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Autore: bemyronald    12/06/2015    5 recensioni
«Senza che Hermione parve averlo premeditato, d'impulso, si mise in ginocchio e buttò le braccia al collo di Ron. Lo strinse forte, così forte da fargli mancare il fiato. Eppure era così dolce, la stretta di Hermione, quasi come se volesse cullarlo. Come se volesse, con tutta se stessa, far sì che si sentisse al sicuro. Ed era proprio così che si sentiva in quell'esatto momento. Possibile che fosse lui ad aver bisogno di sentirsi protetto?
L'aveva vista, Hermione, un attimo prima, e l'aveva trovata così indifesa.
E lui non aveva fatto nulla, non l'aveva nemmeno abbracciata.
Non l'aveva protetta.
Non credeva di aver mai provato nulla di peggiore nella propria vita.
Questo forte senso di impotenza, di inutilità, di debolezza mentale e fisica.
Così incapace.
Un singhiozzo. Un singhiozzo eruppe dalla gola di Hermione.
E fu in quel momento che anche Ron cedette, strinse gli occhi e cominciò a piangere, in silenzio»
dal terzo capitolo "Nobody said it was easy". COMPLETA 4/4
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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Nobody said it was easy,
It's such a shame for us to part.
Nobody said it was easy,
No-one ever said it would be this hard,
Oh take me back to the start.
 

CHAPTER THREE

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Nobody said it was easy

 

Risate. Sussurri e ancora risate. Possibile che quando quei due erano insieme, da soli, avessero sempre tanto da raccontarsi... e da ridere? Ma poi che avevano da ridere? Affamati, dispersi nel nulla, da settimane lontani dalla civiltà, senza che quella maledetta ricerca cominciasse a dare i suoi frutti. E loro ridevano. Ma certo, a loro cosa importava? La famiglia al sicuro... una risata potevano permettersela, loro due. Ron si riscosse debolmente dal torpore, cercando di tenere gli occhi aperti per non appisolarsi di nuovo e provò a concentrarsi su altro. Sentiva una piccola parte del torace particolarmente gelida, proprio lì dov'era appoggiato il medaglione. Ma ormai ci era così abituato da non farci nemmeno poi tanto caso. Avvertiva brividi di freddo nonostante indossasse un pesante maglione, era disteso lungo la piazza inferiore del letto e si sentiva esausto. Troppo per impedire alle sue palpebre pesanti di abbassarsi definitivamente... troppo stanco per provate ad opporre resistenza...

Correva lungo una strada tortuosa, circondata dal verde. Erba altissima ovunque, non riusciva ad intravedere una via d'uscita, a lui sembrava che stesse correndo da ore, e il buio della notte, rendeva tutto più cupo e spaventoso.
Udiva delle urla. Urla strazianti, insopportabili, che giungevano prepotenti alle sue orecchie, quasi a perforargli i timpani. Ad ogni passo, accresceva il senso angoscia e d'impotenza.
Correva.
Gli sembrava di aver percorsi migliaia e migliaia di km, aveva il fiato corto ed era certo che le gambe avrebbero ceduto da un momento all'altro. Ma non poteva permetterglielo. Lui le conosceva, quelle voci, sapeva a chi appartenevano... e gli chiedevano disperatamente aiuto.
Correva.
Gli parve di cominciare a vedere la fine di quella corsa, l'erba ora era più bassa, riusciva persino ad intravedere il tetto della Tana e, proprio in quell'istante, sopra casa sua, apparve il Marchio Nero. Quell'immagine lo terrorizzò a tal punto da costringere le sue gambe a velocizzare la corsa. Sentiva che sarebbe crollato da un momento all'altro, le mani gli tremavano, il respiro affannato, il battito cardiaco incontrollabile. Ma doveva correre, non poteva permettersi di perdere un secondo di più. Improvvisamente, senza sapere come, si trovò nel familiare giardino di casa... era proprio lui, eppure la Tana era ancora così lontana. Proprio in quell'istante, uno di quegli gnomi che infestavano il giardino dei Weasley, lo afferrò per una caviglia e Ron ruzzolò a terra, con la faccia dritta nella fanghiglia. Imprecò, pulendosi di fretta il volto, e quando alzò lo sguardo, fissò la piccola creatura in faccia: aveva gli occhi rossi, iniettati di sangue, un sorriso beffardo e una viscida coda verde. Dedicò a Ron un'occhiataccia maligna prima di fuggir via. Ron, scioccato, rimase per un attimo immobile, ma si riscosse subito e, istintivamente, alzò lo sguardo sulla Tana. Quel che vide gli mozzò il fiato in gola: un enorme serpente circondava l'abitazione e sembrava che la sua morsa aumentasse secondo dopo secondo. Ron non aveva mai visto un Basilisco dal vivo, ma pensò che quella cosa potesse somigliare esageratamente alla spaventosa creatura secolare, se non fosse addirittura peggio. Fu l'urlo di sua sorella ad attirare l'attenzione di Ron, e senza pensarci oltre, si rimise in piedi a fatica, barcollando, e riprese quella disperata corsa. Correva, con la bacchetta stretta in pugno, avrebbe raggiunto la Tana in pochi metri. Ma sembrava esserci un problema, un grave problema: correva, correva con tutto se stesso, eppure sembrava stesse fermo sempre allo stesso punto, o forse era la sua casa ad allontanarsi, non riusciva a capirlo. Una sensazione di puro panico lo pervase quando le grida strazianti dei suoi familiari si fecero più assordanti. Gli rimbombavano insistenti nelle orecchie, nella testa.
Correva.
Più correva e più i suoi fratelli sembravano allontanarsi da lui. Oramai le gambe non reggevano più e sentiva la gola e i polmoni in fiamme. Inciampò in una radice e rovinò sul terreno freddo. Col respiro ansante, alzò appena il capo e quando vide due figure familiari a pochi metri da lui, un sorriso appena accennato, sollevato gli si allargò in viso.
«Harry! Hermione!» li chiamò, tra un respiro e l'altro, ma i due ragazzi, abbracciati, apparentemente ignari della presenza dell'amico, gli davano le spalle. Ron non si perse d'animo, riprese fiato e tentò di nuovo.
«Harry! Hermione! Aiutatemi!» Hermione in tutta risposta, scoppiò in una risata fredda senza mai voltarsi verso di lui, anzi, buttò le braccia al collo di Harry e lo baciò con trasporto. Harry rispose al bacio senza alcuna riserva. Baciava Hermione con foga. Erano così avvinghiati da sembrare un unico corpo. Ron sentì il respiro mancargli.
«Hermione...» sussurrò, addolorato, mentre i due ragazzi si staccavano ansanti, si fissavano negli occhi, adoranti, per poi scoppiare a ridere, Hermione stretta tra le braccia di Harry. 
Ridevano. Ridevano ancora e ancora. Ma cosa avevano tanto da ridere?
Poi tutto accadde in un nano secondo: il mostruoso serpente diede un'ultima stretta decisiva alla casa, che si disintegrò, tra le urla. Ron tentò di rialzarsi per intraprendere un'ultima disperata corsa, ma una voragine si aprì davanti a lui e si sentì sprofondare giù... ancora giù... sempre più giù...


