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Autore: TaliaAckerman    29/05/2015    3 recensioni
L'ultimo atto della saga dedicata a Fheriea.
Dubhne e Jel si sono finalmente incontrati, ma presto saranno costretti a separarsi di nuovo. Mentre la minaccia dal Nord si fa sempre più insistente, un nemico che sembrava battuto torna sul campo di battaglia per esigere la sua vendetta. Il destino delle Cinque Terre non è mai stato così incerto.
Dal trentaquattresimo capitolo:
"Dubhne si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e ricordò quando, al suo arrivo a Città dei Re, l'avevano quasi rasata a zero.
- Quando ero nell'Arena... - mormorò - dovevo contare solo su me stessa. Un Combattente deve imparare a tenere a bada la paura, a fidarsi solo del proprio talento e del proprio istinto. Non c'è spazio per altro.
Jel alzò gli occhi e li posò su di lei - E che cosa ti dice ora il tuo istinto?
- Sopravvivi. "
Se volete sapere come si conclude il II ciclo di Fheriea, leggete!
Genere: Azione, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'II ciclo di Fheriea'
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I prati intorno a lei erano tinti di rosso. Centinaia di papaveri ondeggiavano con il vento mattutino, gli steli piegati e i petali leggeri che minacciavano di staccarsi e volare via da un momento all'altro.
Nell'aria si avvertiva il profumo dell'estate.
Dubhne mosse qualche passo lungo il dolce pendio erboso e, quando avvertì l'erba pungerle leggermente le palme dei piedi capì di essere scalza. Se ne stupì.
La ragazza si guardò intorno per cercare di capire dove potesse trovarsi; di certo il paesaggio non ricordava quello attorno a Città dei Re, eppure le pareva in qualche modo familiare... anche se lontano.
Là in fondo, oltre le colline, le parve di intravedere un villaggio, le casupole scure di legno in contrasto con il cielo più azzurro che mai.
Ma certo... Cèlia! Di che cosa poteva trattarsi se non della sua città, il luogo dov'era nata e cresciuta? Era tutto esattamente al suo posto, proprio come la ragazza l'aveva lasciato. I campi leggermente scoscesi, la totale assenza di alberi, i rigagnoli d'acqua che scorrevano sul terreno rendendolo umido e instabile. Le parve persino di riconoscere la sartoria del signor Tomson, l'unica costruzione più ampia in mezzo alle altre case così modeste.
Questo poteva significare una sola cosa: doveva essere vicina anche alla casa dei suoi genitori. La sua casa.
Era lì, il suo posto. Le colline dello Stato dei Re sud-orientale.
Eppure... la ragazza era sicura che non vi fossero mai stati così tanti papaveri ad infestare quelle lande. E quel silenzio, la totale assenza del volo degli uccelli e il rumorio degli insetti... Dubhne era completamente sola.
Si rese conto di avere sete, così fece per avvicinarsi ad un ruscello dove l'acqua fosse leggermente più fluente rispetto agli altri rigagnoli. Si chinò arrivando a specchiarsi sulla superficie increspata ma limpida.
Dubhne non riuscì a trattenere un'esclamazione di stupore, o almeno pensò di non riuscirci, perché dalla sua bocca spalancata non fuoriuscì alcun suono.
Non era più Dubhne la donna, la Ragazza del Sangue, era tornata ad essere una bambina di sei, sette anni. Non di più. L'unica cosa che indossava era una sorta di abito molto semplice, lungo fino ai piedi di un intenso color rosso porpora. Pareva anch'esso un immenso petalo di papavero, il tessuto lievemente ondulato, la consistenza morbida.
