pesche e quello di qualche altra cosa di cui adesso non mi sovviene l'immagine. Appoggia piano piano la sua fronte sulla mia, inclina la testa da un lato mentre io sono immobile e paralizzato e innamorato perso. Irrazionalmente potrei quasi credere che tutto questo durerà all'infinito, Gerard che posa la fronte sulla mia, Gerard che inclina la testa di lato, Gerard che si avvicina, si avvicina, si avvicina, si avvicina senza mai raggiungermi del tutto — ed è come quel paradosso di Achille dietro alla tartaruga o della tartaruga dietro alla lepre o qualunque cosa fosse.

    «Gerard...»

    Faccio fatica a tenere gli occhi aperti perché quando sto per baciare qualcuno li chiudo in automatico, e adesso questo è un problema, perché Gerard è sempre lì con la sua fronte sulla mia e le sua labbra a un centimetro da dove dovrebbero stare, cioè contro le mie, ed è sempre lì, e non mi bacia. Mi dice qualcosa, da lì dov'è, talmente vicino che ogni volta che sbatte le ciglia io lo so perché mi sfiorano la pelle.

    «Mi faresti questo?», chiede.

    «C-cosa...?»

    «Mi lasceresti qui? Con il pericolo che qualcuno arrivi e mi scopra? Con il pericolo che io finisca in prigione? Lo faresti? Lo faresti davvero?

    Mi fa tutte queste domande una dietro l'altra, senza prendere mai fiato, e ha sempre le labbra a tanto così da me e la fronte appoggiata alla mia e il profumo che è a metà tra quello delle pesche e quello di qualche altra cosa di cui adesso non mi sovviene l'immagine. Aspetta che risponda e intanto mi guarda, e io non sono lucido per niente ma adesso giuro su Dio che mi alzo, rispondo alle sue domande e poi mi siedo di nuovo, e Gerard mi ha fatto cinque interrogativi in meno di dieci secondi e vuole che io risponda, e quando Gerard ti fa le domande tu devi rispondere e basta — poco importa se lui ha la fronte sulla tua e il profumo a metà tra quello delle pesche eccetera eccetera. Ha gli occhi inchiodati ai miei ed è agitato, negli occhi, e non so perché lo sia, ma Gerard è agitato negli occhi e io posso solo starmene qui a guardare (adesso mi alzo e me ne vado, adesso lo faccio) e a chiedermi perché.

    «Io...», balbetto pateticamente.

    Cerco di staccare la fronte dalla sua ma sembra quasi che qualcuno dietro di me mi stia tenendo una mano sulla nuca per non farmelo fare. Gerard non ripete quanto mi ha appena chiesto, non incalza (strano), ma pazienta ancora, e questo perché secondo me sa benissimo che adesso non stiamo più parlando di cazzate, adesso stiamo parlando di lui con la ketamina in mano e nel naso e di me accanto a lui, e se ci beccassero, ah, se ci beccassero!, “complici”, comincerà a dire la gente, “sporchi complici”, e magari qualcuno dirà anche “chi l'avrebbe mai detto?”.

    È il momento buono; adesso prendo la mia roba, mi alzo e me ne vado, giuro che lo faccio. Mi alzo e me ne vado via e se beccano Gerard io dirò solo che ho provato a fermarlo, o che non ne so nulla, o comunque qualche cazzata me la inventerò.

    C'è Gerard e ci sono io, e non ho idea di quanto tempo sia passato da quando lui ha sbattuto la sua fronte sulla mia, o di quanto tempo sia passato da quando ci siamo seduti qui, o di quanto tempo sia passato da quando sono nato — mi pare quindici o sedici anni fa, ma ora come ora non ci giurerei.

    «Mi lasceresti qui, Frank? Lasceresti me e la mia fedina penale sporca? Mi lasceresti qui, sotto l'effetto di una droga? In balia di chiunque passi? E se arrivasse un poliziotto, Frank? E se avessi un bad trip e sotto l'effetto della droga cominciassi a pensare di suicidarmi? Mi lasceresti qui, sapendo che potrebbe succedermi di tutto? Lo faresti?»

    È troppo. Gerard tace di nuovo, e per qualche strano motivo so che queste domande saranno le ultime che mi porgerà stasera. E allora sarà che Gerard ha un profumo che è a metà tra quello delle pesche e quello di qualche altra cosa di cui ora non mi sovviene l'immagine, ma è solo adesso che mi ricordo di come si parla, e allora gli rispondo.

    «No. Non ti lascerei», sfiato, e non appena ho finito di dirlo mi sono già dimenticato di averlo detto perché al momento sono talmente rincoglionito che può darsi che me lo sia solo immaginato.

