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Autore: Kanako91    23/06/2015    7 recensioni
Quando Eärendil ed Elwing arrivano ad Aman con una richiesta d’aiuto da parte dei popoli della Terra di Mezzo, Eönwë guida l’Esercito dell'Ovest, composto da Vanyar, i Noldor rimasti e Maiar, oltre il Grande Mare.
Tra i Maiar partiti c’è chi non ha mai capito davvero cosa abbia spinto a tanto gli Esiliati, ma non li hanno dimenticati e alcuni di coloro che hanno raggiunto la Terra di Mezzo hanno tutte le intenzioni di sapere cosa è successo in quegli anni e di liberarli dal giogo di Melkor.
Peccato che le ragioni degli Esiliati siano più complicate di così.
Genere: Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Eönwë, Maiar, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tempi di Alberi, di Fiori e di Frutti'
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Piccolo dizionario per gli Amici dei Sindar:
Angamando: Angband
Arafinwë: Finarfin
Írissë: Aredhel
Mairon: Sauron
Makalaurë: Maglor
Russandol: Maedhros
Tyelkormo: Celegorm
Valarauco/ar: Balrog



Sulla soglia della notte



II. Grande tuono, fulmini e tempeste di fuoco




Anfauglith, anno 587 della Prima Era


Un grande orso bruno si lanciò contro un manipolo di Orchi. Con un morso Sunda staccò una testa, con una zampata tranciò un corpo a metà, lanciò in aria le sue vittime e proseguì a seminare caos, nel tentativo di creare uno spazio sgombro davanti ai portoni del Thangorodrim.

L’attenzione di Niel fu attirata da un movimento strisciante nella sua direzione.

Sunda, un Verme si sta avvicinando alle tue spalle, l’avvisò Niel.

Il tempo perché Sunda afferrasse il muso del Verme con gli artigli, che delle figure scure lo scavalcarono e corsero verso il Thangorodrim. Il fuoco risalì le macchine da guerra a protezione dell’ingresso e la Gente di Aulë proseguì a bruciare e distruggere qualsiasi cosa si mettesse sul loro cammino, per poi prendere d’assalto i portoni.

Con un ruggito, Sunda staccò la testa al Verme e, poco più distante, Tauro affondò l’alabarda nella schiena di un Valarauco e la rimosse, facendo piovere sangue caldo come lava sugli Orchi nelle vicinanze. Due in meno nelle fila di Melkor! Niel avrebbe voluto gridare di gioia, ma avrebbero scoperto la sua posizione e avrebbe perso il vantaggio di cui godeva, lì appollaiata sulla parete rocciosa della torre centrale.

Da qualche parte, lungo le pendici del Thangorodrim, altri Maiar esultarono in valarin e i ruggiti di altri Valaraucar e Vermi si spensero tra il fetore di carne bruciata.

Niel lasciò scorrere lo sguardo sul resto dell’Anfauglith: con gli elmi e le lance dei Primogeniti che brillavano della luce di Aman, l’Esercito dell’Ovest era come un fiume lucente, circondato da entrambi i lati dal nero degli Orchi e degli Uomini dell’Est, tra cui i Valaraucar erano dei bagliori di fiamma il mezzo al fuoco sputato dalle fauci dei Vermi. Lungo l’orizzonte a Nord, i Monti di Ferro incombevano scuri e minacciosi sulla Terra di Mezzo.

Un gruppo di Orchi corse verso l’ingresso del Thangorodrim, dove un gruppo di Noldor stava raggiungendo la Gente di Aulë, e Niel lo segnalò ai suoi.

Arrivo!, disse Alatar, ma Niel lo percepì troppo lontano e gli Orchi erano troppo vicini.

Niel si levò in volo, si posizionò alle spalle degli Orchi e scese in picchiata su di loro, le zampe tese e gli artigli pronti. Li afferrò e strinse, sentendo le ossa e le armature rompersi tra le sue dita, e gridò minacciosa al resto del gruppo, le piume gonfie. Deviò lance e frecce con un colpo d’ali e, quando il drappello di Noldor raggiunse la gola d’ingresso al Thangorodrim ed esultò, Niel volò via, in alto lungo la parete di roccia.

