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Autore: Belarus    10/06/2015    3 recensioni
Un Drago Celeste che nobile non è mai voluta essere, una fuga bramata da sempre e un mondo del tutto sconosciuto ad allargarsi ai piedi della Linea Rossa. Speranze e sogni che si accavallano per una vita diversa da quella che gli è da sempre stata destinata. Una storia improbabile su cui la Marina stende il proprio velo di silenzio, navi e un sottomarino che custodiscono un mistero irrivelabile tanto quanto quello del secolo vuoto.
#Cap.LXXXV:" «Certo che ci penso invece! Tornate a Myramera e piantatela con questa storia dello stare insieme! Io devo… non potete restare con me, nessuno di voi può. Sparite! Non vi voglio!» urlò senza riuscire o volere piuttosto trattenersi.
Per un momento interminabile nessuno accennò un movimento in più al semplice respirare e solo quando Aya fu sul punto di voltarsi per andare chissà dove pur di mettere distanza tra loro, Diante si azzardò a farsi avanti.
«Ci hai fatto giurare di non ripetere gli errori passati. I giuramenti sono voti e vanno rispettati.» le rammentò. "
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eustass Kidd, Nuovo personaggio, Trafalgar Law
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Teru-Teru Bouzu '
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Titolo: Teru-Teru Bouzu
Genere: Avventura; Romantico; Generale {solo perché c’è davvero di tutto}.
Rating: Arancione {voglio farmi del male, oui.}
Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Capitano Kidd; Pirati di Kidd; Trafalgar Law; Heart pirates; OC.
Note: Ho scritto un capitolo che sfiora le dieci mila parole… uno di quegli aggiornamenti prolissi che stancherebbero chiunque direte, ebbene no o almeno me lo auguro perché ci ho lavorato un bel po’. Sopperisce le mancanze di quelli precedenti e chiarisce una volta per tutte la situazione a Redunda, ma non è semplicemente l’epilogo di una saga in cui mi sono impelagata senza rendermene conto, c’è qualcosa di più. La svolta che vi avevo preannunciato comincia a delinearsi con la sorpresa finale, tuttavia non si conclude lì. Nei prossimi aggiornamenti avrete altro, dell’altro che già in questo capitolo può essere intercettato con molta attenzione… e a chi mi chiede quando mi decidero a partorire in questa storia qualcosa di romantico, beh non avete da aspettare molto. Resistete miei prodi, resistete.
Ringraziamenti di rito a chi recensisce, si aggiunge alla cerchia o passa soltanto per errore. So che scrivere “grazie” ad ogni aggiornamento può svalutare il valore del messaggio, ma credetemi se vi dico che per me è davvero un onore ricevere tanto affetto da parte vostra. Quindi non ignorate i miei ringraziamenti! Sono fatti con il cuore.
Alla prossima!
Ps: Venia se rispondo alle recensioni in ritardo, venia, venia! ç_ç






CAPITOLO XXXXXVI






Sanai tornò a rimettersi in piedi, sollevandosi dal tavolo a cui si era appena accomodato solo dopo aver gettato giù un sorso del proprio awamori e Trafalgar lo osservò per un secondo, mentre rivolgeva un cenno al bambino accovacciato a terra affinché togliesse le mani dalle orecchie della sorella.
«I pirati che vengono a cercarmi di solito mi chiedono del tesoro sommerso nelle rovine di Makan non di Shinkiro.» rivelò senza troppi giri di parole, quando era ancora per metà accovacciato a farle una carezza e i pezzi del puzzle sino ad allora confusi si ordinarono di colpo da soli nella mente di Law.
Quella era una vecchia storia che i pirati si tramandavano volentieri tra loro e che aveva fatto il giro del mondo passando per taverne affollate di ubriachi di poco conto e poveracci in cerca di un po’ di fortuna. L’avevano raccontata anche a lui quando non era ancora un ricercato da milioni di berry e la Rotta maggiore era la meta da raggiungere per dare inizio a tutto. Benché avesse stuzzicato inevitabilmente il suo desiderio di rivalsa, aveva finito per accantonarla in un angolo della propria memoria con gli anni, preferendo proseguire per la propria strada e riservandole quel minimo d’attenzione che chiunque concederebbe a una storia dell’infanzia. Sentirla nominare a Dunanjima dopo così tanti anni era un salto nel passato che inaspettatamente non lo turbava poi tanto, ma che stranamente rientrava nella logica.
«Cos’è il tesoro di Makan?» domandò incuriosito Bepo, mentre Sanai tornava ritto.
«Una vecchia pietra che pare facesse miracoli, sparì con il suo santuario quando la città s’inabissò.» rispose per lui Law, lanciando un’occhiata divertita ad Ichiro che finì subito per serrare una mano attorno alla mappa che teneva accartocciata nella tasca dei pantaloni.
Raccontavano che quella città fosse piena di meraviglie provenienti da posti sconosciuti e che vi fosse anche quel ciottolo nero dai poteri straordinari, la gente la visitava da ogni dove e il Governo appena costituito aveva messo al largo delle sue acque centinaia di navi per difenderla. In una brutta settimana tuttavia terremoti e tsunami la investirono come mai era accaduto prima e nel volgere di un giorno e una notte, benché il Governo mondiale avesse fatto qualsiasi cosa per proteggerla, sprofondò in mare con i suoi abitanti. Le macerie della città furono investite dalla corrente e ogni tentativo di riportarla alla superficie fu inutile, la Marina e il Governo l’abbandonarono alla sua sorte dimenticandosene e da allora se ne persero le tracce. Tra i pirati vi erano pareri discordanti su dove andassero cercati Makan e i suoi tesori, ma pareva proprio che il posto esatto fosse oltre i banchi di sabbia scura di Dunanjima, lì dove Sanai teneva a riposo il suo awamori. Il che spiegava perché le apparecchiature di bordo avevano smesso di funzionare, l’ex cacciatore di taglie avesse costruito un negozio in cima a una scogliera e quel ragazzino tenesse tanto alla mappa stropicciata che portava con sé.
