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Autore: Himenoshirotsuki    07/06/2015    5 recensioni
Il suo corpo era luce, la emanava come una stella nella volta celeste, i capelli simili a lingue di fiamma. Ledah guardò quell'anima splendente, mentre si faceva strada tra i rovi e le spine. In quel luogo opaco, a cavallo tra la realtà e il mondo dell'oltre, ogni suo passo era troppo corto, la sua voce non era sufficientemente forte perché lei si accorgesse che la stava febbrilmente rincorrendo. Per un tempo indistinto inseguì quelle tracce vermiglie, testimoni delle catene corporee che la tenevano ancorata a questo mondo. Poi lei si girò, incrociando lo sguardo disperato di Ledah, e in quell'istante egli capì: lei era il sole nell'inverno della sua anima, l'acqua che redimeva i suoi peccati, la terra che poteva definire casa. Lei era calore e fiamma bruciante. Lei era fuoco, fuoco nelle tenebre della sua esistenza.
Revisione completata
-Storia partecipante alla Challenge "L'ondata fantasy" indetta da _ovest_ su EFP-
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Guardiani'
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27

Risveglio

 
"Chi combatte con i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. E se guarderai a lungo nell'abisso, l'abisso guardera dentro di te."
F. Nietzsche
 
Fu lo sbalzo del carro a strappare Ledah dal sonno. Colpì qualcosa di duro con la spalla e il dolore provocato dalla botta improvvisa lo riportò rapidamente alla realtà. Sbatté più volte le palpebre cercando di mettere a fuoco ciò che aveva intorno. Sopra di sé vide dei drappi di tela grezza e sudicia, tesi a formare una specie di tetto, e in fondo al carro scosse il profilo di qualche botte e delle casse. La testa ronzava, si sentiva immensamente stanco, come se avesse dormito per secoli, e non riusciva a ricordare come fosse finito lì. Mosse le dita e tentò di tirarsi su, ma tutto il suo corpo gli spedì delle fitte lancinanti fino al cervello, mozzandogli il fiato. Impiegò poco ad appurare di avere le mani legate dietro la schiena e le corde sembravano essere penetrare nella pelle tanto erano strette. Grugnì frustrato e fece forza sulle ginocchia per alzarsi. Il carro sobbalzò ancora e la nuova scossa lo rimandò disteso. Serrò i denti e, alla fine, con un unico colpo di reni riuscì a girarsi su un fianco e a strisciare contro il bordo sinistro, per poi sedersi su un tappeto di pelliccia di montone che puzzava di umido e sudore di cavallo, con la schiena appoggiata alla grossa trave di legno.
Non aveva idea di chi lo avesse catturato e caricato su quel carro e rammentava pochissimo della battaglia avvenuta a Luthien, in particolare l'ultima parte. Ricordava solo che stava lottando contro quel drago immenso a fianco di Copernico e poi una forte luce lo aveva accecato. 
- Spero tu abbia dormito bene. -
Si girò di scatto nella direzione da cui proveniva la voce, i sensi vigili e i nervi tesi. 
Seduto in fondo al carro, un elfo lo fissava con aria annoiata. I raggi del sole che filtravano attraverso i drappi illuminarono appena un viso lentigginoso e una disordinata chioma rossiccia, ma il dettaglio che calamitò l'attenzione di Ledah furono gli occhi: iridi verdi, fredde, profonde. Un brivido gli corse lungo la schiena e la consapevolezza di chi avesse di fronte gli gelò il sangue.
- Vedo che mi hai riconosciuto. - Brandir si alzò e fece qualche passo verso di lui, - Durante la battaglia hai urlato il mio nome, ma mi sembravi piuttosto confuso. O forse era il dolore ad annebbiarti il cervello? -
Si accovacciò davanti a lui e tutti i ricordi sopiti tornarono a galla con prepotenza. Ledah si chiese da quanto Brandir si trovasse lì e se avesse osservato i suoi patetici tentativi di alzarsi, ma a giudicare dal sorrisetto sarcastico che gli arcuava le labbra la risposta era più che ovvia.
- Che ci fai qui? Tu... tu dovresti essere morto. - la voce gli tremò appena, ma continuò a sostenere con fierezza lo sguardo del suo vecchio amico.