L’Esercito dell’Ovest era alle porte della fortezza di Melkor, ma i nemici erano troppi e non accennavano a diminuire. Niel se lo era aspettato, ma era diverso vederlo con i propri occhi. I villaggi che avevano trovato ancora abitati erano diminuiti sempre più con gli anni e la resistenza alla loro avanzata si era ridotta al minimo.

Dovremo aspettarci di trovare il grosso delle sue armate all’Anfauglith, aveva detto Eönwë, gli occhi fissi sulla mappa che aveva perfezionato con le informazioni ottenute durante gli interrogatori.

Non era solo il grosso delle armate di Melkor a trovarsi nell’Anfauglith, erano tutti i suoi servitori e soldati. Sconfiggerlo qui avrebbe voluto dire la sua sconfitta definitiva. Avrebbero liberato la Terra di Mezzo dalla sua influenza, i fratelli rimasti di Tyelko avrebbero riavuto il senno perduto e gli Uomini dell’Est sarebbero stati liberi.

A distrarla dai suoi pensieri, giunse la voce di Eönwë, un rombo di tempesta al di sopra delle urla della battaglia.

Qual è la situazione alle porte?

Fu la gente di Aulë a rispondere prima. Abbiamo le spalle coperte, ma queste porte non finiscono più, disse una di loro, che Niel non riconobbe. Per quanto ne so, potrebbero aver levato pareti di roccia all’interno per bloccarci il cammino.

Non mi preoccuperei delle pareti, disse un altro. Ci sono altri Vermi all’interno, sento la loro puzza.

Curumo emise un verso frustrato. Non posso credere che Mairon–

Apriteci le porte, stiamo arrivando, li zittì l’ordine di Eönwë.

Io sono qui vicino alle porte e sto togliendo di mezzo altri Orchi, Alatar non è messo meglio di me, protestò Sunda. Abbiamo bisogno di molti rinforzi, o saremo spinti indietro appena quelle porte saranno aperte. Ci sono soldati Noldorin a coprire le spalle di Curumo e gli altri.

Non temere, Cacciatrice. Stiamo arrivando con–

Un rombo inghiottì la risposta di Eönwë. Nella testa di Niel si levarono le urla terrorizzate della gente di Aulë e di quei Cacciatori che si trovavano alle pendici del Thangorodrim.

Che succede?, chiese Niel, guardando giù dalla parete. Nessun Valarauco, nessun Verme. Ma si levò un fumo denso, che le rese difficile scandagliare il campo di battaglia.

La terra tremò e si aprirono voragini nel terreno, al cui fondo ribolliva magma brillante, e Niel fu costretta a scendere lungo la parete, al di sotto della nube che stava prendendo consistenza tra lei e la piana.

Orchi e Valaraucar, ma anche alcuni Maiar e soldati Primogeniti e Secondogeniti caddero nelle voragini. Le loro urla e l’odore di carne bruciata furono atroci. No! Non ora! Erano così vicini a prendere la fortezza, erano a un passo dalla vittoria. Melkor non poteva rivoltargli contro la terra stessa. Niel volò verso un drappello di Primogeniti e li spinse lontano dalle voragini, atterrando poi lungo il bordo. La posizione era terribile, non poteva vedere gli altri, ma si assicurò che i Primogeniti fossero al sicuro e si levò in aria con un colpo di ali.

Dalle tre torri salì una colonna di fiamme e fumo e la terra tremò di nuovo, mentre tra i Monti di Ferro echeggiava il rombo che sembrava venire dal cuore di Arda. Non poteva cambiare tutto, non ora, non ancora.

Un battere di ali lontano attirò l’attenzione di Niel e, dalle voragini, si lanciarono verso il cielo creature che lei non aveva visto prima, non in quel modo: draghi alati.

E così quel maledetto ce l’ha fatta, commentò Sunda, ma Niel percepì dolore nella sua voce. Era ferita?

Non poté chiederle nulla di specifico, perché un drago puntò verso di lei, l’intelligenza che brillava in quegli occhi di fiamma.

Oh, no.

Niel volò verso una delle torri. Draghi alati!, urlò in valarin e una fiammata la colpì all’ala destra. Bruciava, bruciava da morire e, mentre la sua voce si espandeva nella piana, Niel si liberò della veste di grande gufo, lasciando che si scomponesse in una pioggia di piume e carne.

