Fanfic su artisti musicali > My Chemical Romance
Segui la storia  |       
Autore: mairileni    03/06/2015    6 recensioni
«Siediti.»
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Frank Iero, Gerard Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Buonasera (。・ω・)ノ゙

E così siamo già al capitolo 5, eh, come passa il tempo [fissa la pagina con aria meditabonda]. Sono molto affezionata a questo capitolo perché per me ha un grande significato, quindi in un certo senso sono un po' più emozionata del solito. E niente, spero che vi piaccia!

Un enorme grazie ai recensori e a tutti coloro che hanno già inserito questa storia tra le preferite (in ordine alfabetico, eh): Anan, ashleyofsuburbia, Bli, bloodypieiero, Falloutgirlsdivision, GerardaWay_Antisocial, IronRailway, SonOfYesterday, Tommm_, Virgyl Item, _lethemusicbeyourmaster_ e Leviathan.

Buona lettura,


pwo_














Andante moderato















C'era Gerard sdraiato nel mio letto e c'ero io seduto contro il mio letto, e anche se era passata più di un'ora, da quando ci eravamo messi lì, io non riuscivo a dormire nemmeno per sbaglio. Era quella situazione odiosa, non so se ce l'avete presente: tu stai nel letto ma non riesci a dormire perché hai un sacco di pensieri che ti girano per la testa, e allora stai là come un fesso con gli occhi sbarrati mentre pensi a come avresti potuto gestire conversazioni passate o a come gestirai conversazioni future che in realtà non avverranno mai. E stai sveglio. Io stavo così: sveglio. Pensavo a Gerard che tirava su la polvere senza nemmeno usare una cannuccia, una banconota arrotolata o che so io. E poi pensavo alla ragazza che ci aveva quasi visti e al fazzoletto di Gerard che si intonava con lo spray nasale e alla canzone “This Old Man” con le sue strofe tutte uguali. Che roba, mi dicevo. E stavo sveglio. E fatto sta che a un certo punto, proprio dal nulla, ho sentito un dito toccarmi la spalla e una voce sussurrata farmi “ehi”, e giuro che quasi sono svenuto, proprio del tipo che per poco non mi accasciavo a terra e tanti cari saluti. Era Gerard. Mi sono voltato di centottanta gradi e ho visto solo i suoi capelli tinti di nero che emergevano dai quattro strati di coperte. E allora, tanto per giocare d'anticipo perché sapevo già che me l'avrebbe chiesto, ho lanciato un'occhiata alla radiosveglia che non ho mai usato né come radio né come sveglia: le due e ventitré.
    «Che ore sono?»
    Appunto.
    «Le due e ventitré.»
    «Mh.»
    L'ho sentito rotolare verso sinistra nel tentativo di trovare una posizione più comoda, ma il mio letto era piccolo, e quindi c'era poco da rotolare verso sinistra. Ad ogni modo dopo qualche secondo una posizione comoda l'ha trovata, e allora ha smesso di mugolare e di fare casino e si è fermato lì dov'era, immobile come un morto, del tipo che non lo sentivo nemmeno respirare eccetera eccetera. E insomma, dato che erano le due e ventitré e che in quel momento non avevo niente di meglio da fare mi sono messo a immaginare come avrebbe reagito mio padre se fosse entrato in camera mia e avesse visto Gerard nel mio letto, perché a me piace sempre valutare tutte le possibili conseguenze delle mie azioni, tanto per essere pronto. Gente, il casino che avrebbe fatto. Giuro su Dio che se in quel momento mio padre fosse entrato e avesse visto Gerard sarebbe impazzito come poche volte. Fatto sta che non avevo niente di meglio da fare eccetera eccetera, e allora mi sono immaginato più di una versione, e in ognuna di esse mio padre faceva la stessa identica cosa: entrava, guardava me, guardava dietro di me, boccheggiava un po' e infine indicava la figurina accoccolata nel mio letto. L'unica cosa che cambiava da scena a scena (tra quelle che mi stavo immaginando, dico) era la frase che mio padre diceva indicando Gerard — perché come vi ho già detto secondo me se mio padre fosse entrato avrebbe fatto proprio così, sarebbe andato in panico e poi avrebbe indicato Gerard. Nel primo scenario che mi sono immaginato mio padre indicava Gerard e diceva “e quello chi è?”; nel secondo scenario che mi sono immaginato mio padre indicava Gerard e diceva “ma è un drogato!”; nel terzo diceva “ma è un barbone!”, nel quarto “ma è il ladro del negozio!” e così via. Man mano che andavo avanti a elucubrare, la frase di mio padre diventava sempre più improbabile, perché si stava facendo tardi e la mia capacità di inventare scenari razionali andava scemando. Tutto ciò che posso dirvi è che nell'ultima versione che mi sono immaginato mio padre alzava il dito verso Gerard e diceva: “il drink rosa acceso l'ha scelto solo per il colore, vero?”.









