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Autore: Shark Attack    29/05/2015    2 recensioni
Nehroi e Savannah sono due fratelli decisamente fuori dal normale e dalla legge sia del loro mondo sia del nostro. Lui ha la capacità di respingere la magia, lei è tra le più potenti creature esistenti ma il loro legame è indissolubile e lo pongono sempre al di sopra di ogni cosa.
I due fratelli sono reietti assoluti, senza famiglia né amicizie, ma non si lasciano scoraggiare facilmente dalle difficoltà che l'avere tutti contro comporta: hanno un'ardua missione da portare a termine e niente li fermerà... neanche quando vengono separati da una montagna invalicabile come la morte.
Genere: Dark, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Al suo fianco


«Mangia».
Heebrit stava ticchettando le dita sul bordo del piatto, producendo un suono scocciante e carico d’irritazione. Maille stringeva i pugni e teneva il capo basso: il Padrone innervosito non era mai un buon segno.
Savannah, invece, non sembrava sentirlo. Fissava il contenuto del piatto davanti a lei come se fosse il suo peggiore nemico e teneva le braccia sotto al tavolo, con le dita intrecciate con forza.
«Mangia», aveva ripetuto con falsa pazienza il Padrone, lasciandosi sfuggire una nota di esasperazione.
Neanche l’occhiataccia di Maille scoccata verso la ragazza nuova stava avendo effetto.
«Da quanto sei qui, Savannah? », aveva chiesto allora Heebrit, smettendo di ticchettare. Ora stava sorseggiando con calma il vino rosso sangue dal suo calice argenteo.
«Trentasei giorni», aveva risposto la ragazza senza distogliere lo sguardo dal cibo. Un’invitante fettina di carne con contorno di funghi chiari e patate dal profumo irresistibile, ancora fumante.
Maille si era schiarita la voce e le aveva lanciato un’altra occhiata di rimprovero. Savannah l’aveva percepita senza alzare gli occhi.
«Trentasei giorni, signore», si era corretta.
«Maille», la voce di Heebrit era calma ma controllata. Aveva posato il calice sul tavolo. «So di averti dato il compito di istruirla sulle nostre regole, ma non quando sono presente anch’io».
«Chiedo perdono, padrone. Non capiterà più».
«Perché conti i giorni come se fossi prigioniera, Savannah?», aveva poi chiesto alla ragazza.
Savannah si era inumidita le labbra prima di aprire bocca. «Abitudine, signore».
«Eri denutrita, malata, senza uno scopo… un cadavere che si muoveva. Cerca di tenere a mente che non sei trattenuta qui, ci sei venuta di tua spontanea volontà e che tutti noi vogliamo solo il meglio per te. Adesso dimmi, quanti pasti ti abbiamo fornito da quando sei arrivata?»
Savannah aveva spostato la concentrazione sui denti della scintillante forchetta a destra del piatto per fare il calcolo. Tre pasti al giorno, spesso anche la merenda. «Più di cento, signore». Non era mai stata a scuola e fare di conto non era tra le sue capacità migliori, andare a spanne le era sempre bastato.
Heebrit invece aveva il numero preciso stampato in mente, ma non era importante. «Esatto. E quelli che hai consumato si possono contare sulle dita di una mano sola».
Il Padrone non sembrava arrabbiato, solo desolato. Che la salute di Savannah fosse sempre stata al centro dell’attenzione da quando aveva messo piede nel Palazzo era risaputo, ma Maille si stava stupendo di quanto potesse essere paterno nei suoi confronti. Era difficile trattenersi dal provare invidia nei confronti di quella ragazzina ingrata.
«Mi dispiace».
«Non dispiacerti, Savannah. Aiutami, piuttosto, a capire cosa possiamo fare per farti stare meglio».
Savannah aveva finalmente alzato lo sguardo e lo stava fissando dritto in volto. «Mi avete portata via da Ogklur, lavata, vestita, curata, fatto rimettere in forze, fatto recuperare la memoria, dato un senso alla mia nuova vita. Padrone, non c’è nient’altro che io possa desiderare o necessitare, avete fatto per me molto più di quello che chiunque altro avrebbe fatto per una sconosciuta!»
Heebrit aveva annuito pacato, come se non si sarebbe aspettato nessun’altra risposta. «Quindi non vuoi aiutarmi a capire quale cibo non ti sembra marcio o disgustoso? », aveva insistito poi, accarezzando le decorazioni sul suo calice.
«Non è più quello il problema, ho superato quella fase. Adesso, semplicemente… non ho più fame».
«Altri che ritornano dal Regno dei Morti, invece, hanno sempre fame ma non trovano nulla di loro gradimento, soprattutto tra i cibi che adoravano nella precedente vita».
Savannah si era incupita.
«Ma ovviamente non vale per te, tu hai avuto un’esperienza completamente diversa… devo ricordarmi di dire agli og di dispensare qualche pagnotta in più a chi mi interessa».
Heebrit si era alzato in piedi, con un bambino in divisa arancione ad aiutarlo prontamente a spostare indietro la pesante e decorata poltrona di legno e velluto, ed aveva indicato il piatto di Savannah a Maille. «Lo vuoi tu? », aveva chiesto.
La donna era sazia ma aveva annuito ed aveva allungato il braccio per afferrare il piatto. Savannah, invece, aveva seguito il Padrone.
«Vai ad allenarti», le aveva detto.