Il drago volò dritto contro la parete rocciosa e la frantumò, sassi rotolarono giù dal picco e verso le schiere al di sotto, e Niel fuggì dalla parte opposta. Chi è senza veste prenda i Mannari, ordinò agli altri Cacciatori e si aggrappò a uno spuntone di roccia della torre a Ovest. I draghi non potevano più vederla, né Orchi, Vermi e Secondogeniti, ma sapeva di essere come una fiaccola nell’oscurità per i Valaraucar e i Primogeniti di Aman. Avrebbe dovuto rindossare una veste e lo avrebbe fatto, ma aveva bisogno di calma e di un luogo sicuro per farlo.

Da quella torre, vedeva solo le schiere nemiche e qualche Cacciatore in solitaria intento a liberarsi degli ultimi Valaraucar e gli ultimi Vermi, ma alcuni avevano levato le lance verso i draghi alati. Un Cacciatore fu strappato dalla sua veste dal fuoco e dagli artigli di un drago e Niel lo diresse verso i Mannari più a Sud e si mosse verso la torre a Est.

La situazione non era molto diversa dall’altro lato, ma Niel fu attirata dai draghi alati che si allineavano sopra le schiere Eldarin. Gli ordini di Eönwë, gridati in valarin, la stordirono, confusero il suo essere e la obbligarono ad appiattirsi tra le rocce, a cercare un contatto con la realtà finché non fosse finito il riverbero.

I draghi non percepirono l’onda degli ordini di Eönwë. I loro ventri si tinsero di rosso e gli scudi elfici scintillarono nel levarsi contro il primo attacco. Mentre i draghi riversavano fuoco sull’Esercito dell’Ovest, la lava iniziò la sua discesa lungo i tre picchi del Thangorodrim e Niel fu costretta a scendere verso la torre centrale, in un punto di facile appiglio.

La lava raggiungerà il nostro esercito, disse alla Gente di Aulë e si posizionò sull’ingresso. Due di loro si staccarono dal gruppo alle porte e si arrampicarono alle pareti laterali, fino a giungere a vista della lava, e iniziarono a cantare.

Riesci a esplorare l’interno della fortezza?, chiese Curumo.

Niel non dovette fare alcuna prova e gli inviò la sensazione di oppressione che aveva dietro di sé, la tenebra fitta e divoratrice che le impediva di mettere naso dentro il Thangorodrim.

Eönwë è vicino, ma sommerso dal fuoco dei draghi, disse Niel. Avrebbe voluto prendere uno di quei draghi e rivoltarli contro gli eserciti di Melkor, ma la stessa tenebra che le precludeva le torri avvolgeva le loro menti. Meno fitta era la tenebra nelle menti dei Mannari, tra cui vedeva brillare i Cacciatori aggrappati a loro e intenti a seminare distruzione nel branco e tra gli Orchi.

La lava si riversò sui lati delle torri del Thangorodrim, ma i draghi non si erano mossi dal sopra l’Esercito dell’Ovest e Niel sentiva la carne bruciata anche senza avere un naso. Era un odore straziante, che filtrava attraverso il suo essere con le grida di dolore dei Figli di Ilúvatar.

Dalle pendici del Thangorodrim, si levarono i canti della Gente di Aulë e la terra tremò, la lava diretta verso gli Eserciti del Nord. Non si vedevano più Valaraucar o Vermi, le uniche minacce che restavano erano gli Orchi, che sciamavano come formiche da ogni parte. Anche i Cacciatori levarono i loro canti e il branco di Mannari si illuminò, entrando in completo possesso dei Cacciatori che lo stavano manovrando. Non sarebbero mai tornati come erano stati pensati da Eru, ma ora erano lo strumento per il ritorno della luce e dell’ordine.

Alcuni dei draghi in volo sull’Esercito dell’Ovest lanciarono lamenti e crollarono al suolo, tra gli Orchi urlanti, e Niel avrebbe voluto avere un viso solo per sorridere. Forse c’era speranza di salvare più Primogeniti possibile. Forse questi draghi alati non erano poi così più forti dei loro fratelli senza ali.

Un tuono azzittì i suoni della battaglia e un fulmine colpì terra con un boato.

Niel, per un attimo, credette fosse la Gente di Manwë che aveva lasciato armature e stendardi e stava combattendo in tutta la sua forza contro i draghi. Ma il cielo si scurì, del nero di una notte senza stelle, la terra tornò a tremare e i picchi del Thangorodrim a sputare fuoco. Niel si lanciò tra i Figli di Ilúvatar, per assicurarsi che non si aprissero altre voragini e altri soldati vi finissero dentro.

