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Autore: Ranessa    13/01/2009    3 recensioni
I babbani hanno uno strano modo di definire Praga, la chiamano città magica, ma per quanto mi sforzi non è magia ciò che percepisco camminando per le strette vie di acciottolato umido, quanto piuttosto un lieve senso di inquietudine. Ci si muove per Praga costantemente all'erta, come se si dovesse incontrare qualcosa di inaspettato dietro ogni angolo. Il Golem, forse.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Rabastan Lestrange, Rodolphus Lestrange
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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[ Capitolo 1° - Kampa]


Siamo a Praga da quasi due settimane, ormai. La città ha un aspetto sinistro, sembra una vecchia foto in bianco e nero sbiadita dal tempo. Non ci sono colori qui, tutto è scandito dal grigio plumbeo ed uniforme del cielo e dal candore accecante della neve che ricopre ogni cosa. I babbani hanno uno strano modo di definire Praga, la chiamano città magica, ma per quanto mi sforzi non è magia ciò che percepisco camminando per le strette vie di acciottolato umido, quanto piuttosto un lieve senso di inquietudine. Ci si muove per Praga costantemente all'erta, come se si dovesse incontrare qualcosa di inaspettato dietro ogni angolo. Il Golem[1], forse.
Percorro il Ponte Carlo[2] a grandi falcate, diretto alle scale che conducono alla piccola isola di Kampa. Accelero ulteriormente il passo, anche se so che Rodolphus sarà immancabilmente in ritardo, costringendomi ad attenderlo nell'aria fredda e pungente della mattina, seduto su una delle panchine della piazza. Nessuno dei numerosi turisti che affollano il ponte sembra fare caso a me, tutti troppo impegnati ad ammirare le statue e le bancarelle che ci circondano, formando piccoli capannelli che a tratti impediscono il passaggio.
«Dovresti toccarla» mi suggerisce all'orecchio mio fratello, comparendo d'improvviso alle mie spalle.
«Rodolphus! Sei in anticipo...» commento incredulo, suscitando sul suo volto un'espressione a metà tra il divertito e l'offeso.
«Perchè pensi sempre male di me, Rabastan?» domanda però con tono serissimo, spingendomi a distogliere lo sguardo per posarlo sulla statua a cui si riferiva prima.
«Perchè dovrei toccarla?»
«E' San non so cosa[3], la leggenda dice che chi tocca i pannelli dorati ai suoi piedi tornerà a Praga».
Osservo la gente che, raccolta in una fila vagamente ordinata, allunga le mani per toccare il cane dorato e il resto delle placche, con l’oro scintillante che rimane visibile unicamente dove il tocco giornaliero di centinaia di turisti lo protegge dal tempo e dalle intemperie.
«Come fai a saperlo?»
«Lo so e basta».
«Credi davvero che vorremo tornare qui, Rodolphus, dopo che avremo compiuto il nostro compito?»
Lo guardo dritto negli occhi, sperando così di poter capire se la sua risposta sarà sincera o meno. Sta per replicare quando uno dei turisti che si è appena assicurato un futuro ritorno in città lo urta involontariamente.
«Oh, pardonnez moi! »
Mio fratello abbozza un sorriso nella sua direzione e ricomincia a camminare verso la scalinata di Kampa.
«Rispondimi» gli intimo cercando di non perderlo tra la folla.
«Cammina e basta. O faremo tardi».

L'isola di Kampa non ha molto da offrire ai suoi visitatori se non la sua sconvolgente bellezza. Attraversiamo un piccolo ponte, superando alla nostra destra il Mulino del Diavolo, per ritrovarci poi nell'intricato dedalo di viuzze lastricate.
«Sai dov'è?» domando a Rodolphus, che da quando siamo giunti in città sembra essersi mosso tra i suoi vari quartieri senza apparente difficoltà.
«Piton me lo ha spiegato».
«Piton?»