    E allora per sicurezza glielo ripeto. Più volte, forse sei o sette, e gli dico che no, non lo lascerei, e scandisco piano piano perché lo capisca bene. Gli dico che non lo lascerei e che deve stare tranquillo, perché qui ci sono io, e che se mentre sarà sotto l'effetto di quella roba si sentirà male non sarà un problema, perché qui ci sarò io. Gerard annuisce rapidamente con i suoi occhi grandi grandi spalancati per l'agitazione e dice che ok, ha capito, ma ora devo solo stare tranquillo, e poi mi ringrazia, proprio del tipo che mi sorride e dice “grazie” e tutto quanto.

    Credo che mi abbia fregato. Che volesse sortire questo effetto fin da prima, quando ha posato la fronte sulla mia e mi ha chiesto “mi lasceresti?”, “mi lasceresti, Frank?”. Fatto sta che c'è Gerard che annuisce rapidamente con i suoi occhi grandi grandi spalancati per l'agitazione, e io me ne sto lì come un cretino e intanto lo guardo mentre si prepara a farsi male al cervello.

    «Ne prenderai tanta?», chiedo io.

    «Quanta ne basta», sbottona lui.

    Gerard posa a terra lo specchietto quello che ho già detto, quello che usano le donne quando stanno alla fermata del bus e per ammazzare il tempo si rimettono il rossetto. Potrei quasi giurare che adesso Gerard sia spaventato — e anzi, lo giuro, giuro su Dio che Gerard è spaventato, anzi, giuro su Dio che Gerard si sta proprio cagando sotto. Ovviamente non dico nulla. Lui si sdraia per terra, prono, e pianta i gomiti sul pavimento per non farsi tremare le mani mentre versa piano piano un po' di polvere sullo specchietto. Le mani gli tremano lo stesso.

    «Mi aiuti?»

    Come sarebbe a dire. Come. Sarebbe. A dire, scusa? C'è Gerard e ci sono io, e ci sono la ketamina dentro al sacchetto e le mani di Gerard che tremano attorno al sacchetto. Se ci pensate è buffo, no? Gerard non riesce a versare la polvere perché quella stessa polvere gli fa tremare le mani. Gerard non riesce a prendere la ketamina perché si fa di ketamina. Non lo aiuterò. È folle.

    «Iero?»

    C'è una nota di disperazione, nella sua voce e — ah, no, non è una nota, è proprio un concerto, di quelli con i violini e i tromboni e la grancassa, e Gerard è il maestro d'orchestra mentre io sono il coglione che voleva solo andare al cinema e invece ha sbagliato strada e si è ritrovato al teatro dell'opera. Non ci capisco un cazzo, ma non lo aiuterò. No, no, no, no, no...

    «Iero, mi aiuti?»

    ...No, no, no, no...

    «Frank

    «Sì.»

    «...»

    «Sì, adesso ti aiuto, Gerard.»

    Annuisce. Ha paura, si vede, di cosa hai paura, Gerard?, ho paura anch'io, abbiamo paura tutti ma facciamo quello che dobbiamo fare anche se in realtà non dobbiamo affatto farlo. Non per forza. Non è per forza che mi sdraio accanto a lui, la pancia sul pavimento e le mani sulle sue per togliergli il sacchetto dalle dita, e non è per forza che metto una mano in cima al sacchetto e una mano in fondo per avere più controllo sulla quantità di polvere che verso sullo specchietto. Gerard mi guarda e mi dice “basta” una frazione di secondo dopo.

    «Ne basta poca. Poca poca.»

    Io faccio sì con la testa e appoggio il sacchetto da qualche parte in quei quattro centimetri che separano il mio fianco destro dal suo fianco sinistro.

    «E adesso?», chiedo.

    Non risponde. Si tira su con un gesto fluido, mi ficca una mano gelida tra la nuca e il cappuccio della felpa e mi tira via di lì.

    «Non farlo mai più», mi intima.

    Ha gli occhi inchiodati ai miei e la mano gelida ancora sulla mia nuca. Non dovrebbe fare questo genere di cose, perché questa è già la seconda volta nel giro di tre minuti che ci troviamo a tanto così, tanto così l'uno dall'altro, e quando stiamo a questa distanza minima a me viene subito voglia di baciarlo molto forte e infinitamente piano, tutt'e due per non farci mancare niente, ma non posso proprio farlo, e allora me ne sto qui a torcermi nella speranza di riuscire a dominarmi quanto più mi è possibile. No, decisamente. Gerard non dovrebbe fare questo genere di cose. E in tutto ciò ancora mi sfugge che cosa io abbia fatto di tanto riprovevole da meritarmi il paio di occhi gelidi che Gerard mi ha scaraventato in faccia.

    «Che intendi?»

    Parla piano, come si parla ai cretini completi.

    «Intendo che appena versi la special K, o qualsiasi altra polvere, su uno specchietto, poi devi allontanarti. Perché se ci soffi sopra per sbaglio, la polvere vola via. E con essa volano via anche tantissimi soldi. Hai capito?»