Cos’era di nuovo? Cos’altro avrebbero sputato fuori i pozzi di Angamando?

Un’ombra nera volò sull’esercito, troppo bassa per essere una nube. E quel terribile rumore di ali. Niel rivolse lo sguardo a quella tenebra.

Un altro drago.

Nero ed enorme.

Il drago spalancò le fauci e riversò sugli eserciti fuoco così caldo da essere bianco. Pur senza un corpo materiale Niel poté sentirne il bruciore e l’odore di carne carbonizzata e metallo fuso.

Come una folata di vento, la Gente di Manwë si mise in difesa dei Primogeniti, smorzando le fiamme e deviando le correnti d’aria per rendere faticoso il volo di quell’enorme drago nero. Ma, qualsiasi fossero stati i piani di Melkor, quella creatura resistette alle difese della Gente di Manwë, si aggirò su di loro e volò più a Sud dove sperava di trovare fianchi scoperti.

Un tuono e una grande luce comparve a Ovest. Il drago nero virò in quella direzione, coprendo alla vista di Niel chiunque fosse arrivato. Altri draghi si allontanarono dall’esercito di terra per rivolgersi al cielo.

Ti saluto, Eönwë, Araldo di Manwë, Comandante dell’Esercito dei Valar!, giunse la voce di Thorondor e le altre Aquile gli fecero eco.

Col saluto di Eönwë, tra l’Esercito dell’Ovest serpeggiarono urla e canti e riprese l’avanzata. Gli Orchi e gli Uomini Scuri caddero sotto i colpi delle lance dei Figli di Ilúvatar, i draghi furono presi d’assalto dalle Aquile. E solo allora Niel vide cosa aveva attirato l’attenzione dei draghi.

Su una grande nave avvolta dalla luce, un Silmaril brillava sulla fronte del Marinaio.

Ti saluto, Eärendil!



In uno scrigno aperto, posato sulla mappa del Beleriand, i due Silmarilli della corona ferrea di Melkor brillavano della stessa luce che Niel ricordava dai tempi degli Alberi. La loro luce non era diminuita dall’ombra che era calata sul viso di Eönwë: avevano catturato Melkor sì, ma dopo la resa all’Esercito dell’Ovest, il suo tenente, Sauron, era riuscito dove il suo padrone aveva fallito: fuggire. Avrebbero dovuto mozzare le gambe anche a lui e legarlo alla stessa Angainor di Melkor.

A peggiorare l’umore già pessimo di Eönwë, era giunta proprio ora una lettera dai Fëanárioni. La nuvola che copriva il cielo sull’accampamento non era un vestigio del dominio di Melkor.

Arafinwë si tormentò le mani, gli occhi fissi sui Silmarilli. Non fece segno di prenderli o di volerli, ma chissà se quel pensiero si era formato nella sua testa. Quei gioielli avevano un effetto terrificante sui Figli di Ilúvatar e Niel sperava che il Ñoldóran fosse più saggio dei suoi parenti.

«Ebbene?» chiese Lindórnë.

Eönwë abbassò la lettera di scatto e strinse gli occhi nella sua direzione. «Non hanno intenzione di rinunciare alle loro pretese. Sono disposti a darci battaglia per riavere i Silmarilli».

Ingwë corrugò la fronte. «Ma sono solo in due».

«Non li sottovaluterei, Ingaran» disse Arafinwë. «Sono pur sempre i figli del mio fratellastro. Sappiamo entrambi cosa è stato capace a fare lui per quei gioielli».

«Non possiamo prendere sul serio una minaccia simile. È come se un bambino minacciasse Tulkas con una spada di legno».

Eönwë batté la mano sul tavolo due volte. «Non la prenderemo sul serio, non daremo loro indietro qualcosa su cui hanno perso ogni diritto. Nielíqui, raccontaci cosa hai raccolto in questi anni sulle gesta dei Fëanárioni».

Niel sospirò. Aveva sperato che le sue domande fossero passate inosservate, ma a quanto pareva il vento era davvero le orecchie dell’Araldo di Manwë. Eseguì l’ordine, però, non aveva motivo di tacere, per quanto ogni volta che nominò Tyelko sentì una fitta allo stomaco. Possibile che quel giuramento non avesse avuto altri modi per compiersi? Possibile che avessero dovuto seminare tanta morte per non riuscire mai a stringere in mano uno solo di quei gioielli?