«Avverava i desideri e se chi la teneva in mano desiderava la rovina di qualcuno la pietra lo rovinava! È per quello che i pirati la cercano, credono possa aiutarli nella traversata della Rotta maggiore.» spiegò in una velata minaccia infantile Ichiro, strappando a Law un soffio simile a una risata.
«Nessuno dovrebbe cercarla, porta sfortuna.» s’intromise la più piccola in un borbottio, riuscendo a distrarre il fratello abbastanza da spingere Sanai a separarli prima che si azzuffassero.
«Come fa una città ad inabissarsi completamente?» volle sapere Bepo ancora confuso dalla spiegazione di Law, non avendo la medesima fortuna della bambina quando Shachi e Penguin gli strepitarono contro.
«È l’unica cosa a cui riesci a pensare dopo questa storia?!» lo rimproverarono insieme.
«Sumimasen…» bofonchiò come suo solito, rannicchiando il capo bianco tra le spalle.
Scoccò loro uno sguardo silenzioso, ricordando di aver fatto la medesima domanda all’uomo che gli aveva raccontato quella storia e di non aver ottenuto da lui che un balbettio incerto e il consiglio di non soffermarsi troppo su questioni di quel genere, per poi riportarlo sull’ex cacciatore di taglie. Lo scoprì già intento a guardarlo e sollevò un sopracciglio sottile, piegando leggermente il capo di lato per ricambiare.
«Quelli che non vengono da me per sapere della pietra sono pochi e a tutti do le stesse indicazioni inutili. Ho giurato di non svelare dov’è Shinkiro se mi venisse chiesto e non romperò la promessa neanche per te Trafalgar Law, ma nessuno mi ha mai detto di tenere davvero un segreto.» ammise con un sorriso celato tra la barba, abbandonando il proprio posto per dar loro le spalle e superare le cianfrusaglie che i due bambini avevano sparpagliato in giro.
«Ce lo dirà quindi?» s’informò Shachi, disorientato da quelle parole.
Sanai si fermò soltanto quando fu con un piede su uno dei gradini che portavano alla strana struttura rotonda che fiancheggiava l’edificio, riservandogli un’espressione che a Law fece aggrottare la fronte per un momento.
«No. Finché sarò vivo non dirò niente su quel posto, però posso farvelo vedere.» svelò con un nuovo sorriso, distendendo un braccio di fianco a sé per invitarli a seguirlo.
Sorpreso da quelle parole Trafalgar rimase per qualche minuto immobile studiando la figura di Sanai, mentre spariva all’interno della stanza circolare oltre la piccola scalinata di legno e i suoi uomini si guardavano l’un l’altro senza sapere esattamente cosa aspettarsi.
Era andato lì a Dunanjima affinché gli venisse rivelato come arrivare a Shinkiro, tramite le sue deduzioni era giunto alla conclusione che quel luogo dovesse trovarsi nel Nuovo Mondo e persino le parole dell’uomo che aveva interrogato a Sabaody glielo avevano lasciato intendere. Adesso però, quel tipo sosteneva di volerglielo mostrare in quel preciso istante e lui non sapeva cosa aspettarsi. C’era la possibilità che lo stesse ingannando, che fosse tutta una farsa per tentare di farlo cadere in fallo o che gli stesse riservando le stesse menzogne che aveva dato ad altri prima di lui, ma non poteva esserne certo. Shinkiro era uno dei pochi segreti ben custoditi a quel mondo, giravano molte voci su dove o cosa fosse, eppure il Governo e la Marina non erano mai riusciti a intercettarlo. Persino pirati, contrabbandieri e cacciatori di taglie davano versioni diverse, non era quindi poi così improbabile che si trovasse sotto gli occhi di tutti, in un’isola turistica non lontano da basi della Marina, lì dove nessuno avrebbe mai cercato quel genere di luogo.
Ancora dubbioso afferrò con un gesto silenzioso della mano la kikoku che Bepo custodiva per lui tra le zampe e si alzò dalla propria sedia bianca, attraversando la stanza con i tacchetti delle scarpe che battevano sulle linee insensate che erano state dipinte sul pavimento in legno.
Non avrebbe mai saputo qual’era la verità restando dov’era, a volte era necessario correre qualche rischio, spingersi un po’ più in là per avere ciò che si vuole.
Evitò tavoli e giare poste a casaccio nel negozio, passando sotto l’uccelliera che fungeva da lampadario con le iridi grigie puntate di fronte a se e salì in silenzio i gradini, spingendo i propri uomini a seguirlo di corsa. Varcando la soglia della stanza circolare scoprì Sanai poggiato accanto a una delle finestre che davano sul mare e i suoi occhi scivolarono oltre il vetro, scorgendo il Grande Blu allargarsi in una massa cupa sino al punto in cui si confondeva con il cielo ormai buio. Vi lasciò vagabondare lo sguardo per un istante, mentre la ciurma lo raggiungeva e malgrado l’oscurità rendesse la visibilità scarsa fu certo che in mare non vi fosse proprio niente. Spostò la propria attenzione su Sanai e solo allora si accorse del disegno su cui poggiava la schiena, ritrovandosi inevitabilmente a sollevare il pizzetto sino alla cupola che faceva da soffitto.
«Secondo voi cos’è?» cinguettò curiosa Saki scivolando tra la ciurma, quando anche loro ebbero alzato gli occhi al tetto per scoprire cosa avesse attirato tanto l’interesse di Law.
Quelli che nell’altra sala sembravano solo disegni confusi sui listelli del pavimento all’interno della cupola assumevano un aspetto completamente diverso, rivelando un gioco che piegò le sue labbra in un ghigno. Le linee colorate che avevano sporcato il legno sin dall’entrata principale tornavano a collegarsi in un ammasso di rappresentazioni disparate che agli occhi di un ingenuo sarebbero parse soltanto l’ennesima stranezza di un negozio senza clienti, ma che a quelli di Trafalgar assunsero una spiegazione più che chiara.
