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Autore: Chanel483    21/06/2015    2 recensioni
Sono passati pochi mesi dalla morte di Allison, Lydia e Stiles si sono lentamente allontanati, fino a diventare quasi degli sconosciuti. La situazione non va bene a nessuno dei due ma, per orgoglio o paura della reazione altrui, nessuno fa il primo passo. Inaspettatamente, sarà una festa di Halloween a rimettere tutto a posto.
Estratto dal primo capitolo:
"Ho l'impressione che Stiles ti stia guardando."
"Lo so."
"Solitamente non si balla con una ragazza e nel frattempo se ne guarda un'altra."
"Lo so."
"Sai che basterebbe una tua sola parola per far tornare tutto come prima, vero?"
Per un istante mi domando da quando Scott McCall sia diventato un così bravo osservatore, ma è una domanda fugace, che subito viene inglobato nel turbinio di pensieri che ho in mente:"Lo so."
"E allora cosa ci fai ancora qui? Perché lasci che balli con Malia mentre voi due neanche vi parlate da giorni?"
"Perché mi sembrava magnanimo, da parte mia, dare alla ragazza-coyote un piccolo vantaggio e io sono una persona molto magnanima, McCall."
La fanfiction è assolutamente una Stydia ma contiene qualche accenno Stalia, è ambientata dopo la terza stagione e non tiene conto degli avvenimenti della quarta.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lydia Martin, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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No, non è Natale. Sì, sono ancora viva.
Non so davvero come scusarmi per il mio immenso ritardo. Ho l'irrefrenabile tentazione di mettermi a scrivere un immenso papiro su ciò che mi è successo in questi mesi e mi ha tenuta lontano dal pc, ma uscirebbe una cosa 
davvero lunghissima e vi annoierei e basta. Sappiate che sono davvero dispiaciuta per avervi fatto attendere così tanto, questo capitolo è stato un po' un parto, l'ho scritto e riscritto almeno duecento volte e non sono ancora del tutto soddisfatta, ma ovviamente non potevo farvi aspettare ancora.
E niente, la smetto di stressarvi e ci vediamo alla fine del capitolo.



Lydia
Il giorno del funerale di Allison è stato senza dubbio uno dei più brutti della mia vita.
È avvenuto tre, forse quattro giorni dopo la sua morte, non lo so con esattezza, non stavo esattamente tenendo il conto.
Tutto ciò che ricordo è che ho passato i giorni che lo hanno preceduto distesa sul mio letto, con indosso un pigiama pesante, di pile, che giaceva nel fondo del mio armadio chissà da quanto tempo. Non ho parlato con nessuno, non ho fatto nulla, né mangiato né niente, non mi sono nemmeno lavata. Me ne sono semplicemente rimasta lì, sospesa in quel limbo tra il sonno e la veglia, le mani tremanti e le gote costantemente umide.
Poi mia madre è entrata nella stanza, era forse la sera del terzo giorno, e mi ha detto che il signor Argent aveva chiamato per avvisare che il funerale si sarebbe tenuto il giorno successivo, nel cimitero di Beacon Hills. Non avevo mai guardato il telefono da quando ero arrivata a casa, probabilmente giaceva ancora nella mia borsa, ormai scarico, non volevo nemmeno pensare a quante volte i miei amici avevano provato a contattarmi inutilmente.
Devo aver annuito o fatto un cenno con la mano, perché mia madre si è chiusa la porta alle spalle senza aggiungere una parola, permettendomi di affondare nuovamente nel mio limbo personale.
Con le tapparelle calate, il silenzio più totale a circondarmi e le coperte sollevate fin sopra la testa, era facile fare finta che non fosse successo nulla, convincermi che si trattasse di una notte qualunque e che di lì a poche ore mi sarei alzata per andare a scuola e che tutto si sarebbe svolto nella più totale normalità, che a lezione avrei incontrato Allison e che Aiden mi avrebbe aspettato per pranzare insieme, che sarebbero stati ancora vivi, che mi avrebbero sorriso.
Però così non era stato.