    «Sei sveglio?»
    È Gerard. Dal modo in cui mi arriva la sua voce capisco che è girato di spalle, con la faccia rivolta verso il muro, e che ha il lenzuolo che gli copre un po' la bocca. Guardo la radiosveglia, segna le tre e diciotto. La casa è immersa nel silenzio più assoluto, è tutto ciò che si sente è il ritmato (e rassicurante) russare di mio padre dalla stanza accanto. Sta dormendo, non ci ha scoperti, non sa nulla, non ci scoprirà. Fino a qui tutto bene.
    «Sì», rispondo.
    Gerard rotola sul fianco opposto. Ora è girato verso di me.
    «Che o...?»
    «Le tre e diciotto.»
    «Ah.»
    Silenzio.
    Silenzio.
    Mio padre che russa dalla stanza accanto.
    «Iero.»
    «Mh?»
    «Dov'è la special K?»
    Devo fare uno sforzo di entità considerevole per non gridargli in faccia la mia risposta.
    «In casa mia non sniffi un cazzo, Gerard.»
    «Voglio solo sapere dov'è.»
    «...»
    «L'hai buttata?!»
    Non ha alzato la voce, ma anche se sussurra posso avvertire l'angoscia che gli provoca l'idea di questa eventualità. Ad ogni modo gli dico che no, non ho buttato la sua ketamina di merda, l'ho soltanto nascosta in un posto sicuro.
    «Quale?», vuole subito sapere.
    Sospiro. Tanto vale dirglielo. Tanto, ormai.
    «Dietro ai libri di scuola. In quello scaffale in alto a destra.»
    «Ok.»
    E con quell'“ok” la situazione degenera. Non so che cosa mi prenda quando Gerard pronuncia quell'“ok” grondante di apatia, e sarà che è notte fonda, o sarà che ho appena rischiato di farmi arrestare per possesso di droga, ma appena Gerard mi dice “ok” io salto prima in piedi e poi addosso a lui, e per qualche strano motivo adesso la mia mano destra è attorno al suo collo e quella sinistra è chiusa a pugno accanto al mio viso. E ora come ora se mio padre entrasse gli direi di aiutarmi a spaccare in due la faccia di Gerard a suon di botte, magari usando anche qualche oggetto contundente, o magari usando la mia mazza da baseball, che è sempre rimasta inutilizzata, ma che adesso, ripensandoci, potrebbe tornarmi utile. Vorrei davvero dargli questo pugno. Vorrei tantissimo darglielo. Però la mia mano sinistra è ancora lì, ferma a mezz'aria, e l'istinto omicida sta già illanguidendosi. Gerard mi guarda. Aspetta che io prenda la mia decisione: prenderlo a pugni oppure tornare subito in me e scusarmi. Gli sto ancora stringendo il collo, forse anche più di prima, ma lui non accenna a muoversi. Non si difende. Non prova a difendersi nemmeno per un istante.
    Torno in me, ma non mi scuso. Mi lascio cadere verso destra, rimbalzo un paio di volte quando atterro sul materasso morbido. Poggio la schiena contro il muro e adesso eccoci qui: io seduto, Gerard sdraiato. Io tra il muro e le gambe di Gerard, Gerard tra me e il bordo del letto. Gerard il quasi detenuto, Frank il quasi assassino. Bene. Benissimo. Mio padre continua a russare. La luce che filtra dalle tende della finestra illumina gli occhi di Gerard, due pallini luminosi che galleggiano in questo buio totale in cui mi oriento solo perché ormai le pupille ci si sono abituate. Dal riflesso riesco a capire a che cosa è rivolto lo sguardo di Gerard, e adesso Gerard sta guardando il soffitto. Sta in silenzio. Nessun commento sul fatto che ho appena tentato di strangolarlo; come se niente fosse, come in questo momento avesse problemi più importanti da risolvere di un compagno di scuola con tendenze omicide. Poi Gerard parla dal nulla con gli occhi inchiodati sul pavimento della mia camera, come se volesse nascondermi la sua espressione.
    «Sì, ho un fratello.»
    Io ve lo dicevo che Gerard dice le cose così, dal nulla. Tu magari sei lì che stai pensando a che cosa mangerai per cena e lui arriva, ti si siede davanti, ti risponde a una domanda che gli hai posto dieci anni fa e infine se ne va con la stessa rapidità con cui è arrivato. E tu resti lì. Come un cretino. Resti lì e cerchi di capire a che cosa si sia riferito o a quale anno risalga la domanda a cui ha appena deciso di rispondere. Ad ogni modo questa volta capisco subito; si sta riferendo alla domanda che ho cercato di porgli ieri e che lui ha immediatamente eluso. Gerard ha menzionato il fatto di avere un fratello, io gliene ho chiesto conferma e lui è andato avanti a parlare fingendo di non sentirmi. Annuisco, ma poi realizzo che Gerard è sempre girato dall'altra parte, e che quindi non può vedermi.
    «Come si chiama?», chiedo.
    «Ti ho detto che ho un fratello, mica che voglio raccontarti la storia della mia vita.»