«L'addetto alle missioni all'estero in nostra assenza, a quanto sembra». Rodolphus sorride beffardo nella mia direzione e alza una mano a mezz'aria, ad indicare qualcosa al di là della strada. Rouven's, recita l'insegna del negozio. La porta è piccola, ma di legno massiccio, e non ci sono vetrine.
«Il Sinister praghese, suppongo» commento scettico, attraversando la via alle spalle di mio fratello.
«O molto di più... se Severus non ha esagerato».
Al nostro ingresso nel negozio, annunciato da un fastidioso scampanellio, ci accoglie un'aria densa e carica dell'odore di sostanze e pozioni a noi sconosciute. In sottofondo, le note di un brano popolare ceco si spandono nell'ambiente ampio e cupo, suddiviso in corsie da altissimi espositori in legno spesso. A rendere l'atmosfera ancora più inquietante sono le decine di marionette che ci osservano dagli scaffali, gli occhi più realistici e vivi di quanto avrei pensato possibile. Ne siamo completamente circondati, come se, all'improvviso, gli uomini avessero smesso di popolare questo mondo, sostituiti repentinamente da questi simulacri di vita.
«Quella delle marionette è una tradizione antica e consolidata qui» mi informa Rodolphus, apparentemente meno turbato da questa realistica eppure assurda situazione di quanto non lo sia io. Oppure incline al dialogo proprio in virtù del suo maggiore turbamento.
Inizia ad avanzare lentamente tra gli innumerevoli scaffali, seguendo un percorso casuale, che nulla ha di studiato. Le marionette sono suddivise in gruppi a seconda della grandezza, del sesso, della professione e dell'era di appartenenza. Ci sono streghe, fate, principi e principesse, semplici uomini di epoche ormai passate o ancora vicine e figure che non riconosco, probabilmente riconducibili a mitologie e fiabe babbane a me estranee. Continuiamo ad inoltrarci sempre più in profondità nel negozio che sembra non dover avere mai fine, con gli occhi delle marionette che ci seguono ad ogni nostro passo muovendosi all'unisono, ed io dubito fortemente che possa essere una semplice illusione ottica dettata dall'inquietudine e dall'angoscia. «Rodolphus, dove stiamo andando? Forse ci conveniva aspettare all'ingresso» sussurro con voce strozzata, temendo stupidamente che le marionette possano anche udire le nostre voci e vergognandomi per il tono impaurito che non sono riuscito a controllare.
«Non preoccuparti, Rabastan, è soltanto una bottega, non ci si può perdere in una bottega».
«Come puoi essere così calmo? Non sappiamo nemmeno chi o cosa dobbiamo incontrare!»
«Chiunque o qualunque cosa sia» replica mio fratello, fermandosi per voltarsi a guardarmi dritto negli occhi, «di certo non potrà essere peggiore di chiunque o qualunque cosa abbiamo incontrato quotidianamente ad Azkaban negli ultimi quindici anni, non credi?»
Il suo sguardo è gelido, e il tono duro e astioso. Prima che possa replicare, alza una mano scarna ad indicare un altro corridoio di scaffali di fronte a noi, invitandomi a precederlo. Obbedisco riluttante, pronto ad andare incontro ad altri malevoli burattini ma poco propenso a voltare le spalle al mio unico fratello. Seguo mio malgrado la direzione indicata da lui e dopo una sola svolta mi ritrovo con enorme sorpresa al punto di partenza, di fronte alla porta d'ingresso, affianco ad un piccolo bancone impolverato cui prima non avevo nemmeno fatto caso.
«Come hai fatto?» domando incredulo. «Questo posto è un labirinto!»
La musica popolare si interrompe all'improvviso, come se anche il negozio stesso volesse ascoltare con la massima attenzione la sua risposta.
Rodolphus scrolla le spalle con la sua solita e detestabile aria di sufficienza.
«L'ho studiato nella mente di Severus».
«Perché siamo qui? Dubito che l'Oscuro ci abbia fatto attraversare mezza Europa unicamente per comprargli un paio di burattini...»
«Se questi fossero semplici burattini, straniero, io non saprei fare il mio mestiere. È questo che stai insinuando?»