Lingue azzurre e blu si stringevano insieme in una matassa di gorghi che riempiva metà della sala dando quasi l’emicrania, chiazze verdi, bianche e arancio sbucavano qui e là in un ordine disparato e un orizzonte rossastro si sollevava sopra di loro increspandosi ogni tanto in sagome distorte dalla piega delle pareti. Esattamente al centro del lato sinistro, lì dove Law aveva posato per primo lo sguardo, un cancello dorato sovrastava la fascia rossa in un tratto particolarmente pianeggiante, sotto, molto più lontano, una torretta screziata giaceva sul bordo del mare di gorghi con delle curve accanto e una città di conchiglie ai piedi.
Non era difficile intuire in quel disegno una riproduzione della Rotta maggiore con le sue isole e della Linea Rossa. Doveva trattarsi probabilmente del Nuovo Mondo, poiché sotto il cancello dorato di Marijoa non vi era alcun passaggio come altrimenti sarebbe stato nella prima tratta e l’unica base rappresentata in zona era una torre crollata che con sicurezza indicava il famigerato G-5.
«Una vongola sopra una montagna.» tonò di colpo Bepo alle sue spalle e Law si ridestò per girarsi a guardare ciò che il suo vice additava con tanta sicurezza.
«Le vongole non stanno sulle montagne!» gli fece notare Shachi, mentre Sanai si avvicinava con le braccia incrociate al petto e il naso per aria.
«Oh sì, quella è proprio una vongola su una montagna. Sei il primo ad accorgertene.» confermò serioso in un complimento, spingendo Bepo a impettirsi per l’orgoglio.
«Che senso ha?!» gli domandò sconvolto Shachi quasi in un urlo, prima che Trafalgar realizzasse perché un mollusco non avrebbe dovuto trovarsi in mare e si lasciasse sfuggire un ghigno divertito.
Poteva anche sembrare una bizzarria di un disegno già strano, ma quella vongola e la sua montagna avevano un senso tanto quanto la città di conchiglie o la torre crollata e se quella era davvero la verità la sua prima intuizione non era stata affatto errata: Shinkiro era nel Nuovo Mondo.
«È una mappa.» si decise finalmente a rispondere alla domanda di Saki.



Killer e Heat scesero in strada quasi di corsa, andandogli in contro, mentre tornava ad indossare la pelliccia bruna ormai rovinata per ripararsi dall’aria fresca che cominciava a soffiare dal mare. Senza le case di stagno a riparare quella zona la brezza poteva risalire il fiancone di Redunda indisturbata, sollevando cumuli di polvere ad ogni sbuffo di vento che gironzolavano tra le rovine insinuandosi ovunque. Osservò i propri compagni avvicinarsi e si concesse un ghigno beffardo, scoprendo Killer respirare quasi con fatica.
«Hai il fiatone, perdi colpi.» lo provocò quando fu abbastanza vicino, piegando il capo su un lato.
Il biondo rallentò appena il passo, ma Kidd gli vide stringere i pugni privi delle armi sino a far sbiancare le nocche.
«C’è poco da scherzare, è peggio di quanto avessimo previsto.» ribatté serio in un modo che a lui non piacque affatto.
Killer aveva il vizio di fargli la paternale da quando si erano conosciuti. Con il trascorrere degli anni aveva fatto l’abitudine a quel comportamento, aveva imparato ad interpretare quei discorsi come consigli del proprio vice e poteva dire di aver sviluppato una soglia di tolleranza nei suoi confronti di cui nessun’altro poteva osare vantarsi. Quel giorno però non era in vena di sentire rimproveri né di vedersi sbattuta in faccia la propria irruenza, sapeva perfettamente di aver commesso un errore andando lì a testa bassa e non c’era alcun bisogno che qualcuno glielo ricordasse. Neanche Killer.
«Avremmo dovuto pensare di più e architettare meglio la cosa, ma non è il caso di essere pessimisti. Abbiamo vinto, Big Mom ha un alleato in meno adesso e sa che dovrà fare i conti con noi presto o tardi, è questo che importa.» troncò scontroso, riservandogli un’occhiata esasperata.
Riconosceva di non essere il genere d’uomo capace di trattenersi davanti a qualcosa che gli faceva ribollire il sangue, ma non era lo stupido attaccabrighe che molti pensavano. La sua testa funzionava meglio di molte altre, sapeva aspettare se necessario, elaborare un piano e valutare i rischi, Pilar era stato un passo falso che gli era costato una ferita all’avambraccio e che non si sarebbe più ripetuto in quel mare. Aveva esagerato pensando di poterlo affrontare come un avversario qualsiasi, ma dallo scontro con lui aveva preso coscienza delle proprie capacità, non c’era alcun bisogno che Killer gli facesse notare lo stato precario con cui avevano combattuto. Si sarebbe allenato per non trovarsi più in quella situazione, avrebbe migliorato le proprie tecniche prima di affrontare un altro nemico di quel calibro.
«Un alleato in meno… così sciocco.» sibilò di colpo una voce metallica e Kidd fu costretto ad arrestare il flusso dei propri pensieri per voltarsi a guardare indietro insieme a Killer, Wire e Heat.
Le parole lo avevano raggiunto come ovattate, ma la direzione da cui provenivano non lasciava dubbi.
Osservò con sguardo serio l’enorme gabbia di metallo dorato in cui aveva schiacciato Pilar e per qualche istante interminabile nulla parve cambiare. Il cubo dalle pareti imperfette continuò a rimanere immobile, lambito dalla polvere rossastra spazzata dal vento nel silenzio greve in cui regnava l’intera zona, finché qualcosa al suo interno non fece vibrare il metallo spingendo Kidd a serrare i denti. Su una delle pareti si aprì lentamente uno squarcio e le lamiere cominciarono ad accartocciarsi su se stesse come stoffa benché gli strati fossero spessi qualche metro.