Contrariamente a quanto avesse pensato all'inizio, Dubhne si ritrovò avvolta da un'inconsueta quanto surreale calma. Lenta, senza chiedersi come potesse essere successa una cosa del genere - l'idea non le sfiorò neanche la mente - accostò le labbra alla superficie del ruscello e le dischiuse, assaporando la freschezza dell'acqua sperando di dissetarsi.
Eppure, più beveva e più desiderava bere ancora. Si ritrovò protesa, immergendo sempre di più il volto nella pozza, finché ebbe paura di non riuscire a tornare più alla luce. Una forza invisibile la reclamava a sé, mentre sotto i suoi occhi stupefatti il fondo del ruscello si allontanava sempre di più, confondendosi con il cielo azzurro che l'acqua cristallina stessa rifletteva, e Dubhne continuò a scendere, sempre più giù, in quell'abisso stranamente chiaro e dal limite sconosciuto.
Con un tuffo al cuore la Combattente si rese conto che respirare non le causava alcun problema: inspirava a pieni polmoni eppure l'acqua non le si riversava in gola, non la soffocava.
Terribilmente confusa, Dubhne si rese conto di aver appena poggiato la mano su qualcosa di duro.
L'azzurro era ancora lì, ma stavolta si trovava sopra di lei. Intenso, aperto e sconfinato, era il cielo. Al limite della sua visuale, il sole brillava insistentemente, i suoi caldi raggi ad illuminare di luce fortissima l'ambiente circostante.
Dubhne si rialzò a fatica, la testa che le girava, tentando di capire dove potesse essere stata trasportata.
Fu solo quando alzò lo sguardo sulle gradinate intorno a lei che capì: era tornata nell'Arena. Aveva stentato a riconoscerla, perché i papaveri erano ancora al loro posto, forse più numerosi di prima; ricoprivano ora l'intero campo di battaglia in terra battuta, immobili, resi statici dalla totale assenza di vento. In quel momento, Dubhne comprese che in essi c'era qualcosa che la inquietava: lo stelo verdognolo non si scorgeva quasi più, rimanevano solo i petali. Rossi, intensi, quasi... liquidi? Parevano espanderai sempre di più e uniformarsi, e lei si rese conto che anche il punto dove poggiava i piedi ne era ricoperto.
Mentre tutto intorno a lei le immagini cominciavano a sbiadire, Dubhne vide un estraneo alto, senza volto, avanzare con passo deciso dall'altra parte del campo verso di lei. L'istinto le suggerì di cercare la propria scimitarra nel fodero appeso alla cintura, ma quando le sue dita si chiusero solamente attorno all'aria rammentò di non essere pronta per un combattimento. E il proprio corpo non era allenato e scattante come quello della Ragazza del Sangue, no, era ancora minuto, gracile, a malapena coperto da quell'abito rosso che non avrebbe potuto proteggerla nemmeno da una lama di legno...
Tentò di indietreggiare, di scappare, ma non ci riuscì: ovunque tentasse di muovere i piedi, si ritrovava ancora nel medesimo posto. Non poteva farcela, era in trappola, era perduta...
Non vide mai la vera identità dell'avversario che si dirigeva verso di lei; Dubhne poté solo riconoscerne la spada - un'arma lunga e smoderatamente spessa - che veniva alzata verso l'alto e poi calava, inesorabile, su di lei.
Il dolore non arrivò mai, ma il sangue sì: Dubhne lo vide schizzare in ogni direzione, accorpandosi con quello che già allagava il terreno. Aprì un'altra volta la bocca in un urlo muto e senza fine, poi venne trascinata via, nel buio, ancora avvertendo sulle mani il calore pulsante del proprio stesso sangue purpureo.