Il giorno dopo, doveva essere appena passata l’ora di pranzo, raccogliendo ogni briciola nascosta della mia forza di volontà, mi ero trascinata fuori dal letto e sotto la doccia. Mi ero lavata con cura, lasciando che l’acqua corrente portasse via le lacrime ed il dolore, giù nello scarico insieme allo sporco. Poi, una volta asciugata, avevo indossato un abito nero, lungo fino al ginocchio e con le maniche a tre quarti – ad Allison piaceva tanto quell’abitino, se non fosse stata di almeno quindici centimetri più alta di me glielo avrei prestato volentieri qualche volta – ed un paio di stivaletti bassi, scuri anche quelli, avevo legato i capelli in un chignon e mi ero truccata appena.
Gli altri erano venuti a prendermi. Nessuno mi aveva avvisata ma quando avevano suonato il campanello, io mi stavo giusto dando l’ultima passata di rossetto, quella sincronia mi aveva quasi fatta sorridere, quasi.
Ci eravamo stretti nella Jeep di Stiles, quella stessa che tante volte avevo criticato ma a cui ormai ero terribilmente affezionata e, senza una sola parola, avevamo raggiunto il cimitero. Kira non aveva smesso un attimo di singhiozzare, mentre Scott aveva l’aria di uno che è appena stato preso a cazzotti, aveva finito anche le lacrime.
Ed era stato lì, mentre prendevamo posto sulle sedie davanti a quella nuova lapide di marmo bianco, che Stiles mi aveva preso la mano e per un istante, un solo labile secondo, avevo pensato che tutto in un modo o nell’altro si sarebbe sistemato.
E allora avevo pianto, stretta tra le sue braccia, con la testa sulla sua spalla ed il viso premuto appena sotto il suo collo. E lui mi aveva stretta e mi aveva accarezzato i capelli, in silenzio, senza rassicurazioni inutili e promesse che nessuno di noi avrebbe saputo mantenere. Mi aveva semplicemente cullata, come si fa con i bambini per farli tranquillizzare.
Non so bene perché ci stia pensando adesso. Ad Allison ovviamente penso sempre, ogni giorno, costantemente, ma il ricordo del suo funerale è qualcosa che cerco di evitare, di tenere rilegato in un angolo della mia mente. Eppure è proprio questo che ho in mente, mentre con sguardo fisso e passo sicuro mi avvicino sempre di più a Stiles che ormai sembra quasi essersi dimenticato della presenza di Malia al suo fianco.
So che se fosse ancora qui, Allison se ne starebbe a bordo pista, magari abbracciata a Scott, a fare il tifo per me. Perché lei non lo diceva mai, ma in fondo sapevamo entrambe che era sempre stata dalla parte di Stiles e non si era mai neanche troppo impegnata per nasconderlo. E poi le piaceva quando mi facevo valere e questo è esattamente ciò che sto per fare.
Avanti Lydia, fuori le palle. Va a riprenderti ciò che è tuo.
Sono arrivata a destinazione, mi trovo a due, forse tre metri di distanza da Stiles e sono certa che lui riesca a vedermi benissimo. Il fumo e le luci psichedeliche hanno un effetto strano sulla gente attorno a me, sembra che si muovano a scatti e i loro volti sono in penombra, non riesco a vedere le loro espressioni né capire se stanno effettivamente ballando o se si dimenano e basta. Poco importa, il mio sguardo è fisso su Stiles e lui è così immobile che per un istante mi domando se stia bene.
Ok Lydia, è il tuo momento.
Sospiro ed inizio a ballare. Ballo come ho ballato altre mille volte nella mia vita, agito i capelli e muovo i fianchi, in modo sensuale certo, ma non volgare. Sono tutti movimenti che ho già fatto così tante volte e mi vengono così naturali che potrei farli ad occhi chiusi. Ma ora c’è qualcosa di nuovo, ci sono gli occhi di Stiles che non mi lasciano un secondo. E io continuo a muovermi, guardandolo senza pudore. Perché voglio che capisca, che si renda conto che io sono qui e nulla è perduto, gli basterebbe allungare una mano per raggiungermi.