- Per essere morto, sono morto. - confermò tranquillo.
Si sedette a gambe incrociate dal lato opposto del carro e si passò una mano sul viso pallido, sfiorando appena una cicatrice rosata che gli attraversava il collo in orizzontale.
- Cosa dovresti essere allora? Un non-morto o... un Risvegliato? -
- Ma come? La tua amichetta non ti ha detto nulla? - 
Ledah lo fissò smarrito e solo un istante dopo capì a chi si riferisse. La scena di Airis che parlava con Lysandra gli tornò alla mente.
- Cosa avrebbe dovuto dirmi? -
- Chiedi a lei, se proprio vuoi saperlo. - lo sbeffeggiò, - Anzi, non so se la rivedrai. -
Ledah gli lanciò un'occhiata tagliente, ma Brandir sembrò non farci caso, limitandosi a poggiare la testa contro una cassa e a chiudere gli occhi. 
Trascorsero alcuni minuti in cui i due tacquero, ognuno perso nei propri pensieri. 
Ledah si girò e scostò leggermente un drappo per sbirciare fuori. I raggi del sole mattutino accarezzavano gli alberi della foresta che stavano attraversando, evidenziando il verde intenso dei pini e delle conifere. Il cielo, di un azzurro terso, si specchiava nelle pozzanghere scavate nel terreno umido, mentre qua e là, ai lati del sentiero di terra battuta, facevano capolino dei timidi bucaneve. Due soldati, armati di lancia e con addosso delle pesanti armature di ferro, procedevano a cavallo proprio dietro il carro. Quello di sinistra aveva i capelli bianchi trattenuti in una coda, che ricadeva stancamente sulla spalla, mentre l'altro aveva una chioma ramata e il naso affilato e stava chino sulla sella, bardato in un mantello di lana nera che copriva la groppa dell'animale. Entrambi sfoggiavano sul pettorale l'emblema della famiglia reale di Sershet, un paio di ali dorate che circondavano una spada. Ad un tratto il soldato di destra sollevò il capo e incrociò gli occhi di Ledah. Quando i loro sguardi si incrociarono, Ledah avvertì una sensazione sgradevole alla bocca dello stomaco e il sudore freddo gli imperlò la fronte. Due iridi vuote come quelle dei morti lo fissarono in modo vacuo.
- Non ti credevo così impressionabile. - lo canzonò Brandir, socchiudendo appena le palpebre.
- Dovrò chiedere a lei pure di loro? - grugnì di rimando.
Un sorriso beffardo aleggiò sulle sottili labbra livide del rosso, che però scosse la testa: - No, loro sono semplici burattini. -
Ledah soppesò quelle parole e indugiò nuovamente sul paesaggio alla ricerca di un indizio che lo aiutasse ad orientarsi. A giudicare dalla relativa facilità con cui il carro avanzava e dalla vegetazione molto più rada, dovevano essersi definitivamente lasciati alle spalle la foresta di Llanowar. Inoltre faceva decisamente più caldo rispetto alle desolate steppe del Nord, dove l'inverno non si ritraeva mai al di là delle pendici delle montagne. Dovunque lo stessero portando, si stavano dirigendo a Sud.
- Dove siamo diretti? - chiese neutro, tornando a fissare il suo carceriere.
- Stiamo andando nel luogo in cui si compirà il tuo destino. - rispose Brandir sibillino.