Spalancando gli occhi, Dubhne si tirò su a sedere di scatto.
Ansimava e, nel portarsi una mano sulla fronte, si rese conto di essere madida di sudore. Impiegò qualche secondo per intuire dove potesse trovarsi.
Era seduta su un manto di morbida erba verde, e per un attimo temette di rivedere attorno a sé lo stuolo di strani fiori rossi; ma non ve n'era traccia, gli unici fiori rimasti erano secchi e grinzosi, come bruciati dall'incredibile caldo di quel periodo.
Poco distante da lei c'erano altre persone, malamente coperte da teli sottili o appoggiate su mucchietti di vestiti a mo' di cuscino. Un po' più in là Dubhne vide le bianche tende dei funzionari del palazzo e, dietro di esse, l'imponente padiglione reale.
Sbuffò. Pareva stessero ancora tutti dormendo.
Si erano accampati la sera prima, piuttosto tardi, preferendo evitare di fermarsi ad alloggiare in qualche locanda per stabilirsi poco distante dalla Grande Via. Era uno scenario accaldato ma complessivamente gradevole: i raggi precoci dell'alba illuminavano a malapena i prati, ma la calura diurna non si faceva sentire ancora.
Tentando di calmare il battito impazzito del proprio cuore, Dubhne si rimise i piedi, sbadigliando e allungandosi le mani sopra la testa per stiracchiarsi, ancora intorpidita dalla notte passata così scomoda e agitata. Poi si guardò intorno, chiedendosi se vi fosse il tempo per una nuotata prima che il resto del corteo si destasse e riprendesse la marcia; la ragazza aveva infatti scorto, a qualche decina di metri da loro, il corso di un piccolo ma lucente torrente. L'idea di rinfrescarsi per cominciare bene la giornata la convinse.
Si avviò spedita verso il corso d'acqua, già sfilandosi la casacca da combattimento; era dal giorno della semifinale contro Clia - lo stesso giorno in cui James era morto - che non trovava l'occasione di farsi un bagno e darsi una lavata.
Dopo essersi voltata ancora una volta per controllare che, bene o male, nessuno desse segno di voler ripartire o anche solo di osservarla, la Combattente lasciò scivolare a terra anche le brache della propria divisa e immerse un piede, e poi l'altro, nelle acque limpide.
Il torrente non era troppo profondo, ma abbastanza da permetterle, se seduta appoggiata sui ciottoli, di rimanere sommersa fino alle spalle. La temperatura fresca le regalò all'istante una sensazione di sollievo. Dubhne si passò le mani colme d'acqua sul viso, come nel tentativo di sciacquare via il ricordo dell'angustiante incubo di quella notte.
Stai tranquilla. Smettila di fare così. Va tutto bene.
Era vero, constatazione inequivocabile. Era libera, i Giochi erano terminati e non solo, lei aveva vinto. Ora era ricca, disponeva di talmente tanto denaro da non saper bene che farsene - almeno per il momento - quindi perché diamine doveva continuare a sentirsi così in preda all'ansia?
Pareva paradossale, eppure in quel momento una parte di lei le suggeriva che avrebbe desiderato trovarsi ancora a Città dei Re. Ancora una Combattente, ancora rinchiusa nella sua stanzetta del palazzo Cerman, ma... a casa sua.
Ora basta! Hai fatto di tutto pur di convincere Jel a portarti con loro, e ora che fai? Rimpiangi di averlo fatto?
Combattere è la cosa che sai fare meglio, e lo sai. Non hai niente da condividere con queste persone.