«AAAAAAAAAARG!» una fitta atroce e, d'istinto, portò le mani alla testa. Completamente stordito, ributtò il capo all'indietro, lieto di sentirlo toccare una superficie morbida, come un cuscino...
«Ron, stai bene?» 
Ci mise un po' prima di riuscire a collegare quella voce tremante a Hermione. Provò sollievo, ma tempo di un attimo, perché poi fu sopraffatto dalla rabbia. Era in stato confusionale, incapace di rendersi conto di cosa fosse vero e cosa fosse finzione. Nausea. Una fastidiosa sensazione di nausea lo riportò poi alla realtà.
«Santo cielo» sussurrò Hermione spaventata. «Non devi addormentarti con quel coso al collo, te l'ho già detto un...»
«Grazie, lo so... ci arrivo... da solo...» biascicò Ron, con difficoltà.
«Sei pallidissimo» mormorò lei, senza fiato. «Hai... hai dato una testata tremenda qui, sulle toghe del letto superiore. Sei tutto sudato! E quel coso, non riuscivo a togliertelo di dosso... continuavi a dimenarti... ma cosa...?» «Hermione, zitta» mugugnò Ron a fatica, ancora con le mani sulla testa dolorante, visibilmente scosso. Si alzò di botto per raggiungere il piccolo bagno. Con un gesto brusco si sfilò il maglione, la sensazione di nausea divenne opprimente, cominciava a star malissimo. Non ricordò di aver mai vomitato tanto in vita sua, nemmeno quando da piccolo si beccava quei tremendi virus influenzali. Con le mani ancora tremanti, immerse completamente la testa sotto l'acqua che scorreva dal rubinetto del lavandino e fu invaso da una momentanea piacevole sensazione di sollievo. Uscì dal bagno con i capelli bagnati, ancora tremante. Buttò una veloce occhiata di sbieco a Hermione che non si era mossa, era ancora lì in piedi,  in un silenzio teso, e Ron fu certo che stesse tentando in tutti i modi di incontrare i suoi occhi. Si sedette sul bordo del letto e cominciò a guardarsi intorno frenetico, torturando la fredda catenina dell'Horcrux, che ancora indossava, sfuggendo di proposito allo sguardo della ragazza. Dopo un lungo istante di indecisione, scattò di nuovo in piedi e senza degnarla di uno sguardo, si avviò verso l'uscita della tenda.
«D-dove vai?» chiese flebilmente Hermione.
«Aria» rispose Ron, con voce roca. Scostò il lembo della tenda e l'aria tagliente della notte lo colpì dritto in viso. Non aveva né cappotto né sciarpa e neanche il maglione, indossava una t-shirt leggera a lunga manica. Era madido di sudore, i capelli bagnati, era stanco e tutto quello a cui riuscì a pensare fu: camminare. Voleva solo allontanarsi da lì e volevo che il gelo lo investisse.
«Non puoi uscire così!» l'urlo di Hermione che gli stava alle calcagna, non gli impedì di proseguire. La ignorò.
«Non essere sciocco, Ron! Prendi il cappotto» ribatté lei affannata, mentre cercava di stare al passo.
«Non mi serve!» sbottò brusco Ron.
«Ma che dici? Sei tutto sudato, non puoi...»
«Hermione, vuoi lasciarmi in pace? Dannazione!» urlò, con una furia spaventosa, non da lui. Si fermò e si voltò di scatto verso di lei che, pietrificata sul posto, lo fissava con occhi impauriti, stringendo il suo cappotto tra le mani.
«Cosa vuoi da me? Perché mi hai seguito?» 
Hermione sembrava sul punto di sprofondare. Era spaventosamente pallida sotto lo sguardo iracondo di Ron, che col respiro affannoso la fissava senza batter ciglio. Per un lungo istante, entrambi non fecero che scrutarsi negli occhi. Ron teneva i suoi azzurri, gelidi, inespressivi, fissi in quelli scuri, intimoriti, lucidi di Hermione. Nello spazio che li separava, in quei pochi metri che li tenevano distanti l'uno dall'altra, era possibile respirare un miscuglio di emozioni spaventosamente contrastanti. Inquietudine, delusione, rabbia, debolezza, angoscia, collera. Paura.
Alcune di esse leggibili negli occhi chiari di uno e altre negli occhi scuri dell'altra. Si fondevano fino a creare una tensione palpabile per entrambi. Potevano avvertirla fino a rabbrividire.
«Va' da Harry» disse all'improvviso Ron, con  pericolosa, estenuante calma. «Non capisco perché tu mi abbia seguito. Torna a ridere con Harry»
Hermione continuava a tenere i suoi occhi lucidi su di lui, mentre sul volto le si dipinse un'espressione dura.
«Cosa significa torna a ridere con Harry?» chiese, cercando di impostare un tono fermo.
«Proprio quello che ho detto. Mi stupisci, Hermione, è strano che tu non abbia afferrato» la voce di Ron era bassa, decisa. Parlava con una convinzione da far spavento. Dopo averle lanciato uno sguardo sprezzante, si voltò e proseguì più lentamente rispetto al passo accelerato di qualche minuto prima. Cominciava a sentirsi strano, come se qualcosa avesse cominciato a combattere dentro di lui. Avvertiva una strana sensazione di sicurezza, di forza, una rabbia che sembrava racchiudere odio. Un forte odio verso il mondo, verso tutto ciò che aveva attorno. Ma c'era qualcosa che contrastava questo deciso e adirato stato d'animo. Ma cos'era? Cosa c'era in lui che non andava?
Forse era quel fastidioso nodo alla gola o il tremolio alle gambe.
Aveva freddo. Un freddo strano. Si sentì raggelare il sangue. 
Sentiva i passi incerti di Hermione che arrancava sulla sua scia.
«Per favore, Ron, ti fermi un secondo?» ancora una volta un leggero tremolio tradì la sicurezza nella voce della ragazza.
«E perché dovrei?» rispose Ron, continuando a camminare. «Devi dirmi qualcosa di importante? Dilla a Harry, no? Che cosa t'importa di me?» 
«Ron, che cosa vuoi dire... io... io non capisco, se...»
«Ah, non capisci? Va bene, ti darò una mano. È semplice, sai. State sempre lì a confabulare, a ridere, a parlare, parlare e parlare!» 
Il tono di voce di Ron si alzò di colpo, si era voltato nuovamente verso Hermione, a mezzo metro di distanza da lui, e la fissava dritta negli occhi. 
«E cos'è che vi dite, eh? Cosa... cosa... fate... quando...»
«Ma cosa stai dicendo, Ron?»
«State sempre a ridere, Hermione! Che cosa avete tanto da ridere? Non c'è proprio un cazzo da ridere! Proprio un bel niente! A voi non importa un bel niente!» Ron aveva il respiro affannato e i suoi occhi lampeggiavano per l'ira. Hermione lo fissava inerme, col fiato mozzo e con le mani che stringevano convulsamente il suo cappotto.