    Gli dico che ho capito. Gerard allenta la presa sul mio colletto, riporta la mano a posto e nel farlo mi sfiora leggermente una spalla. E a quel punto si infila una mano nella tasca interna della giacca e fa per estrarne qualcosa, ma evidentemente non trova ciò che cerca. Si tasta i jeans, si tasta la felpa, va in panico.

    «Che cosa stai cercando?»

    «La tessera.»

    «Quale tessera?»

    «Quella della patente, Iero. Per fare le strisce. Non la trovo. Non la trovo, cazzo, non la trovo!»

    Io vi giuro che è pazzesco. Gerard ha solo un'espressione, quella annoiata e insofferente, e quando dico che ha solo un'espressione intendo dire che è proprio così, ha solo un'espressione, e non la cambia mai. Poi però ci sono gli occhi. Gerard è tutto occhi. Negli occhi non ha una sola espressione, ne ha dieci, mille, milioni di milioni, e tu all'inizio non ci fai caso, perché te ne accorgi solo quando ne vieni sommerso. È così che si legge Gerard, guardandolo negli occhi o al massimo guardando se ha le labbra un po' più serrate del solito. E fatto sta che in questo momento Gerard è nel panico perché non trova la sua tessera, e capiamoci bene, quella tessera gli serve per prepararsi delle strisce di ketamina, ma io ormai sono con lui, e...

    «Tieni la mia.»

    Siamo di nuovo la copertina di un libro, però questa volta è il sequel, e non è più Gerard a tendermi qualcosa con la mano, ma piuttosto sono io che gli piazzo la mia patente di guida sotto al naso aspettando che la prenda. E lo fa. La prende, sbattendo tre volte le ciglia — e io lo noto perché ormai posso giurarvi che io gli occhi di Gerard non smetto mai più di fissarli. Poi Gerard comincia ad accarezzare la superficie dello specchietto con la mia patente, piano piano, e tutto questo fa un po' ridere perché lì sotto c'è della polvere di ketamina e lì sopra c'è la mia fototessera tutta sorridente. Da lì in poi succede tutto molto più velocemente di quanto mi aspettassi. Gerard ricontrolla di avere lì con sé lo spray nasale, si incanta per un paio di secondi come se stesse pensando a qualcosa di davvero profondo o importante o cose simili e infine si tappa una narice e si china sullo specchietto. È una striscia piuttosto lunga, ma lui se la fa sparire nel naso in meno di un attimo, ed è lì che mi viene un colpo al cuore di quelli brutti. Non so se avete presente i colpi al cuore di quelli brutti; sono quei colpi al cuore che ti vengono quando vedi qualcosa di terribile, orrendo, che non vorresti vedere, e allora ti senti un enorme peso nel petto, un peso che da lì esplode e ti finisce su per il collo e poi nelle tempie. Non avrei dovuto farlo. Non avrei mai dovuto farlo.

    Gerard ha appena sniffato della ketamina qui davanti a me — che bella serata, eh? —, e ora si massaggia forte il lato destro della fronte. E se voleva movimentare la serata, beh, l'ha fatto. Cazzo, se l'ha fatto. Cerca a tentoni qualcosa, capisco che è lo spray nasale e glielo passo perché tanto ormai — oh, sì, che bella serata! — è andato tutto a puttane, ma sì, chi se ne fotte. Si spruzza lo spray su per la stessa narice che ha usato per sniffare, e intanto sorride, sorride, sorride con gli occhi chiusi e la testa gettata all'indietro.

    «Cosa... cosa senti?», gli chiedo.

    «Sento te», mi risponde, e poi ride una risata artificiale ed estatica. «Che botta, che sto per prendermi, Iero. Che botta. Non hai idea della botta che sto per prendermi, Iero.»

    «Io...»

    «Dammi solo tre minuti», continua lui, imperterrito, «tre minuti e comincia tutto, Iero. Tre minuti.»

    All'inizio credo quasi che mi stia prendendo in giro, perché a me è capitato di vedere certa gente sotto l'effetto di una droga, e non credo proprio che in soli tre minuti uno possa passare da uno stato di perfetta lucidità a uno stato di... beh, qualsiasi sia la definizione calzante per ciò a cui ho già assistito io in questo paesino di merda. E invece alla fine mi ricredo. Io glieli do, i suoi tre minuti, centottanta secondi in cui mi ritrovo a stare in compagnia e completamente solo allo stesso tempo. Gerard comincia a ridacchiare in modo un po' stupido, e intanto versa ciò che è rimasto sullo specchietto di nuovo nella busta trasparente. Si lascia cadere all'indietro e io lo sorreggo mettendogli due mani sulla schiena, e Gerard continua a sorridere e a stare seduto con le gambe incrociate e a oscillare di qua e di là, di qua e di là, di qua e di là. I tre minuti passano, per un attimo mi incanto a guardare il me stesso della foto tessera della patente che mi fissa dal pavimento. Gerard continua a oscillare e a borbottare, i tre minuti sono passati e la ketamina monta, monta, monta. Poi Gerard smette di borbottare e il suo ansimare si fa più forte, e allora ride, spalanca gli occhi, fa uno strano verso rantolato, riserva al soffitto del portico un sorriso agghiacciante. E va fuori di testa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