«Non può essere.» mormorò acciaccato Wire, reggendosi sul tridente malconcio a fatica.
Dall’interno buio della gabbia Pilar riemerse con passo malfermo, ma Kidd non ne fu comunque felice. Aveva il viso sporco di sangue e un occhio fuori uso, i vestiti erano ridotti a brandelli e non c’era parte visibile del suo corpo su cui il metallo non avesse scavato un solco rossastro, eppure se ne stava sulla soglia di quella che sarebbe dovuta essere la sua prigione a squadrarlo da lontano con espressione cupa.
«Dannato bastardo, sei ancora vivo.» notò irritato, aggrottando la fronte sporca quando lo vide muoversi.
Ignorando l’insulto rivoltogli Nau avanzò di qualche passo tra le macerie prima di decidersi a parlare.
«Quando ero un ragazzino lavoravo per degli uomini… nuotavo nelle paludi attorno al mio villaggio per raccogliere le loro reti da pesca e guadagnare qualcosa... mi sfruttavano e un giorno, dopo aver trovato un frutto del diavolo, decisi di prendermi la mia vendetta… morirono tutti.» raccontò con vena nostalgica, fermandosi solo quando a distanziarli non vi furono più di una trentina di metri.
«Liberai i ragazzi che lavoravano con me… fondai la mia ciurma e partii giurando che non avrei mai obbedito a nessuno… mi sentivo potente, la superbia cominciò a darmi alla testa e finì per intromettermi negli affari di Mama convinto di poterla mettere da parte come avevo fatto con quegli uomini... ma i suoi impiegarono poco per fermarmi e fui costretto a far tacere l’orgoglio per salvarmi la pelle. A volte è bene rendersi conto di chi si ha davanti, riconoscere i propri limiti può aiutarti a sopravvivere a questo mondo, ma tu… tu ti sei ostinato a non farlo.» gli fece notare con tono gelido, riservandogli uno sguardo giallastro che fece tendere a Kidd i muscoli delle spalle.
«Come me da ragazzino hai la mente annebbiata dalle tue fantasie… mi hai mostrato i denti convinto di potermi battere quando ancora non mi avevi davanti, hai rovinato la mia città e adesso ti vanti di avermi tolto di mezzo senza controllare… è ora che tu faccia i conti con la realtà.» stabilì serio, puntandolo con il capo intrecciato piegato leggermente su un lato.
«E voi li farete con me.» frusciò una voce alle spalle di Kidd, cogliendo di sorpresa anche i suoi uomini.
Si volse di lato per scoprire a chi appartenesse evitando di perdere d’occhio Pilar e fece appena in tempo a scorgere Heat e Wire venire messi a terra con due calci da una donna dai capelli scuri. Killer riuscì a imbracciare una delle lame prima che lei potesse colpirlo, ma fu costretto a retrocedere di qualche metro per l’urto e il cozzare del coltello sulla sua maschera produsse un suono che strappò una smorfia persino a Kidd. Wire e Heat provarono a sollevarsi nuovamente, tuttavia le ci volle poco superandoli per tornare a fermarli con disinteresse e lanciare un’occhiata inferocita alle loro spalle.
«A cuccia voi due e tu… a te penserà Bashe dopo.» tonò minacciosa contro uno sconosciuto accovacciato a terra, passando la lama nera del coltello sul fianco tatuato prima di puntare nuovamente Killer.
La guardò con nervosismo, mentre tornava a lanciarsi contro il suo vice e il desiderio d’insegnarle le buone maniere a modo proprio gli mandò il sangue alla testa.
Gli piacevano le donne di carattere, frignone e signorine lo annoiavano in qualsiasi occasione, ma quella di carattere ne aveva sin troppo e in poco meno di qualche secondo aveva fatto tutto il necessario per guadagnarsi una condanna a morte da parte sua.
Le scoccò un’occhiata di troppo vedendola obbligare Killer contro la scalinata del palazzo per metà distrutta e si distrasse quel tanto che bastava affinché Pilar potesse prenderlo in contropiede. Sentì la sua coda viscida attorcigliarglisi al torace con uno schioppo e si ritrovò presto con il viso premuto contro i calcinacci com’era accaduto molti minuti prima.
«Uccidili Malineli, sono stanco di vederli sulla mia isola.» le ordinò inclemente, mentre Kidd si rialzava furioso.
Perdendo del tutto di vista ciò che stava accadendo alla ciurma tentò di richiamare a sé la gabbia di stagno che aveva creato, ma Nau lo agguantò per il braccio ferito affondando gli artigli nella carne sino a strappargli un lamento di rabbia. Stordito dal dolore improvviso serrò lo sguardo per un istante prima che un pugno lo colpisse nel pieno di uno zigomo, scaraventandolo molti metri più in là. La testa prese a pulsargli con insistenza e perse persino la cognizione dello spazio attorno a sé, uno scoppio gli fece tremare la terra sotto le ginocchia per un secondo e tornò a spalancare gli occhi confuso proprio quando Pilar riprendeva a colpirlo con le nocche squamate. Una serie di pugni lo investì in pieno, dandogli scariche di dolore che lo lasciarono con la bocca impastata di sangue e il lezzo dolciastro dell’alleato di Big Mom nelle narici. Ansimò affaticato dai colpi con il torace sporco di rosso ad abbassarsi e alzarsi con insistenza, mentre Pilar gli concedeva un attimo di tregua tirandolo una volta ancora in ginocchio.
«Guarda su Eustass Capitano Kidd, guarda su! Sei una Supernova, devi esplodere con orgoglio altrimenti darai una delusione a tutti, anche a te stesso!» gli ricordò sarcastico all’orecchio, affondando le dita tra i suoi capelli per tenerlo su.
Sentì l’altra mano di Pilar poggiare gli artigli scuri contro la sua gola sudata e si maledisse mentalmente per essere stato tanto imprudente da lasciare che quell’idiota si riprendesse dal loro primo scontro con tutta calma.