Haich stava per iniziare la sua seconda settimana di permanenza nel castello del Padrone e non poteva far altro che esserne contento. Finalmente la sua vita aveva un senso e il suo operato serviva a qualcosa: la sua smania di essere utile ad Ataklur era soddisfatta. Sebbene non avesse ancora mai preso parte a nessuna missione, tutti gli allenamenti ed i vertici tattici gli avevano provato che l’unico vero regnante del Regno magico era la persona con più carisma, potere e buon senso che esistesse: Lord Heebrit.
C’era solamente una cosa che non gli piaceva fare, e purtroppo gli capitava spesso quella mansione: aiutare negli allenamenti la pupilla del padrone, Savannah. Se si potevano chiamare così quelle torture a cui la sottoponeva per, ufficialmente, “rafforzarla”.
«Sei una jiin nera», gli stava dicendo quel giorno, mentre le gettava addosso una secchiata d’acqua gelida. Savannah non tremava neanche più, come se avesse sempre ignorato come si facesse. «Perché hai bisogno di tutto questo?»
La ragazza non indossava la divisa durante quegli allenamenti. Tutto ciò che ricopriva il suo corpo era una canottiera sgualcita sull’orlo destro, macchiata di sangue e altre cose indefinite, e dei pantaloncini che le arrivavano a metà coscia, rovinati e sporchi come la parte superiore. La pelle chiarissima di Savannah era solcata di ferite fresche, con piccoli rivoli di sangue che colavano sul pavimento della sala sotterranea in pietra scusa. I suoi occhi erano accesi, donandole un’espressione energica sul viso che stonava con la stanchezza e l’evidente sforzo a cui era sottoposta.
L’acqua e i cubetti di ghiaccio la colpivano ripetutamente in pieno e scivolarono lungo il suo corpo inzuppandola dalla radice dei capelli fino ai piedi scalzi, ma lei non batteva mai ciglio e restava focalizzata su ciò che stava facendo: rovistare la mente di un povero disgraziato rinchiuso in una cella a pochi metri da loro. Quell’uomo non aveva altra funzione se non quella di fornire alla jiin qualcosa di difficile da fare e pronunciava strani versi gutturali disarticolati mentre soffriva l’inquisizione mentale.
«Se il Padrone vuole che lo faccia, lo faccio», rispondeva meccanicamente lei senza neanche guardare l’uomo che le lanciava secchiate gelide ogni minuto.
Heebrit le aveva ordinato di scoprire il nome dell’animaletto d’infanzia della vittima usando esclusivamente la magia più subdola ed invisibile.
Haich aveva ancora il secchio d’acqua in mano, vuoto, e non sembrava pronto a volerlo riempire ancora. «Cosa stai facendo, esattamente? »
«Parlo con te mentre mi distrai dal mio vero obbiettivo», aveva risposto Savannah senza guardarlo. «Che sarebbe? »
L’uomo nella cella sudava, faceva infinite smorfie e versi soffocati, mentre con gli occhi implorava la ragazza di smettere. Ma lei non cedeva, non poteva.
Anzi, si impegnava di più e, inoltre, rispondeva ad Haich. «Non te lo posso dire, se no lui inizierà a pensarci e renderà inutile questo allenamento».
«Quindi non vuoi che lo sappia così non te lo può dire? »
Haich stava davvero cercando il senso di quell’attività, ma gli era difficile.
Savannah aveva invece trovato divertente quella domanda. «Non potrebbe neanche volendo», aveva risposto in un ghigno.
Il nuovo arrivato non aveva ancora notato che l’uomo nell’altra cella aveva una strana incisione sulla gola ed ai lati della bocca tremante. Piangeva senza ritegno, mentre allungava le braccia oltre le sbarre per chiedere pietà e perdono per qualsiasi cosa avesse fatto per meritarsi quella tortura.
«Continuo a non capire…», Haich aveva riempito il secchio d’acqua e lo stava per rovesciare di nuovo su Savannah. Aspettava il momento in cui la vedeva più concentrata per poterla disturbare meglio, come gli era stato ordinato. Nel frattempo, per intrattenersi mentre il silenzio veniva rotto solamente dai lamenti disperati ma deboli dell’uomo in cella, osservava la ragazza. Gli venivano i brividi vedendola in azione, sapendo cosa stesse facendo e cercando di non farsi traviare dalle apparenze: sembrava solo uno scricciolo malnutrito in piedi in una stanza, inzuppata come un pulcino e stanca come se avesse fatto una maratona, ma sotto la superficie non era niente di così semplice.
«Il Padrone vuole che sia in grado di portare a termine i suoi compiti, qualunque essi siano, senza farmi rallentare dalle distrazioni o dagli impedimenti», rispondeva tranquilla anche mentre l’acqua la congelava da capo a piedi ancora una volta. Il rumore della secchiata aveva interrotto fragorosamente la sua frase, ma a stenti era riuscito a sovrastare i lamenti dell’uomo.
«Lo fai ogni giorno, quindi?»