«E nei miei sogni... anche nei miei sogni! Dentro... la mia... testa... voi... voi... dannazione, io non lo sopporto più!»
Con un gesto improvviso, si strattonò la collanina che portava al collo e con violenza scaraventò l'Horcrux a terra. Dopodiché, si lasciò cadere pesantemente sul terreno umido, portandosi entrambe le mani tremanti sul viso, poggiando poi i gomiti sulle ginocchia. Per parecchi, interminabili minuti, un silenzio teso li avvolse completamente. Ron cominciò ad avvertire il freddo pungente della notte arrivargli fin dentro le ossa, cominciò a tremare. Percepiva la presenza di Hermione, lì, a pochi passi da lui. Il suo sguardo quasi gli perforava le mani con le quali nascondeva accuratamente il volto. Non sapeva ancora ben definire il suo stato d'animo di quel preciso istante, ma di una cosa era certo: si vergognava. Si vergognava da morire. 
Lo scricchiolio delle foglie cadute al suolo, schiacciate sotto il peso dei passi di Hermione, raggiunse l'udito di Ron.
«Prendi il cappotto» propose tranquillamente lei. Ma Ron non si mosse.
«Forza» insistette Hermione. «Non puoi restare così. È una notte gelida» Ron liberò il viso dalle mani, attento a non incontrare lo sguardo di Hermione, allungò una mano per afferrare il cappotto pesante che subito indossò.
«Vuoi... vuoi che lo porti io?» chiese Hermione, insicura. Non fu necessario specificare cosa, Ron capì e scosse piano la testa, abbattuto.
«Lascialo... lascialo lontano per un po'» borbottò, fissando imperterrito una foglia vicino al suo piede destro. Hermione non rispose, né annuì, si limitò a fissarlo con un misto di ansia e compassione.
«Sei pazzo ad esser uscito solo con quella addosso» gli disse dopo un po', accennando appena un sorriso che Ron non vide perché troppo interessato alle foglie che li circondavano. Per un bel po', il silenzio regnò nuovamente su di loro. Ron, che giocherellava con le foglie secche sbriciolandole in un solo gesto della mano, si sentiva ancora stordito e debole... e vulnerabile. Avvertì quel forte desiderio di trovarsi completamente solo. Eppure, al contempo, voleva che la persona al suo fianco restasse proprio lì dov'era, anche in silenzio. Ma non gliel'avrebbe mai chiesto. Sapeva di non meritarsi la sua presenza, e forse Hermione, per tutti quegli improvvisi scatti di ira immotivata, l'avrebbe odiato per il resto del suoi giorni. 
Che mi odi! pensò Ron, stringendo ulteriormente il pugno con la quale aveva appena disintegrato una foglia. Che mi odi! Mi ha sempre odiato, mi sono sempre fatto odiare. E poi chi sono io, quando c'è Harry? Lui è migliore di me, questo... questo lo sanno tutti! Che mi odi! Ora andrà via e mi lascerà solo. Lei deve odiarmi. C'è qualcosa che non va in me. Deve lasciarmi solo. Un'altra foglia si sbriciolò.
L'azione successiva di Hermione, seppur apparentemente semplice ed innocua, pensò che probabilmente l'avrebbe fatto impazzire. La ragazza si sedette sul terreno umido, proprio accanto a lui. Sospirò ed incrociò le gambe, senza più cercare lo sguardo di Ron. Ma Hermione non doveva essere lì! Non doveva stargli vicino, a meno che non fosse per rinfacciargli la sua stupidità. Cosa ci faceva lì, al suo fianco? Perché non gli urlava contro? Perché non lo schiaffeggiava o gli scagliava una bella fattura? 
Ron pensò ai tanti battibecchi scoppiati in quelle settimane. Spesso era lui stesso ad obbligarsi ad allontanarsi da Harry, da Hermione... ma tante altre volte, Hermione l'aveva seguito o gli si era seduta accanto, in silenzio, semplicemente per fargli compagnia.
Ma lei non deve. Deve odiarmi. Non merito nemmeno che mi stia vicino.
Improvvisamente, si ritrovò a pensare all'incubo di poco prima. Pensò alle grida dei suoi familiari e alla sua casa disintegrata. Pensò al Marchio Nero, e il solo pensiero lo fece rabbrividire. Pensò a Harry e Hermione.
Si baciavano, Harry e Hermione, nei suoi incubi. E succedeva spesso e, durante le lunghe ore di dormiveglia, la mente gli faceva brutti scherzi, presentandogli spudoratamente quella scena davanti agli occhi, così vivida, quasi reale. Poi la scena svaniva, ma non la sensazione di frustrazione che gli lasciava addosso. E la odiava, quella scena. E odiava quando li vedeva vicini, li sentiva parlare come perfetti complici o, quelle rare volte, ridere.
Era un'ossessione e sapeva che, ogni volta che avrebbe indossato il medaglione, si sarebbe intensificata. Era sempre così, ogni maledetta volta. E lui non riusciva a controllare le sue emozioni, non riusciva a tenerle a bada, non riusciva a far nulla. 
Sospirò pesantemente e lanciò uno sguardo a Hermione che si tirò su il cappuccio della felpa, prima di distendersi sul terreno. Lo scricchiolio delle foglie schiacciate dal suo peso, per un attimo, riempì il silenzio penetrante della notte. Ron distolse gli occhi da lei per puntarli davanti a sé. Erano poco distanti dall'accampamento che si erano lasciati alle spalle. Mantenne fisso lo sguardo nel buio, senza dire una parola.
«Come alla Tana...» la sentì bisbigliare improvvisamente. Ron si voltò di scatto verso di lei e la fissò per un lungo istante. Hermione era ancora distesa, teneva i capelli raccolti in una coda, nascosti nel cappuccio, la sciarpa fin sopra al mento e le mani al caldo nelle tasche della felpa. Ron continuava a guardarla, e di colpo si sentì ancor più stanco, stupido, senza forze, come se non potesse far altro che crollare. Hermione si accorse del suo sguardo.
«Guarda» disse a voce bassa, con un breve cenno al cielo, «come alla Tana. Sembra quasi lo stesso cielo stellato che si vede da casa tua»
Ron alzò lentamente il capo e il suo sguardo fu rapito da miliardi di piccoli puntini luminosi che sembravano occupare ogni centimetro del cielo. Ed era vero, sembrava proprio di guardare la volta celeste che aveva la fortuna di osservare, anche se raramente, da casa sua. Non necessariamente accorreva in giardino o fissava le stelle dalla finestra per ore, gli bastava uno sguardo fugace al cielo e il solo pensiero che durante le notti serene e senza nubi, quei puntini luminosi sovrastavano casa sua, lo rendeva allegro, quasi spensierato... anche se delle volte sentirsi così, non si rivelava di certo la cosa più facile del mondo...

