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Autore: Felix_Felicis00    07/06/2015    6 recensioni
INTERATTIVA - ISCRIZIONI CHIUSE!
La storia può essere seguita anche se non si hanno tributi.
***
Dalla storia:
Tutto era pronto ormai.
Le telecamere erano state inviate ai distretti, con gli accompagnatori e la troupe televisiva.
I nomi, scritti su foglietti di carta, erano nelle bocce.
Le piazze erano state abbellite da stendardi colorati.
I ragazzi dai dodici ai diciotto anni erano stati radunati all’interno di zone delimitate da funi e contrassegnate a seconda dell’età, i più grandi davanti e i più piccoli dietro.
Ogni cosa era preparata, i trentesimi Hunger Games stavano, finalmente, per iniziare.
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Strateghi, Tributi di Fanfiction Interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La mietitura – parte IV

DISTRETTO 3 – tecnologie

Kira Lewis guardò il pubblico del distretto tre con sguardo torvo. Aveva appena finito il suo discorso, ma non c’era stato nemmeno un accenno di applauso. Sbuffò e si diresse verso la boccia delle ragazze camminando su un paio di tacchi altissimi, tanto che la maggior parte della gente si chiedeva come facesse a stare ancora in piedi. Prese un bigliettino a caso, senza nemmeno mischiare i foglietti e, dopo aver raggiunto il microfono, lesse:

- Kathleen Vince. –
Una ragazza non molto alta e dalla corporatura esile, bionda, con i capelli lunghi fino a metà schiena, gli occhi azzurro chiaro e la pelle molto chiara, quasi diafana, uscì dalla fila delle diciassettenni e si diresse lentamente verso il palco. Kira la degnò appena di uno sguardo e poi chiese se ci fossero volontari, ma, come previsto, nessuno alzò la mano. Le telecamere inquadrarono per un momento la ragazza, che stava stingendo fortissimo il ciondolo della collana che portava al collo. Le nocche della sua mano erano ormai diventate bianche e gli occhi erano lucidi di lacrime, ma non piangeva, non doveva piangere.
- Chi te l’ha regalata quella collana? –
- Il mio fidanzato, Jonathan. È il mio portafortuna. –
- Lo sai che non funzionano quasi mai, vero? E dire che sei del distretto in cui i ragazzi dovrebbero essere intelligenti! – le disse l’accompagnatrice con aria di superiorità e con voce stridula.
- È molto di più di questo per me: ha un valore affettivo e mi basta averla con me per farmi forza! In ogni caso, sono sicura di essere molto più intelligente di te! –
- Che arrogante! – borbottò Kira.
Si diresse all’altra boccia ripeté le stesse identiche azioni di prima, senza nemmeno creare un po’ di suspense, non che alla gente del distretto importasse, tutti non vedevano l’ora che questa tortura finisse. Anche se non finiva mai, si ripeteva ogni anno, di continuo.
- Riven Cole. –
Sul pubblico piombò il silenzio, rotto solo dall’urlo di una donna e poi dai suoi singhiozzi. L’accompagnatrice si guardò in giro sorpresa: sarebbe potuto cadere un petalo da un fiore che lo avrebbe sentito. Un ragazzo abbastanza alto, con un fisico longilineo uscì dalla fila dei sedicenni e si avvicinò lentamente verso il palco. Sul viso dai tratti delicati spiccavano due occhi azzurri, mentre i capelli erano castano chiaro, corti e con qualche ciuffo un po’ ribelle.
- Bene, Riven. Vuoi dire qualcosa? – chiese Kira con tono fastidioso ed esageratamente alto.
- Non potrebbe abbassare la voce per favore? Parla in maniera troppo stridula e sono iper-sensibile agli stimoli sensoriali uditivi – rispose il ragazzo in maniera seria e composta.
La capitolina dopo un attimo di silenzi, scoppiò a ridere. Riven la guardò perplesso e poi ribatté:
- Perché si è truccata come un panda? -
Kira gli lanciò un’occhiataccia e non rispose, fece solo un cenno e i due ragazzi si strinsero la mano.
“Ma che problemi ha quel ragazzo? Non è che è un ritardato mentale? Ci mancherebbe solo questo! Per essere promossa ad un altro distretto, serve che ci sia qualche vincitore in questo, ma se si va avanti così!”.

