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Autore: Roberto_Yoda    08/01/2009    1 recensioni
Un ultimo addio tra vittima e carnefice. Nei capitoli successivi a quelli della vicenda di Hitomiko, Naraku riceve una visita da un fantasma del passato, rivive eventi da tempo trascorsi ...
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Kikyo, Naraku
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Qua siamo ai primi episodi dell’anime

Qua siamo ai primi episodi dell’anime. Per l’esattezza, la prima apparizione di Kikyou dopo la sua “rianimazione”. Episodi 22 – 23. Apparizione che ho trasposto papale papale (scusatemi di questo) ma con alcuni dettagli che spero vi possano interessare.

 

 

 

Le grida acute e spensierate dei bambini, mentre giocosamente lottano per conquistarsi anche solo un attimo della sua attenzione. Si accalcano vicino a lei, chiamandola per nome, sfiorandole l’hakama con le manine; le chiedono il nome di erbe medicinali che già conoscono – per il puro piacere di lasciarsi scaldare dal suo sorriso.

 

E lei sorride. Non sa neppure lei come ci riesce.

Il fiume – non quello che sta fissando adesso – l’ha trascinata con la corrente. Poi, ha camminato, confusa, spersa, non sa per quanto. Ore? Giorni?

 

Al villaggio l’hanno accolta subito. Lo avrebbero fatto anche se non fosse una miko. Quando poi ha dimostrato le sue abilità nell’arte della guarigione, l’hanno colmata di attenzione e benedizioni.

Se solo sapessero, per quale ragione può compiere quelle miracolose guarigioni.

Se sapessero, la caccerebbero, le sputerebbero in faccia, cercherebbero di distruggerla.

 

La sua condizione, le permette di vedere i messaggeri dell’aldilà. E i suoi poteri di miko – che non sono mai stati così forti come da quando è prigioniera di questa farsa di corpo – le consentono di distruggerli così facilmente.

Da morta, la sua capacità di curare gli altri è accresciuta a dismisura. Quando se ne è resa conto, l’assurdità della cosa le ha fatto venire una gran voglia di ridere. Così, ha scoperto che anche i morti possono ridere. E che la risata di un morto è talmente amara, da riempire la bocca del sapore del fiele.

 

Il dolore la tormenta. E’ incessante; l’odio la corrode peggio di un veleno.

 

Ma i bambini. Quando sta con loro, a volte riesce a ingannare se stessa per brevissimo tempo. Le pare quasi di essere quella di un tempo.

Se solo potessi restare qua, in questo villaggio, per sempre. Dimenticata dal mondo, da tutti, e soprattutto da …

Un altro rigurgito d’odio le afferra la gola, come cibo indigesto … che lei non può più mangiare. Anche poter assaggiare del cibo andato a male, sarebbe una benedizione per la quale rendere grazie.

 

Kikyou-sama. Quest’erba va bene, vero?”

 

Allontana il dolore. Allontana l’odio. Almeno, provaci, maledizione. Anche a costo di ricorrere a quei vecchi, polverosi insegnamenti che una volta sei stata così stupida da credere di poterti lasciare per sempre alle spalle.

 

“Sì, brava, Sayo. Su, avvicinatevi, lasciatemi vedere cos’avete raccolto.

I sorrisi dei bambini sono un balsamo migliore di qualunque preghiera. Insegnare loro, giocando, l’ha sempre resa così felice …

 

Il sole prosegue il suo viaggio verso ovest.

Inginocchiata in mezzo a loro, spiega l’uso delle erbe; racconta leggende dimenticate, confeziona indovinelli. Un tempo probabilmente avrebbe anche cantato. Ma non canterà mai più.

 

Degli occhi la stanno fissando già da un po’, con stupore e diffidenza. Insistenti.

Il suo sguardo sfiora, per un attimo solamente, le fronde dei ciliegi alle sue spalle, come se potesse esserci qualcuno appollaiato fra i rami.

 

Stupida.

 

Bou-dono, mostratevi pure, vi prego. E’ parecchio che mi state guardando.”

 

Esclamazione stupefatta.

 

Due monaci buddisti, uno vecchio e uno giovane – maestro e allievo – emergono dalla vegetazione. Il vecchio risponde, balbettando un po’.

 

“Oh, ci avevate notato, miko-dono. Perdonatemi. La vostra bellezza mi aveva stregato.”

 

Mentre cammina verso di lei, continua a parlare.

 

“Dovrò essere più attento. Questo è molto imbarazzante, per me …”.

