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Autore: luckily_mellark    30/05/2015    3 recensioni
"ti prego non dirmi che sei gay e che vuoi baciarmi" faccio la finta faccia scioccata, una di quelle espressioni che metto su quando fingo che tutto vada bene ma nella realtà sto sprofondando in un baratro buio.
"stupido! Io sono serio per una buona volta quindi stammi bene a sentire" ripete Finnick
"ok parla" sbuffo
"quest'anno sarà diverso Fratello. All'ultimo anno cambiano sempre le cose! E anche tu riuscirai a parlarle senza che lei ti ringhi contro come un cane rabbioso." annuncia, sicuro di se.
Quanto vorrei avere la sua sicurezza. La mia popolarità in questa scuola è solo una facciata: non permetto a nessuno di conoscermi fino in fondo, non finchè non sono certo di potermi fidare, e per il momento, la storia della mia schifosa vita la sanno solo i miei due migliori amici, Johanna e Finnick. Per gli altri sono solo un ragazzo popolare e a quel che si dice ben dotato, viziato che ottiene sempre ciò che vuole.
Ma non è così.
[AU][lievemente OOC ] [Rating arancione/rosso]
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Finnick Odair, Johanna Mason, Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Un po' tutti
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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in realtà dovrei tornare a casa, perchè sennò non riesco a vedere mia madre per tutto il giorno, sai no? I turni di lavoro ecc... Non è che potresti venire da me?”

ci penso su, guardo l'indirizzo sul foglio. In realtà non è così distante e in macchina è facile arrivarci, anche non conosco bene la zona

certo, non c'è problema”

grazie mille Peeta. Siamo d'accordo cosi allora. Ok?”

ok. Ora ti lascio andare. Buona giornata Rose”

buona giornata a te”

 

riattacco, felice di aver qualcosa da fare per un bel po' di tempo.

 

Ho come il presentimento che quella ragazza riuscirà a stupirmi ancora, ma staremo a vedere.

 

 

 

 

 

 

Tornare a casa è stato molto meno piacevole di quanto mi aspettassi. I miei fratelli hanno deciso di divertirsi a mie spese, hanno riempito la mia stanza di stronzate varie in versione finto-ospedale, che a me poi toccherà pulire e cercano in tutti i modi di prendermi in giro, con nomignoli tipo “Peetino fragilino” o “Peetuccio deboluccio”. Sentirli tutto il giorno è estenuante. E si che sono a casa da circa 30 ore!

Un giorno e mezzo e mi hanno già asfaltato le palle come una squadra di bulldozer inferociti.

Sarà forse che mi aspetto qualcosa di molto simile domani a scuola, ma sono terrorizzato all'idea di tornare la dentro e sentirmi deridere.

Insomma, avevo una reputazione da mantenere, prima di finire spiaccicato contro un armadietto. Non che sia la fine del mondo, ma passare da re del ballo a sfigato di turno mi preoccupa parecchio.

So anche che non sarò da solo, che affianco a me avrò Finnick e Johanna, e se succede il miracolo anche Delly.

 

Chissà... forse dovrò subirmi l'ira funesta del tipo a cui ho ammaccato l'armadietto.

 

Sorrido al pensiero e mi sdraio in divano, afferro il telecomando e faccio zapping, cercando in Tv qualcosa di decente da guardare.

Nonostante siano le quattro del pomeriggio di programmi interessanti non c'è nemmeno l'ombra, quindi sistemo meglio i cuscini e mi do alla tv-spazzatura.

Rye mi si siede accanto e si porta le braccia dietro la testa, a mo' di cuscino, mentre sbadiglia sonoramente. Credo che abbia fatto il turno all'alba oggi.

“davvero guardi sta roba, pivello?” accigliato si gira verso di me e afferra il telecomando.

Annuisco e con un alzata di spalle lo lascio fare. Sullo schermo quattro gorilla, si fa per dire ovviamente, cercano di rimuovere un auto da una zona di sosta vietata mentre urlano con il proprietario. Non ho ascoltato nulla di quello che è successo, ma non faccio fatica a capire.

“certo che fai proprio schifo” continua mio fratello, mentre i canali continuano a cambiare velocemente. Ad un tratto si ferma

“guarda qui!” tutto contento si sistema sul proprio posto e con un urletto da quindicenne ormonata chiama papà

“papà! Vieni a vedere un po' chi c'è in tv?!”