L’unico a cui erano arrivati vicino era quello che ora splendeva sulla fronte di Eärendil, nell’alto del cielo. E avevano perso anche quello.

Era valsa la pena versare tutto quel sangue? Oh, avrebbe voluto chiederglielo. E avrebbe voluto chiederlo a Melkor, se non fosse già partito verso Valinor.

Quando concluse il rapporto sulle voci e sui racconti riguardanti i Fëanárioni, Niel indietreggiò, sino a fermarsi di fianco allo scranno di Lindórnë.

Ingwë aveva gli occhi sgranati, che si muovevano rapidi come fuggendo dalle immagini che Niel aveva evocato. Il viso di Arafinwë si era fatto immobile, la gentilezza che lo aveva caratterizzato sparita.

Eönwë si alzò dallo scranno e camminò su e giù vicino al tavolo, le mani dietro la schiena.

«Non posso però lasciarli senza una risposta» disse. «Ho bisogno di un messaggero».

Niel fece un passo avanti e sollevò la testa.

«Andrò io».



Il luogo della consegna dei Silmarilli era tutto tranne che ospitale e Niel si aspettava un attacco da un momento all’altro. Gli alberi erano alti e scuri, le foglie morte ma ancora appese ai rami, come pietrificate nel momento in cui la vita aveva lasciato queste terre. Il sottobosco era fitto e solo i rovi pulsavano di vita. Niel si sentiva a disagio, si sentiva soffocare e voleva girare il cavallo e fuggire. Ma non poteva farlo. Si era presa una responsabilità e l’avrebbe portata a termine.

Niel strinse le mani intorno alle redini e attese, attenta a ogni piccolo movimento. Avvertiva delle presenze, ma quella morte la confondeva. E non era certa che l’avrebbero riconosciuta, aveva un aspetto a cui loro non erano abituati. Sperò che fossero cauti, che non attaccassero senza motivo.

Ci fu un movimento tra gli arbusti e Niel rimase immobile, tentando di identificare la causa di quel movimento senza che loro si accorgessero che lei aveva sentito. Dovevano crederla meno di quello che era e un Secondogenito non aveva un udito così fine. Allora, avrebbero commesso un errore che li avrebbe rivelati prima del tempo.

Sempre che si trattasse davvero dei Fëanárioni.

«Buon tentativo, Cacciatrice».

Niel girò la testa verso gli arbusti alla destra e Makalaurë era lì, con un sorriso divertito sulle labbra. Ma era diverso da un tempo: delle linee gli segnavano il viso e aveva macchie scure sotto gli occhi. Cosa gli era successo? Aveva un aspetto terribile.

«Non prenderla in giro», la voce di Russandol provenne dalla sinistra, «le viene normale mimetizzarsi con gli alberi e non con le persone. Non credo abbia idea di come comportarsi davvero con le persone». Chissà se Tyelko aveva insegnato a loro come comportarsi con un Cacciatore.

E lei sapeva benissimo come comportarsi e come assomigliare–

Niel abbassò la testa e si guardò le mani, la pelle dall’aspetto simile alla corteccia, coperta da chiazze di muschio. Oh, forse avevano ragione. E lei che aveva voluto somigliare a un Secondogenito! Si rilassò, tutto lo sforzo di tenere insieme quella veste era inutile ormai, e il muschio ricoprì le maniche della casacca. Girò la testa verso Russandol, pronta a rinfacciargli quelle supposizioni sbagliate, e trattenne il fiato.

Aveva sentito della mano mancante e di come l’aveva persa, ma quello che era stato il più bello di tutti i figli di Fëanáro e Nerdanel, ora era una pallida ombra di quel che era stato. Le linee e le macchie sotto gli occhi erano più profonde e più scure di quelle di Makalaurë, le spalle coperte dall’armatura erano ricurve, i capelli rossi spenti e stopposi. Negli occhi brillava una luce febbrile e le labbra erano pallide e serrate in una linea crudele. Niel deglutì, colpita da un’altra fitta allo stomaco.

Si era ridotto così anche Tyelko? Anche lui era stato consumato dall’interno da quel giuramento?

«Qual è la risposta dell’Araldo di Manwë?» disse Russandol.