***

Molte persone passarono a salutare Kathleen: i suoi genitori, Albert e Melanie, il suo fidanzato e i suoi più cari amici, Sonya, Marlene e Kevin. Con tutti cercò di non piangere, di mostrarsi forte, perché lei non doveva assolutamente farsi vedere debole.

Proveniva da una famiglia benestante, non aveva mai dovuto prendere tessere, ma era successo: era stata estratta. Sarebbe dovuta andare nell’arena e per uscirne avrebbe dovuto uccidere. Uccidere un essere umano. Lei, una ragazza dolce e gentile, un’assassina. Perché era questo che succedeva: o si diventava assassini o vittime, non c’era altra scelta!
Strinse ancora più forte il ciondolo della collana che portava al collo, una semplice goccia di vetro. Farlo le metteva forza e sicurezza e non le importava se forse, come aveva detto Kira, era una cosa stupida. Aveva un valore molto forte per lei e quando sarebbe arrivata a Capitol City, quella sarebbe stata l’unica cosa che le avrebbe ricordato il suo distretto, la sua famiglia, i suoi amici e Jonathan. Se sarebbe morta non li avrebbe più rivisti, come avrebbe fatto? Aveva paura di questo, davvero tanta paura. Doveva vincere, altrimenti non sarebbe tornata a casa.

***

La famiglia di Riven si precipitò subito dentro la stanza usata per i saluti e sua madre, Leyna, lo strinse immediatemnete in un abbraccio e scoppiò a piangere, sorretta dal marito, Cypehr. Il fratellino di otto anni,  Milo, li guardò per un po’ da lontano, poi si avvicinò e cercò di attirare l’attenzione del fratello tirandolo per la manica della maglietta, alla fine decise di stringergli le gambe, senza sapere bene cosa fare. Riven non era un ragazzo normale, infatti soffriva della sindrome di Asperger, quindi aveva una sviluppata capacità di elaborare informazioni, ma difficoltà nel gestire l’empatia e le relazioni sociali.

- Ti vogliamo tanto bene, non dimenticarlo mai! – disse il padre, cercando di trattenere le lacrime.
Quando i genitori e Milo si allontanarono un po’ da Riven, suo nonno, Francis, lo accarezzò dolcemente sulla testa e i due rimasero a lungo a fissarsi in silenzio. Avevano un rapporto speciale, condividevano, infatti, la stessa passione: smontare e rimontare qualsiasi oggetto dotato di meccanismo, specialmente orologi. Il ragazzo tese la mano al nonno, che la prese attirandolo a sé, per poi stringerlo in un abbraccio.
- Ti voglio dare una cosa. Vorrei che la portasti con te nell’arena. È un portafortuna speciale. –
Francis tirò fuori dalla tasca un vecchio orologio, il primo modello che aveva insegnato a smontare e rimontare al nipote, che lo accettò subito, stupito. Non appena uscirono, entrò nella stanza una ragazza di nome Clareen Vegas, sua amica e compagna di classe. Era praticamente l’unica persona, all’infuori della sua famiglia, a capire le sue difficoltà, a passare del tempo con lui, a proteggerlo da chi si divertiva a prenderlo in giro e ad aiutarlo nelle interazioni sociali. Per lui era infatti molto difficile comunicare con gli altri, perché non riusciva a capire le persone, le loro emozioni e le varie sfaccettature del loro comportamento e del loro carattere. Era stata proprio lei a regalargli un foglio con disegnata una sorta di “Tabella dell’umore” per aiutarlo a capire se una persona in questione fosse arrabbiata, triste, felice, annoiata, eccetera.
- Ciao, Riven – gli disse sorridendo.
- Ciao. –
- Sono venuta per salutarti, ho pensato che ti avrebbe potuto fare piacere. . . Immagino che sia difficile, ma non buttarti giù e dai il meglio di te! –
- Perché dovrei buttarmi per terra? – chiese il ragazzo confuso, non capendo quello che Clareen voleva dire. Infatti per lui era difficile capire le frasi idiomatiche e le espressioni letterali.
- Non intendevo dire questo. Comunque ce la puoi fare, puoi tornare a casa! –
Lo strinse a sé frettolosamente e gli augurò buona fortuna, poi uscì dalla stanza con un sorriso debole.