“non venire papà! C'è il boss delle torte” replico io, sconvolto dall'atteggiamento adorante di Rye

“come fa a piacere a te questa roba invece!?”

“ma hai visto le sue torte? Sono spettacolari!” gesticola come se la cosa fosse evidente e io fossi troppo scemo per capirlo.

“e sono immangiabili” continuo, cercando di farlo ragionare. Insomma è un pasticcere anche lui! Dovrebbe accorgersi che se uno fa una torta a grandezza naturale con il riso soffiato forse non è del tutto buona da mangiare. Tanto più se la maggior parte del peso è costituito da pan di Spagna spesso come un mattone, crema al burro e tonnellate di legno. eh.. già. VERO LEGNO.

“ma sono fighe!” ma che ragionamento è?!

“e allora? Se non sono buone è tutto tempo sprecato” gli faccio notare, ma lui non vuole starmi a sentire

“e poi a te chi te lo ha detto che non sono buone?” mette su il broncio e incrocia le braccia al petto

“te lo ripeto. Ma le hai viste? Non c'è altro che crema al burro e quattro quarti. Quelle cose enormi non sono buone da mangiare. Poi il resto che fa magari è squisito ma quelle cose megagalattiche NO”

“sei impossibile Peeta. Ora stia zitto e guarda un vero maestro al lavoro” fa le smorfie, e io mi chiedo se sia davvero più grande di me. Visto il suo atteggiamento, avranno sicuramente fatto uno scambio di culla spazio-temporale.

Scuoto la testa, rassegnato

“Papà, diglielo che il boss delle torte è un programma ispiratore!”

“nemmeno dopo morto Rye!” sento il mio vecchio ridere e io lo imito facendo la linguaccia a quel cocciuto di mio fratello

“voi due siete solo invidiosi perchè le tue torte, caro fratellino pivellino, non sono minimamente belle quanto le sue” sbuffa e torna a guardare il programma

“hai ragione figliolo. Le torte di tuo fratello sono molto più belle” papà ci ha raggiunto in salotto, e ora accarezza dolcemente i capelli biondi di Rye mentre guarda accigliato un pasticcere che sega una tavola di legno e dei tubi di plastica da idraulico.

 

 

 

 

La mattina mi sveglio nel panico più totale.

Sono le sei e mezza, evidentemente i miei genitori hanno pensato bene di lasciarmi dormire e hanno affibbiato il turno mattutino a qualcun altro.

Tanto meglio per me.

Mi alzo dal letto e trascino i piedi in bagno, gli occhi mezzi chiusi e la bocca impastata. Mi gratto svogliatamente il mento, constatando che si, dovrei farmi la barba, ma no, non ho ne la voglia ne la forza di farla. Decido che per oggi, radermi sarà l'ultimo dei miei problemi.

Un altro sbadiglio mi fa aprire le fauci più del dovuto e mi salgono le lacrime agli occhi. Porca puttana che male!

Mi appunto mentalmente di ricordarmi di non spalancare la bocca in questo modo per i prossimi vent'anni.

Sento i pantaloni malmessi, l'elastico completamente storto e rivoltato stringe in fianchi fastidiosamente.

Devo essermi rivoltato parecchio nel letto questa notte, per essermi ridotto in questo stato. Purtroppo non ricordo cosa ho sognato, però qualcosa mi dice che non deve essere stato affatto bello.

Senza pensarci due volte affondo letteralmente la faccia sotto il getto d'acqua del rubinetto, con la speranza di svegliarmi una volta per tutte.

 

Quando mi rialzo, l'immagine che lo specchio riflette mi fa rabbrividire. Un ragazzo alto, esageratamente spettinato, con la faccia tumefatta mi sta di fronte. Il livido che fino a ieri si intravedeva sottopelle ora ha deciso di uscire in tutta la sua gloriosa orripilanza violacea, bluastra e a tratti verdognola. Si estende dal naso alla tempia, lungo tutto lo zigomo e parte della guancia. Il gonfiore è praticamente scomparso, ma la mia faccia assomiglia alla tavolozza di un pittore impazzito.

Sento il cuore uscirmi dal petto.

Come miseriaccia posso presentarmi a scuola in questo stato?!! COME??!!

vorrei urlare. Davvero.

Guardo l'orologio alle mie spalle che segna le 6.40. forse faccio ancora in tempo a darmi una sistemata.

Dove cavolo tiene i trucchi la mamma?