Possibile che la scelta giusta fosse potuta essere quella di rimanere nella squadra di Malcom per un'altra edizione, come aveva fatto Jackson Malker? Unirsi al viaggio per Fheriea alla ricerca di nuove reclute con gli altri - lo stesso viaggio che aveva condotto le strade sue e di Malcom ad incontrarsi - e poi riprendere gli allenamenti in vista della nuova competizione... Così almeno sarebbe potuta rimanere con Claris, Illa, Xenja, magari trovare anche qualche avversario che valesse il suo tempo. Per non parlare del clima che l'avrebbe sempre, indissolubilmente avvolta all'interno della capitale: era proprio come le aveva sussurrato Claris, lei era la loro campionessa, probabilmente in quel momento la persona più ammirata e invidiata della città.
No, la redarguì una voce nella sua testa, decisa. Non avrebbe mai potuto rimanere. Nemmeno lei stessa sapeva con esattezza dove avesse potuto trovare tutta la grinta e la determinazione - oltre alla prestanza fisica, ovviamente - necessarie per vincere i Giochi Bellici, misurandosi con avversari che, stando ai pronostici, avrebbero potuto spazzarla via senza la minima difficoltà. Di tutto questo era maledettamente fiera, certo, ma non era completamente sicura di riuscire a farlo di nuovo. I Giochi erano pur sempre una scommessa, come il tiro di una monetina: chi poteva saperlo? Partecipando un'altra volta avrebbe potuto morire durante la finale così come durante il primo turno, nulla avrebbe potuto garantirle l'incolumità un'altra volta. Era forte, certo, e capace, e caparbia, ma... la vita l'aveva posta nella condizione di cercare un'altra via, trovare nuove occasioni... L'idea di tornare a rischiare la vita la respingeva.
Dubhne fu strappata dalle sue riflessioni quando si rese conto che il sole era ormai sorto quasi del tutto. I suoi raggi si erano allungati, inondando il tutto di una calda luce dorata.
La ragazza si rimise in piedi e uscì dall'acqua, afferrando i vestiti che aveva lasciato a terra e rinfilandoseli alla svelta; poco importava che al contatto con la pelle bagnata si fossero inumiditi all'istante, anzi, ancora meglio: almeno per un po' l'avrebbero tenuta al fresco sotto quel sole cocente.
Codarda. Codarda. Codarda. Percorse la strada che la separava dall'accampamento senza riuscire a scacciare quella parola. Davvero la volontà di ripartire così presto, di abbandonare il mondo dei Giochi così... Tutto era stato dovuto solamente alla... paura?
Una volta avvicinatasi al carro della servitù per assicurarsi che il suo baule fosse ancora al suo posto, Dubhne raccolse la scimitarra che aveva appoggiato vicino ad esso e se ne assicurò il fodero alla cintura.
Diverse persone erano già sveglie e in movimento, ora, ma nessuno parve prestarle particolare attenzione. Beh, meglio così.
Nemmeno un quarto d'ora dopo Dubhne si trovava nuovamente in sella al proprio destriero, le mani strette sulle briglie e lo sguardo che vagava lontano, lungo quel panorama che era ancora incredibilmente variato. Man mano che si avvicinavano a mezzodì, il calore estivo si faceva più insistente, tant'è che più volte Dubhne si ritrovò a chiedere ad un'ancella che procedeva vicino a lei di permetterle di bere un paio di sorsi d'acqua dalla sua bisaccia, promettendole in cambio il valore di uno hire d'argento.
Mentre, circa nel mezzo della carovana, Dubhne aguzzava lo sguardo per dare un'occhiata a ciò che potesse trovarsi oltre il loro corteo, la ragazza le rivolse la parola.
- E così... Sei davvero tu la Ragazza del Sangue?