DISTRETTO 2 – armi e Pacificatori

Sharon Thomas amava il distretto 2: i ragazzi erano sempre pronti ad offrirsi volontari e spesso vincevano anche i giochi, o comunque duravano molto. Compativa davvero molto le accompagnatrici dei distretti più poveri, lei era felicissima dove si trovava e non avrebbe cambiato il suo lavoro per nulla al mondo, tranne forse per un paio di quelle scarpe che andavano di moda tra i ricchi di Capitol City e che lei non poteva permettersi. Sorrise e iniziò a parlare:

- Buongiorno a tutti voi! Come state oggi? Pronti per la mietitura? –
Un boato si levò dal pubblico e il sorriso di Sharon si allargò ancora di più.
- Perfetto! Allora iniziamo subito. Felici Hunger Games e possa la buona sorte essere sempre a vostro favore! –
Si diresse alla boccia delle ragazze e pescò un bigliettino senza nemmeno mischiare: ci sarebbe stata comunque una volontaria.
- Isabelle Hadlington. -
Tutte le mani che erano scattate in aria, si riabbassarono non appena sentirono il nome pronunciato dalla capitolina. Sharon rimase stupita e osservò con la bocca spalancata la ragazza che stava venendo verso il palco. Era piuttosto bassa e magra, ma sembrava abbastanza muscolosa. I suoi capelli erano mori e legati in una coda alta, gli occhi erano scuri e il volto era pallido.
- Ci sono volontari? – chiese la capitolina quasi con timore.
Nessuno alzò la mano: quella doveva essere la prima volta che nel distretto 2 non ci fossero volontari.
- Quanti anni hai, Isabelle? –
- Quindici – rispose a denti stretti la ragazza
- Vuoi dire qualcosa? –
- No. –
- Oh. . .ehm. . .okay, va bene. –
Sharon si chiese come mai non ci fossero stati volontari, era davvero molto strano. Si diresse all’altra boccia e stavolta tutto andò come doveva essere: molte mani si sollevarono e Sharon scelse un ragazzo con un fisico robusto e allenato. La sua pelle era abbronzata, i capelli erano ricci e biondi e gli occhi erano azzurri.
- Come ti chiami? – gli chiese sorridendo
- Mi chiamo Merian Oleg e ho diciotto anni. –
- Bene e perché ti sei offerto volontario? –
- Perché so di poter vincere, mi sono allenato per anni e credo fortemente nelle mie capacità. Inoltre, a causa di alcune divergenze con i miei genitori, non ho più una casa e quando vincerò ne avrò una migliore! –
- Sembri molto sicuro di te e determinato! Non vediamo l’ora di vederti nell’arena! Vero? –
Il pubblico applaudì clamorosamente, i tributi si strinsero la mano e poi entrarono nel Palazzo di Giustizia.

***

Isabelle rimase sola nella stanza dei saluti e sapeva che nessuno sarebbe venuto a trovarla. La madre era morta subito dopo il parto e il padre la odiava, sentimento del tutto ricambiato dalla ragazza, che era stata costretta fin dall’età degli otto anni ad allenarsi per gli Hunger Games e a soli dieci anni era stata ammessa nell’Accademia di addestramento. La sua vita era stata fin da subito finalizzata a questo e, se non sarebbe stata estratta, si sarebbe dovuta offrire, prima o poi. Ovviamente avrebbe preferito farlo a diciotto anni, ma lei sapeva che avrebbe vinto lo stesso, anche se ne aveva solo quindici. Era spietata, sadica e forte, non avrebbe avuto problemi all’interno dell’arena.

Cosa le importava se non aveva vissuto la vita di una normale ragazzina della sua età? Cosa le importava se non aveva amici e se nessuno si era offerto per lei? Cosa le importava se non aveva l’affetto di una famiglia? Niente, assolutamente niente. Era indipendente e non le serviva nessuno, bastava solo lei. Non le servivano amici, genitori e un fidanzato. O almeno era questo che continuava a ripetersi.
Lei doveva solo vincere, tornare a casa e dimostrare a tutti che lei non era solo una ragazzina. E ce l’avrebbe fatta. Doveva farcela, altrimenti non sarebbe servito a niente aver sacrificato la sua vita.