Non aveva alcuna intenzione di morire dopo essere appena arrivato nello Shinsekai, aveva faticato per raggiungere quel mare, aveva combattuto contro tutto e tutti pur di rincorrere il proprio sogno e l’idea di finire sgozzato da un bastardo che non contava neanche così tanto in ginocchio sui calcinacci, mentre i suoi uomini venivano presi a calci da una donna era qualcosa che lo avrebbe fatto rivoltare persino da morto. Non doveva andare a quel modo, non poteva andare a quel modo, non lo avrebbe permesso né quel giorno né mai.
Il boato che eruppe dall’interno del palazzo stroncò le intenzione di Pilar tanto quanto i pensieri di Kidd. La terra di Redunda tremò per l’ennesima volta in quella giornata spostando le rovine della città da una posizione all’altra, la gabbia minacciò di cadere su uno dei fianchi e Kidd si ritrovò a vacillare insieme a Nau. Una vampata di fuoco eruttò fuori dalla spaccatura sulla parete dell’edificio gonfiandosi e contorcendosi su se stessa a mezz’aria come un’onda, mentre un vento torrido correva giù per i gradini divelti strisciando per la città sino al mare. Fumo e polvere li circondarono prima che potessero rendersene conto ed entrambi alzarono sorpresi lo sguardo sul palazzo quando prese a spaccarsi in continue esplosioni.
«Il mio palazzo.» gemette sconcertato Pilar, osservando con l’unico occhio sano le colonne rossastre che stavano sventrando l’edificio senza posa.
Avvertì la presa attorno ai propri capelli farsi un po’ meno ferma davanti a quello spettacolo imprevisto e decise che non avrebbe avuto più un’altra occasione migliore per mettere fine a quello scontro se fosse rimasto lì imbambolato. Ancora in ginocchio attivò con un ringhio il proprio magnetismo, richiamando a sé qualsiasi cosa potesse tornargli utile e si concentrò il più possibile affinché la forza del colpo fosse abbastanza per mettere fuori gioco quel bastardo che ancora lo teneva a terra.
Non era capace di padroneggiare al meglio l’Haki, non si era esercitato in quella tecnica e non l’aveva mai utilizzata su nessun avversario, ma tentare in quel momento equivaleva comunque all’unica opportunità rimasta e il prezzo della sconfitta sarebbe rimasto invariato.
Aggrottò la fronte con rabbia sentendo il lamento del metallo avvicinarsi malgrado le esplosioni e si tirò in piedi di scatto, voltandosi appena in tempo per afferrare Pilar per la camicia sgualcita prima che lui potesse destarsi dal proprio torpore. Lo vide spostare lo sguardo malconcio sul proprio viso con la fronte aggrottata e rimase a fissarlo in silenzio, mentre si aggrappava alle sue braccia con uno sforzo.
«Vedi di crepare una volta per tutte.» gli intimò senza ammirare la lancia di metallo che era riuscita a perforargli lo stomaco inaspettatamente, quando lui tossì un grumo di sangue con un lamento.
Qualcuno in lontananza urlò il nome di quella dannata donna sparita nel nulla e Pilar si volse in quella direzione, cercando con lo sguardo in mezzo al fumo prima di mollare la presa su Kidd e barcollare di lato.
«Scricciolo...» balbettò soffocato, cercando di mantenere l’equilibrio precario.
Lo fissò con una smorfa avanzare di fianco a sé con gli ultimi passi incerti sino a che le sue gambe non cozzarono contro uno dei gradini, facendolo cadere con un tonfo a terra. Rimase in attesa, con la fronte aggrottata e i muscoli tesi per l’allerta, finché non lo vide soffocare nel suo stesso sangue e solo allora si concesse un ghigno di vittoria, ma durò appena il tempo di scorgere quella sconosciuta che li aveva attaccati venir fuori dal fumo che lo circondava con gli occhi lucidi e l’espressione più rabbiosa che avesse mai visto sulla faccia di una donna. Le lanciò un’occhiata rabbiosa senza muovere un passo indietro e ignorò la lama con cui lo stava minacciando consapevole di ciò che da lì a poco sarebbe successo.
«Va all’inferno tu e quella tua-» la sentì sibilare velenosa, prima che potesse crollare a terra con il fianco aperto in due da una delle lame di Killer.



Accovacciata sul bordo annerito della vasca incassata al pavimento, ispirò una profonda boccata d’aria sentendo i polmoni bruciare per il caldo e la stanchezza.
Si era sforzata di resistere in apnea per più tempo possibile, ma quell’esercizio si era rivelato più difficile di quanto non credesse e dopo qualche minuto d’inferno in cui vampate e crolli l’avevano raggiunta persino sott’acqua, non aveva potuto fare a meno di risalire a prendere un respiro. Aveva continuato a salire e scendere in quella vasca finché le esplosioni non si erano affievolite e solo dopo aver constatato che il peggio era passato, si era convinta a issarsi fuori per riposare un po’.
L’aria era satura di metano, il lezzo era talmente forte da renderle le labbra amare e darle giramenti di testa. Le grate d’accesso ai bocchettoni bruciavano ancora con lingue bluastre e roghi persistevano a sputar fuori fumo nerastro lì dove l’erba si era accumulata in un tappeto più spesso. Le pareti non esistevano più o forse erano ancora al loro posto, Aya non ne era sicura. Attorno a lei c’erano solo fiamme e fumo, la vista non riusciva a spingersi oltre qualche metro e l’unica traccia per orientarsi le arrivava dallo sprazzo affievolito di luce che giungeva dalla voragine creata da Nau molto tempo prima. Dalla parte opposta, la pavimentazione era crollata rivelando un piano inferiore e l’inizio di uno dei canali di metallo che correvano sotto il suolo della città. Ogni tanto qualcosa precipitava giù, forse un mattone o un’altra porzione del palazzo e il crepitio delle fiamme veniva soppiantato dal tonfo del crollo, per il resto regnava una quiete inaudita. Non le giungevano voci e tra il fumo non era riuscita a scorgere nessuna figura se non un cumulo incenerito su cui non aveva osato posare gli occhi due volte.