Dubhne sospirò; non era la prima persona che glielo chiedeva, eppure erano passati neanche due giorni dalla sua partenza!
Sforzandosi di non cercare pretesti per litigare, guardò la giovane di fianco a lei con un sorriso quasi compassionevole e rispose:- Sì, sono proprio io. Ma il mio vero nome è Dubhne.

- Zaira - si presentò timidamente l'altra accennando un sorriso. - E come... Come mai hai deciso di unirti a noi?

- Non ho deciso di unirmi a voi - puntualizzò Dubhne, sentendosi già infastidita. - Ho conosciuto una persona che mi ha proposto di venire con lei a Grimal.

Non era la verità ovviamente, ma a dirla tutta la Combattente non aveva alcuna voglia di rivelare i particolari degli ultimi giorni ad una sconosciuta.

Zaira rimase in silenzio per alcuni istanti, poi tornò alla carica:- Io invece sono una dama di compagnia della principessa Freida. All'inizio avrei dovuto rimanere a Città dei Re, a palazzo, ma poi la mia signora ha deciso di partire per il sud insieme a suo padre, sua grazia il re.

Dubhne sperò di non doversi mai trovare nella situazione di rivolgersi a qualcuno con simili appellativi.

- Così ha deciso di portare me e altre due ragazze con lei. Lady Freida è naturalmente nella grande portantina insieme a sua madre, sua grazia la regina, ma non c'e spazio per troppe persone e così ci lascia cavalcare all'esterno. Lizzy e Danima sono appena più avanti, quando sapranno che ho parlato con...

Dubhne alzò una mano per indurla a tacere. - Non m'interessa delle tue amiche, Zaira - si schiarì la voce, pensando che forse era stata un po' troppo sgarbata. Poi mandò tutto al diavolo e proseguì:- Mi fa molto piacere che la tua mansione ti renda felice, ma - davvero - non mi interessa conoscere altre persone. Non... - si interruppe. - Ho altro a cui pensare, in questo momento.

Visibilmente dispiaciuta, la giovane ancella rallentò l'andatura del suo cavallo lasciando che Dubhne si allontanasse, e quest'ultima si lasciò sfuggire un sorriso amaro. In quel momento, trovava odiosa la presenza di quasi tutti i componenti del corteo attorno a lei. Il miracoloso viaggio verso il sud non stava andando esattamente come aveva sperato.

- Parli piuttosto bene, per essere una Combattente - una voce vicino a lei la colse completamente di sorpresa.

Si voltò e, proprio davanti a lei, incontrò lo sguardo limpido di Jel Cambrest.
Dunque si era degnato di aspettarla per rivolgersi nuovamente a lei; era dalla mattina precedente che non avevano modo di parlare o anche solo trovarsi nelle vicinanze l'uno dell'altra.

- Non sono una selvaggia - ribatté piccata, affiancandolo. - Non avrò ricevuto un'educazione, ma non sono un'idiota.

- Non intendevo questo - fece Jel senza ostentare alcuna aria di scuse. Alzò le spalle. - Ma tra i Combattenti non vi è di certo un fiorente ambiente culturale. Tu ti esprimi in scioltezza, è da quando ti ho incontrata che l'ho notato.

Dubhne avvertì una stretta al cuore.
Se aveva acquisito una buona padronanza dell'idioma dello Stato dei Re non era stato tanto merito dei suoi genitori quanto di Archie Farlow. Un curioso formicolio le prese le mani nel ripensare a tutto ciò che lei e Archie avevano condiviso, alle interminabili serate china sui libri mentre il suo padre adottivo cercava di insegnarle a leggere...

- Non sono sempre stata una Combattente - disse alla fine, tornando a guardare Jel. - Ho avuto anch'io una casa, una famiglia. Solo... per meno tempo di quanto avessi sperato.

Jel alzò un sopracciglio. - Da dove vieni in realtà? - le chiese incuriosito.

Dubhne rifletté un istante se rispondergli con sincerità o no. Alla fine rispose cautamente:- Da Célia, un... un paese poco distante dal confine con Tharia.

- Célia... - ripeté il mago, come assorto. Poi schioccò le dita. - Ma certo, ricordo. Ci sono stato parecchie volte. Mio padre vi andava spesso, quand'ero piccolo. È là che si trova quella famosa sartoria, giusto?

Altro tuffo al cuore.
La sartoria del signor Tomson. Dunque era davvero così conosciuta? In un solo vorticoso istante i ricordi le invasero nuovamente la mente. Conservare il ricordo per sé era un conto, ma parlarne... sentirla citare da altri...

Cercando di divagare, la ragazza aggiunse:- Ma a Célia ho trascorso solo i miei primi otto anni, poi... mi sono spostata. Archie... un uomo di Chexla mi ha ospitata in casa sua per diversi anni. È stato lui ad insegnarmi quello che so su Fheriea. Ho imparato a leggere e a scrivere, ma poi... - no. Si stava spingendo troppo in là. Non aveva alcuna voglia di rivelarle di come Malcom Shist avesse pagato profumatamente Archie per convincerlo a vendergliela come Combattente.

- Allora?

Dubhne guardò il giovane con un pizzico di stizza; perché non si faceva gli affari propri? Che gli importava del suo passato?