 

Inciampa. Finge di inciampare; lei se ne accorge e la rabbia, sempre avvinghiata alla sua anima, subito le preme addosso, opprimente come un manto ammuffito. Un sutra cade a terra. Una sola occhiata. E’ un sutra di grande potere; qualunque youkai dovesse toccarlo, vedrebbe immediatamente svelata la sua vera natura.

 

“Come sono goffo! Potreste raccoglierlo, miko-dono? Sapete, le mie vecchie ossa …”

 

La mano di Kikyou afferra il rotolo senza esitazioni. La Furia che si nutre di lei e di cui lei stessa, a sua volta, si nutre, ha trovato un bersaglio, finalmente. Con amara soddisfazione, osserva i lineamenti del viso del monaco assumere la forma di una maschera stupefatta, mentre lei stessa maschera i suoi intenti dietro un’espressione premurosa e un delicato sorriso.

 

“Tenete pure.”

 

Cosa può fare, ora? Tremante, non può che riprendere il sutra che gli porge.

Mentre il monaco resta congelato sul posto, e mille e mille aghi invisibili gli trapassano il corpo, Kikyou si alza, i gigli donateli dai bambini stretti al seno, e li richiama.

 

“Torniamo al villaggio. Si è fatto tardi.”

 

Hanno già percorso alcune decine di metri, quando il monaco si riprende a sufficienza per potere di nuovo parlare.

 

Miko-dono! Non so quale rimpianto portiate dentro di voi, ma non potere restare qui! Questo non è il vostro posto! Dovete ritornare al luogo al quale appartenete!”

 

Kikyou resta immobile solo alcuni istanti. Poi riprende a camminare come se nulla fosse.

 

 

I bambini sono tornati ognuno alle proprie case. L’ora è tarda e, ormai, staranno dormendo da un pezzo.

L’ultima a salutarla è stata Sayo, stasera, come tutte le altre sere. Di questo è grata, perché le parole preoccupate e affettuose della bimba sono state capaci di quietare per il momento la Furia che le stava rosicchiando l’anima da quando quel pazzo di un monaco ha cercato di sfidarla.

 

Per poco non si è impappinata, salutandola; e ha rischiato di chiamarla Kaede, invece che Sayo.

 

Inginocchiata davanti al basso tavolo, mentre sminuzza a mani nude il cibo che i contadini le hanno preparato, per poi riporlo nel sacchettino di tela che svuota ogni mattina, ben prima dell’alba, al fiume, rivede nella mente l’immagine della vecchia miko che ha asserito di essere Kaede. Una vecchia che viaggia al suo fianco. Che ha preso le difese di colui che l’ha uccisa.

 

Scrolla la testa, digrigna i denti, rabbrividisce.

 

Trova molto più naturale chiamare ‘Kaede’ Sayo piuttosto che quella vecchia sconosciuta consumata e rattrappita dagli anni e dalle fatiche.

 

Rapida, posa un vaso colmo d’acqua sul tavolino e inizia a mettervi i gigli. Lavora, immersa nella tenebra, senza alcuna esitazione. Ormai può vedere altrettanto bene sia in pieno giorno che nell’oscurità. E così è meglio. Se qualcuno, a quest’ora così tarda, dovesse passare vicino alla capanna che le è stata destinata, la crederebbe immersa nel sonno.

 

Le sue mani sono d’improvviso colte dal tremore. In questi ultimi giorni si è fatto sempre più insistente. Sente il braccio diventare insensibile. Nonostante i suoi sforzi, ricade pesante, urtando il bordo del vaso e facendolo cadere. L’acqua si rovescia, spargendo fiori e cibo su tutta la superficie del tavolo. Con un singulto di frustrazione, fissa il disastro che ha appena combinato. Distrattamente, chiude e riapre più volte la mano a pugno, come per riprendere il pieno controllo del proprio arto.

 

Si interrompe appena si rende conto di quel che sta facendo. Disprezzandosi, comincia a sghignazzare. O sta singhiozzando? Come sono duri a morire – già – certi gesti, certe abitudini insensate. Come se ci fosse ancora del sangue a scorrere nelle sue membra, a darle vitalità.

 

Perché darsi tutta questa pena? Anche se il monaco itinerante decidesse di proseguire il suo viaggio e lasciarla in pace – e sa bene che non lo farà – non potrà restare qui ancora per molto.