Rovisto nei cassetti alla ricerca di qualche prodotto di bellezza, facendo un baccano tremendo, finchè non trovo il flaconcino di crema colorata che cercavo. Ricordo che la mamma se lo mette con il pennello, che io al momento non ho il tempo di cercare.

Decido che spalmarlo direttamente sul viso sia la stessa cosa, quindi procedo.

Questa poltiglia è umida, appiccicosa, colorata e soprattutto liquida. Il che significa che cola. E macchia. E che la mia povera canottiera è andata. Sporca di marroncino.

Che schifo.

 

In più ho la faccia bicolore, il che è abbastanza imbarazzante qua a casa, figuriamoci a scuola.

Non posso prendermi un altro giorno di riposo perchè oggi ho il primo incontro con lo psicologo e il primo turno di ripetizioni con Rose. Cosa che non voglio perdermi.

 

Sento bussare alla porta, l'orologio ora segna le 7.00.

Porcaccia la miseria sono in ritardo. In grossissimo ritardo.

“Peeta ma che fine hai fatto? Qui tutti dobbiamo andare a fare qualcosa. Per la precisione lavorare.”

la voce di mia madre mi fa sobbalzare.

Deglutisco.

Se si accorge che le ho svuotato mezzo vasetto di....., controllo l'etichetta, fondotinta....

Che strano nome FONDOTINTA.... bha....

in ogni caso, se lo scopre, mi ammazza.

Nascondo il macello velocemente, buttando alla rinfusa tutto nei cassetti.

 

“Peeta!” lei insiste e io devo sbrigarmi.

“ho fatto mamma!” mi guardo attorno alla ricerca di un qualche indizio che possa farmi scoprire e fortunatamente non ne trovo. Sospiro ed apro la porta.

La vedo in piedi, i capelli arruffati, poggiata allo stipite della porta nella sua fantasiosa camicia da notte lilla con gli orsetti. Potrei anche dire che è adorabile, se non mi guardasse come si guarda una succulenta bistecca. O peggio, come si guarda un grasso maiale da macello. Insomma, se non avesse quello sguardo omicida.

“giorno mamma” abbozzo un saluto cordiale e timido mentre cerco di superarla e di filarmela in camera mia

“dove pensi di andare, signorinello” il sangue mi si congela nelle vene. Ancora le do le spalle, ma capisco che qualcosa nel mio folle e geniale piano è andato storto.

Mi afferra per lo scollo della canottiera e mi ritrascina in bagno con lei.

“si può sapere cosa diamine pensavi di fare?” alza gli occhi al cielo e apre l'anta del mobiletto, prendendone due dischetti di cotone e una bottiglietta bianca e azzurra.

“non si fa così Peeta! Almeno avresti potuto chiedermelo!” penso si stia riferendo al fatto di aver usato i suoi trucchi, ma poi

“insomma ti pare il modo di stenderlo? Dico io, non è mica calcestruzzo!” prende a strofinare con decisione tutto quello che io, con tanta fatica, mi sono appena letteralmente spalmato in faccia. Fa male, ma decido di stare zitto e limitarmi a fare il muso lungo.

Questa non è mia madre, quella vera, l'hanno rapita gli alieni. Ormai è sicuro.

“odio ripetermi, ma cosa pensavi di fare?”

“non posso andare in giro così” mugugno, mentre mi spappola la faccia a forza di grattare via lo strato di cerone

“e perchè no? È successo e basta.” la fa così facile lei...

“Ma' tu non capisci. Se mi presento così la gente mi riderà dietro. E io non voglio”

“lascia perdere quello che dicono gli altri. Non ha importanza. L'importante è che tu sia fiero di quello che sei, con i lividi o meno. Non ha senso coprire qualcosa che ti ha solo fatto fare esperienza. Prendilo un po' come...” prende una pausa per cambiare il cotone

“ecco, prendila come un trofeo. Un souvenir anzi! Un ricordo del primo momento in cui hai parlato con lei” mi sorride in modo dolce, come solo i genitori sanno fare. E decido di seguire il suo consiglio.

Sgattaiolo via facendole la linguaccia, e prima che lei possa rispondermi sono già in camera mia a vestirmi per uscire e andare a scuola.