- Ma tu come mai ti sei degnato di lasciare i tuoi amici nobili per venire a parlare con me? Ho qualcosa di così interessante?

- Io non sono un nobile - sorrise lui scuotendo la testa. - E comunque, non credo che la loro compagnia al momento sia molto migliore della tua.

La battuta le strappò una risata. - Devono essere messi piuttosto male, allora - rincarò, immaginandosi quanto dovesse essere teso il clima fra tutti quei maghi, Consiglieri o chi altro per loro.

Jel tacque per un attimo, poi riprese:- Comunque volevo solo venire a dare un'occhiata. Accertarmi che fosse tutto a posto.

- Non ti fidi ancora di me? - gli chiese Dubhne in tono leggermente canzonatorio.

Jel tentennò. - Forse sto cominciando a fidarmi... - rispose. - Ma non si sa mai. Se combinassi qualche guaio la colpa ricadrebbe senz'altro anche su di me: sono io che ti ho dato il permesso di venire con noi.

- Tanto sarei venuta comunque - replicò lei con semplicità. - E non darò problemi. L'ho promesso, no?

- In effetti sì - il giovane annuì.

Proseguirono, in silenzio. Attorno a loro si levava il più o meno insistente chiacchiericcio dei vari membri della servitù, ma Dubhne non li ascoltava, anzi, rifletteva. Non l'avrebbe mai ammesso, ma in un certo senso la storia di Jel la incuriosiva: da quanto le aveva detto il mago doveva trattarsi di qualcosa di molto importanti. Quelle Pietre... chissà quali straordinari poteri dovevano custodire.
Fu così che decise di riprendere il discorso.

- Ne avete passate per arrivare fin qui, eh?

Jel non rispose subito. Dubhne notò che il suo cipiglio si era fatto decisamente più cupo.

- Come mai ti interessa di quello che ci è successo mentre eravamo in viaggio? - chiese il mago alla fine, alzando lo sguardo. - Non credo che sia il tipo di storia che affascina una Combattente. Così come dubito che ti interessi veramente qualcosa di Fheriea.

- Tu me l'hai chiesto e io ti ho detto qualcosa sul mio passato. Ora tocca a te - replicò lei con un'alzata di spalle, poi aggiunse:- Direi che è ora di distogliere l'attenzione da Città dei Re e pensare un po' al resto del mondo, giusto?

- Beh, non credo di essere la persona più adatta per illuminarti - fece il giovane evasivo, ma questa volta nel suo tono non c'era traccia di scortesia. Pareva semplicemente che l'argomento lo mettesse a disagio.

Dubhne si decise a lasciar perdere; dopotutto, poteva decisamente fare a meno del suo racconto, così distolse lo sguardo dal suo interlocutore e tornò a soffermarsi sulla strada di fronte a lei.
La Grande Via era larga, interamente di terra battuta, si estendeva davanti a loro probabilmente per altre centinaia di miglia. Dubhne sapeva che, nell'intera Fheriea (e probabilmente nemmeno nei territori a sud) non vi era nessun altro sistema di comunicazione così agevole. In effetti, l'unico luogo che non si potesse raggiungere tramite essa era i Bianco Reame. I Gharlani erano troppo selvaggi e scoscesi perché vi potesse trovare posto un passaggio così ampio.
Alla ragazza venne in mente di chiedere quanto potesse mancare ancora per raggiungere Grimal e fece per tornare a rivolgersi a Jel.

- È stato qualcosa che non avevo mai affrontato prima - il mago la interruppe ancor prima che potesse aprire bocca, al che Dubhne lo fissò, stupita dal fatto che avesse deciso di risponderle. Poté avvertire un lieve fremito nella sua voce.

- Quando sono partito... - proseguì Jel. - Quando siamo partiti, io e Gala... non sapevamo ciò che ci aspettava. Speravamo... speravamo si sarebbe trattato di un compito come altri - rise amaramente.