 

****


Ron ingurgitò il terzo bicchiere d'acqua, la gola arida non voleva dargli pace quella notte e continuava a bruciare. Poggiato il bicchiere sul ripiano della cucina, si sporse appena verso la finestra, scostò la tendina verde e sorrise istintivamente alla vista del cielo stellato che incombeva fuori. Era una notte limpida e nemmeno una nube che macchiasse il cielo scuro. Era una cosa strana, si ritrovò a pensare, visto che solo qualche ora prima, in quello stesso cielo, si era combattuta una battaglia... e avevano perso qualcuno. Ron fece un respiro stanco, lasciò andare la tendina e si diresse verso la porta per uscire dalla cucina.
SBAM!
Un colpo secco dritto sul naso.
«Santo cielo, scusa, Ron!» urlò Hermione, mortificata. «Non sapevo ci fosse qualcuno e... oh, scusa»
Ron si premette una mano sul naso, senza riuscire ad impedire ai suoi occhi di lacrimare.
«Ma come diamine le apri le porte?» farfugliò. «Si sbattono quando si chiudono, mica quando le apri! Mi hai ammaccato il naso, ora morirò dissanguato per colpa tua...»
Hermione ridacchiò.
«Scusa. Fa' vedere un po'...» disse, scostandogli la mano dal volto. «Suvvia, nemmeno un po' di sangue» constatò Hermione, più tranquilla.
«Be', resta il fatto che mi fa male. Comunque, che ci fai in giro a quest'ora?» chiese, guardandola accigliato e cominciando a massaggiarsi il naso.
«Oh... io... io non riuscivo a dormire, avevo bisogno di aria, sai...»
Solo in quel momento, Ron notò che aveva gli occhi arrossati.
«Già. Be', anch'io ne avevo bisogno. Volevo solo prendere una boccata d'aria, sì, ma poi qualcuno ha pensato bene di disintegrarmi il setto nasale» borbottò, con una smorfia. Hermione sorrise imbarazzata, e passarono qualche secondo di troppo in silenzio, guardandosi di tanto in tanto. 
«Hai visto cosa c'è lì fuori?» domandò improvvisamente Ron, guardando distrattamente la tenda che copriva la finestra. Hermione scosse il capo. Ron mantenne lo sguardo fisso ancora per qualche secondo sulla tendina, poi senza pensarci troppo, afferrò la mano di Hermione e la condusse verso l'uscita della cucina.
«Ron, ma cosa...?»
«Shhh» le face segno di abbassare la voce, avevano appena varcato la soglia e si trovavano nel piccolo corridoio. «Se la mamma ci sente, mi ammazza. È tardissimo»
Ron si voltò e continuò a camminare senza lasciare la mano di Hermione, mentre sentiva uno strano calore diffondersi sulle orecchie. Ora che ci pensava... ma che diamine stava facendo?
Hermione non disse una parola, e Ron non osò voltarsi fino a quando non raggiunsero la porta sul retro, che era sempre sigillata, così borbottò: 'Alohomora', e la serratura scattò. Non appena varcarono la soglia, entrambi rabbrividirono avvertendo l'aria fredda della notte.
«Che ci facciamo qui?» chiese Hermione a voce bassa, guardandolo tra il curioso e l'imbarazzato.
«Be', volevi un po' d'aria, no?» disse Ron, stringendosi nelle spalle. «Eccoci qui»
«Sì, ma...»
«Guarda su» la interruppe. Nello stesso momento, entrambi alzarono gli occhi al cielo.
«Oh...» esclamò Hermione in un sussurro ammirato.
«Bello, no?» fece Ron, visibilmente entusiasta. «Ho dato un'occhiata prima dalla finestra e visto che è una serata limpida... qui è sempre così quand'è... sereno...» disse, bisbigliando le ultime parole. Per qualche minuto, nessuno dei due parlò, lo sguardo fisso rivolto verso il cielo. Tutto era immobile e taceva.
Ci fu un momento in cui Ron captò lo sguardo di Hermione su di lui, e di colpo avvampò, ma non ebbe il coraggio di voltarsi. Fece due passi e raggiunse gli scalini di legno che affacciavano sul piccolo giardino, non li discese, semplicemente si sedette, per poi stiracchiarsi. Non dovette attendere molto prima di essere raggiunto da Hermione, che si accomodò accanto a lui. Un silenzio tranquillo li accompagnò per un po', e all'improvviso, Ron non avvertì più imbarazzo. Capì di sentirsi contento. Contento di essere lì, in quel preciso momento. Era contento perché era con lei.
«Di solito non mi metto a guardarle per ore e ore» disse improvvisamente Ron. «Mi basta vedere che ci sono, che sono tante per sentirmi un po' allegro... so che è una cosa stupida... ma sono davvero belle» aggiunse poi, con un sorrisetto imbarazzato, mentre lentamente si stendeva sul pavimento di legno, sempre con gli occhi fissi sul cielo stellato. Hermione accennò un sorriso, si tirò su il cappuccio della felpa e, un attimo dopo, si ritrovò distesa al fianco di Ron. Solo pochi centimetri li separavano, potevano sentirsi perfettamente anche se bisbigliavano appena, ma loro due non si toccavano minimamente. Né uno sfioramento, né uno strusciare distratto di vestiti. Il silenzio fece loro compagnia ancora per un po', prima che Hermione sussurrasse: «Non è una cosa stupida». Non si guardarono, eppure Ron si sentì arrossire.
«Solo che stasera non mi sento allegro...» sussurrò poi.
«Io credo sia da stupidi non apprezzare una bellezza del genere» riprese Hermione. «E credo anche che sia normale sentirsi gioiosi. È una cosa bella... E stasera... be', stasera è diverso...» osservò, tenendo un tono di voce molto basso.
Entrambi tacquero per un po', fu Hermione la prima a parlare.
«Da casa mia non ho mai visto nulla del genere. Ho visto uno spettacolo simile solo una volta. Ero in vacanza con i miei, nel Sahara, avevo sette o otto anni. Pensai che non avrei mai visto nulla di più bello in tutta la mia vita» 
Ron girò la testa verso di lei e gli sfuggì un sorriso alla sua espressione serena.
«Erano tante, così tante che avrei voluto sapere quante fossero per poterlo raccontare. Ma papà mi disse che era impossibile contare le stelle. Io ne rimasi delusa e cominciai a contarle ugualmente, fino a che non mi addormentai. Feci un sogno bellissimo quella notte. Un sogno che ricorda molto il viaggio intrapreso dal piccolo principe... tu non conosci "Il piccolo principe", vero?» chiese Hermione, voltando appena la testa verso Ron che ancora la stava fissando. Lui scosse il capo. 
«Già, non... non puoi conoscere quella storia...» fece Hermione, e Ron avvertì un pizzico di delusione nella sua voce. «È... era uno dei libri preferiti della mamma, sai... io volevo che me lo leggesse tutte le sere...» le sfuggì una breve risata spenta. «Be', sono passati tanti anni, e adesso probabilmente non se lo ricorderà nemmeno... o meglio, lei non lo sa... e non ce l'ha nemmeno con sé...» mormorò infine, sospirando lentamente.
Ron sentì un pugno allo stomaco. E gli si mozzò il fiato quando la vide portare le mani al viso per scacciare via alcune lacrime che non era riuscita a trattenere.
Lui rimase lì, in silenzio, tentò di dedicare la propria attenzione allo spettacolo che si ritrovava alzando gli occhi, ma i suoi pensieri erano interamente rivolti alla ragazza distesa al suo fianco. Cercò di concentrarsi con tutto se stesso, cercò di pensare ai capitoli di "Dodici passi infallibili per sedurre una strega", doveva pur esserci qualcosa che potesse aiutarlo in una situazione simile...
Ma nulla, non riusciva proprio a pensare. Avvertì un piccolo brivido quando la mano di lei, prima di toccare il legno, sfiorò inavvertitamente la sua. Così, d'impulso, con la propria mano coprì quella di Hermione. Le lacrime della ragazza continuavano a scendere silenziose, e Ron, ancora senza guardarla, cominciò a carezzarle lentamente il dorso della mano con le dita. Passarono lunghi istanti in cui non smise un attimo di accarezzarle la mano, voleva in qualche modo consolarla, farle capire che poteva contare su di lui. Avrebbe voluto abbracciarla. 