 

Come una conferma, ecco di nuovo la Furia farsi sotto, il moto instancabile di un mare che vuole erodere del tutto quel poco che resta di lei.

Con un gesto di stizza, colpisce il vaso, lanciandolo a terra a fracassarsi. Afferra la corolla di uno dei gigli e la chiude nel pugno, stritolandola. Se non può mettere ordine, che distrugga! Che importanza ha, comunque?

Non può più attendere. Ha cercato di resistere fino all’ultimo. Ma quel poco che le resta della shinidama della ragazza la sta abbandonando. Questa notte dovrà spogliarsi di un altro pezzetto della sua umanità. Come se ne avesse molto da spendere.

Lasciando scivolare tra le dita i petali sciupati, si alza ed esce senza esitazioni nella notte.

 

 

A fissare il fiume, di nuovo.

E’ tesa, e istintivamente vorrebbe prendere un respiro profondo, ma facendolo si sentirebbe tanto stupida quanto poco fa.

Così, porta le mani alla nuca e scioglie il nastro bianco, liberando i capelli e lasciandoseli ricadere attorno.

 

Gli shinidamachu si stanno avvicinando in volo, trattenendo ciascuno tra le zampette sottili una sfera azzurrina e luminescente.

Sono già alcuni giorni che volano nei paraggi, preparando il raccolto per lei. Sono deboli youkai; assumerne il controllo è stato la facilità stessa, per una miko dotata dei suoi poteri. Un’altra cosa che non avrebbe mai pensato di essere ridotta a fare.

 

Tsubaki sarebbe orgogliosa di me, pensa con quel cupo umorismo che si è scoperta di avere.

 

Così va bene, Inuyasha? Sono caduta abbastanza in basso? Non sei ancora soddisfatto?

 

Pensare a lui è tormento infinito. Lui l’ha uccisa. Lui vuole che ritorni nel corpo di quella insignificante mocciosa; che muoia di nuovo. Ma allora perché la voleva salvare? Lo diverte saperla imprigionata in questo simulacro? Davvero la odia così tanto? Come ha potuto sbagliare così a giudicarlo? Ma allora perché quella vecchia, Kaede ?

 

Mette ordine nella mente. Se continua così, presto perderà del tutto la ragione. Ora c’è una prova ancora più dura che la attende.

 

Gli shinidamachu le svolazzano pigramente intorno, sfiorandola. La prima anima le si posa sui palmi delle mani. Pian piano, se la sente entrare dentro. Rabbrividisce. E’ anche più gelida di quanto si aspettasse. Ad ogni modo, perfino il freddo è meglio del vuoto che l’accompagna di solito. No. Non è questo che teme.

Mentre la shinidama della donna morta allontana una parte del torpore che le appesantisce il corpo, la tamashii colma di rimpianto prende a sussurrarle nella testa ricordi che non sono i suoi.

 

Ero felice, vivevo in uno stupendo palazzo, tutti mi riverivano. Poi, un giorno il vaiolo mi ha colta. Ho lottato, ma non ho potuto fare nulla …

 

“No. Io sono Kikyou. Sono nata e ho vissuto per quasi tutta la mia vita in una capanna …”

 

… per la prima volta, mi sono trovata a fronteggiare qualcosa a cui non potevo dare ordini …

 

“… Non sono morta di malattia …”

 

… Non è giusto. Non è giusto! Avevo una vita bellissima da vivere. Perché a me? Perché non alla sguattera che rassettava ogni giorno le mie stanze? Lei non aveva nulla da perdere! Perché non a lei? E adesso, lei, viva, e io …

 

“… Ho badato ai malati di vaiolo. Ne ho visti alcuni morire nell’amarezza. Altri in pace.

E tu, taci, taci!”

 

Mentre la voce della prima tamashii si riduce ad un sussurro inudibile, ecco altre due anime entrarle dentro.

Freddo.

Parole, immagini, ricordi, che fanno a pugni dentro di lei, cercando di aggrapparsi alla loro vita amara un’ultima volta.

 

… l’amavo tanto, ma mio fratello mi aveva già destinata ad un altro …

 

“Io sono Kikyou. Kikyou. Non ho fratelli e sono – ero – una miko.

 

… mi ero attardata nei campi; le mie compagne erano già rientrate. Quando quell’uomo a cavallo si fermò cominciando a fissarmi non avrei mai immaginato che …

 

“Non sono una contadina. No. Io … io sono …”

 

… i miei bambini. Li ho amati tutti. Erano così piccoli. Li ho nutriti al mio seno…

 

“I bambini? I … miei …?”