    Scortese ma legittimo.
    «È con lui che ti scrivi?»
    «No.»
    Va bene. Se posso essere sincero ci speravo, ma solo fino a un certo punto. Lascio passare qualche altro attimo di silenzio, la scritta luminosa della radiosveglia segna le tre e trentuno. Di bene in meglio. Improvvisamente mi dico che se ho appena salvato il culo a Gerard, allora come minimo mi devo aspettare che risponda a tutte le mie domande, e non tanto perché io sia curioso o cose simili (che poi è così, sono curioso come la merda), ma perché in un certo senso me lo deve. Tanto più che non ha sonno, o in ogni caso non riesce a dormire. 
    «Perché lo fai?»
    «Cosa?»
    «Lo sai, cosa.»
    Non risponde, un sospiro. Sono sempre io. Non risponderà a nessuna delle mie domande, e questo perché Gerard non mi sembra uno che mente. Credo che in generale preferisca evitare le domande, oppure fare scena muta quando gliene viene posta una, ma non mi sembra uno che mente. L'ultima domanda gliela pongo con lo spirito di chi sa di aver già perso ma vuole tornare a casa con la consolazione di aver fatto tutto il possibile.
    «Hai un ragazzo?»
    Patetico, lo so. Ma del resto cose così o le chiedi o le chiedi. Della vita privata di Gerard non capisci un cazzo finché lui non decide di sua spontanea volontà di rivelarti qualcosa. Non risponde, insisto.
    «Gerard.»
    «Mh?»
    «Hai un ragazzo?»
    «E una volta che lo sai che fai?»
    «...»
    «E una volta che lo sai che fai, lo ammazzi e poi mi chiedi di sposarti?»
    «Era tanto per sapere.»
    «Nessuno fa domande tanto per sapere.»
    Mi piace. Da impazzire. Giuro su Dio che ci impazzisco. Sono come quei malati nel cervello, quei maniaci, quei pazzi da legare che più tu li picchi e più sono contenti — masochisti, li chiamano. Sono così anch'io. Con Gerard sono masochista. Credo che sia perché quando Gerard parla con me lo fa in tre modi che sono tutti ugualmente spiacevoli: o mi parla per affrontare argomenti dolorosi, o mi parla per insultarmi in qualche modo o mi parla perché io parlo a lui e quindi deve rispondere anche se non ne ha voglia. E uno dovrebbe essere tutto meno che contento, a sentirsi parlare in uno di questi tre modi, ma a me non frega proprio nulla, perché a me basta che Gerard mi parli, e questo fa di me uno di quei malati nel cervello. Mi piace. Gerard mi piace. Da impazzire. Si ostina a eludere le domande, si ostina a stare sveglio e a darmi le spalle, sepolto sotto quattro strati di coperte che ora come ora se ce le avessi addosso io annegherei nel sudore. Ma lui è freddoloso e bellissimo, e lo so che sembra strano detto da uno che fino a dieci minuti fa stava per prenderlo a pugni e poi strangolarlo, ma io quando in giro c'è Gerard non ragiono, e quando la gente non ragiona fa sempre cose strane. E adesso io non ragiono, e o lo amo alla follia e rischio anni di prigione per lui o lo odio con tutto il cuore e cerco di ammazzarlo a mani nude. Le vie di mezzo non esistono. Fatto sta che c'è Gerard che è sepolto sotto quattro strati di coperte che ora come ora se ce le avessi addosso io annegherei nel sudore, e non risponde, anche se io la risposta l'ho già capita benissimo. Certo, che ha un ragazzo. Ovviamente, ha un ragazzo. Se uno come Gerard è ancora libero allora dev'essere solo perché Dio ha fatto un incantesimo a tutti gli altri esseri umani per non farli innamorare di lui. Perché altrimenti non si spiega. Che poi Dio non fa gli incantesimi, casomai fa i miracoli, ma adesso non è importante. Adesso l'unica cosa importante è che sono le tre e quaranta e Gerard è nel mio letto, lui e il suo profumo che è a metà tra quello delle pesche e quello di qualche altra cosa di cui adesso non mi sovviene l'immagine. Così come poco fa gli sono saltato addosso con lucidissima furia omicida, adesso vorrei saltargli addosso e fargli di tutto. Ma proprio di tutto, del tipo che chiuderei la porta a chiave e ci metterei sopra un cartello con scritto “torno subito”, o più probabilmente “non torno mai”. Ci impazzisco. 
    È ancora sveglio, gli occhi bene aperti fissi sulla parete opposta della camera. Gli darei tutto quello che ho per sapere a che cosa sta pensando. E restiamo così per una mezz'ora buona, io seduto, Gerard sdraiato, io con tutte le carte per farmi venire una buona erezione e lui con tutte le carte per concludere che sono un idiota. Continua a tacere e a fissare qualche punto imprecisato di fronte a sé, ogni tanto sbatte le ciglia e si sistema le coperte sulle spalle. Mi piace. Da impazzire.