 

 

 

 

Gli sguardi di tutti si sono concentrati su di me dal primo momento in cui ho messo un piede fuori dalla macchina. È stato terribile entrare in aula seguito da tutto quel brusio concitato che non faceva altro che ronzare “povero sfigato” o “oh povero Mellark” o ancora peggio “gli sta bene”. Perchè ammettiamolo, non ho fatto nulla per meritarmelo.

 

E ora che sono in mensa è come essere sotto i riflettori mentre tutto attorno è buio pesto. Sono l'unica cosa che si può vedere in questa sala. L'attrazione principale del circo.

Mi infilo il cappuccio in testa e spilucco il panino con le dita, portandomene un po' per volta qualche pezzetto alla bocca. Sento gli occhi dei miei amici puntati su di me, il che mi irrita a dismisura. Almeno loro dovrebbero far finta di nulla.

Sento le panche muovermisi attorno, una specie di piccolo terremoto muove quella su cui sono seduto io quando Finn si sistema più vicino a me prende a sussurrarmi all'orecchio

“Amico, faresti meglio a guardare chi si è appena seduto con noi” alzo appena lo sguardo, e il mio campo visivo viene invaso da una marea di riccioli biondi e da una scollatura esagerata. Sospiro, passandomi una mano tra i capelli e davanti agli occhi. Non posso credere che lei sia qui. E non posso credere che stia cercando di provocarmi.

 

“ciao Delly” la saluto, svogliato, cercando di tener gli occhi fissi su i suoi e non sul suo davanzale in bella mostra. Nonostante le abbia purtroppo dimostrato esplicitamente che lei non mi interessa in quel senso, resto comunque geloso.

Il che suona strano persino a me. Ma è così e non posso farci niente di niente.

“ciao Peeta. Come stai?” la sua vocina sottile non desterebbe alcun sospetto... ma, bhe io so cosa è successo.

“meglio di quanto si possa credere. E tu?” sinceramente non so cosa aspettarmi

“splendidamente” sorride mordendosi il labbro e alzando le sopracciglia. Mi sta sfidando e sta cercando di fare l'arrogante con me.

Non è da lei, e il suo atteggiamento non mi piace... si comporta come se tutto andasse bene, e invece non è così, a me non può nasconderlo. La conosco troppo bene.

“Ragazzi! Allora avete deciso cosa fare sabato prossimo? Ci venite o no, al falò in spiaggia?” fortunatamente Finn interviene in mio soccorso, lanciandomi occhiate preoccupate

“io non penso di esserci” rispondo, portando alle labbra un altro pezzetto di pane

“come non pensi di esserci! Amico è la festa di fine estate! Non puoi mancare!”

“posso mancare eccome! Nessuno sentirà la mia mancanza, te lo assicuro. E stanne certo, tu la sentirai ancora meno, perchè sarai talmente sbronzo che non ti ricorderai più nemmeno il tuo nome” replico, alzandomi dalla sedia con il vassoio ancora pieno in mano.

“ma dove stai andando Peeta?” Johanna mi guarda, la fronte corrugata nel tentativo di capire qualcosa

“vado a scassarmi i cosiddetti dal professor Abernathy.” alzo le spalle rassegnato

“mi tocca pure lo psicologo”

l'ultima cosa che vedo prima di uscire dalla sala mensa è Delly che rabbrividisce, stringendosi nelle spalle, a disagio.

Per l'ennesima volta l'istinto di correre da lei viene sopraffatto dalla ragione.

Se è questo che vuole, se vuole farmi la guerra, se vuole rovinare la nostra amicizia e buttarla via in questo modo, solo perchè non provo per lei quello che lei prova per me, non sono disposto a stare al suo gioco.

 

 

 

L'ufficio del professor/psicologo/signor/tuttomatto Abernathy si trova nel lato opposto della scuola, nell'ala più silenziosa e meno affollata dell'edificio, quindi non mi stupisce affatto non incontrare quasi nessuno per i corridoi. Mi sfilo il cappuccio dalla testa e mi affretto a colpire con il batacchio a forma di grifone. La porta di legno scuro, così come gli stipiti stonano un tantino con il resto dell'ambiente, ma hanno un aria davvero vecchia e importante. Come se quell'ufficio esistesse da molto prima che la scuola fosse costruita.

Busso ripetutamente prima che una voce rauca dall'interno mi inviti ad entrare.

 

Un uomo alto, sulla cinquantina, con i capelli unti e chiari mi guarda da dietro la grande scrivania, il mento poggiato scompostamente sul palmo della mano

“desidera?”