Ledah corrugò la fronte: - Ovvero? -
L'altro incrociò le braccia al petto e si lasciò andare a un sospiro stanco: - Conosci Sershet? Stiamo andando esattamente lì. -
- E quale sarebbe il fato che mi attende alla capitale umana? - 
Né lui né il suo vecchio compagno d'armi avevano mai creduto nel destino o in qualsiasi cosa che comportasse l'esistenza di una strada già decisa da un'entità superiore. Entrambi, dopo tutto l'orrore che avevano visto e vissuto, avevano convenuto che ogni essere vivente avesse la capacità di scegliere come condurre la propria esistenza. Quando era piccolo, più volte Ledah aveva creduto di non poter far altro che percorrere la via della guerra e della morte, di non avere scelta, ma in quei momenti era stato Brandir a riscuoterlo e a rincuorarlo: non c'era nessun destino, la vita apparteneva soltanto a loro e ognuno poteva decidere liberamente quale strada imboccare. Adesso sentirlo parlare con quella disinvoltura di qualcosa come il destino gli dava sui nervi e sottolineava ancora di più il fatto che l'uomo seduto di fronte a sé non era lo stesso che aveva conosciuto anni prima, nonostante ne conservasse l'aspetto. Non sapeva chi fosse il cavaliere con l'armatura nera che combatteva per l'esercito nemico, ma sapeva che Brandir, il suo migliore amico e cognato, era morto. Ne era sicuro perché era stato lui ad ucciderlo, con le sue stesse mani.
L'espressione di Brandir si indurì all'improvviso e in un attimo l'ironia nei suoi occhi svanì. Si protese verso Ledah e l'odore del suo alito, disgustoso come il tanfo che emette una carcassa in via di putrefazione, gli penetrò nelle narici.
- Forse non hai capito: io ho visto, so cosa ti verrà fatto. Soffrirai, la tua essenza verrà annientata e dovrai assistere impotente alla rovina del mondo senza riuscire ad opporti. Ti ricordi quando mi hai ammazzato in quella radura, a Sheelwood? Ti ricordi la sensazione di impotenza che hai provato mentre facevi a pezzi i tuoi compagni, che erano stati mandati lì a compiere il loro dovere? Ecco, sarà come allora, giorno dopo giorno, notte dopo notte, finché la tua anima non verrà definitivamente divorata dalle ombre che custodisci dentro di te dalla nascita. A Luthien ho notato quanto quel potere che per tanto tempo hai cercato di reprimere sia cresciuto. Tra poco non ci sarà più nessuna luce in grado di salvarti e alla fine perderai te stesso. -
Ledah digrignò i denti e accorciò le distanze, arrivando a sfiorare la fronte di Brandir con la propria. Non si lasciò intimorire, né abbassò lo sguardo.
- Non è il destino a decidere per me e neppure una qualche divinità assetata di sangue. Sono io a costruire il sentiero che percorrerò e non sarà di certo un sacco di carne marcia a convincermi del contrario. - ringhiò ostile.
Brandir lo scrutò serio, vagamente sorpreso, poi scoppiò a ridere. In seguito, gli diede le spalle e tornò a sedersi su una delle botti in fondo al carro. Alle orecchie di Ledah giunse un sussurro intriso di veleno, che riuscì a fargli accapponare la pelle.
- Lo vedremo, corvetto, lo vedremo. -
Si astenne dal continuare la discussione, troppo esausto per parlare e conscio che non avrebbe portato a niente, e riprese ad osservare il panorama attraverso lo spiraglio tra i drappi di tela. La testa gli doleva e ogni fibra del suo corpo gemeva di sofferenza al minimo scossone, ma dopo poco la stanchezza, sia fisica che mentale, ebbe la meglio e cadde in un sonno profondo.

Airis fissò accigliata Fenrir, che le stava spalmando con cura una crema verdognola sulle braccia. L'odore nauseabondo di quell'impiastro le provocava fastidiosi conati e a stento resisteva alla tentazione di girarsi dalla parte opposta con una smorfia schifata.
- Ho quasi finito, non muoverti. - la informò pacato il Drow, - Devo cambiarti le bende. Le ferite si sono quasi completamente rimarginate, ma la gamba e il braccio sinistro sono ancora gonfi. -
Non appena adagiò l'impacco di erbe sul fianco, una scarica di dolore la fece grugnire. Si morse le labbra per soffocare gli altri lamenti e si impose di mantenere un'aria di stoica sopportazione, anche se aveva le lacrime agli occhi.
- Ah, dimenticavo anche questo brutto taglio che non ne vuole sapere di guarire. Se avessi gli arnesi giusti potrei anche suturartela, ma per ora bisogna accontentarsi. - 
Sospirò e versò del liquido trasparente direttamente sulla ferita. Una piacevole sensazione di refrigerio le donò un po' di sollievo.