«Poppit!», aveva esclamato Savannah con soddisfazione. Interrotto il collegamento mentale con l’uomo in cella, questi era crollato a terra sfinito ed i suoi lamenti avevano iniziato ad affievolirsi fino a diventare piccoli gemiti.
Savannah si era passata una mano sul viso ed aveva sistemato all’indietro i capelli fradici per liberare la visuale. «Chi avrebbe mai immaginato che il tuo animale d’infanzia fosse un serpente …»
Haich non sapeva cosa dire o pensare. La paura che prima o poi quella ragazza, grazie a quegli atroci allenamenti, sarebbe riuscita a leggere la mente degli altri con meno fatica e più rapidamente lo inquietava oltre ogni dire.
«Wow», era riuscito solamente a dire. «Impressionante».
Savannah aveva scosso la testa, delusa. «No, lo sarà quando ci metterò di meno, non mi stancherò così tanto e l’altra persona non se ne renderà conto. Il Padrone sarà scontento di questo allenamento».
«I jiin normalmente non possono manipolare la mente, è troppo contorta», aveva osservato Haich mentre metteva via il secchio, appeso al chiodo che sporgeva dal muro, pronto per l’allenamento del giorno dopo. «Anzi, non sapevo si potesse fare».
«È vero, normalmente non si può. Ma il Padrone vuole che lo faccia, e io obbedisco».
Aveva preso l’asciugamano che le stava porgendo Haich e se lo stava passando addosso. La spugna era morbida ma puzzava.
«Io mi sono unito alla corte perché voglio combattere», Haich la guardava dritto negli occhi con quell’espressione piena di domande che Savannah ultimamente odiava, da momento che in molti gliela rivolgevano. «Credo che il Padrone sia la persona con i mezzi migliori per ristabilire l’ordine ad Ataklur e che potrebbe essere un Capo migliore di tutti gli altri, unificando il Regno».
«Buon per te».
«Tu, invece, perché ti sei unita alla corte? »
Savannah era rimasta col fiato sospeso per un paio di istanti, poi lo aveva rilasciato in un sospiro pesante e denso di episodi spiacevoli. «Andiamo a fare rapporto», aveva consigliato.
Haich però non mollava. «Sul serio, mi piacerebbe saperlo… sei un enigma, voglio solo riuscire ad inquadrarti meglio. Per favore».
L’uomo in cella aveva smesso di gemere, forse era svenuto o si era addormentato o peggio. A nessuno importava, ma quell’assenza di lamenti aveva reso la sala sotterranea più ampia e cupa del normale. L’unico rumore era il vento che soffiava fuori dalla finestrella alle spalle dei due jiin. Soffiava con violenza, ululando come un lupo e facendo tremare il vetro opaco.
«No».
Savannah gli aveva dato le spalle e stava iniziando a salire le scale, ma la voce di Haich l’aveva fatta fermare.
«Tu sei una dei Fein Anis, giusto? », stava dicendo. «Savannah e… Nehroi, sì. Le piaghe di Feinreth, sai… nella mia città eravate il miglior pretesto per creare barzellette contro le Guardie di Feinreth, quegli stupidi mangiasabbia che non riuscivano a mettere nel sacco due bambini…»
Haich ridacchiava, ma Savannah combatteva internamente per non mostrare emozioni, cercando sia di non piangere sia di reprimere la voglia di staccargli la testa dal collo.
«Non ho avuto un’esistenza facile», aveva detto allora la ragazza. La pausa le aveva dato modo di cercare la frase più semplice e corta per terminare quella conversazione in maniera civile, senza danni collaterali. «Ho perso sempre tutto e tutti, mi era rimasto solo mio fratello, ma poi ho perso anche la mia stessa vita. Dopodiché ho sofferto ancora, di quel poco che avevo ritrovato, avevo perso ancora una volta tutto… e il Padrone mi ha salvata. Ero un guscio vuoto e rotto, lui ha riparato le crepe e mi ha curata, accudita, mi ha dato uno scopo e non posso che essere al suo fianco in qualsiasi cosa voglia da me».
«E tuo fratello? »
Savannah non sapeva cosa dire. «Non importa».
«Credevo foste due metà di un tutto, inseparabili».
«Sì, poi sono morta. Adesso tutto il mio essere è rivolto verso il Padrone, il resto non conta».
«Sì ma tu sei la sua arma, non credo abbia... »
«Sentimenti? Non m’interessano, se vuole che io sia la sua arma, sarò la sua arma! Non sei il primo che mi vuole “far ragionare”, ma non c’è davvero niente su cui io voglia cambiare idea».
La sua voce era potente e decisa, Haich iniziava a credere di non aver fatto bene nel volerle chiedere cose così private. “Dannata voglia di sapere i retroscena della gente”, si rimproverava.
Savannah non aveva notato la sua espressione trasformata in rimorso.
«Non me ne frega niente di quello che vuole fare ad Ataklur, se vuole essere il Grande Capo, il re o solo un distruttore», aveva detto per terminare il discorso. «Qualsiasi cosa voglia da me, gliela darò».