“io sono” mi guardo intorno, le librerie a soffitto, i tappeti elaborati mi intimidiscono “sono Peeta Mellark. La preside Paylor mi aveva fissato un appuntamento”

l'uomo annuisce, e con un gesto della mano mi indica pigramente la poltrona lucida al centro della stanza, affianco alla quale, un tavolino e una sedia anni sessanta riempiono l'ambiente.

Controllo di essermi chiuso la porta alle spalle, mentre con nonchalance il vecchio si avvicina ad un mobiletto bar che prima non avevo notato

“lo vuoi un bicchiere di brandy ragazzo?” Abernathy mi guarda da dietro le piccole lenti degli occhialetti da vista, allungandomi un bicchiere con un paio di dita di liquido ambrato dentro.

“ehm” lo guardo di sbieco, sedendomi sulla poltrona ottomana di pelle nera.

“no grazie” arriccio il naso appena l'odore della bevanda si fa sentire

“perchè 1) non bevo in orario scolastico e 2) devo dare ripetizioni ad una ragazza, dopo “ gli faccio notare.

Lui alza le spalle e con noncuranza comincia a sorseggiare dallo stesso bicchiere che aveva proposto a me, non prima di averlo rimboccato.

“sciocchezze ragazzo. Perchè 1) tecnicamente questo non è orario scolastico” prende un altro sorso, facendomi segno di aspettare, con la mano libera.

Vorrei fargli notare che sono appena le 13 e trenta, ma decido di tacere. Il suo completo giacca- pantalone grigio è stropicciato e la camicia esce in più punti dalla cintura.

“e 2)” riprende, lanciandomi uno sguardo torvo “il brandy schiarisce le idee”

alzo le sopracciglia, allarmato.

Non mi sembra tanto sano quest'uomo

“in realtà, con il dovuto rispetto professore, il brandy le confonde le idee”

lui sospira e si lascia cadere pesantemente sulla poltrona dietro la scrivania, dove poggia le scarpe nere stringate e laccate. Si passa una mano davanti agli occhi con fare melodrammatico

“innanzitutto non chiamarmi professore. Non lo sono e non lo sarò mai. Chiamami signor Abernathy, Haymitch, tizio o Caio, o Sempronio, vedi tu, ma non professore. E in secondo luogo che ne sai tu di alcolici!? Tu Bevi ragazzo?”

ecco. Questa è una di quelle domande che un adulto non dovrebbe mai fare. Cioè, è ovvio che bevo. Esco con gli amici e mi faccio una birra, vado alle feste e mi ubriaco. Non sempre, ma è successo. Tanto che alle volte mi sorprende risvegliarmi la mattina con un cervello che non ha attivato la modalità di autocombustione.

Valuto se dire la verità o mentire.

Se beve anche lui, e per di più in orario di lavoro, posso essere sincero? Bha, credo di si

“si signore. In alcune occasioni bevo”

“bravo, ma allora mi stupisce che tu non lo sappia” fa vorticare il liquido nel bicchiere, concentrandosi per non farlo uscire

“sono fermamente convinto che l'alcol non aiuti a ragionare” mi sistemo meglio sul divanetto

“cosa bevi di preciso ragazzo?” non mi guarda nemmeno, tanto è occupato a riempirsi il bicchiere ancora una volta

“birra per lo più” ci penso, osservando il soffitto bianco con le modanature scure “anche se non disdegno nemmeno la vodka alle volte”

questo ufficio è formale nel mobilio, tutto è di legno scuro, quasi nero, dalla struttura delle poltrone, alle librerie che arrivano fino al soffitto. I pavimenti di parquet sono altrettanto scuri, a spina di pesce. Eppure, nonostante tutto sembri ordinato al primo impatto, osservandolo più a fondo si notano tutti i dettagli disordinati e caotici.

“ voi giovani non sapete più come si beve” storge le labbra sottili in una smorfia e si spettina i capelli chiari

“tra l'altro dopo devo guidare, quindi non bevo” chiarisco, tanto perchè non voglio che mi sia appioppato l'aggettivo di smidollato anche da un adulto

“questa è una saggia decisione da parte tua” sorrido soddisfatto, contento di aver finalmente deviato il discorso

“ma hai mai assaggiato il brandy? “

ecco. Appunto. Come non detto.

“no signore”

“dovresti.” conclusione? Siamo al punto di partenza. Sospiro rassegnato

“magari un'altra volta ok?”