Eppure lui non lo fa. Si limita a restarsene lì, immobile, con gli occhi sgranati e le labbra appena dischiuse, a guardarmi quasi come se fossi una visione, o un fantasma. Se da un lato mi fa tenerezza, dall’altro sono tentata di dargli una botta in testa e dirgli di darsi una mossa perché questo è uno di quei momenti da “ora o mai più”.
Inizio ad innervosirmi, è ormai ovvio che le opzioni siano due: o non è più interessato a me, o non ha il coraggio di farsi avanti. In ogni caso sarebbe meglio che si decidesse a spiegarmi le cose per come stanno perché inizio davvero a perdere la pazienza, inizio a sentirmi a disagio ed io odio sentirmi a disagio.
Sono davvero sul punto di mollare tutto, voltargli le spalle e tornare a casa dandogli dell’idiota, quando succede qualcosa di strano.
La musica inizia ad assumere un suono diverso, i bassi che fino a pochi istanti fa battevano con forza contro i miei timpani si attenuano fino a scomparire, così come la voce acuta del cantante. È un cambiamento rapido ma graduale, che per qualche secondo mi spiazza. Per un istante rimane solo qualche nota spaiata di strumenti differenti, dopo sento un ronzio, un po’ come il suono che fa una radio quando non riesce a sintonizzarsi. Il tutto dura appena pochi secondi e poi il mondo si sbriciola sotto i miei piedi.
Perché il suono che ora esce dalle casse e riempie il locale, non ha nulla a che fare con la musica di poco prima né con il ronzio sordo. Ovunque, da ogni punto, attorno a me, sento la risata di Allison. Arriva alle mie orecchie forte e chiara e mi circonda. È sopra sotto ed intorno a me. Ed è inconfondibile, perché io la sua voce la riconoscerei tra mille.
Istintivamente mi rannicchio e porto le mani alle orecchie, tenendo quel suono allo stesso tempo meraviglioso e terribile lontano da me. Ma adesso la risata non pare più provenire da fuori, sembra nascere da qualche parte nel mio cervello e nemmeno tappandomi i timpani riesco a diminuirne minimamente il volume.
Un urlo nasce nella mia gola ma non ha nulla a che fare con la predizione di morte della banshee che è in me, è solo paura e voglia di piangere. Così lo ricaccio indietro e mi metto a correre. Non mi importa dove, voglio solo andarmene lontano, il più lontano possibile da questo posto.

 
Stiles
Le donne non le ho mai capite, ma mi piacerebbe riuscirci, Dio solo sa quanto mi piacerebbe. Per quanto mi ci impegni però finisco sempre per fraintendere, per confondermi. Mia madre, l’unica donna che io sia mai riuscito, anche solo in minima parte, a comprendere, spesso mi diceva che tutto ciò che serve ad un uomo per capire una donna è un po’ di amore. Ma questa è una cosa che non ho mai capito a fondo, perché sono certo, quanto lo sono del fatto che il mio cognome sia Stilinski, di aver amato Lydia sin dal primo giorno di terza elementare quando lei, che sedeva nel banco davanti al mio, si è voltata per chiedermi un pastello rosso – rosso, come i fili per le cose che non capisco – eppure lei per me era e continua ad essere un completo mistero.
Mi sono vantato più di una volta – sia con lei che con Scott – di essere l’unico in grado di vederla veramente per quella che è, l’unico a capire davvero cosa si nasconde dietro agli abiti firmati e l’ostentata aria di superiorità. È evidente però che questo non basti minimamente per comprendere a pieno ciò che dice o fa. Lydia è sempre stata in grado, nel bene o nel male, di sorprendermi. Un suo gesto è in grado di lasciarmi a bocca aperta ed una sua semplice parola di togliermi il fiato.
Ed è per questi motivi che quando la vedo muoversi a pochi metri da me, sinuosa e sensuale come mai, perfettamente sincronizzata con la musica ritmata che mi picchia nelle orecchie, vorrei riuscire a fare o dire qualcosa – magari qualcosa di intelligente – ma rimango immobile, stampata in viso l’espressione da stoccafisso migliore di sempre.