 

 … li ho visti crescere, farsi forti. Ero così orgogliosa di ciascuno di loro …

 

“ …No. No. Nessun bambino. Nessun …”

 

 … E’ venuta una guerra, una di quelle loro guerre schifose. Sono partiti, tutti, uno dopo l’altro …

 

“…Nessun bambino. Nessun bambino … Io sono Kikyou … oh, i miei piccolini, i miei piccini! …”

 

…Nessuno di loro è tornato. Tutti. Tutti morti, tutti …

 

“… Nessun bambino nel mio ventre. Mai. Mai. Io …”

 

… Onorevolmente. Morti con onore. E cosa mi importa!? Ridammeli! Maledetto, perché non li hai protetti? Perché?

 

“…Non è mai successo. Io sono Kikyou … Io sono morta …” un sibilo tra i denti stretti.

 

… Sono morti onorevolmente. E così, non mi è rimasto altro da fare che seguirli, altrettanto onorevolmente …

 

No. “Io sono morta  pura!” grida, sputando verso il cielo quell’ultima parola, come se fosse la peggior bestemmia mai uscita da labbra umane.

 

Silenzio. I borbottii delle tamashii si sono zittiti. Apre gli occhi. Altre anime le galleggiano attorno. Il torpore del corpo è svanito, scacciato dalle shinidama. C’è qualcuno alle sue spalle, come stamani. E questa volta lei sa perfettamente chi è.

 

“Cercate la vostra purezza perduta, miko-dono? Non potete rifugiarvi nell’aldilà, voi che siete dei morti?”

 

La voce dell’uomo è arrochita dalla vecchiaia e da una profonda pietà.

 

Osi provare pietà per me? pensa, gli occhi della Furia sopita dentro di lei già pronti a socchiudersi per cercare nuovi modi per manifestarsi. La trattiene.

 

“Vi prego, ignorate la mia presenza. Io desidero soltanto vivere quietamente in questo villaggio.

 

Se desiderate la pace, miko-dono, per quale motivo raccogliete le anime di donne morte, e morte con il rimpianto nella mente e nel cuore? Il vostro corpo ha bisogno delle loro shinidama, non è così? E di cosa ha bisogno la vostra tamashii, invece, miko-dono?”

 

Mentre parla, il vecchio mostra quel che teneva nascosto nella larga manica e che ora ha in mano: un talismano a forma di drago; un oggetto raro e potente in grado di compiere i più poderosi fra gli esorcismi. Appena comincia a brillare i suoi shinidamachu, avvertito il pericolo, volano via svelti in tutte le direzioni, fuggendo.

Voltandosi piano, Kikyou chiede “Cosa avete intenzione di fare, bou-dono?” come se non lo avesse già capito.

 

La voce decisa del monaco si alza, mentre grida “Vi farò ritornare al luogo al quale appartenete! Ascoltatemi, miko-dono! E’ per la vostra salvezza!”

 

Il talismano si incendia di una luce gialla che subito si proietta verso di lei, avvolgendola e mutandosi nelle spire di un drago che la imprigiona strettamente, un artiglio inchiodato al collo.

 

“Non potete sfuggire a questo incantesimo! Io curerò la vostra tamashii, miko-dono!”

 

L’apparente impassibilità di Kikyou finalmente si infrange a quelle parole. “Tu … tu … cosa credi di fare? Guarire la mia tamashii? Stupido vecchio arrogante …”

 

Un grido silenzioso esplode dentro Kikyou mentre, come una spettatrice impotente, osserva la Furia divampare in ogni direzione, scardinando le sue difese, usando i suoi immensi poteri di miko per ribaltare gli effetti dell’incantesimo, stracciare il drago come se non fosse altro che una sagoma ricavata da fragile carta di riso.

 

Frammenti si proiettano ovunque, e una zampa va a conficcarsi nella gola del monaco. Gemendo, mentre dal collo schizzano i primi fiotti di sangue, cade pesantemente a terra, tutto il suo potere spirituale svanito in un solo istante.

 

Il talismano rotola tra l’erba e si muta in polvere.

 

Ciò che resta del drago svanisce come se non fosse mai esistito.

 

Urlando terrorizzato, il giovane monaco fugge, correndo più in fretta che può.

 

Kikyou si avvicina al corpo, il viso indurito. “Sciocco. Se non avessi interferito, adesso saresti ancora vivo.