“mmm” sbuffa

“ora immagino di doverti dire sempre la solita solfa vero?” mi guarda con la coda dell'occhio. Io in risposta alzo le spalle

“bene. Cominciamo con questa noia” si sgranchisce il collo e si siede composto, sistemandosi nuovamente gli occhiali sul naso appuntito

“non so proprio a che serve che io me ne stia qui ad ascoltarvi, tanto poi alla fine fate tutto da soli. Prima prendete che io vi entri nel cervello e poi miracolosamente vi arrangiate. No, ma dico io, parlarne a voce alta a casa vostra non sarebbe più semplice?” borbotta, sottovoce, ma io lo sento lo stesso. Alzo gli occhi al cielo e mi mordo impaziente la guancia

“stenditi ragazzo e raccontami per l'ennesima volta cosa è successo”

“bhe” comincio, mettendo i piedi sulla poltrona e poggiando la testa sull'imbottitura “è successo che volevo parlare con..” mi blocco di colpo. Tornando a sedere alla velocità della luce. Che diavolo succede?

“ennesima volta? Che vuol dire?”

“vuol dire che ho già sentito almeno tre versioni di questa cosa. E davvero, comincio ad esserne abbastanza stufo. A me le cose sembrano così chiare che proprio non comprendo come possiate farne un tale dramma”

“a chi lo dice” sospiro, tornando a stendermi. Ora quel bicchiere di brandy ha un aria molto più invitante.

“se non lo sapessi, seguo la signorina Everdeen da qualche anno ormai, e conosco la sua versione dei fatti dalla notte stessa in cui tu la hai incontrata. A mio avviso? Una paranoia inutile che si è fatta nella sua testa. Però in fondo posso capire perchè si sia creata” si avvicina a me con fare svogliato, il bicchiere stretto in pugno e la camicia strapazzata

“quindi lei mi crede. Crede non ho fatto nulla e che sono qui soltanto per un equivoco vero?” chiedo speranzoso. Magari alla fine mi risparmierà questa tortura e mi lascerà andare

“credo che bisognerebbe aprirvi la testa e vedere quanta segatura c'è dentro” sogghigna, si siede e con la cartellina in grembo e prende a scarabocchiare qualcosa su un foglio che non riesco a vedere.

Sento il suo odore fino a qui.

Mamma mia quanto puzza

“allora Mellark, ora, prima di tutto, ho deciso che risponderà alle mie domande.”

il suo alito sa di schifo.

Bleah

“ma non aveva detto che dovevo raccontarle quello che è successo?” indago, dubbioso

“si l'ho detto. Ma sostanzialmente non mi interessa, quindi ho cambiato idea”

oh, bhe.... direi che l'aggettivo giusto non è PROFESSIONALE

“ah... ok” biascico, incerto

“bene. Cominciamo allora. Si può sapere perchè hai pagato tu in quel bar?”

evviva le partenze leggere

“perchè mi sentivo in colpa” ed è vero. La mia mente ritorna automaticamente a quel giorno: i vetri rotti, gli avventori scortesi, il disastro sparso attorno a noi

“e per quale motivo ti saresti dovuto sentire in colpa”

“bhè... non lo so... perchè le ordinazioni erano per me e mio fratello e se non le avessimo chieste, non sarebbe successo nulla di quello che è successo”

“esatto. E allora a quel punto, non saresti dovuto andare al bar, non vi sareste conosciuti, la seconda guerra mondiale non sarebbe scoppiata e i primati non si sarebbero evoluti in Homo Sapiens. Signor Mellark, si rende conto che non ha senso sentirsi in colpa per questa cosa? E che il suo gesto è stato facilmente interpretato male?”

quest'uomo mi da sui nervi.

Altro che Homo Sapiens.... lui è talmente irritante che pensare di appartenere alla sua stessa razza mi fa salire l'orticaria

“questo lo capisco, ma non vedo perchè farmi sbattere addosso ad un armadietto e rifiutarsi di parlare con me”

“oh il signor Hawthorne ha un bel po' di grane da risolversi per conto suo, per cui non mi preoccuperei troppo di questo. Il gesto non penso sia stato premeditato e non è quello di cui voglio occuparmi oggi con lei signor Mellark.” distrattamente si pulisce gli occhiali sul bordo della camicia e si siede sulla poltrona allungando i piedi sul tavolino basso.