Vorrei riuscire a parlare, a fare una battuta brillante, a muovermi per lo meno. Invece sono in grado a malapena di ricordarmi di come si fa a respirare, anche se il mio cervello pare non essere troppo sicuro di come compiere questa azione solo tecnicamente volontaria.
Lydia è troppo bella per essere vera e questo l’ho sempre saputo. Più di una volta, nel corso di questi anni passati a contatto con lei, mi sono ritrovato costretto a distogliere lo sguardo, quasi avessi paura che se l’avessi fissata troppo intensamente lei sarebbe scomparsa, per tornare a far parte del sogno dal quale certamente proviene.
Ed è proprio un sogno ciò che sembra questo momento insieme eterno e troppo breve, in cui smetto di domandarmi le ragioni – che in ogni caso non riuscirei a comprendere – di quel suo tanto inaspettato comportamento e mi limito a guardarla. Il fantasma di Malia dimenticato da qualche parte, in un anfratto buio e lontano della mia mente.
Decine sono le parole che sento sulla punta della lingua, mi ronzano in bocca come uno sciame di vespe impazzite ma nessuna trova la strada per trasformarsi in suono e dalle mie labbra secche e socchiuse non esce il benché minimo fiato.
Avanti Stiles, fa qualcosa! Qualsiasi cosa!
Prima che io riesca a muovere anche un solo passo però, qualcosa muta irrimediabilmente. Dapprima si tratta solo di un cambiamento impercettibile, una luce diversa negli occhi di Lydia che in rarissime occasioni mi è capitato di scorgere. Poi questi si fanno vuoti e profondi quanto pozzi senza fine, sono gli occhi di un animale braccato, sono la paura.
Scatto in avanti un istante prima che Lydia si metta ad urlare. Mi aspetto di vedere i muri vibrare, l’impianto stereo saltare in aria e tutti quanti crollare a terra, cercando disperatamente di tapparsi le orecchie, ma non succede nulla di tutto ciò. La realtà è che l’urlo di Lydia è quanto di più umano possa esserci e viene inghiottito dalla musica alta e le luci psichedeliche. Nulla trema, nulla esplode, il mondo attorno a noi continua ad andare avanti come se non fosse successo niente. Un istante dopo è come se non fosse mai accaduto.
Nessuno pare essersi accorto di nulla, nessuno tranne me. Nemmeno quando Lydia mi dà le spalle e si fa largo a spintoni tra la folla, tentando disperatamente di scappare, come farebbe un topolino in trappola.
E questa volta non ho bisogno di mandare ordini alle mie gambe per muovere il primo passo e nemmeno il secondo. Senza pensarci, mi getto tra quell’intreccio di corpi, inseguendola. Nulla mi potrebbe fermare, nemmeno la voce di Malia attutita dalla musica che chiama più volte il mio nome.
L’aria all’esterno del locale mi colpisce con la forza di uno schiaffo, mentre le porte si chiudono sbattendo rumorosamente alle mie spalle. Strofino le mani tra loro, cercando di richiamare un po’ di calore, e mi bastano appena una manciata di passi per stanare Lydia. È abbandonata contro la parete liscia del locale, a pochi metri di distanza dall’entrata. Non sta nemmeno provando a nascondersi, incurante del gruppetto di ragazzi che fuma a pochi passi da noi e della coppia intenta a mangiarsi la faccia nella macchina parcheggiata poco distante.
Mi sarei aspettato di trovarla rannicchiata e tremante, la testa nascosta tra le ginocchia e le braccia strette tra loro. Invece è immobile. Le gambe chiare dalla linea sinuosa sono abbandonate sull’asfalto davanti a lei, una scarpa dal tacco alto le si è anche sfilata ed ora giace a pochi centimetri dal suo piede nudo. Anche le braccia ricadono mollemente sulla strada, in una posizione strana e innaturale che, complice l’abito che indossa, la fa somigliare in modo inquietante ad una bambola di pezza, abbandonata in un angolo buio. Ma è solo una volta avvicinatomi che mi rendo conto di quale sia il particolare spaventoso: i suoi occhi. Sembrano un buco nero, la pupilla talmente dilatata da aver inglobato le sue iridi smeraldine, appaiono così sproporzionati sul suo volto esangue dai tratti delicati, da sembrare intenzionati ad inghiottirlo. Sono vuoti, fissano il vuoto e non vedono nulla.