- Cosa... cosa è successo? Quell'esplosione... -
- Già. Siamo ancora tutti scossi per via di quello che è accaduto. Ma non preoccuparti, parleremo dopo. Non affaticarti. -
- Almeno sai dirmi dove siamo? -
- Ci siamo accampati poco fuori Luthien e abbiamo radunato i superstiti. In questi giorni i cittadini hanno compiuto piccole spedizioni per recuperare tra le macerie i loro beni e un po' di cibo, ma la situazione, mi duole dirlo, è tragica. Ora riposa, Airis. -
- Come mi hai chiamata? - domandò stupita, scrutandolo dal basso.
“È la prima volta che pronuncia il mio nome...”
In quel momento un fruscio attirò la sua attenzione. Senza curarsi del dolore, si girò verso l'entrata della tenda e sulla soglia riconobbe la figura di Felther. L'incredulità si dipinse sul suo volto, aprì e richiuse la bocca più volte e alternò lo sguardo smarrito dal Cavaliere del Drago al Drow, mentre mille domande le turbinavano in testa. 
Felther fece un passo all'interno e si inginocchiò vicino a lei. Un sorriso tiepido gli arricciava le labbra e, nonostante il colorito pallido e le occhiaie scure, sembrava contento di vederla.
- Come ti senti? Mi hanno riferito che te la passavi piuttosto male e ho temuto per la tua vita in questi tre giorni, ma grazie al... Drow qui presente siamo riusciti a salvarti in tempo. -
Ad Airis non sfuggì l'esitazione nella voce del vecchio compagno d'armi, ma tenne le domande per sé, anche perché era troppo debole per intavolare una conversazione, nonostante desiderasse sapere come l'amico fosse riuscito a sopravvivere all'esplosione di Llanowar.
- Io sto bene... mi fa male un po' ovunque, ma sto bene. - rispose con un sorriso mesto.
Mentre parlava, realizzò davvero in che stato fosse ridotta. La fame di sangue cominciava a farsi sentire e la lentezza della sua rigenerazione era solo il primo sintomo.
"La mia velocità di guarigione! Dei, ditemi che non hanno visto... no, Fenrir se ne sarà sicuramente accorto. Accidenti!"
Un terrore gelido le fluì nel ventre e le si conficcò nelle viscere. Serrò e distese le dita più volte, cercando di mantenere la calma.
- Qualcuno si è salvato? - chiese.
- Da quello che mi ha riferito lui, - accennò a Fenrir, seduto in silenzio vicino a loro, - la maggior parte non ce l'ha fatta. I primi, quelli che sono stati più lesti a fuggire, hanno evitato l'onda d'urto finale, ma tutti gli altri sono stati travolti in pieno.Tra costoro molti sono morti e solo pochi sono sopravvissuti, anche se le loro condizioni non sono delle migliori. Per fortuna tu eri tra questi ultimi. -
Airis esalò un sospiro di sollievo. Sentiva lo sguardo indagatore di Fenrir sulla pelle mentre finiva di cambiarle le bende, ma con lui si sarebbe chiarita più tardi. Con estrema fatica e ignorando il dolore, cercò di sollevarsi su un gomito.
- Non muoverti, Airis. Le tue ossa... - esitò.
- Lo so, ma mi conosci: non posso stare ferma troppo a lungo. - ironizzò, ma non riuscì a nascondere una smorfia di sofferenza.
- Allora lascia che ti aiuti. Drow, prendila per il braccio sano, mentre io... - scrutò con attenzione il corpo martoriato della ragazza, - Troverò un punto dove metter mano senza farti urlare. -
Dopo vari tentativi, la guerriera riuscì a mettersi seduta. Si sentiva spossata e il suo corpo la scongiurava di tornare distesa, ma non era così terribile come aveva immaginato.
- Dicevo... di te cosa mi racconti? Ti credevo morto. -
Felther si sedette sulla pelliccia accanto a lei.