C'è Gerard e ci sono io, e Gerard ha gli occhi spalancati e “ketamina” stampato in faccia, mentre io sono qui impalato a guardarlo e a sorreggerlo ogni volta che si sbilancia troppo di lato. Praticamente è come se fossi da solo. Gerard straparla, ride, torna subito serio, ride di nuovo. Sto qui come un fesso, lo tengo in equilibrio e intanto la modella sulla confezione dello spray nasale mi guarda tutta sorridente, tipo che è proprio contenta di non essere nella mia situazione di merda e che me lo merito, ah-ah, ti sta proprio bene. Gerard farfuglia qualcosa, gli chiedo di ripetere.

    «L'energia degli oggetti, Frank. L'energia, la senti?»

    No che non la sento. Qui non c'è proprio nessuna energia, manco per il cazzo. Ci siamo solo io e Gerard e il freddo cane e il portico dell'Albergo Delle Puttane e il rumore di una televisione da qualche parte alla nostra sinistra. Gerard ha gli occhi grandi grandi con le pupille dilatate al massimo e dice che ciò che devo fare ora è sentire l'energia degli oggetti, captarla mentre lascia gli oggetti ed entra in me. La cosa che mi fa sentire un po' un coglione è che io credevo che la ketamina ti desse i trip quelli forti, che sono tipo quelli in cui proprio ti si ribaltano gli occhi e cose varie, e invece se non fosse per i gesti che fa e per alcune delle cose che dice Gerard sembrerebbe totalmente lucido. Il punto è che io di gente drogata ne ho vista, e so che tante volte quando un tizio va fuori di testa basta che lo metti sdraiato a terra e lo tieni d'occhio, perché tanto di solito il tizio ha il sangue talmente pieno di schifo che non riesce nemmeno a rialzarsi. Però Gerard ci riesce eccome, anzi; è quasi impossibile tenerlo fermo. Si vuole alzare, dice che sta benissimo e che dovrei provarla, farmi una sniffata e via.

    «Gerard, no.»

    «Ti senti bene, Frank. Oddio... oddio... oddio...»

    «Cosa?»

    Scoppia a ridere di nuovo, oscilla pericolosamente verso destra, lo tiro indietro quando la sua testa è a tanto così dal pavimento e gli dico che dobbiamo andarcene. Lui spalanca gli occhi ancora di più, la bocca si apre in una piccola O e il suo indice si appoggia pesantemente alle mie labbra.

    «Ssssshhh. No, no, noi restiamo qui. Restiamo proprio qui. Qui. Qui.»

    «Gerard.»

    «Sssh, sssh, sssh...»

    Giuro su dio che esco di testa anch'io, ma non per la ketamina che non ho nessuna intenzione di prendere. C'è Gerard, o meglio, c'è una versione di Gerard e ci sono io e c'è la droga che è rimasta nel sacchetto sotto gli occhi vigili della modella sullo spray nasale e del me sorridente sulla patente di guida. Poi Gerard dice che i colori sono bellissimi e scurissimi e chiarissimi, e a quel punto mi sfiora seriamente l'idea di mollarlo lì, prendere la mia roba, tirarmene fuori per sempre e non pensarci mai più.

    Giuro che adesso mi metto in piedi e me ne vado. Giuro che adesso lo faccio.

    E lo so che l'ho già detto tantissime volte e che quindi ora come ora sarà poco credibile, ma questa volta lo faccio sul serio. Allungo la mano fino alla mia tessera della patente, soffio via i residui di questo schifo che Gerard si è messo nel naso e me la ficco in tasca. Lui si volta un po' per guardarmi con le sue pupille da cartone animato e sorride lievemente.

    «Che cosa fai, Iero?»

    «Me ne vado.»

    Lo so che faccio schifo, me ne rendo conto, ma qui tra me che sono un vigliacco e Gerard che si fa di ketamina è una gara a chi fa più schifo, e non è per dire, ma forse vince lui. Non gli piace l'idea che me ne vada, e lo so perché quando mi chiudo la giacca dopo essermi assicurato di aver preso tutta la mia roba lui mi afferra per una manica e ci si appende con tutto il suo peso, finché non perdo l'equilibrio rischiando di cadergli addosso. Ma ve lo immaginate? Io mi metto in tutto 'sto casino senza volerlo, e poi per sbaglio cado addosso a Gerard e gli spezzo il collo. Fatto sta che Gerard si appende alla mia manica con tutto il suo peso, e anche se non mi sta dicendo nulla io ho capito benissimo che vuole che resti. Non c'è bisogno di essere dei geni. Per un attimo i suoi occhi divorati dalle pupille si fissano nei miei in modo talmente perfetto e profondo che potrei quasi pensare che in realtà Gerard sia perfettamente lucido. Ma non lo è, e se adesso arriva qualcuno qui io rischio di finire in manette per qualcosa che non ho fatto.