In meno di un istante le sono accanto. Il cemento è ruvido sotto le mie gambe ma non me ne curo, mi inginocchio al suo fianco e, con dita appena tremanti, le sfioro una spalla. La sua testa scatta improvvisamente verso di me e quando il mio sguardo incontra il suo, mi sento come se mi stesse risucchiando. Vedo solo il nero delle sue pupille e le ciglia truccate, dalle quali colano due linee nette e grigiastre, che le fendono le guance come cicatrici.
In quella visione c’è troppo, troppo nero, troppo bianco, troppe lacrime.
E tutto ciò che desidero è distogliere lo sguardo ma non lo faccio.
Una parte del mio cervello registra che le sue labbra, rosse come una macchia di sangue su quella pelle troppo pallida, sono appena dischiuse, come a voler pronunciare le ultime note mute del suo grido.
“Lydia” sussurro piano, così piano che quasi la mia voce non riesce a sovrastare la musica che dal locale si riversa in strada.
Vorrei avere altre parole, parole diverse, parole migliori, parole in grado di fermare le lacrime che implacabili rotolano sulla sua bella pelle, per poi infrangersi al suolo. Eppure, per quanto mi impegni, l’unico suono che lascia le mie labbra è il suo nome, detto in un tremulo sussurro, come il più prezioso dei segreti.
Allora piano lei ruota il capo, sottraendomi dal suo sguardo folle che è insieme premio e punizione, per concentrarsi in un punto del cielo nero dove mille stelle, che noi per colpa delle luci artificiali troppo forti non possiamo vedere, stanno certamente brillando.
“Allison” la voce di Lydia è bassa e stridente, pare il verso di un animale ferito ed in fondo è quello che sembra, con quegli occhi enormi di paura fissi nel vuoto: “Lei che…” la voce le viene a mancare, le si incastra in gola, da qualche parte tra il cuore e le labbra. Solleva una mano allora, piccola e tremate, e se la avvicina piano ad una tempia.
Silenziosamente mi maledico, mentre con dita nervose batto sull’asfalto un ritmo che esiste solo nella mia testa. Vorrei aiutare Lydia, capire ciò di cui ha bisogno e darglielo, ma per quanto mi sforzi non comprendo ciò che mi sta dicendo.
Perché deve essere lei quella intelligente tra i due? Non posso esserlo io? Anche solo per questa volta…
Delicatamente, evitando movimenti bruschi, prendo la sua mano – che sembra quella di una bambina, stretta tra le mie – e gliela faccio abbassare piano, fino a poggiarla sulle mie ginocchia. La accarezzo con i pollici, compiendo movimenti lenti e circolari, cercando di imprimerle una calma che al momento non sento mia.
Sembra funzionare, perché dopo minuti interi di silenzio lei si volta ancora verso di me ed i suoi occhi, per quanto stanchi ed arrossati, sono tornati quelli di sempre, vivi e del colore dello smeraldo, come nei miei sogni più vividi. Rimaniamo in silenzio ancora qualche istante, occhi negli occhi. Questa volta non mi pesa, non sento il bisogno di riempirlo con parole di troppo o battute inopportune, mi basta starle accanto.
Quando parla di nuovo, le lacrime sulle sue guance si sono già seccate, lasciando come segno del loro passaggio solo uno sbiadito alone di trucco: “Era Allison, ho sentito la sua voce… la sua risata...”
Pensare ad Allison è così intenso e doloroso che per lo più cerco di non farlo. È morta da mesi ormai, eppure pare non essersene mai andata davvero. Lei vive nello sguardo malinconico di Lydia, nell’impercettibile esitazione che per un istante frena le dita di Scott ogni volta che sta per intrecciarle con quelle di Kira. Tutti non fanno altro che ripetere che io non c’entro nulla con la morte di Allison e la parte razionale di me sa che è così, ma fa male comunque. Fa davvero un male cane.