“non dovrei preoccuparmene? Se non l'ha notato quel tipo là mi ha spaccato uno zigomo. Come faccio a non preoccuparmene?” sbotto, indicando un punto a caso oltre la porta. Percepisco come la mia voce si sia alzata di qualche ottava.

“ora si calmi. E veda di fare un bel respiro. Urlando contro di me non risolverà assolutamente nulla. Le servirà anche un corso di gestione dell'aggressività. Quasi quasi glielo prescrivo”

improvvisamente mi sento molto meno aggressivo

“no la prego. Un altro corso no” borbotto, a mani giunte

“oh. Ora va molto meglio. Si distenda nuovamente e continuiamo la nostra seduta. Mi racconti Peeta....”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questa è stata senza dubbio la giornata di liceo più pesante di tutta la mia intera carriera scolastica. E sono serio, quando dico che uscire dalla seduta con lo psicologo mi ha fatto sentire completamente inadatto al mondo. Non solo perchè quell'uomo è irritante e strano, ma perchè mi ha fatto rimettere in ordine qualche pezzo della mia vita che non pensavo andasse sistemato.

Ovviamente si è fatto anche una bella risata quando gli ho detto che la forma di inchiostro che mi ha mostrato sul cartoncino non sembrava null'altro che un grosso, gigantesco, esorbitante grumo di guano di uccello. Il che gli ha fatto dedurre che io abbia un carattere sostanzialmente pessimistico, cosa che non è per niente vera..... credo...

se tutto va bene, e non andrà bene, posso scommetterci, entro tre ore dovrei essere a letto, in panciolle ad ascoltare musica ad alto volume e a grattarmi il fondoschiena come e dove mi pare.

Che goduria.

Sbuffo, tornando alla realtà, e ingranando la marcia.

Esco dal parcheggio della scuola, diretto verso GreenWoods road #14, o almeno questo è l'indirizzo che ho preso dal fascicolo.

La strada per fortuna in macchina non è lunga, sono circa un paio di quartieri.

La musica suona e lascio finire la canzone prima di spegnere il motore e guardarmi attorno. In fin dei conti sono in abbondante anticipo.

 

 

Il quartiere è fatto di condomini colorati, molto diversi dalle villette a cui sono abituato nella mia zona, che si trova dalla parte opposta della città. Non che questa cittadina sperduta dell'Ameria dimenticata da Dio sia tanto grande, ma non sono stato molte volte in questa zona. I panni stesi tra una finestra e l'altra si muovono nella brezza leggera di settembre, la stessa che mi scompiglia i capelli. Al centro del complesso di case, un parco giochi con delle altalene e un paio di scivoli di altezze diverse è popolato da bambini e bambine sorridenti. Mi incammino per un vialetto alla ricerca del portone giusto.

Sotto il porticato fa capolino qualche negozietto dall'aspetto stantio, le vecchiette sedute su sedie di plastica colorata lavorano ai ferri, spettegolando e tenendo d'occhio i piccoli.

Le lettere dorate di un portone di vetro indicano che ho raggiunto la mia destinazione. Tutto sommato è stato facile.

Scruto i campanelli alla ricerca di quello giusto, e poi

SBAM

eccolo!

EVERDEEN

 

suono un paio di volte, poi attendo pazientemente che qualcuno mi apra

“chi è?” la vocina acuta di Rose mi risponde

“sono Peeta” con un colpo di tosse mi schiarisco la gola e spingo la porta a vetri, non prima di aver sentito un flebile

“vieni al terzo piano”

gli angoli della bocca mi si piegano istintivamente verso l'alto mentre percorro velocemente le poche rampe di scale che mi separano dalla ragazzina.

La trovo sulla soglia di casa, fasciata da un abitino rosa pallido con la gonna a sbuffo e un fiocco sulla schiena, i capelli raccolti in due trecce le incorniciano il viso angelico. I suoi occhi azzurri e penetranti mi fissano, la vedo ragionare, per poi farsi da parte per lasciarmi entrare in casa sua.

L'appartamento non è grande, ma tutto sommato è luminoso e spazioso. L'entrata da sul salotto, dove predomina un grande divano di tela colorata e un tavolo da pranzo quadrato. La Tv è spenta, e il sole filtra attraverso le tende bianche e leggere.