Niel inspirò, chiuse gli occhi e sentì Eönwë nel fondo della sua mente, nell’accampamento. Appena si accorse di lei, la invase e Niel non vide più nulla.

«Ogni diritto dell’opera di vostro padre, Fëanáro Curufinwë» disse Niel, ma fu la voce di Eönwë a uscire dalla sua bocca, «non spetta più a voi, suoi figli, ma è decaduto a causa delle molte e spietate azioni che avete commesso per riottenerli.

«La luce dei Silmarilli andrà a Ovest, da dove proviene.

«A voi la scelta se seguirla e sottoporvi al giudizio dei Valar, e sarà il loro giudizio a determinare se potrete avere i Silmarilli. Solo in quel caso rinuncerò alla loro custodia».

Eönwë svanì e Niel scosse la testa. Quando riaprì gli occhi, Makalaurë era vicino al cavallo.

«È questa la parola finale?» chiese Russandol e sfilò la spada dal fodero.

Makalaurë sollevò una mano. «Mi sembra ovvio. Ma il nostro giuramento non ci vieta di aspettare un’occasione migliore e il giudizio dei Valar potrebbe rivelarsi a noi favorevole e potremmo riavere quel che ci spetta di diritto senza altro sangue».

, avrebbe voluto dire Niel, sì. Desistete, tornate a Valinor e sarete perdonati. Dimostrerete che è colpa di Melkor quel che vi è successo. E lui pagherà per questo.

Non era certa di poter sopportare l’idea di altra violenza tra i Primogeniti per quei gioielli. Non dopo aver visto come si erano ridotti i fratelli maggiori di Tyelko.

Niel poteva ricordarli ancora, quando Tyelko passava le sue giornate nelle Foreste di Oromë e loro, a turno, venivano a chiamarlo per tornare a casa. Makalaurë aveva persino composto qualche pezzo che i Cacciatori avevano cantato intorno al fuoco, durante le cacce nell’Est.

E ora, erano delle ombre stanche e fameliche. Che fine aveva fatto l’arpa di Makalaurë? Era stata l’ombra di Melkor a oscurare la bellezza di Russandol, così come aveva fatto con gli Alberi?

Russandol serrò la mano sull’elsa della spada e si avvicinò al cavallo, che indietreggiò. «E se il giudizio dei Valar volgesse a nostro sfavore? Il giuramento non perderebbe di validità e saremmo condannati alla Tenebra Eterna».

Makalaurë si incupì.

Niel aprì la bocca per dire qualcosa, ma Russandol rinfoderò la spada e la guardò, gli occhi stretti.

«Vi daremo una risposta al più presto» le disse.

Russandol afferrò il fratello per un braccio e gli fece segno col mento verso gli arbusti. Makalaurë non lottò contro la presa, si limitò a camminare affiancato da Russandol.

I Fëanárioni svanirono tra gli alberi morti e gli arbusti coperti di spine e Niel guardò nella loro direzione, finché non sparirono alla vista. E, quando anche il rumore dei loro passi fu inghiottito dal silenzio, Russandol riprese a parlare, le parole indistinte, come un tuonare in lontananza.

Non sarebbe andata a finire come lei avrebbe voluto.

Ma Niel sapeva cosa fare per ridurre lo spargimento di sangue quando avessero fatto la scelta sbagliata.

C’era un modo per salvarli dalla Tenebra Eterna.

Niel voltò il cavallo e galoppò verso l’accampamento, pregando Eru di portar loro consiglio.



Sunda e Tauro giacevano senza vita ai lati della tenda dei Silmarilli e Niel sgranò gli occhi. Li avevano uccisi? Lei aveva chiesto a Eönwë di mettere loro due, proprio per evitare morti innocenti, ma eccole lì, le vesti dei suoi compagni, come abiti gettati via, le gole aperte da cui il sangue aveva smesso di uscire.

Alatar si accovacciò vicino a Sunda e sfiorò lo squarcio che l'aveva uccisa. «Quanto accanimento» disse, con un sussurro.

«Non doveva andare così».

Alatar sollevò la testa e la guardò, la fronte corrugata. «E come credi che sarebbe andata? Melkor si è impossessato delle loro menti, e non ha neppure bisogno di essere libero dalle catene per esercitare la sua influenza su di loro». Lui strinse la mano in pugno. «Se penso a quello che ha fatto Tyelkormo. Avrei preferito che cadesse vittima di altri toccati da Melkor, piuttosto che fosse lui a seminare morte con questa ferocia».