Heebrit la stava fissando da più di due minuti interi, senza proferire parola. Savannah si era lavata e resa presentabile, aveva indossato la divisa nera ed era andata nell’ufficio del Padrone come era solita fare dopo gli allenamenti.
Avrebbe voluto chiedergli se avesse potuto fare qualcosa per sbloccare quella situazione, ma il buon senso imposto da Maille le diceva di restare in silenzio.
«Sei stata molto deludente», aveva poi detto il Padrone, senza distogliere lo sguardo dalla ragazza. Savannah aveva chinato il capo per la vergogna. «Mi dispiace, signore».
«Ho sentito i lamenti di quel pover’uomo fin qui, a ben due piani di distanza… non ti avevo chiesto di toglierli le corde vocali, per evitare questo fastidio?»
Savannah aveva annuito. «L’ho fatto, signore».
Heebrit aveva schioccato la lingua con disappunto. «Allora sei stata ancora più deludente. Come puoi pensare di introdurti da qualche parte, di nascosto, e non riuscire ad estrarre neanche un’informazione così stupida senza che mezza città lo sappia?»
Savannah non aveva risposto. Aveva chinato ancora di più la testa, colma di un’orribile sensazione. «Da domani chiederò ad Haich di romperti qualche osso di tanto in tanto, e di lanciare anche acqua bollente. Devi diventare più rapida ed indolore, Savannah, o sarai inutile».
«No!», aveva esclamato lei punta nel vivo. Aveva fatto diversi passi avanti e si era inginocchiata ai suoi piedi, implorante. «Farò tutto quello che vuole, migliorerò, glielo prometto! »
Nei suoi occhi era emersa la paura del fallimento e delle sue conseguenze, ed Heebrit non trattenne un sorriso sghembo nel vederla. «Sarà meglio che tu dia il massimo».
Erano passate altre tre settimane, Haich era andato in missione a raccogliere informazioni da alcuni infiltrati nelle varie regioni e Maille era riuscita ad entrare nella dimora del nemico più pericoloso del Padrone: la autoproclamatasi Principessa Chawia.
Lì aveva il compito di spiarla e di entrare nelle sue cerchie, creandosi dei precedenti positivi per riuscire ad avere accesso a più aree del Palazzo senza dare nell’occhio. Savannah, invece, era stata impegnata soprattutto al castello, al servizio diretto del Padrone, accogliendo ogni sua richiesta con piacere e rafforzando la lealtà nei suoi confronti.
Aveva messo il naso fuori dal giardino solo poche volte, ma in tutte le occasioni il suo compito era l’eliminazione silenziosa e senza tracce di gente scomoda e lei era diventata così rapida e brava che presto nel castello si erano diffuse voci e leggende sul suo conto.
C’era chi diceva che fosse in grado di sterminare una legione di guardie in meno di dieci secondi, chi sosteneva di averla vista far rimpiangere al più saldo degli uomini di essere nato; altri ancora dicevano che in realtà fosse addirittura più forte del Padrone, e che fosse per questo che lui non usciva mai dal suo ufficio per mandare sempre lei a fare il lavoro sporco. Infine, c’era chi sosteneva che lei non fosse altro che la sua lucciola, che la sua divisa fosse nera non per rappresentare il suo grado e che ogni cosa sul suo conto fosse inventata per tenerli buoni.
Lei non smentiva né alimentava nessuna di queste voci.
Di ritorno dalla quotidiana formazione delle truppe, era solita sottoporsi agli allenamenti di rafforzamento, i quali avevano raggiunto degli apici di tortura così elevati che per chiunque altro erano semplicemente insostenibili. La prova di ciò erano i due sottoposti dalla dubbia lealtà alla causa che, per essere raddrizzati e per dissuadere chiunque altro dal scegliere lo stesso percorso, avevano dovuto provare a superare il labirinto demoniaco che Savannah attraversava ogni sera.
Nessuno dei due aveva percorso più di due metri dei cinquecento che separavano l’ingresso dall’uscita, e tutte le altre nuove reclute avevano imparato la lezione.
«Quando sarete davanti al nemico, ovvero chiunque voglia intralciare la vostra via, niente dovrà fermarvi», tuonava la ragazza dopo aver dimostrato come si superavano le prove del labirinto, senza sgualcire la divisa e quasi senza spettinarsi. «La corte del Demonio non si deve piegare davanti a niente».
«La corte del Demonio non si piega!», tuonavano di rimando le fila di uomini e donne al servizio del Padrone.
«La corte del Demonio non si piega!»
«La corte del Demonio non si piega!»