È per questo che sento di essere la persona meno adatta per consolare Lydia. Per questo che nelle ultime settimane non ho avuto il coraggio di avvicinarla, non davvero. Come può guardarmi negli occhi senza pensare che, anche se solo in minima parte, la morte della sua migliore amica è anche colpa mia? Lydia non mi accuserebbe mai di questo, è troppo buona per farlo, ma non può nemmeno negare a se stessa la verità.
Di colpo lascio la sua mano, come se mi fossi scottato, è mi ritrovo a fissare un punto della strada. I ragazzi che poco prima stavano fumando a qualche metro da noi se ne sono andati, lasciandosi alle spalle qualche mozzicone di sigarette ancora accese. Le punte ardenti paiono lucciole morenti abbandonate sull’asfalto.
“E ti ha detto qualcosa?” chiedo timoroso di porle la domanda, praticamente certo che sia quella sbagliata.
Ma forse non è così, perché prima di rispondere Lydia esita solo un istante: “No. Ho sentito solo la sua risata. A volta mi succede…” rimane in silenzio per un po’, esitante. Una parte di me vorrebbe dire qualcosa, ma sembra che lei stia solo cercando le parole giuste, così non lo faccio, e mi limito ad aspettare, mentre lei sfila anche l’altra scarpa dal tacco alto ed avvicina le gambe al petto. Ha un’aria stanca, come se non dormisse da giorni: “A volte penso che sarebbe più facile se potessi dimenticare tutto.”
Capisco benissimo ciò di cui sta parlando, anche se non mi piace doverlo ammettere. A volte i ricordi fanno semplicemente troppo male e sembra che l’unico modo per sopravvivere al dolore sia non pensarci, solo che non è possibile, perché per quanto ci si sforzi loro sono lì, in agguato, pronti ad insinuarsi tra i tuoi pensieri quando meno te lo aspetti. E allora dimenticare tutto sembra l’unica soluzione possibile.
Ma se anche fosse davvero possibile cancellare i ricordi, questa sarebbe solo una scorciatoia, la scelta più facile, non certo la migliore. Lydia però è troppo intelligente per non saperlo, non ha certo bisogno che sia io a dirglielo, così quello che le dico è qualcos’altro.
“Passerà.”
“Sì, e quando?”
“Quando meno te lo aspetti.” ed è proprio così, senza che tu possa rendertene conto il dolore si trasforma giorno dopo giorno, fino a farsi sopportabile, e poi di colpo ti rendi conto che non fa più così male pensarci, è triste certo, ma è qualcosa con la quale sei forte abbastanza per convivere: “E a quel punto sarai felice di avere quei ricordi, perché loro non ti lasceranno mai.”
Passa molto tempo prima che lei parli di nuovo, il che ha dell’assurdo, perché lasciare Lydia Martin senza parole non è cosa da tutti. In una circostanza diversa probabilmente me ne vanterei. La musica proveniente dall’interno del locale riempie il silenzio che c’è tra noi, mentre Lydia si fissa le punte dei piedi nudi e probabilmente ragiona sulle mie parole.
Ho quasi l’impressione di vederlo il suo brillante cervello mentre lavora freneticamente per metabolizzare ciò che le ho detto ed incasellarlo nel posto giusto. E man mano che ragiona si volta verso di me, il suo sguardo cambia e si alleggerisce di colpo, come se davvero fossi riuscito, anche solo per un attimo, a toglierle quel peso dalle spalle.
“Quand’è che sei diventato così intelligente, Stiles?”
In risposta le sorrido, facendo uno strano verso che è a metà tra uno sbuffo ed una risata. Lei non dice più nulla, ma mi afferra la mano e lascia che le nostre dita si intreccino, poggiate sulla striscia di asfalto che ci divide. Ed è immobili in questa posizione che rimaniamo per un po’, per un tempo indefinito, mentre dall’interno del locale sentiamo le canzoni cambiare, ancora e ancora.
Alla fine, non so esattamente quanto tempo sia passato, mi volto verso Lydia e la trovo intenta a fissarmi. Non so da quanto tempo mi stia guardando, quando i nostri occhi si incontrano non prova neanche a distogliere lo sguardo ed io faccio finta di nulla, anche se la scoperta mi rende felice in un modo in cui forse non dovrebbe.