    «No, Gerard.»

    Gli tolgo la mano dalla mia manica, separando le dita dalla stoffa una a una.

    «Lasciami.»

    Fa no con la testa, cocciuto, ma quando riesco a liberarmi dalla presa non prova più ad afferrarmi di nuovo.

    «Fa' come vuoi», sentenzia gelido, e poi sorride, scuote la testa. «Non sai che ti perdi, Iero. Non lo sai, non lo sai e non lo sai.»

    «Non voglio saperlo.»

    Sono arrabbiato, confuso, quasi quasi vorrei non averlo mai invitato alla dannatissima festa di Craig Russell con la gente ubriaca che non camminava in linea retta e la musica altissima e schifosa. C'è Gerard e ci sono io, e io questa volta io me ne vado davvero, camminando in fretta e girandomi a riguardarlo più volte di quanto vorrei ammettere. Fa un freddo cane, e io giuro su Dio che sto per svoltare l'angolo e perdere definitivamente di vista Gerard e i suoi capelli neri che sotto alla luce brillano in un modo che forse nemmeno gli angeli, ma poi sento una risata, e allora mi fermo in mezzo alla strada e mi giro verso di lui per l'ennesima volta. Non è Gerard. Gerard sorride, si è sdraiato a terra e agita le braccia sopra di sé in modo stupido, ma non sta affatto ridendo. La risata si sente di nuovo, questa volta è più vicina ed è corredata da un vago chiacchiericcio. Mi sporgo con la testa oltre i cespugli dell'albergo. Femmine, forse anche un paio di maschi. Ma soprattutto femmine. Vengono in questa direzione, sbucano da Main Street oscillando pericolosamente sui tacchi alti. Mi nascondo dietro a un albero come se fossi un criminale in fuga, e se guardo a sinistra c'è Gerard sdraiato a terra che agita le braccia a caso e sorride, se guardo a destra non c'è proprio un cazzo di niente, o almeno fino a quando quel gruppo di gente non sarà arrivato fino a qui. Faccio il punto della situazione perché in caso non l'abbiate ancora capito io sono di quella categoria di persone, non so se avete presente, quelli che quando c'è un'emergenza restano lì impalati come dei cretini perché se non fanno il punto della situazione non riescono a prendere proprio nessuna decisione. Fatto sta che il punto della situazione è il seguente: alla mia sinistra c'è Gerard che è nel bel mezzo di un trip da ketamina, alla mia destra si avvicinano le ragazze con i tacchi alti e i fidanzati e al centro ci sono io che sto dietro all'albero come un coglione. Penso a tutte le cose che potrebbero succedere da questo momento in poi. Uno, le ragazze passano e vedono me e Gerard, due, le ragazze passano e vedono solo Gerard, tre, le ragazze muoiono tutte all'improvviso per cause sconosciute e noi siamo salvi. Però non so voi, ma io nell'opzione tre non confido più di tanto. E allora mi chiedo che cosa accadrebbe a Gerard se adesso queste ragazze lo vedessero nelle condizioni in cui versa. E provo a immaginarmi infiniti scenari ipotetici, ma in ognuno di essi Gerard finisce invariabilmente prima davanti a un giudice e poi dietro alle sbarre. Ha dei precedenti, la sua seconda opportunità l'ha già avuta e sprecata, e se adesso lo prendessero io e lui ci rivedremmo tra quanti, vent'anni? Forse venticinque. Le risate si avvicinano, io mi attacco ancora di più al tronco dell'albero e mi sforzo di pensare a una soluzione il più velocemente possibile. E a quel punto Gerard fa la cosa più stupida, fuori luogo e pericolosa che potesse fare: si mette a cantare. Giuro su Dio, giuro su Dio che Gerard si mette a cantare, anzi, non a cantare, a canticchiare, ed è un motivetto che riconosco subito come “This Old Man”, che non so se lo sapete ma è una canzoncina popolare di quelle con centottanta strofe tutte uguali e le note facili facili che uno se uno la canta una volta non se la toglie mai più dalla testa. Mi viene quasi da ridere, sul serio, ma Gerard sta cantando “This Old Man” e tra un secondo potrebbe finire in prigione per venticinque anni, e io sono qui a pensare al da farsi perché sono talmente cretino da essere disposto a rischiare di essere arrestato, pur di aiutarlo. E le risate sono troppo vicine, e io sono troppo stupido, e Gerard è troppo fatto, ma fatto sta che io prendo a correre come un ossesso verso Gerard mentre in testa continuo a pregare che nessuno mi veda, e se qualcuno mi vede sono fottuto, oh, sissignore, fottuto come pochi, ma Gerard ha sedici anni, e a sedici anni uno prende la patente, non finisce in prigione fino a che non ne ha quarantuno. Ho quattro secondi, forse di meno — fa' che nessuno mi veda, fa' che nessuno mi veda, fa' che nessuno mi veda —, prendo Gerard per il colletto e lo tiro su come un bambolotto perché quando uno si sta cagando sotto è improvvisamente più forte.