- Cosa vuoi sapere? -
- Tutto. Per me è una vera sorpresa vederti qui, vivo e vegeto. Credevo di essere stata l'unica... -
- Direi che non si allontana molto dalla realtà. Dei trentamila soldati che erano stanziati a Llanowar ne sono scampati appena una ventina. Di quei pochi, solo io e altri sette siamo riusciti ad uscire dalla foresta. Gli altri, per un motivo o per un altro, sono deceduti durante il viaggio di ritorno. - si passò una mano sul volto tirato e si stropicciò gli occhi gonfi per la stanchezza, - Purtroppo l'esplosione è stata devastante. I più fortunati sono morti sul colpo, arsi tra le fiamme, mentre noi siamo stati risparmiati, ma forse sarebbe stato meglio morire lì. -
Airis abbassò lo sguardo e si morse le labbra. Capiva fin troppo bene quelle parole.
- Siamo riusciti ad arrivare al primo insediamento umano solo dopo una decina di giorni di cammino. Sfortunatamente al Nord sono ben poche le città che non sono state attaccate dagli elfi e solo una minima parte hanno resistito ai loro assalti. Abbiamo seguito il corso del fiume Deloth e, alla fine, siamo giunti a Lotka. -
- Lotka? Credevo fosse ormai disabitata... –
- Certo, non è più la florida città mercantile di cinquant'anni fa, ma la maggior parte dei suoi abitanti allo scoppiare della guerra hanno deciso di rimanere lì comunque. - sorrise appena, - Sono abitanti del Nord, nani che portano l'ascia appesa alla cintola sin da quando imparano a camminare. -
Anche Airis sorrise a sua volta, più per cortesia che per divertimento.
- Lì siamo stati accolti e curati. Ovviamente, molti ci hanno chiesto cosa fosse successo, a cosa fosse dovuta quella luce e quel boato, ma non ho saputo saziare la loro curiosità. -
- Non hai potuto o non hai voluto? - la ragazza raddrizzò la schiena.
L'altro non si scompose: - Diciamo che, se non ho certezze, preferisco non pronunciarmi. Llanowar era caduta, gli elfi avevano pagato per tutto il male che avevano perpetrato e noi eravamo salvi. Il resto non contava. -
- Lo so, lo so. - Airis socchiuse appena le palpebre.
- La mia fedeltà al re e alla regina è sacra e i primi a cui devo fare rapporto sono loro, in ogni caso. -
La giovane sorrise di nuovo, lievemente nostalgica: Felther era una persona estremamente ligia al dovere e ai precetti di Cavaliere, forse anche troppo.
- Immagino l'orgoglio che devi aver provato quando ti sono stati tributati gli onori della vittoria. - con un gesto del capo indicò la spilla con l'emblema di un paio di ali dorate, poco sotto la gorgiera.
Il Generale la sfiorò in punta di dita e il suo sguardo si incupì: - Avrei preferito festeggiare con te, Ignus e tutti i nostri uomini. Tutti i coraggiosi guerrieri morti quel giorno meritavano la restituzione delle loro salme alle rispettive famiglie e una degna sepoltura. -
- Non si può inseguire la cenere fino al mare o chiedere alla terra la vita che si è ripresa. -
- Lo so. - sospirò, - L'unica cosa buona è che siamo riusciti a far cadere Llanowar. Dobbiamo ringraziare quell'esplosione. -
Airis si limitò ad assentire, astenendosi dal commentare.
- Ora ci mancano solo Sheelwood, Esenshine e Grywald. La resistenza lì continua, ma l'eco della sconfitta del Nord deve aver provato il morale degli elfi, visto che le ultime battaglie si sono volte tutte a nostro favore. -
- Non sapevo che la capitale avesse mosso guerra anche alle altre due foreste. -
- Manchi da molto, Airis, è normale che tu non sappia cosa sia successo negli ultimi tempi. Anche io mi sono stupito, ma d'altronde siamo stati costretti quando abbiamo scoperto quanto fossero stati feroci durante la presa delle città più vicine. - una smorfia di disprezzo gli balenò sul viso, - Evidentemente, quello che i loro fratelli hanno fatto a Mera ed Edon li ha esaltati talmente tanto da spingerli a imitarli. -
Airis si adombrò. Copernico le aveva detto che non erano stati gli elfi a compiere quegli eccidi, ma non era ancora del tutto convinta delle sue parole, anche se si fidava del mago. E a proposito di lui, che fine aveva fatto? Dov'era? Era riuscito a scampare all'esplosione?