Dubhne comprese all'istante quale fosse il punto che più lo angosciava: aveva già visto la medesima espressione più volte, fra i volti dei Combattenti. Senza badare al tatto, domandò:- Hai ucciso, non è vero?

Jel annuì grave. - Molte più volte di quante avessi voluto.

La ragazza provò un curioso sentimento di empatia; sarebbe stata tentata di poggiargli una mano sulla spalla se non fossero stati a cavallo.

- Chi non lo ha provato non può capire - disse seria. - Non mi pare che tu sia il tipo che ama sporcarsi le mani di sangue. Quando rischi la vita, quando rischi di perdere una persona a cui tieni... Beh, io sarei disposta ad ammazzare chiunque mi trovi davanti.

- L'ho saputo, in effetti - affermò il giovane con un mezzo sorriso. - E direi che il soprannome che tanto ami ti calzi a pennello, per ora.

Anche Dubhne sorrise. Lo prese per un complimento, anche se in realtà non era stata del tutto sincera: con Clia e Jackson era stato un conto a parte: il desiderio di vendetta e la necessità impellente di sopravvivere, erano state quelle emozioni a spingerla a finirli, di colpo, ancora nel mezzo della battaglia. Ma Nekam, Goresh, Pete... avrebbe potuto risparmiarli. Forse Pete non si sarebbe mai arreso, ma gli altri due sì: Goresh era appena poco più di un ragazzino, più grande di lei di soli due anni. La verità era che ucciderli, strappare la vita dai loro corpi in quel modo così deciso e spettacolare... le aveva regalato un piacere mai provato prima. Dopo i durissimi mesi di allenamento, le umiliazioni, la paura, ucciderli era stato l'unico modo per dimostrare al mondo tutto il proprio talento e la propria ferocia.
Non lo avrebbe mai confessato a nessuno, ma quei ricordi erano per lei i più dolci che ci si potesse immaginare. Nulla avrebbe mai ripagato la spietata soddisfazione che aveva provato, vittoriosa, nell'Arena.

Si accorse solo in quel momento che Jel aveva ripreso a parlare.

- Sai, c'e stato un momento in cui ho pensato che davvero non sarei mi tornato a casa. I Ribelli... non puoi immaginare. Sono dei mastini. Ci hanno seguiti ovunque, ovunque, forse a volte senza nemmeno averne coscienza - s'interruppe un attimo e alzò lo sguardo. - Ma perché ti dico queste cose? - pareva diviso tra l'ironico e l'infastidito. - Non... Meglio lasciar perdere.

Strano tipo, pensò Dubhne fra sé e sé, un sopracciglio alzato. Eppure, nessuno meglio di lei poteva aver presente quanto le circostanze potessero cambiare una persona.

- Se non ti dispiace... - aggiunse il Consigliere. - Il mio tempo si è esaurito. Devo tornare in testa, molto probabilmente il maestro Anerion avrà bisogno di parlare con me durante la pausa di mezzodì. - Si aprì in un sorriso cortese, poi - senza aspettare una risposta - spronò il proprio cavallo ad accelerare l'andatura e si congedò.

Accigliata, Dubhne rimase al suo posto. Le attraversò la mente il pensiero che, di certo, il mago le avesse mentito. L'idea di avere il potere di metterlo in qualche modo a disagio non le dispiacque affatto: quello era l'effetto che doveva avere sulle persone.
La ragazza sorrise, ma fu un sorriso non poco amaro. I fantasmi del passato parevano tormentare Jel più di quanto desiderasse mostrare. Ma lei, di certo - come aveva dimostrato l'incubo della notte precedente - non era in una situazione migliore.








NOTE:

Buondì, rieccomi come promesso. Spero ovviamente che il nuovo capitolo Dubhne!centric vi sia piaciuto e continuo a ringraziare la gentilissima Miwako Honoka che ha recensito lo scorso.
Ricordo che recensioni di qualunque natura mi farebbero molto piacere.
TaliaFederer :3
  
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