Perché non lo faceva? A quel pensiero chiuse gli occhi, smise di sfiorarle il dorso della mano e gliela strinse appena.
Ron la sentì sospirare e, dopo un po', avvertì la mano di lei, girarsi in quella di Ron, e le dita intrecciarsi con le sue, senza però stringere troppo. Ron arrossì di colpo, ma sorrise. Era bello sentire la mano nella sua. 
«Raccontami la storia» disse inaspettatamente Ron, con voce rauca e lo sguardo fisso al cielo. «Raccontami la storia del piccolo principe... ti va?» 
«Oh...» fece Hermione, senza guardarlo. «Non ho il libro con me, non sarei capace di...»
«Certo che lo sei» la interruppe Ron. «Conoscerai ogni particolare, a te non sfugge mai niente» non riuscì ad impedire ad un sorriso di farsi largo sul suo viso. Avvertì lo sguardo di Hermione su di sé, e così anch'egli voltò la testa nella sua direzione. Hermione rispose con un lieve sorriso, prima di puntare nuovamente lo sguardo davanti a sé e, concentrandosi sui tanti puntini luminosi, cominciò a raccontare, con voce bassa e pacata, la storia che l'aveva accompagnata durante la sua infanzia. Ron ascoltò in assoluto silenzio, ad occhi chiusi, lasciandosi cullare dalla voce di Hermione.
«'L'essenziale è invisibile agli occhi'» (*) ripeté Ron, interrompendola a metà racconto.
«Sì...» rispose lei, voltandosi verso di lui, leggermente sorpresa. «È il segreto che gli confessa...» Hermione teneva ancora un tono basso, parlava lentamente, quasi sussurrando. Ron pensò a quanto fosse bello starsene lì, a stringerle la mano mentre ascoltava i suoi bisbigli, mentre ascoltava quelle parole che sceglieva con gran cura. Nonostante l'aria fresca che si percepiva, avvertì un calore piacevole diffondersi all'altezza del petto. 
«Lei dice» continuò Hermione, senza smettere di guardarlo. «'È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante...'» (**)
«E questo convince il piccolo principe a tornare da lei, vero?» intervenne Ron, che invece non si era ancora voltato verso di lei.
«Sì...» rispose Hermione, osservando attentamente il suo profilo. «Anche se il realtà lui si convince già da prima... da prima che lei gli svelasse quel segreto...» 
Ron tacque per un lungo istante riflettendo sulla storia, e rimuginando sulle parole che aveva usato Hermione. Quand'è che il piccolo principe aveva capito quanto la sua rosa fosse la sola e unica? Un termine che di sicuro Hermione non aveva usato per caso, gli lampeggiò nella mente: "addomesticare".
«Hermione?» la chiamò.
«Sì?» 
«Cosa intende la volpe quando parla dell'importanza di essere 'addomesticata'?»
D'impulso, Hermione portò lo sguardo sulle loro mani ancora unite.
«Legami» sussurrò. «Vuole che il piccolo principe capisca l'importanza dei legami. Vuole che capisca che un'amicizia nasce lentamente, che...»
«... che si costruisce insieme, passo dopo passo...» aggiunse Ron, voltandosi per guardarla. Hermione distolse l'attenzione dalle loro mani per incontrare finalmente il suo sguardo azzurro. E Ron, per la prima volta quella sera, o forse da giorni, vide un vero sorriso. Ed ebbe l'impressione che proprio quel sorriso, non avesse mai perso il potere di scaldarlo, di farlo sentire al sicuro. Quel tipo di amicizia, somigliava molto alla loro. Costruire insieme, passo dopo passo. E anche se, inconsciamente, avevano cominciato a costruire qualcosa di più forte, il solo pensiero di quel legame appariva così dolce e genuino. Per un attimo non fecero che guardarsi, poi Ron, resosi conto di essere arrossito di colpo, lentamente si tirò su a sedere, facendo in modo da non sciogliere la stretta delle loro mani. Quando, dopo un po' di secondi, Hermione si ritrovò seduta al suo fianco, Ron ripensò a quando, qualche ora prima, lei gli era corsa incontro. Pensò all'incredibile sensazione di sicurezza e sollievo che gli aveva infuso l'abbraccio di Hermione. Al fatto che avrebbe voluto essere abbracciato da lei ancora e ancora. Non poté proprio evitare di pensare a quanto avesse avuto paura durante la fuga dai Mangiamorte. Gli sembrò di essere tornato a respirare solo nel momento in cui si era accertato che lei stesse bene... che fosse viva e che lo stesse aspettando.
Ma ora toccava a lui. Senza rifletterci molto, liberò la propria mano dalla stretta, allungò il braccio per cingere la spalla di Hermione, per poi stringerla dolcemente, senza però attirarla a sé. Le sue orecchie non avrebbero potuto essere più rosse di così, e fu sollevato dal fatto che Hermione tenesse il cappuccio della felpa tirato su e la testa appena poggiata sulla sua spalla, cosicché non potesse vedere il suo viso in fiamme. Rimasero in silenzio per parecchi minuti, poi Ron fu colto da un pensiero: si chiese se in quel momento Hermione si sentisse meno sola. Voleva tanto riuscire a tranquillizzarla, si rese conto di non aver fatto molto e di avere ancora timore di osare con lei. Però pensò che, forse, dopo aver condiviso con lui un piccolo pezzo della sua infanzia avrebbe potuto sentirsi un po' più allegra. Forse Hermione si sentiva un po' meno sola. 
«È una bella storia» sussurrò ad un certo punto Ron. Hermione non rispose subito, e prima di farlo, fece un sospiro.
«Sai, ho portato il libro con me» mormorò. «Lo so... lo so, è stata un'idea stupida!» si affrettò ad aggiungere. «Con tutto quello che ho ficcato in quella borsa, con tutte le cose importanti e necessarie, con tutti quei libri che ci serviranno per davvero... ma, vedi, tra tutti quei libroni che parlano di Magia Oscura, di Horcrux, volevo... volevo qualcosa di veramente mio! Qualcosa che mi ricordasse... oh, che cosa stupida...» ripeté scuotendo il capo. Si spostò di poco, in modo da avvicinarsi maggiormente a lui, per appoggiare il capo al suo petto. Ron si chiese se avvertisse il battito impazzito del suo cuore.
«Non è stupido» sussurrò poi, sorridendo al pensiero che entrambi, scioccamente, trovassero stupide le proprie piccole emozioni. «E poi, non vorrai mica impazzire a leggere tutta quella roba oscura? Va bene così, Hermione»
«Vorrei solo che lei lo ricordasse... che ricordasse a chi raccontava questa storia... ed è stupido quanto impossibile, la verità è che io non sono davvero più nessuno per loro...» disse sottovoce, con la testa immobile sul suo petto. Lui sfregò la sua mano lungo il braccio di lei.
«Lei... lei se lo ricorda... perché... perché lo sa. Lo sa, nel suo profondo» balbettò Ron, arrossendo. «Ci sono quelle cose che... che neanche gli incantesimi possono cancellare... cose che si sanno e basta...» bisbigliò infine. 
Lei tacque, Ron non poté vedere la sua espressione ma, dopo un po', poté giurare di sentirla più rilassata, mentre lui la stringeva dolcemente a sé. Ancora una volta, quella sera, lasciarono che il silenzio e la bellezza di quel cielo stellato parlassero per loro. Ron pensò che, nonostante l'imbarazzo, i battiti incontrollati e il rossore, si sarebbe presto abituato al calore di Hermione, a quella voglia di sentirla vicino. Ed era una delle sensazioni più belle che avesse mai provato.
Dopo un tempo che parve infinito, senza parlare, Hermione si liberò delicatamente dal suo abbraccio. Ron ebbe il tempo di un secondo per guardare i suoi occhi finalmente sereni, prima di avvertire le sue labbra poggiarsi delicatamente sulla sua guancia calda. Le sue orecchie divennero scarlatte all'istante, e quando Hermione si staccò da lui e gli sorrise timidamente, rossa in volto, Ron credette che il cuore gli avrebbe sfondato la cassa toracica. Poi lei si alzò in piedi e gli offrì la mano che lui afferrò.
Ron, nel silenzio della sua stanza, sorrise e pensò che sarebbe stata proprio lei la rosa da cui lui sarebbe sempre tornato.