    «Uh, Frank, sei tornato», dice lui con un gran sorriso.

    Lo ignoro, me lo carico su una spalla e con una mano sola prendo tutto ciò che è rimasto a terra; lo spray nasale, lo specchietto, la bustina con dentro la special K di merda, tutto in una mano che forse quando ti caghi sotto ti si ingrandiscono anche le mani. La cricca dei ragazzi che ridono è sempre più vicina, io punto all'angolo opposto dell'albergo per nascondermici dietro, Gerard è sulla mia spalla e riprende a cantare. Cerco di tappargli la bocca, ma sono tutto storto, ho tutta la sua roba in mano, sono in panico, e per sbaglio con lo spigolo dello specchietto gli faccio un taglio profondo sulla guancia. Apro la bocca per urlare, penso che ora come ora urlare sarebbe una gran cazzata, la richiudo. E Gerard sembra non accorgersi di nulla, anzi, canta ancora più allegramente, e la ragazza in capo al gruppo compare in fondo al portico e per grazia di Dio è girata verso i suoi amici e non verso di noi. Chiudo la bocca a Gerard con la mano, il suo sangue mi cola addosso — fa' che nessuno mi veda, fa' che nessuno mi veda, fa' che nessuno mi veda — l'angolo opposto dell'albergo è troppo lontano per riuscire a raggiungerlo prima che la ragazza si giri. E allora faccio l'unica cosa che mi resta: mi lancio a terra, alla mia sinistra, e resto in attesa. Gente, gente, gente, giuro su Dio che mi sto cagando sotto; la ragazza ora si volta in questa direzione, io smetto di respirare e premo talmente forte la mano sulla bocca di Gerard che forse tra poco lo soffoco. La ragazza non ci vede, il gruppo passa, continuano a ridere come se niente fosse. I cespugli dell'albergo ci hanno coperti. I cespugli dell'albergo ci hanno coperti, Dio, grazie. Dio, grazie. Dio, grazie.

    Sento uno sbuffo sulla pelle, è Gerard che ha ripreso a mugugnare il motivetto che gli piace tanto, realizzo solo ora che gli ho tenuto la mano sulla faccia per tutto questo tempo e che sono a cavalcioni su di lui, del tipo che se adesso passa un poliziotto mi arresta per stupro. Che cazzo di casino. Sono a più di mezz'ora a piedi da casa mia, Gerard è fuori di testa per la ketamina e ha una grossa ferita in faccia e io sono sudato, spaventato e coperto di sangue. Che serata di merda. Lascio la bocca di Gerard, piano piano nella speranza che non riprenda a cantare.

    «This old man...»

    Ecco, appunto.

    «...he played four, he played knick knack on my door, with the knick knack paddy whack, give the dog a bone...»

    «Gerard.»

    «...this old man came rolling home. This old man, he played five...»

    «Gerard, ti prego.»

    «...he played knick knack on my hive, with the knick knack paddy whack, give...»

    «Gerard, ti supplico, cazzo!»

    Smette di cantare, finalmente obbediente. Non sta più cantando. Dio, grazie. Gerard non sta più cantando e mi guarda, la ferita che continua a buttar fuori sangue. Ho bisogno di pensare. Mi frugo nelle tasche per vedere se trovo un fazzoletto, ma non ho niente. Frugo anche nelle tasche di Gerard, e lui ride.

    «Che audacia, Iero», insinua.

    «Non ti sto toccando, idiota. Sto cercando un fazzoletto. Ne hai uno?»

    «Mmmh di che?»

    Gli prendo la faccia tra le mani perché ho bisogno che mi ascolti, e giuro su Dio che se non collabora io me ne vado sul serio, me ne vado e non mi giro più indietro.

    «Un fazzoletto, Gerard! Un fazzoletto! Ce l'hai? Ne hai usato uno prima, dove l'hai messo?»

    Non posso gridare ma glielo dico lo stesso con tutta la forza che ho in corpo, calcando le consonanti, scandendo ogni singola parola. In risposta solo le sue silenziose pupille gigantesche e vuote. Non c'è con la testa. Gerard non c'è con la testa, ha della droga pesante in corpo e sanguina per colpa mia. Ci rifletto su per pochissimi secondi, ma è solo per finta perché sappiamo tutti che in realtà ho già deciso. Mi levo la sciarpa e gliela avvolgo attorno alla faccia lasciando fuori solo il naso. Stringo il nodo più che posso, e intanto lui mi guarda concitato, non capisce. È fuori di testa. O forse quello fuori di testa sono io che lo sto aiutando.