«Teru-Teru Bouzu, Teru Bouzu… ashita tenki ni shite o-kure.» recitò con la voce fiacca, mentre il respiro tornava a regolarizzarsi e le tempie cessavano lentamente di pulsare con insistenza.
Aveva vissuto una situazione simile anni prima, quando era ancora una bambina e Ko pregava per lei affinché nessuno spirito la portasse via. La sua voce nelle orecchie l’aveva cullata per ore, mentre Marijoa veniva ridotta in cenere come l’erba di Akala, ma allora Aya non se n’era quasi resa conto stando tra le sue braccia. Il mattino seguente la città profumava di bruciato, il lezzo del marciume era svanito, le strade si erano colorate di grigio e gli schiavi erano tornati liberi, si era sentita felice di gironzolare scalza tra le macerie con la faccia sporca di fuliggine e i capelli scarmigliati. L’incendio da cui era uscita adesso però non le aveva provocato il medesimo effetto né le era scivolato addosso inosservato come molti anni prima, forse perché la consapevolezza di averlo causato le pesava sulle spalle e non riusciva proprio a non realizzare che quella stanza puzzava solo di bruciato e le sue gambe tremavano per la stanchezza di uno scontro che non aveva mai voluto.
Trasse un profondo respiro ripetendosi mentalmente quanto fosse stato necessario e all’ennesimo piccolo crollo decise di alzarsi di colpo, conscia che rimanere lì non sarebbe stato sicuro per nessuno. Districandosi tra roghi ancora accesi e cumuli di macerie fumanti attraversò con attenzione la stanza, fermandosi per qualche minuto a osservare ciò che rimaneva del vicecapitano di Nau quando gli capitò accanto malgrado la pianta dei piedi le bruciasse per il calore accumulato dal pavimento.
Akala aveva tragicamente tentato in ogni modo di proteggersi dall’esplosione causata dal gas, ma le sue sentinelle d’erba non erano riuscite a ripararlo dalle fiamme e alla fine era crollato. Giaceva rannicchiato su se stesso come un bambino, coperto da fibbre annerite in un involucro che si confondeva con il resto della sala.
Teneva gli occhi serrati e la bocca spalancata alla ricerca inutile di un po’ d’aria, nulla in lui pareva dare segni di vita e per dei minuti interminabili Aya rimase a fissarlo con rammarico prima che sollevasse con fatica una palpebra per rivolgerle uno sguardo che non arrivò sopra le sue caviglie. Un rantolo strozzato venne fuori dalla sua gola mentre tornava a serrare gli occhi e Aya riprese la propria strada.
Benché non provasse alcun genere d’affetto per lui, non avrebbe mai voluto vederlo ridotto a quel modo. Gli aveva dato più di un’occasione per scamparla, lo aveva avvertito, aveva aspettato, la superbia però gli aveva impedito persino di sentire il tanfo del metano che imperniava l’aria e la scelta per lei era stata inevitabile.
L’aria fresca che la investì oltre la voragine la lasciò per qualche secondo immobile con un brivido a correre lungo il corpo annerito e fradicio. Si rannicchiò appena nelle spalle, scendendo lentamente per i gradini divelti con il rimpianto di non avere nulla a ripararla dalla brezza profumata di salsedine. Il sole doveva essere tramontato da un po’ e il cielo aveva preso ad oscurarsi lentamente, facendole scivolare accanto la sua ombra tremolante. Si guardò attorno disorientata, osservando la landa polverosa comparsa al posto della città e quasi trasalì quando la voce di Killer la raggiunse da un punto non troppo lontano ai piedi del palazzo in rovina.
«Aya?» la chiamò stupito in un sibilo metallico, convincendola a scendere gli ultimi gradini.
«Ohi.» biascicò con un sorriso stanco, andando in contro al gruppetto raccolto insieme a lui.
Nessuno dei presenti doveva essere stato coinvolto dall’esplosione e la cosa le dava un certo sollievo.
«Sei in uno stato pietoso donna.» sbottò senza mezzi termini Kidd e Aya gli riservò un’occhiata spossata.
Se fosse stata in vena di battibeccare gli avrebbe volentieri fatto notare quanto pessimo fosse il suo di stato, ma non ne aveva le forze e non le andava neanche di soffermarsi sulla benda sanguinante che aveva improvvisato sull’avambraccio con la fascia che solitamente gli reggeva i pantaloni ora per metà penzolanti sul fianco.
«Oh ti prego Kidd, non davanti a tutti, sai che a certi complimenti non resisto.» scherzò sarcastica, fissandolo con espressione piatta e il viso piegato di lato.
«Stai bene.» notò Killer, intromettendosi prima che al proprio capitano potesse venire in mente di insistere sull’argomento.
Aya spostò la propria attenzione su di lui e le parve quasi di riuscire a intercettare sotto la maschera un velo di soddisfazione per quella realtà.
Scegliere di lasciare a lei il compito di occuparsi di Akala doveva esser stata una decisione sofferta per Killer, fino all’ultimo era rimasto titubante a osservarla dal bordo della parete crollata, mentre si fermava a parlare con l’altro pirata, indeciso forse se intervenire nuovamente. Non credeva che il suo dubbio fosse dipeso dall’orgoglio di vedersi togliere di mano un nemico, quanto piuttosto dal non essere completamente sicuro che le cose potessero andare per il meglio. Akala era stato l’unico avversario che Aya avesse incontrato capace di metterli in difficoltà sino a quel punto e pensare di essere stata l’artefice della sua disfatta risultava assurdo persino a lei.
L’esplosione poi aveva investito il palazzo per intero, le fiamme erano divampate ovunque e credere di poterla vedere uscire sana e salva da quell’inferno non doveva essere stata una speranza di nessuno indipendentemente dalla simpatia nutrita nei suoi confronti.