Le parole giungono sibilanti alle nostre spalle, in un inglese perfetto, ma in un accento difficile da comprendere.
Il vecchio, la cui età apparente sembra mutare a seconda di come la fioca luce dell'ambiente lo illumina mentre avanza a piccoli passi misurati verso di noi, è particolarmente basso e indossa le vesti tipiche degli alchimisti che un tempo popolavano Praga numerosi. E che oggi ci hanno lasciato unicamente uno stretto vicolo affollato di turisti babbani vocianti intenti a sperperare il proprio denaro in stupidi souvenir della città. Ha parlato molto vicino alle nostre spalle, eppure né io né Rodolphus l'abbiamo sentito avvicinarsi, così come non udiamo alcun suono adesso, mentre guadagna il retro del piccolo bancone.
«Non stavo insinuando nulla, signore» mi ritrovo a scusarmi incerto, costretto ad avanzare di qualche passo per riuscire a scorgere la figura bassa e immobile del vecchio al di là del ripiano lucido del bancone, cercando di imprimermi nella memoria la sua fisionomia particolare, il suo volto scuro e i lunghi capelli bianchi. La sua immagine è però estremamente volatile, ho l’assurda impressione che, appena non lo avrò più di fronte ai miei occhi, mi dimenticherò completamente del suo viso, del suo corpo e della sua voce burbera.
«Il mio nome è Rouven» mi ignora lui, rivolgendo il suo sguardo vivace sul volto impassibile di Rodolphus. «E vi stavo aspettando. Sfortunatamente per voi, però, ciò che state cercando non si trova più in questa città, pur essendo ancora nel nostro Paese».
«Puoi aiutarci a trovarlo ugualmente, Rouven?» domanda mio fratello, nascondendo una mano in una delle tasche dei suoi vestiti da babbano; ed io lo conosco sufficientemente bene da sapere che adesso è nervoso e contrariato, nonostante le apparenze, e che con le dita celate dalla stoffa nera sta stringendo il suo accendino d'argento, quello attorno al quale si srotola sinuosa una lingua di serpente. L'accendino che gli ho donato io e che sembra ormai appartenere ad una vita passata, l'unico regalo che gli abbia mai fatto a cui si sia realmente affezionato.
«Naturalmente» è la risposta piccata, quasi offesa, del vecchio. «Ma avrete bisogno di una delle mie marionette».
Rouven sorride beffardo ed estrae dalle sue vesti un bastone che, se non fosse per la magia, le pieghe dell'abito non avrebbero mai potuto ospitare. Lo batte due volte a terra con decisione e ci invita con un gesto rapido e secco a dirigere il nostro sguardo verso i corridoi e gli scaffali che abbiamo esplorato prima. Una sottile linea rossa e brillante si dipana sul pavimento, scomparendo presto tra gli espositori ad indicare una via che, ne sono certo, non mi piacerà percorrere.
«Seguite la linea. E riportatemi la creatura che vi suggerirà».
«Posso fumare?» gli domanda Rodolphus, estraendo dalla tasca, insieme all'accendino, un logoro pacchetto di sigarette. Ad Azkaban, i primi giorni, pensavo a lui, e mi domandavo come potesse sopravvivere senza fumare, mio fratello Purosangue afflitto da quella squallida dipendenza babbana. Poi ho pensato che il fumo, per lui, dovesse rientrare tra le cose piacevoli della vita, le prime a scomparire dalla mente, dall'anima e dalla coscienza, crudelmente risucchiate dai Dissennatori. Non gli ho mai chiesto nulla a riguardo, ma so che ha lasciato la prigione senza avere più la sua fede nuziale, ma con l'accendino d'argento ancora saldamente in suo possesso.
«Non dove si trovano le marionette, straniero, ma puoi farlo qui, mentre tuo fratello recupera l'oggetto che tanto vi serve».