Sono le quattro e trentadue. Gerard è sveglio, io anche. Nessuno dei due proferisce parola da più di quaranta minuti, la mia sveglia suonerà tra meno di un'ora. Di bene in meglio, ancora una volta. Mio padre continua a russare sonoramente, è una macchina a vapore.
    Non credo di aver mai passato una notte in bianco come questa. Di non dormire per più di ventiquattr'ore mi è già capitato, ma di certo non mi è mai capitato di passare una notte intera seduto sul mio letto a fissare il vuoto — o a fissare Gerard, che dir si voglia. 
    Poi Gerard parla, di punto in bianco, come fa lui.
    «Una specie.»
    «Eh?»
    «Ho una specie di ragazzo. Credo.»
    Me lo immaginavo. Lo dico.
    «Me lo immaginavo.»
    Si volta verso di me, facendo frusciare le lenzuola con un rumore lieve che in questo silenzio quasi quasi sembra il rumore di una bomba. Mio padre continua a russare nella stanza accanto, io ho gli occhi di Gerard piantati in faccia e l'irrazionale desiderio di dirgli “ehi”. Vorrei dirgli “ehi”, e so che sembra stupido, ma quando ti piace tanto qualcuno e questo qualcuno non si spreca in espressioni facciali, allora tu dal nulla hai voglia di fargli “ehi”, come per scuoterlo, nella speranza che reagisca in qualche modo. O come a dire “ehi, sono qui, e anche tu sei qui, è bello, no?”. Non so se mi spiego, ma probabilmente no. Non sono molto bravo a spiegarmi. Ci sono io e c'è Gerard, e lui mi guarda con quel suo viso che Dio. Dio, il viso di Gerard. Potrei scriverci trenta libri e la sceneggiatura per un film. E fatto sta che sono le quattro e trentaquattro, ho appena rischiato diversi anni di prigione e Gerard sta offrendo ai miei occhi stanchi la vista del suo viso, il suo viso che Dio, mi piace da impazzire.
    «Davvero lo immaginavi?», chiede.
    «Sì.»
    «Perché?»
    Assume un' aria vagamente corrucciata e pensosa, e io giuro su Dio che la sua aria corrucciata e pensosa non ha prezzo. Eccolo lì, il viso di Gerard. Spaventosamente vuoto, incredibilmente espressivo. Alzo le spalle, e questa volta non è inutile, perché Gerard può vedermi chiaramente. Mi concedo di riflettere per qualche istante, concludo che è molto meglio dirgli chiaramente che cosa penso. Tanto tutto quello che non gli dico lui lo capisce da solo.
    «Non so», mormoro. «È che... lo so che potrei pensare l'opposto, visto ciò che facevi nei bagni della scuola, ma credo che tu sia una persona fedele. Anzi, lo so. Si vede.»
    Non mi interrompe né altro, aspetta solo che continui a parlare.
    «Mh... cioè, in qualche modo si vede. Non sto parlando solo del tuo ragazzo, dico in generale. Forse è una cosa mia, ma secondo me le persone fedeli si vedono subito. Dagli occhi, credo. Nei tuoi occhi ci sono un sacco di cose, e c'è anche molta fedeltà. E allora... forse mi sbaglio, ma credo che la fedeltà stia solo negli occhi delle persone che hanno qualcuno con cui usarla. Anche il fatto che tu sia così riservato su tutto, voglio dire... ogni volta che ti chiedo qualcosa riguardo alle persone della tua vita diventi molto aggressivo, come se avessi paura di... esporle a qualche cosa.»
    «...»
    «Ah, lascia perdere. È tardi, probabilmente sto straparlando.»
    Stacco gli occhi dalle mie gambe incrociate — non mi ero reso conto di averli tenuti fissi lì per tutto questo tempo — e aspetto pazientemente che Gerard mi distrugga con una battuta sarcastica o con uno dei suoi sguardi gelidi. Non succede. Mi volto a guardarlo e lo trovo esattamente come l'avevo lasciato qualche secondo fa: spaventosamente vuoto, incredibilmente espressivo. La sua bocca non si muove di un millimetro, ma le mascelle sono serrate, le sopracciglia corrugate in un lievissimo cipiglio assorto. Mi fissa forte, e forse si aspetta che io aggiunga qualcos'altro, ma è tutto qui. Non credo di essere mai stato più sincero di così, con lui. Gerard schiude un po' le labbra, pochissimo; le chiude nuovamente, poi le riapre. 
    «Mi dispiace tanto», dice.
    È l'ultima frase che mi rivolge questa notte.