«Deve essere esploso qualcosa di troppo, ma direi che è andato tutto come previsto.» gli spiegò laconica annuendo appena al cenno del biondo.
«Grazie al cielo! Non avrei saputo come fare se ti fosse capitato qualcosa, non me lo sarei perdonato!» confessò sollevato Yoshi, abbandonandosi a un sospiro che strappò ad Aya una mezza risata, mentre Kidd si voltava a guardarlo come se solo in quel momento si stesse accorgendo di avere uno sconosciuto a un metro di distanza.
«Tu chi saresti?» ringhiò scontroso, squadrandolo con un’occhiata che lo fece irrigidire.
«Non dargli contro, ci ha aiutati a togliere di mezzo Akala, è dalla tua parte.» lo calmò Aya, spingendolo a girarsi con irritazione verso Killer.
Non era abituato a trovare l’aiuto di qualcuno che non appartenesse alla sua ciurma e se non fosse stato per il favore che lei e Law avevano fatto a Yoshi, probabilmente non avrebbe avuto alcun appoggio neanche in quell’occasione, ma la novità non doveva comunque essergli gradita a giudicare dal modo in cui aveva serrato la mandibola e teso i muscoli.
«Ti ho detto che era una brutta situazione. Avremmo potuto andare avanti a combattere per giorni e non sarebbe servito a nulla, siamo stati fortunati che l’incendio abbia funzionato.» tentò di farlo ragionare Killer, spingendolo soltanto a cacciar fuori un grugnito di sdegno.
In quegli anni Aya aveva imparato a conoscerlo e sapeva che l’idea di essere aiutato per Kidd era a dir poco intollerabile al solo pensiero. Qualsiasi spiegazione avessero fornito per lui sarebbe stata del tutto irrilevante.
Scosse la testa con rassegnazione e si accostò a Yoshi per rassicurarlo dalla gogna a cui aveva rischiato di andare in contro persino dopo aver collaborato.
«Come hai fatto a venire fuori da lì dentro?» le domandò di colpo Heat, riuscendo persino a distrarre Kidd.
Alzò gli occhi su di lui, vedendolo fissarla con un’espressione indecifrabile ed ebbe quasi l’impressione di leggervi un misto di irritazione e incomprensione per la sua riemersione dalle fiamme del palazzo.
Avrebbe potuto fargli notare che era riuscita lì dove lui aveva fallito o con un briciolo di perfidia mettergli un po’ di paura raccontandogli di aver camminato in mezzo alle fiamme senza bruciarsi, ma avrebbe solo fomentato l’antipatia tra loro e Aya non aveva alcuna voglia di raccontare bugie o cominciare un litigio.
«Pilar non era uno sprovveduto, in ogni stanza del palazzo aveva fatto sistemare delle vasche incassate al pavimento per spegnere eventuali incendi ed evitare il peggio con i condotti. Mi sono immersa in quella che c’era di sopra e ho aspettato il momento adatto per uscire.» rivelò con un’alzata di spalle.
Era stato rischioso, ma aveva funzionato meglio di quanto avesse potuto sperare. Il calore l’aveva raggiunta con delle vampate afose persino sott’acqua, tuttavia ne era uscita indenne e senza una bruciatura se non quelle che si era provocate alle piante dei piedi camminando sulle rovine per uscire all’esterno.
Vide Heat storcere i punti della bocca con un non troppo velato disappunto a quel resoconto, come se l’idea di un tale piano congegnato da lei gli desse l’orticaria, ma non ebbe il tempo di badarvi troppo quando la voce di Kidd interruppe il breve silenzio creatosi.
«Qualcuno vada a controllare lo stato di quel tipo e recuperi gli altri, abbiamo delle cose da fare prima di notte. Muovetevi.» ordinò con tono deciso, riservandole un’occhiata che lei mancò d’intercettare presa piuttosto da ciò che era appena stato detto.
Spostò le iridi ambrate oltre la sua figura impolverata, mentre il resto del gruppetto si metteva subito all’opera e non le fu difficile vedendo le direzioni prese individuare i corpi a cui Kidd aveva alluso. Sgranò sorpresa gli occhi scorgendo Malineli con la gonna sporca di polvere e il fianco su cui un tempo aveva fatto sibilare Bashe coperto di sangue, il suo coltello dalla lama nera giaceva immobile su una parte dell’acciottolato giallastro che aveva fatto da contorno al palazzo, lontano dalla sua mano aperta inutilmente verso il nulla.
Vederla lì, con il viso contratto in una smorfia disperata la spinse ad allungare lo sguardo una decina di metri più in là dove Nau se ne stava a faccia in giù con i vestiti sgualciti e un foro in pieno torace. Sentì le labbra ritornare amare benché lì l’aria fosse libera dal metano e rimase per qualche istante a guardarli con espressione distaccata.
«Tu devi aiutarli?» biascicò in un bisbiglio Yoshi, accostandosi a lei.
«No. Vieni, controlliamo se la tua casa è ancora intera e poi andiamo a dormire. Non mi reggo più in piedi… tutto questo è troppo per me.» mormorò in un sospiro pesante, prima di voltare le spalle infreddolite.
Avvertì gli occhi di Kidd squadrarla ancora una volta, mentre si allontanava senza un saluto lungo la strada insieme a Yoshi e si strinse nel vestito fradicio e rovinato con una pessima sensazione addosso.



Poggiato con entrambi gli avambracci al muro di terrazzamento di uno dei pochi edifici rimasti in piedi ad Arumi, trasse una profonda boccata d’aria frizzante, mentre Eustass Kidd e i suoi si affaccendavano a sistemare quell’orrido teatrino affinché il giorno seguente tutti potessero vedere e capire.