- Comunque, non credo sia una buona idea parlarne ora. - disse Felther, lanciando un'occhiata gelida al Drow.
Fenrir scrollò le spalle, ma non commentò. Da quando i due avevano cominciato a parlare era rimasto in religioso silenzio, ma, pur con lo sguardo rivolto altrove fingendosi indaffarato a pulire le bende, Airis era sicura che non si fosse perso nemmeno una parola.
- Hai altro da chiedermi? - 
Una nuova scarica di dolore la distolse dalle sue riflessioni. Contrasse la mascella, strinse le mani a pugno e soffocò a stento un gemito. Sentiva la spalle e la testa in fiamme e il gonfiore che pulsava e gli tendeva la pelle della gamba stava diventando insopportabile. Una leggera patina di sudore le imperlò la fronte. 
Fenrir si sporse per aiutarla a rimettersi sdraiata, ma Airis lo fermò. 
- Cosa le hai fatto? - ringhiò Felther all'indirizzo del Drow.
- Nulla. - 
- Se pensi che mi abbia avvelenata, ti sbagli. - s'intromise la guerriera, prima che scoppiasse una lite. 
Guardò l'uno e poi l'altro e nella tenda calò un silenzio carico di tensione. Dall'esterno provenivano delle voci concitate e una leggera brezza portò con sé un intenso odore di resina. Il crepitio della legna arsa e il profumo della carne arrostita riempirono l'aria.
Dopo qualche istante Felther riprese: - Se non ce la fai possiamo parlare domani. Adesso non lo so, ma magari il nostro guaritore umano - insisté sull'ultima parola, - ha un po' di latte di papavero per darti un po' di sollievo. - 
La ragazza scosse debolmente la testa. 
- Non sto così male come sembra. - mentì.
- Dovresti riposare. -
- Tranquillo, ce la faccio. O devo forse supporre che non gradisci chiacchierare con me? -
Felther sospirò rassegnato: - Sai essere molto caparbia quando vuoi, ma è questo che mi piace di te. -
- Vorrai dire testarda. -
- Cercavo di essere gentile. - sbuffò divertito.
- Da quando hai cominciato a trattarmi con i guanti? -
- Sei una donna, mi sembra più che giusto. -
A quell'affermazione, Airis ridacchiò e Felther inarcò un sopracciglio, perplesso.
- La cosa ti disturba? -
- No, assolutamente, ma mi giunge piuttosto nuova. Mi hai sempre considerata una tua pari, non mi hai mai trattata in modo diverso da come trattavi un soldato semplice o Ignus. -
- Mettiamola così: sono felice di averti ritrovata. Tutti ti credevano morta e, nonostante avessimo mandato delle squadre di ricerca a battere la foresta, non hanno rinvenuto tracce né di te né di Ignus. Quando torneremo alla capitale, anche tu riceverai le Ali d'oro. -
- Immagino quanto il Consiglio dei Quattro Cavalieri frema dalla voglia di darmele. A proposito, chi ha preso il posto di Ignus? -
- Non dire così. Nonostante tutto, i Consiglieri hanno sempre creduto in te. Il Generale Lullabyon sarebbe orgoglioso di te. E comunque il posto di Cavaliere del Leone è ancora vacante, visto che non abbiamo ritrovato il cadavere di Ignus. Aspetteremo ancora un po', poi il re e i Consiglieri eleggeranno qualcuno. -
- Immagino. - mormorò, mentre i ricordi dell’uomo che l’aveva adottata riemergevano dalla memoria.
Felther tacque un momento, le dita intrecciate davanti al viso in una posa meditabonda.
- Che ci facevi a Luthien? - domandò infine.
- La stessa cosa che facevi tu a Lotka. -
Il Generale corrugò le sopracciglia: - E come hai fatto a sopravvivere da sola? Inoltre, mi piacerebbe proprio sapere come hai recuperato la vista. -
Airis esitò, presa in contropiede. Non poteva certo raccontargli che aveva dovuto seguire gli ordini di Lysandra, un Lich con turbe mentali e perversioni di vario genere, né poteva rivelare di essere andata ad Alfheim in compagnia di un elfo. Pensare era sfibrante, ma se avesse taciuto avrebbe destato sospetti.