 

****


Un rumore proveniente da molto lontano, ma che arrivò ai due ragazzi come amplificato, li ridestò all'istante dai loro pensieri. Ron, tornato bruscamente alla realtà, non seppe dire quanto tempo avessero passato stesi sul terreno, in completo silenzio.
Sbuffò stancamente ed incrociò entrambe le mani dietro il capo e non badò alle foglioline e ai fili d'erba che si insinuavano tra i capelli. Si sentiva così stanco e abbattuto in quel momento, che se si fossero presentati dei Mangiamorte, forse non si sarebbe nemmeno preso la briga di fuggire, non ne avrebbe avuto la forza. Tenendo lo sguardo fisso su quei puntini luminosi che brillavano nel cielo scuro, si rese conto che non riusciva a sentirsi allegro come quando li guardava da casa sua. Ma si cambia, pensò, le circostanze ti cambiano. Eppure non voleva che fosse così. Gli venne un'idea, un'idea dettata dal forte bisogno di sentirsi a casa. Quel cielo meraviglioso, Hermione stesa lì, al suo fianco... ancora una volta a fargli compagnia. Ancora una volta presente per lui, che non riusciva proprio a capire come la vita potesse tornare ad essere bella, come lui potesse tornare a provare belle sensazioni.
«Mi racconti di nuovo la storia del piccolo principe?» bisbigliò all'aria. Per un lungo istante nessuno dei due parlò né si guardò. Poi Ron, con la coda dell'occhio, la vide tirarsi su e aprire la piccola borsa di perline che teneva sempre con sé.
«Ho qualcosa di meglio del mio racconto» disse prendendo la bacchetta, e con un incantesimo di appello, fece in modo che un libro le giungesse tra le mani.
«Tieni» disse porgendogli il libro de Il piccolo principe, senza però guardare Ron direttamente. «Puoi leggerlo tu»
Ron fissò la copertina per qualche secondo, poi guardò Hermione.
«Vorrei che me lo leggessi tu, se... se ti va...» disse sottovoce. 
Hermione aveva i capelli in parte nascosti nel cappuccio, il volto cinereo e smagrito, occhiaie le contornavano gli occhi spenti e aveva un'espressione triste e stremata. Adesso Ron la stava osservando davvero per la prima volta quella sera e si rese conto di essere sopraffatto da un incontenibile voglia di abbracciarla. Voleva farle avvertire un po' di calore. Lui stesso sentiva il bisogno di avvertire il suo calore. Deglutì, ma non mosse un solo muscolo. La sua mente, il suo corpo, erano sfiniti da tutto quell'alternarsi di emozioni contrastanti, si limitò a fissarla ancora. Sentì un nodo alla gola, una gran voglia di piangere.
Hermione accennò un piccolo sorriso prima di distogliere lo sguardo e cominciare a sfogliare con lentezza le prime pagine e, senza dire altro, cominciò la lettura.
Ron, ancora disteso, con le mani incrociate dietro la nuca, chiuse gli occhi, si sforzò per lasciarsi andare all'immaginazione, voleva con tutto se stesso che la voce di Hermione lo rassicurasse, come aveva sempre fatto. Ma non ci riuscì. Erano giorni, settimane, mesi che non provava sensazioni di pace e spensieratezza. E non appena sollevò le palpebre, la realtà lo colpì in piena faccia, per l'ennesima volta. No, proprio non ce la faceva.
Un senso di oppressione lo pervase, e senza darsi del tempo in più per riflettere, interruppe la voce di Hermione.
«Perché torni sempre da me?» chiese a voce bassa, evitando accuratamente di guardarla. «Perché mi... mi segui sempre nonostante io dica quelle cose? Nonostante io sia... così»
Hermione, seduta, lo scrutava dall'alto. Lui non la stava guardando, ma lo sapeva, poteva avvertire il suo sguardo comprensivo e preoccupato, quasi come se gli stesse implorando di voltarsi verso di lei. Sentì il libro chiudersi di colpo e Hermione sospirare.
«Forse per lo stesso motivo che spinge  il piccolo principe a tornare dalla sua rosa» sussurrò Hermione, a voce così bassa che, per un attimo, gli parve di averlo solo immaginato. Portò per un momento lo sguardo su di lei, che aveva i gomiti poggiati sulle ginocchia incrociate, mentre era concentrata su un filo d'erba. Anche Ron si tirò su a sedere.
«Puoi dirmi cos'è che sogni, Ron» disse ad un certo punto Hermione, con un filo voce. «Puoi... puoi dirmi cosa vedi quando lo indossi...»
Ron abbassò lo sguardo di colpo e, come un proiettile, la paura lo trafisse. Riaffiorarono alla mente, ancora una volta, le ultime immagini che aveva visto quella notte. Le immagini che vedeva così spesso. Ma lui aveva già trovato la soluzione: isolarsi. Non voleva che Hermione sapesse. Cosa avrebbe pensato di lui? Un Grifondoro di diciassette anni che non è nemmeno in grado di controllare le proprie emozioni, di dargli un freno... così vulnerabile ed incapace.
Era un bersaglio così facile per quell'Horcrux a cui dava l'agio di leggergli dentro, nell'inconscio, e quasi poteva sentire la sua risata malefica prendersi gioco del suo essere, delle sue stupide paure e dei suoi timori. Quell'oggetto aveva il controllo totale su di lui. E lui non riusciva ad impedirglielo, non era abbastanza forte. E odiava sentirlo, odiava avvertire quella sensazione di gelo che quasi gli bloccava il petto, che gli faceva venire voglia di urlare, di vomitare... di andarsene via.
Ma se gliel'avesse detto, Hermione cosa avrebbe pensato di lui? Un Grifondoro di diciassette anni che sente la mancanza della madre che, al suo ritorno - se mai un giorno fosse tornato a casa - molto probabilmente l'avrebbe odiato per esser scappato via, per aver abbandonato la sua famiglia. Dopotutto, lui era soltanto il sesto di sette fratelli.
E di quella stupida gelosia? Cosa avrebbe pensato Hermione della sua stupida gelosia nei confronti di Harry? Cosa avrebbe detto se lui le avesse confessato che nei suoi incubi peggiori lei, Hermione, baciava Harry, sceglieva Harry? Si sentiva tremendamente stupido.
E incapace. Debole. Sfinito.
Non poteva farcela.
Scosse il capo con decisione, puntando lo sguardo a terra e, tutt'a un tratto, sentì una gran voglia di sprofondare, di restare solo. E di piangere. 
Senza rendersene conto, strinse con forza il proprio ginocchio e, un attimo dopo, avvertì le dite di Hermione sfiorargli delicatamente il dorso della mano.
«Ti prego...»