Nau El Pilar era caduto, sconfitto da un novellino della nuova generazione insieme alla sua ciurma e adesso se ne stava lì, a far penzolare i piedi da un palo in cima al suo palazzo ridotto a un cumulo di macerie e la sua città di finto oro in rovina. Visto da quella distanza pareva più piccolo di quanto non fosse mai stato in vita, eppure fino a qualche ora prima era uno degli alleati di Big Mom, qualcuno per cui persino Basque aveva provato una lecita soggezione. Qualcuno degli abitanti insisteva a guardare da lontano, mentre i suoi compagni venivano sollevati accanto a lui, forse nell’attesa che spalancassero gli occhi di colpo ricominciando a combattere per distruggere anche quel poco che era rimasto, ma lui sapeva che non sarebbe accaduto nulla del genere. Akala sarebbe rimasto aggrovigliato al legno come una pianta rinsecchita, Vane avrebbe bruciato le tappe invecchiando ancora da ragazzino e Malineli avrebbe finalmente avuto il suo sogno d’amore passando l’eternità accanto al suo Pilar finché qualcuno non avesse deciso coraggiosamente di tirarli giù per decenza o per il tanfo della morte.
«Ho fatto bene a scommettere su di te ragazzo mio… ma distruggere mezza isola non era nei patti.» mugugnò con una smorfia, squadrando la figura impellicciata della Supernova.
Fatta eccezione per qualche casa la città era rasa al suolo, il palazzo era per metà crollato e per metà bruciato, i condotti erano esplosi, Barrabas affondata nel mare e le piantaggioni soffocate dal fumo dell’incendio. Redunda era in rovina e nonostante adesso fosse libero dal controllo di Pilar, Basque avrebbe dovuto faticare come mai prima per raccimolare qualcosa da quell’inferno in cui quel ragazzo lo aveva lasciato per la smania d’averla vinta. Nutriva della sincera simpatia per quel pirata, aveva confidato in lui per liberarsi di un peso che lo attanagliava da troppo tempo e per questo aveva voluto assistere al suo scontro dall’inizio alla fine, ma gli affari venivano prima della simpatia che provava nei suoi confronti ed Eustass Kidd con la sua ciurma lo avevano affamato più di quanto non avesse fatto Pilar in tutto il suo squallido regno.
«Non ci si può mai fidare dei pirati, neanche quando sono tuoi alleati… fortunatamente però esistono istituzioni affidabili come la Marina e il Governo mondiale. Loro non deludono mai le aspettative.» rimuginò tra sé con lo sguardo puntato ancora sul palazzo, frugando in una delle tasche per estrarne una piccola Den-den mushi.
Grattandosi con distrazione il tatuaggio sul naso attese pazientemente che la chiamata venisse avviata e solo quando la conversazione scattò chiuse gli occhi per concentrarsi un istante.
«Moshi moshi, qui base della Marina 29, avete una segnalazione?» domandò la voce di un marine dall’altra parte.
«Eustass Kidd e la sua ciurma hanno ucciso Nau El Pilar, raso al suolo la città! La gente è terrorizzata, ci sono donne e bambini che piangono disperati, uomini feriti, quelli che hanno provato a difendere le loro case sono morti, ci serve aiuto! Questa terra ormai è senza giustizia, ne hanno il controllo! Non sappiamo cosa fare per fermarli, vi prego, vi scongiuro aiutateci!» lamentò, imitando un pianto sconvolto che non gli provocò una lacrima neanche per lo sforzo.
«Mi dica da dove chiama!» ordinò immediatamente il marine, agitandosi a quella ricostruzione tanto cruenta.
«Redunda, chiamo da Redunda!» lo informò angosciato, soffocando volutamente la voce.
«Mantenete la calma e resistete fino al nostro arrivo, manderemo navi e uomini per occuparci di loro.» provò a calmarlo il soldato e Basque sputò fuori un gemito di sollievo.
«Grazie, non so proprio come ringraziarvi! Grazie, grazie!» ripeté commosso con insistenza.
«Dovere signore.» troncò il marine, interrompendo la chiamata.
Posò la Den-den mushi ammutolita nella tasca da cui l’aveva estratta e tornò a guardare qualche centinaio di metri più in là, dove un gruppo di spaventapasseri dalle facce inbianchite faceva ormai la guardia alle rovine affumicate del palazzo.
«Così eroici, se non esistessero non so proprio a cosa andrebbe in contro questo mondo di criminali...» pensò con falsa ammirazione, piegando le labbra in un sorriso compiaciuto alla vista di Eustass Kidd che si dirigeva al porto sotto gli occhi silenziosi degli abitanti senza casa di Arumi.

































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Note dell’autrice:
Oggi ho qualche perla da sfoderare quindi se siete curiosi, leggete bene.

- Makan: Vi ho già detto qualche capitolo fa il significato del nome e il resto, ma rimetto questa voce nelle note perché dubito che qualcuno possa riuscire a individuare la citazione che ho inserito nel farla descrivere a Law. “[…]nel volgere di un giorno e una notte sprofondò nel mare[…]” ebbene queste non sono parole mie, ma di Platone che descrive così la fine di Atlantide. Mi ha sempre affascinato come storia e non ho potuto proprio fare a meno di inserire un accenno da qualche parte, quindi vedete – se volete – Makan come la Atlantide di questa storia.
- Pietra miracolosa: Corrisponde a una leggenda giapponese che tuttavia la identifica come “Sessho-seki” ovvero “Pietra assassina”. È una pietra della mitologia nipponica che pare sia posseduta da uno yokai che uccide chiunque ne entri a contatto, tale pietra ha anche un santuario a lei dedicato che si trova a Nasu e a cui alcuni pellegrini dalla dubbia reputazione sono soliti rivolgere preghiere.
- Marina: Ora, io non so se realmente in One Piece si possa contattare la Marina come da noi la polizia, ma dato che spesso gli abitanti delle varie isole sono soliti chiedere aiuto contro i pirati in modi sin ora sconosciuti, mi sono concessa questa libertà. Un’organizzazione tanto importante avrà pure degli uffici per le segnalazioni a mio avviso, no?


  
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