Mi volto verso Rodolphus con uno scatto repentino, sperando che non abbia realmente intenzione di abbandonarmi a vagare da solo per i meandri di questa bottega, surreale persino agli occhi di un mago. Non provo neanche a domandarmi come faccia il vecchio a sapere che siamo fratelli, faccio semplicemente finta di credere che la nostra vaga rassomiglianza sia sufficiente a farlo intuire.
Rodolphus sembra riflettere sulla proposta per qualche istante, prima di voltarsi a sua volta a guardarmi, un ghigno che conosco fin troppo bene a distorcergli le labbra pallide. Non parla, non ne ha bisogno, ma porta alle labbra una sigaretta sottile e l'accende con un solo gesto deciso dell'altra mano, lasciando che la fiamma rossastra gli danzi davanti agli occhi per un momento prima di spegnerla.
«Ti aspetto» sottolinea poi inutilmente nella mia direzione, sbuffando nell'aria pesante del negozio la prima boccata di fumo.
A me non resta che sospirare, sconfitto, e lanciare un'ultima occhiata di sbieco al vecchio prima di avviarmi lentamente seguendo la linea rossa magicamente dipinta sulla pietra grigia del pavimento.
Rouven sta osservando divertito la sigaretta accesa di mio fratello con un occhio. Ma l'altro, quello destro, è rivolto verso di me, in attesa che mi addentri tra le innumerevoli corsie del suo regno, ed è indubbiamente una delle cose più sinistre e raccapriccianti che abbia mai visto in tutta la mia vita.

La cosa che mi inquieta di più non è l'attraversare il negozio da solo, o l'idea folle che a tratti mi invade e mi spinge a pensare che una volta giunto a destinazione la linea rossa scomparirà, impedendomi per sempre di tornare all'ingresso, al vecchio, a mio fratello e al suo tradimento. È il non riuscire a riconoscere nessuno dei corridoi, nessuno degli scaffali, nessuno dei burattini visti in precedenza. Tutto nell'ambiente concorre a far sembrare la bottega un vero e proprio labirinto senza fine, immerso in una realtà parallela e sconosciuta ai più. Ma la paura, quella vera, si impossessa di me quando mi ritrovo finalmente di fronte all'oggetto oscuro che ci porterà alla nostra meta e lo riconosco.
Lo strappo al suo scaffale con più convinzione di quanta pensassi di avere e ripercorro velocemente la strada a ritroso, quasi correndo. Quando infine giungo in vista del bancone ignoro il vecchio, intento a fumare una delle sigarette di Rodolphus, e mi limito invece a passare a lui la marionetta, attendendo impaziente una sua reazione.
Mio fratello osserva assorto il giocattolo, la veste e il mantello neri, la maschera argentata stretta in una delle piccole manine di legno. Il Marchio Nero magistralmente dipinto sull'avambraccio sinistro squadrato e i lineamenti perfetti di Igor Karkaroff. I suoi occhietti piccoli e ravvicinati, il naso adunco e i capelli folti e crespi.
Per un momento, uno soltanto, l'affettata sicurezza di Rodolphus vacilla.
«Come dovrebbe aiutarci, questo pezzo di legno?» domanda sprezzante, in un tono volto a mascherare la sua inquietudine che fallisce miseramente, facendo sbocciare sulle labbra rinsecchite del vecchio un nuovo sorriso beffardo, derisorio. Senza rispondere, punta il bastone sulla marionetta e la trasfigura con un incantesimo silenzioso.
«Dovete sapere, stranieri, che ogni burattino che vedete nel mio umile negozio cela in realtà in sé un oggetto magico, e questo» indica il medaglione verde che giace adesso tra le mani di Rodolphus, «è tutto ciò che vi serve per trovare l'uomo che sino a poco fa rappresentava».
«Ci condurrà direttamente a lui?» chiedo, sperando che questo possa essere l'ultimo scambio di battute. Sperando di poter tornare al più presto alla neve e al freddo penetrante dell'isola di Kampa.
«Vi condurrà a qualcuno che saprà indicarvi la giusta via, qualcuno che vi troverà da solo, se uno di voi indosserà costantemente il medaglione».