Il suo flebile sussurro lo atterrì. Una morsa allo stomaco e poi un bruciore, come un solletico, agli angoli interni degli occhi.
«Non posso...» biascicò lui, con voce leggermente tremante. «Io... io non voglio... e tu non devi tornare sempre... non devi... non per forza...»
Hermione cominciò ad accarezzargli lentamente il dorso della mano che tremava leggermente e, ad ogni tocco, Ron sentiva un formicolio allo stomaco e le lacrime, che ancora lottavano per uscire, bruciargli gli occhi. Poi, senza che Hermione parve averlo premeditato, d'impulso, si mise in ginocchio e buttò le braccia al collo di Ron. Lo strinse forte, così forte da fargli mancare il fiato. Eppure era così dolce, la stretta di Hermione, quasi come se volesse cullarlo, come se volesse, con tutta se stessa, far sì che si sentisse al sicuro. Ed era proprio così che si sentiva in quell'esatto momento.
Possibile che fosse lui ad aver bisogno di sentirsi protetto? L'aveva vista, Hermione, un attimo prima, e l'aveva trovata così indifesa... E lui non aveva fatto nulla, non l'aveva nemmeno abbracciata. Non l'aveva protetta. Non credeva di aver mai provato nulla di peggiore nella propria vita, questo senso di impotenza, di inutilità, di debolezza mentale e fisica. Così incapace.
Un singhiozzo. Un singhiozzo eruppe dalla gola di Hermione, e fu in quel momento che anche lui cedette, strinse gli occhi e cominciò a piangere in silenzio. Era la prima volta che piangeva da quando era cominciata quella pericolosa avventura. Per quanto Ron ricordasse, non vi era stato giorno in cui non avesse sperato che tutto finisse. Non vi era stato giorno in cui non  avesse creduto che fosse inutile sperare, che loro si sarebbero persi per sempre. Ma mai aveva ceduto alle lacrime. Per qualche stupida ragione, si era imposto che non avrebbe pianto, mai.
Ma quella sera, lacrime calde e silenziose, gli bagnavano le guance fredde. Mantenne gli occhi serrati mentre posava una mano sulla schiena di Hermione, che di tanto in tanto sentiva sussultare per i singhiozzi. Cominciò ad accarezzarla dolcemente, fregandosene di quei gesti impacciati, concentrandosi sulla vicinanza di Hermione, così stretta a lui, tanto che poteva avvertire il tremore del suo corpo. Si concentrò sul dolore di entrambi, sulla paura, sullo sconforto. Si concentrò sul calore che gli trasmetteva e che avrebbe tanto voluto riuscire a trasmetterle anche lui. Avrebbe voluto che il tempo cominciasse a scorrere con estrema lentezza... o che si fermasse... per sempre. Avrebbe voluto che il mondo intero si fermasse. Avrebbe tanto voluto che li lasciasse in pace.
Quando si separarono, Hermione si asciugò subito gli occhi con i polsini della felpa, mentre Ron si strofinava con vigore gli occhi rossi e le guance ancora bagnate, e lasciava che un forte senso di solitudine lo pervadesse.
Osservò Hermione per un po', aveva smesso di piangere, cominciando a respirare ed inspirare lentamente. Lui era come pietrificato, la gola arida... non riusciva a muoversi, a parlare. Una parte di lui avrebbe voluto starsene lì a guardarla, in silenzio. Desiderava abbracciarla per l'intera notte. L'altra parte di lui avrebbe voluto sparire, non avrebbe voluto più farsi vedere da lei. In qualche modo, sapeva di essere la causa del suo pianto... per l'ennesima volta nella sua breve vita. Nonostante ciò, non riuscì a staccarle gli occhi di dosso, e quando Hermione, con un ultimo, profondo respiro riuscì a calmarsi, i loro occhi finalmente si incontrarono. E fu un dolce scontro, che mozzò il fiato in gola ad entrambi. Non fecero che guardarsi per diversi lunghi istanti, con una tale intensità che Ron non ricordò di aver mai provato prima d'ora. Poteva ancora provare forti sensazioni. E voleva provarle con lei.
La voce sommessa di Ron ruppe dolcemente il silenzio.
«Ti va... ti va di continuare a leggermi la storia? Qualche altra volta magari...»
Hermione continuò a scrutarlo attentamente negli occhi, come a voler cogliere ogni sfumatura di quelle intense emozioni che lo tormentavano.
«Tutte... tutte le volte che vorrai» bisbigliò. La sua voce apparve dolce e sicura al tempo stesso. Ron sentì un piccolo brivido.
«Devi... devi dirmi quando... altrimenti non saprò mai a che ora vestirmi il cuore...» (***) le sussurrò, guardandola negli occhi. E poté giurare di vedere in quegli stessi occhi, lacrime di commozione, prima che lei annuisse e gli sorridesse fievolmente. Inaspettatamente, Ron le sfiorò appena una guancia con le dita, senza smettere di fissarla negli occhi. Gli occhi di Hermione erano tristi, sembrava che gli implorassero di parlarle. Ma nonostante quella visione gli facesse male, Ron sperò con tutto se stesso che Hermione smettesse di guardarlo in quel modo, che smettesse di chiedergli in che maniera lo torturasse l'Horcrux. Non poteva davvero aprirsi con lei, non poteva raccontarle niente di quello che gli mostrava il medaglione. Si vergognava, aveva paura del suo giudizio, di risultare ridicolo. Non poteva, non voleva.
Hermione abbassò lo sguardo, era visibilmente affranta, e questo, se possibile, scoraggiò e angosciò Ron ancor di più, che rimase immobile a fissarla. La vide alzarsi e recuperare l'Horcrux ai suoi piedi.
«Sei sicuro di non volerlo lasciare a me?» chiese, stringendo la lunga catenina tra le dita e voltandosi verso di lui. «Potrei...»
Ron scosse il capo con decisione. Per nessuna ragione avrebbe lasciato che Hermione lo indossasse al posto suo, per molto più tempo. Allungò subito una mano verso l'Horcrux. Ma Hermione non glielo consegnò, si avvicinò di un passo, cercò i suoi occhi spenti che subito trovò, e senza interrompere quel contatto visivo, infilò lentamente la catenina al collo di Ron. 
Rabbrividì quando percepì le dita di Hermione sfiorargli la pelle del collo. La mano destra della ragazza scivolò lenta fino al punto in cui batteva il cuore di Ron. Vi esitò per alcuni istanti, senza distogliere gli occhi dai suoi. Un ultimo scambio di sguardi, poi Hermione allontanò la mano dal suo petto e, sospirando debolmente, si voltò. Ron la guardò andar via, vide la sua figura sparire nel buio della notte e lui rimase solo, proprio come spesso gli capitava di desiderare da tempo, ormai.