“Ti va di rientrare?” le domando.
Lei scuote la testa e si passa il dorso delle mani sulle guance, con l’unico risultato di sbavare ulteriormente il trucco: “In questo stato?”
Le parole escono dalle mie labbra prima che possa fermarle: “Non sei mai stata così bella.”
Ed è in questo momento che, per la prima volta da settimane, sento la risata di Lydia e solo ascoltandola mi rendo conto di quanto effettivamente mi sia mancata. Così non dico nulla e rimango in silenzio, beandomi di quel suono, desiderando per appena un istante che non smetta mai: “Grazie.” dice infine, mentre cerca di placare gli strascichi delle risa.
Le sorrido, di un sorriso sincero e dolce, perché la sua risata non è l’unica cosa di lei ad essermi mancata: “Vuoi che ti accompagni a casa?”
Non risponde né sì né no, ma mi pone una domanda a sua volta, una domanda che in realtà non mi aspetto: “E Malia?”
È strano, ma solo adesso mi rendo conto di non aver pensato a lei un solo istante da quando sono uscito dal locale. Non so cosa questo significhi, né mi va di rifletterci troppo, adesso sono di nuovo con Lydia dopo tanto tempo e questo mi basta: “Non importa.” Mi alzo in piedi, ho le gambe un po’ irrigidite ma cerco di non farci caso, e le allungo una mano per aiutarla ad alzarsi: “Andiamo?”
Lei però non sembra ancora convinta: “E la mia macchina?”
“Ti accompagno domani a prenderla.”
Noto una strana luce nei suoi occhi: “Vuol dire che mi parlerai anche domani?”
Il suo dubbio è legittimo certo, ma mi dispiace comunque che pensi io possa abbandonarla da un momento all’altro. Anche se a ben pensarci è più o meno ciò che ho fatto quando mi sono messo con Malia… sono certo che sia senso di colpa quello che mi sta attorcigliando le budella ma non voglio pensarci, ora ho tutto il tempo del mondo per farmi perdonare da Lydia: “Certo, ed anche dopodomani. Non c'è – né ci sarà mai – giorno in cui non desideri parlarti.”
E questo pare finalmente convincerla davvero, perché mi sorride, di un sorriso meraviglioso che mi lascia imbambolato per un istante, prima di rinfilare le scarpe alte ed afferrare la mia mano per mettersi in piedi. Anche con quei tacchi disumani mi arriva appena sopra la spalla.
Quasi non mi rendo conto di stringerle ancora la mano mentre mi segue verso la Jeep, che ho posteggiato poco lontano dal locale. Quando raggiungiamo il parcheggio le apro la portiera e lei si siede al posto del passeggero – lo stesso posto che appena un paio d’ore fa ha occupato Malia – mentre io aggiro il veicolo per posizionarmi al volante.
Prima di mettere in moto sorrido a Lydia e lei subito mi ricambia. Un piacevole tepore si diffonde per le mie ossa infreddolite e una sensazione di benessere mi circonda. Mi ero quasi dimenticato di quanto sia bello averla accanto.
Solo qualche minuto dopo, quando percorriamo senza fretta le strade di Beacon Hills diretti a casa sua, mi rendo conto di cosa abbia provocato questa piacevole sensazione.
È il profumo di Lydia, mischiato a quella della mia auto, che in qualche modo... sa di casa.

 
Fine.

 
Ed eccoci giunti alla fine. Inutile dire che questa storia ha occupato molto più tempo rispetto a quello che avevo previsto, ma in generale sono abbastanza soddisfatta di ciò che ne è uscito e spero lo siate anche voi.
Grazie mille a chi ha voluto leggere, a chi ha recensito e a chi ha inserito questa storia tra preferite/seguite/ricordate e a chi vorra scrivermi il suo parere. Davvero un grazie di cuore a tutti. E per chi volesse, potete trovarmi su Facebook per chiacchierare un po' soprattutto in vista della nuova stagione di Teen Wolf.
Grazie ancora a tutti, spero a presto, un bacio
Chanel
  
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