***

- Ciao, Merian – disse sua madre, Glenelle, non appena entrò nella stanza.

Lui le fece appena un cenno e poi tornò a osservare il paesaggio fuori dalla finestra.
- Non dovevi offrirti volontario, potresti morire! – sussurrò la donna, quasi impaurita dalla reazione che avrebbe potuto avere.
 - Ti importa davvero? Mi avete cacciato di casa e adesso vieni a dirmi che potrei morire? – chiese con rabbia.
- L’ha voluto tuo padre. . .io. . .beh. . . –
- Non morirò. Io riuscirò a vincere, te lo giuro – la rassicurò, vedendola in difficoltà.
Dopo la madre, entrò a salutarlo la fidanzata, la loro storia durava da un anno, nonostante i frequenti tradimenti da parte di Merian, mentre Jeria era innamorata e sopportava pazientemente. Era stata lei la causa della cacciata di casa del ragazzo, infatti era rimasta incinta per errore e anche se aveva risolto tutto abortendo, i genitori di Merian non lo avevano perdonato.
- Ehi. –
- Ciao, Jeria. –
- Quindi parti per. . .i giochi – disse con voce tremante.
- Guarda che “Hunger Games” non è una parolaccia, lo puoi dire. –
- Lo so. È solo che. . . –
- Hai paura che non torni? Ti sei davvero affezionata a me? Credevo che stessimo insieme più per una questione di reputazione, che per un sentimento vero! –
- Infatti è così! – esclamò lei, forse un po’ troppo forte.
- Come fai ad essere così sicuro di vincere? Come fai a non mostrare nemmeno un filo di tristezza, nemmeno un po’ di paura? –
- Non sono come te! Io vincerò, lo so. Sono allenato, sono forte, sono pronto! –
Jeria annuì debolmente, fece per uscire, ma poi si voltò nuovamente e si avvicinò al fidanzato. Si sollevò in punta di piedi, appoggiò le mani sulle sue spalle e lo baciò dolcemente.
- Buona fortuna – sussurrò non appena si separarono.
- Non ne ho bisogno – ribatté lui, facendola sorridere.


DISTRETTO 1 – beni di lusso

Helena Wilson amava con tutta se stessa il distretto 1, non solo perché c’erano sempre dei volontari e perché la gente era allegra e partecipava alla mietitura con voglia, ma anche perché si producevano cose davvero meravigliose: mobili pregiati, gioielli preziosi, vestiti alla moda, una vera delizia per gli amanti dello shopping come lei! Ora stava osservando le ragazze che avevano alzato la mano per offrirsi volontarie per sceglierne una. Come ogni anno, erano davvero tante e non era certo un compito facile trovare quella che avrebbe potuto vincere. Alla fine ne scelse una davvero alta, all’incirca due metri, con una corporatura molto massiccia e palestrata, fin troppo essendo una ragazza. Aveva i capelli biondo cenere, ricci e raccolti un una crocchia bassa, che però lasciava libera la frangetta. Il naso era molto lungo e aveva una grossa gobba, mentre i suoi occhi erano grandi e cerulei e quello sinistro era di vetro. I denti erano molto bianchi, ma decisamente sporgenti, aveva anche una grossa cicatrice che andava dall’occhio di vetro alla narice sinistra. Helena non aveva certamente scelto una bella ragazza, cosa che di solito accumunava le ragazza dell’uno, ma da lontano non era facile vedere bene. Sperava che fosse almeno un abile combattente.