Il motto rimbombò dal sogno alle sue orecchie e Savannah si svegliò di soprassalto. Era nella stanza che Chawia le aveva riservato nel suo palazzo, e Nehroi era ancora accanto a lui.
Aveva il respiro pesante, come se avesse corso per chilometri prima di fermarsi, e il cuore batteva all’impazzata. Quel sogno non poteva essere casuale…
Guardò Nehroi e notò che il suo volto non era completamente rilassato. Stava forse avendo degli incubi anche lui?

«Voglio che tu raggiungi Maille ad Eastreth», le aveva ordinato il Padrone pochi giorni prima.
«Dovrai recapitare un messaggio al Capo Chawia e credo che tu sia la persona adatta per farlo permeare al meglio».
Qualsiasi cosa per il Padrone.
«Ah», le aveva poi detto fermandola sulla soglia, un secondo prima che uscisse dall’ufficio. «Ci saranno anche un po’ di persone della tua vita passata. Spero non sarà un problema».
Savannah aveva esitato. «Cosa devo farci?», aveva chiesto, pregando internamente che non le chiedesse di ucciderli. Non sapeva se sarebbe riuscita a…
«Oh, niente di tragico, tranquilla», aveva per fortuna risposto lui con un sorriso ampio. «Dimostrami solamente come sai gestire una situazione spinosa. Sei libera di fare quello che vuoi, non ti controllerò per giorni».

Savannah accarezzò Nehroi ed il suo cuore si sciolse in un tepore caldo e troppo a lungo sepolto.
«Neh», gli sussurrò all’orecchio. «Andiamo», lo esortò con dolcezza.
Il fratello grugnì qualcosa ed aprì debolmente gli occhi. «Ma è notte», pigolò lamentevole.
Savannah sorrise e gli aggiustò un ricciolo sulla fronte amorevolmente. «Su, non sprechiamo altro tempo. La missione ci aspetta».







*°*°*°*


Habemus aggiornamentum! Ahahah!
Scusate per l'immenso ritardo, mi sono fatta schifo da sola e adesso, in questi giorni, mi sono autopresa per le orecchie e mi sono costretta a ripescare l'ispirazione dal fondo dei miei impegni e ho scritto. Ho scritto! Ben tre capitoli e lo schema per i futuri 7, mi sembra un buon ritorno "alle armia" ^^
Grazie a tutti per la pazienza, la costanza ecc se siete ancora qui! Andiamo avanti con la missione, dajeeeee!

Alla prossima! Che giuro non sarà troppo in là! xD

Finalmente di nuovo vostra,
Shark
   
 
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