(*) 
«Addio,» disse la volpe. «Ecco il mio segreto. E' molto semplice: non si vede bene che con il cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi»
(Il piccolo principe, pag 101, capitolo XXI)
(**) 
«È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante» (Il piccolo principe, pag 102, capitolo XXI)
(***) 
«Se per esempio tu vieni alle quattro del pomeriggio, già dalle tre io comincerò a essere felice. [...] Alle quattro mi agiterò e mi preoccuperò; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni in qualunque momento, io non saprò mai a che ora vestirmi il cuore... C'è bisogno di riti» (Il piccolo principe, pag 100, capitolo XXI)




Angolo dell'autrice


Salve, salvino maghi e streghe. Ecco, in ritardo - ma davvero? -, il terzo capitolo di questa triste raccolta o come vogliamo definirla. Volevo dirvi che non sono fissata con Il piccolo principe, è solo un'impressione. Mi ha solo ispirata tantissimo (ma non si vede mica!) ed è uno dei libri della mia vita, nient'altro. u.u Tengo molto a questo capitolo, mi ha preso tantissimo durante la scrittura... e mi ha lasciato un senso di vuoto e tristezza che non saprei nemmeno spiegare. Vorrei tanto sapere cos'ha lasciato a voi, invece... se sono riuscita, in effetti, a lasciarvi qualcosina. D: Il prossimo capitolo sarà l'ultimo, lo definirei sicuramente più leggero di questo, anche se... sì, insomma, persiste quel dolore nell'animo che... aiuto. cwc Spoiler-ino-ino: la scena descritta non è presente nel libro, ma nel penultimo film. E' stata spudoratamente tagliata, perché Yates è un babbano che shippa Harmony, ma a noi non importa niente di lui. u.u 
Grazie di cuore, ancora e ancora, a Greta, Veronica e Francesca che non solo stanno seguendo le tristi vicende di Ron e Hermione (T_T) maaa utilizzano il loro prezioso tempo per scrivermi recensioni che... niente, muoio ogni volta. Sinceramente grazie anche a chi mi fa sapere cosa pensa di questa storia su Twitter. Il vostro entusiasmo mi commuove, giuro. Grazie, come sempre, a quei lettori silenziosi che dimostrano il loro interesse per la storia inserendola tra le preferite/seguite. 
Al prossimo capitolo! *w*

Peace, love and Romione
Jess

 

   
 
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