Tossì, le labbra secche e la gola riarsa. Le sembrava di avere la bocca cosparsa di argilla secca. Con uno sforzo immenso si costrinse a rispondere. 
- L'esplosione mi ha catapultata abbastanza lontana dal punto in cui stavo combattendo. Senza la vista, ho dovuto orientarmi come potevo. Ho... catturato un elfo mago che era ridotto anche peggio di me e l'ho costretto ad aiutarmi ad attraversare la foresta. È stato lui a curare i miei occhi, anche se è solo temporaneo. A sua detta, la città più vicina da dove ci trovavamo era Luthien, quindi ci siamo diretti qui. -
- Eri proprio disperata se hai deciso di fidarti di un elfo. -
Airis fece spallucce: - Eravamo entrambi in una condizione critica. A lui conveniva che io lo proteggessi, mentre a me serviva qualcuno per uscire viva da quella maledetta foresta. Diciamo che è stato uno scambio equo. - 
- Proteggerlo da cosa? Llanowar, da quel che mi è stato riferito, è un deserto di alberi devastati ed erba grigia. -
- Quando ci siamo svegliati, siamo stati entrambi attaccati da... delle creature che somigliavano ai nostri soldati e a quelli nemici. Visto che eravamo gli unici superstiti ed entrambi avevamo a cuore la nostra pelle, abbiamo deciso di non ammazzarci a vicenda e di darci una mano. - 
- Capisco... immagino tu lo abbia ucciso quando ha smesso di esserti utile. -
- Ovviamente. Tu, invece? Perché sei capitato a Luthien? - si affrettò a cambiare argomento. 
Felther la scrutò con cipiglio severo, probabilmente desideroso di capire se gli avesse detto la verità. La storia che gli aveva raccontato era discutibile sotto molti punti di vista e lei aveva glissato su molti dettagli, ma ora come ora non aveva la forza di inventarsi niente di meglio. 
Alla fine, il Generale scosse la testa e non fece commenti.
- Non stavo andando lì. Io e i miei uomini abbiamo ricevuto l'ordine di recarci ad Amount-vinya per ripulirla dalla feccia che la infestava. -
Airis assunse un'espressione confusa. Sershet si era disinteressata completamente alle vicende che ruotavano attorno a quella città, tant'è che, dopo aver atteso gli aiuti per mesi, la popolazione era riuscita a fuggire solo grazie all'aiuto di Fenrir. Perché proprio ora avevano deciso d'intervenire? Fissò i suoi occhi in quelli di Felther e per un momento si misurarono con lo sguardo, mentre una strana tensione si addensava tra loro.
- Cos'è, non mi credi? - 
La guerriera, che a malapena riusciva a tenere gli occhi aperti, gli rivolse un sorriso forzato, poi chinò la testa e relegò i dubbi nei meandri della sua mente.
- No, ti credo. D'altronde, non avresti motivo di mentirmi. -
Il Generale annuì, eppure Airis percepiva troppi non detti tra di loro, che appesantivano la conversazione aleggiando nello spazio che li separava.
- Credo sia ora che io torni ad amministrare il campo. Spero tu ti riprenda presto. -
Si alzò e si drappeggiò il mantello sulle spalle. 
- Sicuramente. A presto. -
Non appena Felther lasciò la tenda, Airis si lasciò ricadere sulla pelliccia con un sospiro stremato. Fenrir le fu subito a fianco e la coprì per tenerla al caldo.
- Devo proprio rimanere qui dentro? Fa caldo... - mugugnò, cercando di sgusciare via dalle braccia del Drow, ma lui non sembrava propenso a lasciarla andare.
- Sì, devi. Adesso che il Generale se ne è andato, posso finire di medicarti. Bevi questo, piano, a piccoli sorsi. - disse in tono freddo e scostante.
La guerriera aggrottò le sopracciglia, ma non indagò sul suo stato d'animo. Sorseggiò quel liquido trasparente come l'acqua dal sapore di ginepro e boswellia, lentamente, ma la sete non l'aiutava.