“accomodati pure”

“grazie” mi tolgo la giacca e la borsa “ci mettiamo qui?” le indico il tavolo e lei annuisce facendo su e giù con la testa

“cosa ti sei fatto sulla faccia?” la vedo inclinare la testa di lato, come fanno i cani quando sono curiosi

“come se non lo sapessi già”

“oh. Si bhè, lo so, ma mi sembrava meglio che chiederti come stai” alza le spalle, divertita.

Ridacchio anche io, di rimando

“già, forse è stato meglio. Non sai in quanti me lo hanno già chiesto oggi. Apprezzo la tua magnanimità nel far finta di non sapere il pettegolezzo più in voga del momento. Te ne sono grato”

“oh non c'è di che. Comunque mi dispiace per quello che ha fatto Gale. Ma alle volte è un po'.. come dire... impulsivo?”

“impulsivo... ma davvero?” la guardo di sottecchi, tastandomi il livido che mi ha lasciato come ricordo “ma non mi dire”

apre i libri, e io la seguo, mettendo in bella mostra una decina di esercizi di matematica di livello difficile.

Qualche frazione, qualche sistema lineare, qualche equazione.

Mi mancavano queste cose, lo ammetto. Soprattutto ora che vedo soltanto integrali e derivate, soprattutto ora che la matematica non ha più nemmeno un numero.

 

“ragazzi, volete una limonata?” una voce di donna arriva da quella che intuisco essere la cucina.

Mi volto verso Rose, impegnata in un calcolo.

“si grazie, mamma” la bionda mi sorride, complice

poco dopo, una donna bionda sulla quarantina mi porge un bicchiere stracolmo della bevanda rinfrescante. Quegli zigomi alti, e i fili grigi che le imperlano i capelli non lasciano spazio ad equivoci

“DOTTORESSA!” mi alzo subito dalla sedia, esterreffatto

“Peeta Mellark. Che piacere rivederti. E dammi pure del tu, ti prego. Almeno a casa mia, non voglio essere chiamata dottoressa. Mi chiamo Pauline” mi tende la mano, che accetto più che volentieri.

Caspita quanto è piccolo il mondo.

Nel momento in cui mi giro ad osservare Rose, mi accorgo immediatamente della straordinaria somiglianza delle due. Come ho fatto a non capirlo prima?!

“allora, vedo che stai già meglio. Non è così?” so che si riferisce allo zigomo, quindi lascio la ragazzina, per nulla sorpresa, alle sue equazioni e presto la mia attenzione alla madre

“direi di si”

“posso dare un occhiata?” tende le mani verso di me, e decido di non ritrarmi. Il suo tocco gentile, preme in punti dolenti e non posso fare a meno di trasalire

“scusami tanto Peeta. Non era mia intenzione farti male” guarda fugacemente verso l'orologio, poi torna a guardare me “ mi sembra tutto apposto”

“Prim, sai che fine ha fatto tua sorella? Dovrei parlarle prima di andare al lavoro”

la voce preoccupata di Pauline è quasi contagiosa. Rose invece emana tranquillità da tutti i pori. Torno a sedermi accanto a lei, la faccia a pochi centimetri dalla sua testa, per controllare i suoi progressi.

“è andata al campo, come al solito”

 

pochi istanti dopo, la serratura scatta, seguita dal cigolio della porta sui cardini. Una ragazza mora, i capelli raccolti in una lunga treccia, e un borsone a tracolla, entra in salotto e nel mio campo visivo.

 

La guardo negli occhi solo il tempo che mi basta a deglutire e a soffocare un'imprecazione.

“TU?!!!”

 

 

adesso ne sono convinto.

 

Questa cazzo di sfiga mi perseguita.

 

O forse sono io che sono proprio stupido.

 

Come ho fatto a finire nella tana del lupo?!!!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

N.d.A

 

capitolo lunghissssimooooooooooo!!!!!!!!!!

e con questo ho detto tutto... hahahah no scherzavo!

 

È solo l'inizio vero e proprio della storia! Don't worry and be happy!!!

 

a presto!

 

E.......

 

W i gerbilli!!!!!!!

 

 

ah, a proposito!

 

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DOLCI MUSE

 

 

mi raccomando!!

 

 

 

un bacione

 

Luckily

 

 

p.p.s

 

non fraintendetemi. Il boss delle torte mi piace (detto per chi si sentisse offeso).... una via di mezzo tra quanto piace a Rye e quanto piace al nostro amato Peeta...

 

 

   
 
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