 

Ma il monaco non è ancora morto. Le sfiora il sandalo, sforzando le parole attraverso la gola che si riempie lentamente di sangue. “Miko-dono … cosa state cercando? I vivi … i vivi cercano sempre nuovi momenti nella loro vita, così da darne forma e compimento. Ma i morti … come voi … il tempo è immobile, congelato, per i morti. I morti non possono convivere al fianco dei vivi, miko-dono. Perché per entrambi è miseria e disperazione. Mi dispiace … mi dispiace di non essere stato abbastanza forte da salvarvi … miko-dono. Perdonatemi …”.

 

La vita fugge via.

 

Kikyou resta immersa nei propri pensieri. Quel che della miko c’è in lei sa che le parole del monaco sono vere. Eppure

 

C’è qualcun altro. Il giovane monaco è forse tornato sui suoi passi per farsi uccidere al fianco del proprio maestro?

 

“Chi c’è?” chiede con voce dura, voltandosi di scatto in una nube di capelli.

 

La vede. La bambina è rannicchiata vicino allo stesso ciliegio dietro il quale si erano nascosti i due monaci nel pomeriggio. Trema, singhiozzando; il terrore ha reso le sue gambe così molli da impedirle di correre via.

 

Sayo.” No. Non lei. Ti prego, chiunque, ma non lei.

Si avvicina e si inginocchia. Gli occhi della bimba si dilatano ancor di più per la paura; non ha quasi più la forza per piangere. Schiaccia il corpo contro il tronco della pianta, senza riuscire a smettere di fissarla.

 

Oh, Sayo. Sei così piccola. Ancora credi che un albero possa offrirti protezione? Se volessi farti del male, ogni cosa qui attorno resterebbe a guardarci indifferente …

 

Allunga esitante una mano.

Un attimo prima che Sayo serri infine le palpebre, sperando di scomparire come per magia, Kikyou si vede infine riflessa in occhi tanto tersi quali le è capitato di incrociare solo un’altra volta.

E quel che vede la accartoccia per l’orrore.

 

Che ridicola farsa ha recitato in questi giorni!! Mascherandosi dietro quel che conosce meglio – il suo ruolo di miko – fingendo che nulla sia cambiato rispetto a più cinquanta anni addietro, ben prima che la Shikon no Tama entrasse nella sua vita.

Ma l’immagine che gli occhi di Sayo le hanno rimandato indietro non può essere fraintesa. Morta. Morta! Sente un grido di frustrazione e rabbia premerle contro le labbra, sui denti.

 

Le tamashii, la sua e quelle delle donne che si sono rifugiate dentro questo guscio vuoto, stanno levando all’unisono un urlo ribelle.

 

Sono morta. No. No. Non può essere.

Non è possibile!! Non è giusto! Tutto il dolore sopportato, tutti gli sforzi fatti, i sogni, i desideri, le speranze … tutto spazzato via in un solo istante, senza una ragione, senza una spiegazione!

E voi! Voi, vivi, voi, voi, che siate maledetti! Come osate continuare a vivere, come se nulla fosse, come se tutto quel che abbiamo sofferto non fosse mai esistito, fosse passato sulla pelle indifferente del mondo senza lasciarvi neppure un segno, una scalfittura.

E noi vi odiamo, per questo, per questo vi strapperemo il cuore, spargeremo il vostro sangue, strazieremo le vostre carni, calpesteremo le vostre carcasse! Provate quel che significa! E poi…

 

Soffocando per un dolore peggiore dell’agonia, Kikyou riesce a scacciare la tormenta di pensieri che stanno per farla a pezzi. Ritira la mano e se la appoggia al petto.

 

“Mi dispiace, Sayo. Ti ho spaventata.” Una cappa di tristezza talmente pesante da spegnere perfino l’odio le piomba addosso.

Lentamente, si alza.

Lentamente, si volta e si incammina verso i boschi.

 

Allontanati, prima di farle ancora più male. Avanti, sbrigati, infausto mostro. Non voltarti. Non …

 

Kikyou-sama.” E’ appena un sussurro bagnato di lacrime; tuttavia, sufficiente a fermarla. Si volta.

 

“Addio.”

 

Riprende il cammino.

 

Questo … questo mondo … è peggio dell’inferno … peggio di …

Non posso sopportarlo. Non ne ho la forza.

Tutto questo deve finire.

Deve finire. Deve.

E io lo farò finire …a modo mio.

 

Presto.

Presto ci incontreremo di nuovo … Inuyasha.

  
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