- Bevilo tutto. Più piano o soffocherai. -
Le tenne sollevata la testa e Airis per la prima volta si concesse il lusso di osservarlo con calma. Aveva una corporatura esile ma allenata, con le spalle larghe e i muscoli filiformi che si tendevano sotto la pelle scura. Le ciocche argentee che erano sfuggite alla coda dietro alla nuca gli ricadevano sul viso e sulle spalle e gli occhi scarlatti sembravano due tizzoni ardenti nella penombra della tenda. Qualcosa in lui le ricordò Ledah. Quando ripensò al viso dell'elfo distorto dal potere oscuro che albergava in lui, avvertì una strana angoscia serpeggiarle nelle viscere. Inaspettatamente, si ritrovò a chiedersi se stesse bene e dove si trovasse in quel momento. Socchiuse appena le palpebre e cercò di ingoiare il groppo soffocante che le si era formato in gola.
Il Drow la osservò bere in silenzio, poi la riadagiò sulla pelliccia. La girò a pancia sotto, le scoprì la schiena e con i pollici sfiorò la pelle gonfia vicino alle prime vertebre. Airis ringraziò di essere distesa, così poté evitare di guardarlo negli occhi: sotto quello sguardo gelido si sentiva nuda, indifesa. Era come se riuscisse a leggerle dentro e lei non voleva che percepisse ciò che provava. Le immagini della battaglia, Luthien in fiamme, il drago, Ledah, Copernico, la luce e poi il boato dell'esplosione le vorticavano in testa, mescolandosi ai dubbi che le parole di Felther avevano destato in lei. Sfinita, si concentrò sul tintinnio delle fiale di vetro contenenti unguenti medici ed erbe sminuzzate e attese che Fenrir tornasse a poggiare le mani sulla sua pelle per attenuare il bruciore.
- Quanto ero messa male? - chiese per spezzare il silenzio opprimente.
Non ci fu risposta.
- Ho visto come mi hai guardata quando Felther si è messo a parlare delle mie condizioni. Puoi dirmelo, Fenrir, non mi scandalizzerò più di tanto. Ho passato di peggio. -
Ancora nulla. 
Si sentì sfregare la schiena con un freddo unguento lenitivo. Il Drow aveva mani grandi e delicate. Airis premette la guancia contro la pelliccia, i peli che le solleticavano il naso, e represse un mugugno soddisfatto. 
- Beh, un umano normale non sarebbe sopravvissuto. -
- Non so di cosa tu stia parlando. -
- Cosa sei in realtà, Airis Lullabyon, Cavaliere del Lupo? -
Airis si irrigidì e tacque. I recipienti di vetro tintinnarono di nuovo e il tocco gentile di Fenrir tornò sulla sua pelle, stavolta all'altezza del collo. Un'improvvisa ondata di calore si diffuse fino alle spalle, per poi fluire giù su tutta la schiena.
- Te lo ha detto Felther? -
Il Drow prese delle bende pulite e, sollevatala leggermente, cominciò a passargliele attorno al corpo. 
- Non mi importa chi tu sia, ma cosa tu sia. -
- Davvero, non so a cosa tu ti stia riferendo... - la sua voce tremò. 
- Non ti preoccupare, non lo sa nessuno a parte me e il nano. Siamo stati noi a trovarti, cadavere tra i cadaveri. O, almeno, così pensavamo prima di accorgerci che respiravi. -
Airis si morse le labbra, un nodo di angoscia che le attanagliava le viscere. Serrò le mani a pugno.
- Se non vuoi dirmelo, non sarò io ad obbligarti, però sappi che non potrai nasconderti per sempre. -
La guerriera non rispose. Era esausta, assonnata, debole.
- Ho bisogno di dormire, Fenrir. -
Il Drow accennò un sorriso, le abbassò la tunica e la coprì con un'altra pelliccia.
- Domani ti sentirai meglio. -
Airis bofonchiò qualcosa di indefinito, già in dormiveglia. Udì i suoi passi allontanarsi, ma prima che il sonno la venisse a prendere percepì ancora quegli occhi scarlatti su di sé e la sensazione che provò non le dispiacque per niente.
  
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