Quella notte mi sono addormentato alle cinque e alle cinque e mezza la sveglia mi ha tirato di nuovo in piedi. Sono crollato per appena trenta minuti, ma a Gerard sono bastati, e quando mi sono svegliato lui non c'era già più. Non l'ho sentito andare via. Sono andato in cucina in fretta e furia, l'ho trovata vuota e identica a come l'avevo lasciata prima di uscire la sera precedente. Ho cercato anche nelle altre stanze, niente di niente, ho ficcato la mano dietro ai libri di scuola e sulle dita non ho sentito la consistenza di nessuna bustina piena di polvere. Gerard ha preso la sua ketamina e se n'è andato, senza dire nulla, senza fare rumore, come se non fosse mai stato lì. In camera mia era tutto esattamente identico, compreso il russare lento e ritmato di mio padre dalla stanza accanto. L'unica differenza era un biglietto che Gerard aveva lasciato sulla mia scrivania prima di sgattaiolare fuori con la sua giacca a vento nera e i suoi occhi grandi grandi pieni di paura e di cose che non ho mai capito, un biglietto scritto sul retro di uno scontrino della spesa che lui si era preso la licenza di tirare fuori dal contenitore in cui li riunivamo.

    Scusa per tutto lo schifo. Ci vediamo in giro.

    L'avrei capito solo dopo, che quello era il suo modo di dirmi “grazie”.

   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > My Chemical Romance / Vai alla pagina dell'autore: mairileni