«Fra quanto?» domanda a sua volta mio fratello, impaziente.
«Quando deciderà che è il momento di incontrarvi».
«Cosa vuoi in cambio dei tuoi servigi?»
«Sei dunque così convinto che il mio oggetto funzionerà, straniero
Il vecchio abbandona il retro del bancone per andare a pararsi di fronte a Rodolphus, per nulla intimorito dall'abisso che lo separa da lui in altezza.
«Voglio il tuo accendino» replica allora, adocchiando il piccolo oggetto d'argento ancora stretto in una delle sue mani.
Con un gesto protettivo, feroce, quasi commovente, Rodolphus nasconde immediatamente l'accendino nella tasca dell'abito babbano.
«No» si limita poi a sottolineare a voce, con fermezza.
Il vecchio ride, indicandoci il portone massiccio che si è silenziosamente aperto alla nostra sinistra e invitandoci ad andarcene.
«Allora non voglio niente. Anzi, prendete voi qualcosa... » Il vecchio infila una mano tra le pieghe della veste e ne estrae due piccoli Golem di argilla, consegnandone cerimoniosamente uno ad entrambi. «Vi porteranno fortuna».
Prima che la porta si sia richiusa alle nostre spalle, Rouven è nuovamente scomparso tra gli oscuri corridoi della sua bottega e la musica popolare ceca è tornata a colmare l'ambiente inospitale.

Sulla via del ritorno nessuno pronuncia una sola parola. Rodolphus ha indossato il medaglione, nascondendolo sotto i vestiti, e il suo passo spedito, sicuro nonostante le strade siano ricoperte da un manto nevoso traditore a tratti sostituito da lunghe lastre di ghiaccio, è difficile da seguire.
Avviene tutto in un attimo, quando ci troviamo a passare di nuovo di fronte alla statua di San non so cosa, ancora attorniata da numerosi turisti nonostante l'ora ormai tarda, il freddo e il buio. Mi volto un istante soltanto, ad ammirare ancora i fini pannelli dorati, e senza badare alla strada di fronte ai miei piedi scivolo sul ghiaccio. Quando mi riprendo dallo stupore sono seduto a terra e mio fratello mi sovrasta, un'espressione illeggibile ad aleggiare effimera sul suo volto. Poi qualcosa si rompe e Rodolphus scoppia a ridere, incurante dei passanti che mi adocchiano con sguardi vagamente preoccupati.
«Non c'è niente da ridere» gli faccio notare in tono offeso, cercando inutilmente di rialzarmi da solo in quella che è palesemente una lotta impari con il ghiaccio. Senza smettere di ridere, mio fratello mi tende una mano per aiutarmi.
«Si che c'è» replica crudele, spazzando via un po' di neve dalla mia schiena, in uno di quei gesti amichevoli e fraterni che raramente abbiamo mai condiviso. «Andiamo in albergo, a riposare, domani sarà una giornata lunga».
«Il vecchio ha detto che, chiunque sia, sarà lui a trovarci...»
«Ho voglia di girare ancora per la città, ci troverà anche camminando».
«Ormai la conosci a memoria, la città» sottolineo in tono irritato, stanco del suo perenne peregrinare. Abbiamo ripreso a muoverci adesso, e la porta del Ponte che dà sulla Città Vecchia[4] è ormai a pochi metri da noi.
«Ti sembra così strano voler camminare libero all'aria aperta, dopo così tanti anni di prigionia?»
«Di cosa hai parlato col vecchio, mentre non c'ero?» domando senza nemmeno pensarci, tentando di evitare per l'ennesima volta l'argomento scottante e tacitamente proibito dei nostri anni da reclusi.
Rodolphus risponde senza esitare e senza più guardarmi, gli occhi concentrati unicamente su un punto imprecisato di fronte a sé.
«Azkaban».




[1] Golem
[2] Ponte Carlo
[3] San Giovanni Nepomuceno
[4] Città Vecchia

   
 
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