- Come ti chiami, cara? –
- Non mi chiami “cara”! Comunque Cornelia Banks. –
- Oh, scusami. Quanti anni hai, Cornelia? –
- Diciotto. –
- E perché ti sei offerta volontaria? –
- Perché ritengo che gli Hunger Games siano l’opportunità che mi consentirò di mostrare a tutta Panem il mio potenziale ed è anche un’ottima occasione per rappresentare il distretto 1. –
“Quante bugie che bisogna dire per attirare sponsor! La cosa buffa è che qualcuno ci crede davvero a queste fandonie propagandistiche che Capitol City ci inculca nella testa!” pensò la ragazza.
- Fantastico! Sono sicura che il tuo distretto sia fiero di te! – esclamò la Helena, prima di dirigersi all’altra boccia.
Tra i molti volontari ne scelse uno alto e dalla corporatura massiccia, ma sicuramente più carino di Cornelia, la capitolina sapeva, infatti, che per i distretti favoriti anche l’aspetto fisico contava. Aveva i capelli biondi e leggermente scompigliati, il suo viso era dai tratti spigolosi, il naso era affilato, la labbra carnose e gli occhi erano di un colore grigio–azzurro.
- Mi chiamo Alvin Lorcan Theroux e ho diciassette anni – si presentò.
- Perché ti sei offerto volontario? – chiese curiosa l’accompagnatrice.
- Per riscattare il nome della mia famiglia. Infatti molti qui al distretto disprezzano e parlano male dei Theroux a causa di mio padre, ma io ho intenzione di dimostrare a tutti che si sbagliano! Io vincerò! –
- Sono curiosa Alvin, cosa ha fatto di tanto grave tuo padre da infangare il nome della tua famiglia? –
- Lui non si è offerto volontario per gli Hunger Games quando i suoi due fratelli minori furono estratti – spiegò il ragazzo con la voce incrinata.
- Oh, capisco. Spero che riuscirai a vincere e a conquistare il tuo obiettivo! –

***

Le uniche due persone che andarono a salutare Cornelia furono la sorellina, Annette, di tredici anni, e la madre, Evelyn. Il padre era morto quando la ragazza aveva solo cinque anni e non aveva nemmeno mai conosciuto la secondogenita, poiché quando morì la moglie era incinta. Annette corse subito ad abbracciarla e la sorella le accarezzò debolmente la testa.

- Devi tornare, Cornelia. Se tu morissi io come farei? –
- Vincerò, vedrai! – la rassicurò.
- Me lo prometti? –
- Promesso. –
- Ti voglio bene! – esclamò la sorellina tra le lacrime, prima di abbracciarla ancora.
Cornelia le voleva bene, anche se non riusciva a dimostrarglielo. Sapeva di non essere esattamente una buona sorella, dopotutto era un assassina, anche se non avevano le prove per dimostrarlo. Non era successo solo una volta, ma ben tre volte. Non le importava, anzi: uccidere era diventato il suo primo sfogo, il senso della sua esistenza. Amava torturare la propria vittima prima di finirla, adorava vederla morire lentamente e dolorosamente. Non era così prima, l’avevano cambiata e quindi se lo meritavano!
- Cornelia. . . – mormorò sua madre, ma la ragazza non la degnò nemmeno di uno sguardo e presto il tempo finì.

***

Il fratellino di Alvin, Lowell, di soli dieci anni, fu il primo a precipitarsi nella stanza piangendo. Il ragazzo lo abbraccia subito forte e per un po’ rimangono così, poi si china alla sua altezza e gli asciuga le lacrime.

- Non piangere, non devi essere triste. –
- Mi prometti che tornerai a casa sano e salvo? –
- Promesso. – rispose dolcemente Alvin, prima di abbracciarlo nuovamente.
- Vedrai che andrà tutto bene e presto sarò di nuovo a casa con te! –
Mentre diceva queste parole, il padre, Caleb, entrò nella stanza, ma rimase in un angolo imbarazzato, mentre i fratelli finirono di salutarsi.
- Ora vai, Lowell, ci vediamo presto. –
- Ti voglio bene! –
- Anche io! –
Quando Alvin rimase solo con il padre, si voltò, dandogli le spalle. Con il padre aveva infatti un rapporto altalenante, visto che lo accusava della partenza della madre, Elith, che se ne era andata siccome non riusciva più a sopportare gli sguardi di accusa e i pettegolezzi sulla loro famiglia. Ad un certo punto sentì due braccia circondargli il busto e una testa poggiarsi sulla sua spalla, inizialmente rimase rigido, ma poi si rilassò e si lasciò abbracciare dal padre. Poco dopo un Pacificatore aprì la porta e mise fine ai saluti. Caleb si allontanò dal figlio, ma, prima di uscire,  mormorò tra le lacrime:
- Ti voglio bene, Alvin, torna a casa! –
Il ragazzo non rispose, ma una lacrima gli rigò il viso. La asciugò in fretta e la sostituì con uno sguardo determinato.