    «Adesso ascoltami bene, ok?», gli sussurro. «Stai sanguinando e... sì, lo so che non ti fa male, ma quando l'effetto di questa merda sarà svanito ti farà male. Molto male. Adesso ti porto a casa mia e...»

    Lui socchiude gli occhi. Sta ridendo di nuovo, sotto ai tre strati di lana con cui gli ho tappato la bocca. Non c'è verso. E allora mi dico che dovrò fare da solo, e con un colpo di reni lo tiro su e lo metto a sedere. Che cazzo di casino. Prendo lo specchietto e me lo ficco in tasca così, ancora completamente coperto del sangue di Gerard. Recupero lo spray nasale, Gerard riprende a mugugnare la sua canzoncina tradizionale. Non so se ridere o piangere, ma fatto sta che c'è Gerard e ci sono io, e qui o facciamo qualcosa oppure finiamo dietro le sbarre entrambi, e quand'è così non c'è proprio un cazzo da ridere. Ci tiriamo su. Qua e là sul pavimento ci sono ancora macchie di sangue, l'unica buona notizia è che se lo sostengo un pochino Gerard riesce a stare in piedi in discreto equilibrio. Mi fissa con il solito sguardo vacuo, ma forse è solo perché ho cominciato a piangere e a ridere insieme, e visto da fuori ora come ora devo sembrare un pazzo completo. Va bene così.

    Guardo il telefono, è mezzanotte. Mio padre va letto al massimo alle undici, e al mattino esce di casa molto prima di me. Basterà entrare in casa il più silenziosamente possibile, far dormire Gerard nel mio letto e pregare Dio che domattina a papà non venga la bella idea di passare in camera mia prima di andare in negozio. Gerard oscilla di nuovo rischiando di cadere di lato, io lo sorreggo con entrambe le mani e lo rimetto dritto.

    «Gerard...»

    «Mh-mh-mh-mh-mh-mh-mh...»

    «Questa canzone del cazzo, Gerard!»

    Adesso sto proprio piangendo, è inutile raccontarsela. Ho gli occhi pieni di lacrime e non ci vedo un cazzo, è mezzanotte, ho aiutato un ragazzino a farsi una striscia di ketamina e in tutto ciò il ragazzino in questione continua a canticchiare una strafottutissima canzone tradizionale che mi sta facendo uscire di testa. Mi asciugo le lacrime con il dorso della mano, ma il risultato è che adesso oltre che di lacrime il mio occhio destro è pieno di sangue di Gerard. Scoppio a ridere e intanto continuo a piangere, isterico.

    Che serata di merda.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rientrare in casa senza che mio padre se ne accorga è sempre facile, tanto più che mio padre dorme come un ghiro e una volta che si è messo a ronfare nel suo letto tu non riusciresti a svegliarlo nemmeno se prendessi a suonare la grancassa accanto a lui. È per questo che, quando entriamo dalla porta sul retro, Gerard e la sua “This Old Man” non mi preoccupano più di tanto. Di certo mi preoccupa di più il sangue che ha cominciato a gocciolare dalla mia sciarpa. Quello sì. Gli faccio cenno di fare silenzio con un dito sulle labbra, ma anche se non fosse fatto non vedo come potrebbe esaudire la mia richiesta, visto che tra i due quello con l'aria più disperata sono io, del tipo che prima di entrare in casa ho intravisto il mio riflesso sul finestrino di un'auto e ho subito desiderato di non averlo fatto. Gerard si lascia cadere su una sedia della cucina, senza fare quasi nessun rumore. Gli tolgo la sciarpa dalla faccia: è sudato, insanguinato e infreddolito, e l'effetto della ketamina sta già scemando, perché con una mano si tocca il taglio sulla guancia e fa una smorfia infastidita. Le pupille non sono più così grandi, e allora mi chiedo se non sia il caso di limitarmi a buttare la sciarpa nella spazzatura e cacciare di casa Gerard con due bei calci nel culo.

    Ovviamente non lo faccio.

    «Vieni qui», gli dico.

    In realtà non voglio che venga qui dove sono io davvero, è tipo un “vieni qui” di quelli che vogliono dire “vieni qui che adesso a te ci penso io”, e non so se mi spiego, ma secondo me si è capito. E a Gerard lo dico proprio così, mentre lui guarda con l'aria instupidita e confusa e fa le sue smorfie infastidite per via del taglio alla guancia.

    «A te ci penso io.»

    Il sangue glielo pulisco con un po' d'acqua, ma per il taglio c'è bisogno di una garza. Teniamo la cassetta del pronto soccorso in un armadietto della cucina, dentro ci sono delle garze. Le prendo.

    «Che ore sono?», chiede Gerard.

    «Le... è mezzanotte e mezza. Più o meno.»

    Quando gli appoggio la garza sul viso mi aspetto che gridi, o si agiti, o dica qualcosa, ma lui se ne sta buono. Mi guarda come se non avesse mai visto un essere umano.

    «Che ore sono?»

    «C-cosa?»

    Mi guarda ancora, attende una risposta.

    «È... è mezzanotte e mezza, Gerard. Te l'ho appena detto.»

    «Oh. Sul serio!»

    «Sì.»

    «Ah. È la special K, credo.»

    «...S-sì, credo di sì.»

    Gli metto del cicatrizzante giallo sul taglio, glielo farà guarire prima. Il cicatrizzante giallo è una cosa fantastica, giuro. Mettiamo che tu ti squarci il corpo, cosa che a me è quasi successa quando ero piccolo e mi sono lanciato con la bici dal muretto dietro casa, e allora ti metti il cicatrizzante giallo dappertutto e il giorno dopo sei come nuovo. Giuro su Dio che il cicatrizzante giallo è un portento, e non lo dico per fargli pubblicità, tanto più che non ho idea di quale sia il suo nome ufficiale. Tutto questo per dire che metto del cicatrizzante giallo sul taglio di Gerard, e poi copro tutto con un paio di garze mentre lui continua a osservare cautamente ogni mio movimento. Butto la sciarpa nella spazzatura, chiudo il sacchetto e lo lascio in strada. Domani lo porteranno via. C'è Gerard e ci sono io, e al momento mi sento come se avessi appena nascosto un cadavere. Gerard ridacchia, lo ignoro. Mi sciacquo dal suo sangue sfregandomi le mani nel lavabo il più velocemente possibile, lo guardo mentre mi guarda. Mi asciugo.

    «Frank.»

    «Sì?»

    «È casa tua, questa?»

    «Sì. Su, alzati, ti aiuto.»

    Si appoggia su di me quasi a peso morto, camminiamo silenziosamente verso la mia camera.

    «È carina. Casa tua, dico.»

    Gli tolgo la giacca e lo lascio cadere sul letto. Resto lì a guardarlo per un po', al buio, e sì, lo ammetto, sto cercando di fare di nuovo il punto della situazione, ma al momento non riesco a pensare a nulla. Se stamattina qualcuno mi avesse detto qualcosa tipo “ehi, amico, prevedo che stasera Gerard Way dormirà nel tuo letto” gli avrei riso in faccia; o magari mi sarei gasato al massimo, una delle due. Ma questo, questo chi se lo sarebbe mai aspettato? Io no di certo. Lo sistemo a forza in una posizione che non lo faccia sembrare morto, lui mugola qualcosa a proposito di quanto vorrebbe farsi una bella dormita e poi chiude gli occhi. Ok. D'accordo, Gerard, dormi pure. Mi siedo a terra davanti al letto ed estraggo il cellulare dalla tasca per puntare la sveglia. Domani di andare a scuola non se ne parla, ma se non altro mi sveglierò prima di mio padre e nasconderò Gerard da qualche parte, magari sotto al letto, così in caso lui entrasse non vedrebbe altri che me, bello tranquillo tra le lenzuola. Punto la sveglia alle cinque e mezza e dopo aver tolto dalla tasca lo specchietto insanguinato di Gerard getto i pantaloni tra le cose da lavare, tanto più che in questa casa il bucato è compito mio. Il vetro dello specchietto è scheggiato; butto anche quello, nascondendolo il più possibile sotto a tutte le cartacce che ci sono già nel mio cestino.

    Bene. Bene. Tutto a posto.

    Sì, certo, ho quattro ore precise per dormire e un drogato nel letto, ma è tutto a posto. Bene. Chiudo gli occhi nella speranza di prendere sonno, anche se vorrei vedere voi, a dormire seduti in terra con cinque ore precise a disposizione e un drogato nel letto.

    «Frank?»

    «...Sì?»

    «Che ore sono?»

    Un sospiro. Il mio.

    «Cerca di dormire, Gerard. Ci pensiamo domattina.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Stasera l'angolo autrice l'ho messo giù, hu-huu, innovazioni su innovazioni! Buonasera.

Sono abbastanza soddisfatta di questo capitolo, anche se non è uscito esattamente come volevo che uscisse — ma è sempre così, eh, quindi tutto normale.

AH GIÀ, il titolo di questa cosina qui è preso da una canzone di Marilyn Manson (“Tourniquet”, appunto), ed è importante precisarlo perché mi pare che sia tra le regole del sito.

Vi ringrazio di aver letto fino a qui; se questa storia vi sta facendo emozionare almeno un pochino, mi ritengo già molto soddisfatta.

 

Ci vediamo con il prossimo capitolo (ノ◕ヮ◕)ノ*:・゚✧

 

pwo_

   
 
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