CAPITOL CITY

Il Capo Stratega, David Wood, lasciò l’Anfiteatro cittadino, dove l’intervistatore, Ray Carter, stava ancora commentando i vari tributi. Era davvero una persona buffa e stramba quell’uomo, fin troppo allegra per i suoi gusti. Lui preferiva di gran lunga le cose sobrie, ma di classe. Era convinto che per stupire le persone non servisse niente di complicato e sopra le righe, bastava qualcosa di semplice, ma speciale. Credeva profondamente nel modo di dire “il troppo stroppia”. Forse era questo che lo distingueva da tutti gli altri capitolini, ma a nessuno importava più di tanto, finché riuscisse a creare una fantastica edizione degli Hunger Games e in questo era davvero bravo.
Sorrise guardando l’ologramma della sua arena, fra poco tutti l’avrebbero vista. Avrebbe lasciato tutti a bocca aperta, anzi no: all’inizio tutti si sarebbero chiesti: “È tutto qui?”. Ma solo lui sapeva quanti segreti nascondeva quell’arena: era la sua migliore creazione.
Per i tributi non sarebbe stata certo una facile edizione, affatto.
- Che i trentesimi Hunger Games abbiano inizio e possa la buona sorte essere sempre a vostro favore! – sussurrò.



SPAZIO AUTRICE 


Ciao a tutti!
So che ho fatto un ritardo incredibile: è un mese che non aggiorno! Scusatemi davvero tanto, ma maggio per la scuola è davvero un mese infernale!
Finalmente è arrivato l’ultimo capitolo sulle mietiture, EVVIVA! :)
Ho pensato che fosse un’idea carina mettere anche un paragrafo dedicato al Capo Stratega, spero che non vi sia dispiaciuta questa cosa.
Prima che inizino i capitoli veri e propri, nel senso che questi erano più di presentazione, vi consiglio di rileggervi le mietiture, così magari riuscite a ricordarvi meglio i personaggi.
Vi ricordo che questo è l’ultimo capitolo in cui potete votare per i morti durante il primo giorno, per ora la media si aggira sul sette. Se qualcuno che non ha ancora votato, volesse farlo, può tranquillamente, anche chi non ha tributi nella storia.
Vi lascio una piccola scaletta su i capitoli che ci saranno prima dell’arena, ma vi avviso che potrebbe essere soggetta a variazioni.
·    cap. 5: Treno (quattro pov) + staff preparatori/incontro con lo stilista (due pov). Per un totale di sei pov, tutti di distretti diversi.
·    cap. 6: Sfilata e la prima sera, quindi eventuali chiacchiere con l’altro tributo o con il mentore, pensieri personali, eccetera. Ci saranno sei pov, che saranno per gli altri distretti che non sono apparsi nel capitolo 5.
·    cap. 7: addestramento (tutti e tre i giori). Anche qui sei pov.
·    cap. 8: sessione privata e preparazione alle interviste, sempre sei pov. Quindi a questo punto tutti i tributi avranno avuto un loro pov.
·    cap. 9: interviste. Non ho ben deciso chi avrà il punto di vista, ma penso il Capo Stratega.
·    cap. 10: ARENA!!
So che ci vorrà un bel po’ prima della parte che interessa a tutti, ma vorrei farvi conoscere bene i tributi.
Per rinfrescarvi la memoria vi lascio una lista dei tributi e per chi ce l’ha vi lascio il prestavolto :)

DISTRETTO 1
Cornelia Banks
Alvin Lorcan Theroux
DISTRETTO 2
Isabelle Hadlington
Merian Oleg
DISTRETTO 3
Kathleen Vince
Riven Cole
DISTRETTO 4
Elaine Claythorne
Michael Waves
DISTRETTO 5
Alexia Black
Nigel Collins
DISTRETTO 6
Kaya Patel
Jace Eaton
DISTRETTO 7
Allison Thomas
Mark Roberts
DISTRETTO 8
Reylen Sheed
Vegas Ghellow
DISTRETTO 9
April Joyce
Jake Sander

DISTRETTO 10

Felicity Morrison
Jack . . . (senza cognome)
DISTRETTO 11
Alexandra Green
Matthew White
DISTRETTO 12
Shanti Koyle
Blake Dawnson

WOW! Ho imparato ad inserire i link nelle parole! u.u
Ora vi lascio!
Un bacione e a presto,
Felix
p.s. Buone vacanze!





  
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