Come era successo a Írissë, come era successo a Huan. Niel avrebbe preferito che Melkor restasse incatenato nel fondo delle Aule di Mandos, finché loro Cacciatori non avessero avuto modo di purgare l'intera Terra di Mezzo dalla sua presenza.

Niel sentì la presenza di Sunda e Tauro al suo fianco e li guardò.

Scusatemi.

Tauro scosse la testa. Ti avevo detto come sarebbe andata a finire e ho accettato lo stesso. Ciò non toglie che sei in debito con me.

Non lo dimenticherò.

Niel rivolse la testa verso le urla nella piazza dell’accampamento.

Ha fatto un gran male, disse Sunda e sbuffò, ma quella veste non si era ancora ripresa dall’ultima battuta di caccia, altrimenti avrei tirato una botta in testa a tutti e due. Non c’è più rispetto per chi è più–

Nielíqui.

La voce di Eönwë interruppe Sunda e Niel fu costretta a obbedire al richiamo. Alatar si alzò il piedi, «Non devi andare per forza, Niel. Sei l'Araldo di Oromë, non uno dei garzoni di Eönwë».

«Proprio perché sono l’Araldo di Oromë non posso sottrarmi alla sua chiamata» disse Niel. Aveva delle responsabilità, e non solo verso i suoi compagni.

Così, Niel corse verso la piazza e arrivò alle spalle di Eönwë, che si stava avvicinando alla folla. Si fecero largo tra i soldati e Niel si fermò, senza staccarsi da loro.

Accerchiati da soldati da tutte le schiere, Primogeniti, Secondogeniti e persino qualcuno della Gente di Manwë, c’erano Russandol e Makalaurë. Intorno a loro c’erano più cadaveri di quanti Niel si sarebbe aspettata. Altri Primogeniti morti. E Russandol teneva un soldato Noldorin contro di sé, stretto alla vita col moncherino e la spada tenuta al collo, mentre Makalaurë aveva sotto un braccio lo scrigno dei Silmarilli e nell’altra mano la spada.

Altro sangue. Avevano rifiutato del tutto il giudizio dai Valar e quel maledetto giuramento li aveva spinti a spargere ancora sangue, ad annerire ancora il loro spirito, a legarli ancora di più alla Tenebra Eterna che avevano invocato.

«Arrendetevi» tuonò Eönwë.

Russandol tagliò la gola del soldato che teneva in ostaggio e lasciò cadere il cadavere tra gli altri. «Mai».

Makalaurë serrò la mascella. Erano intenzionati a morire per quel giuramento?

I soldati mossero un passo avanti, con un rumore metallico di spade, lance e armature. Ma Eönwë sollevò la mano e tutto si fermò.

Niel non poté distogliere lo sguardo da Russandol e Makalaurë, notò ogni goccia di sangue, e quella brama folle negli occhi, quella determinazione che le sembrava così estranea. Come potevano essersi ridotti a quello? Eönwë aveva dato loro una via per la salvezza, per redimersi e ottenere quel che avevano giurato di riottenere e avevano scelto la strada peggiore.

E senza che Melkor sussurrasse qualcosa nel loro orecchio.

Eönwë agitò la mano. «Lasciateli andare».

Tra i mormorii e gli scricchiolii, si aprì un varco tra la folla. Russandol e Makalaurë non esitarono un attimo e corsero via, lasciando silenzio alle loro spalle.

«Si accorgeranno che i loro diritti non hanno più valore» disse Eönwë e si girò verso Niel, gli occhi ridotti a due fessure dorate. «Tu».

Niel aveva creduto che facilitare la loro strada verso i Silmarilli avrebbe evitato morti, avrebbe impedito ai loro spiriti di macchiarsi ancora. Ma non era servito a niente, Russandol e Makalaurë erano troppo lontani per essere raggiunti dalla luce dei Valar. Non avevano visto la possibilità di salvarsi neppure quando si era trovata davanti a loro.

Niel si inginocchiò, a capo chino. Si liberò dai pugnali alla cintura e li gettò ai piedi di Eönwë.

«Ho sbagliato».

Ci furono altri mormorii intorno a lei, ma non vi prestò attenzione. Era tesa a sentire se Eönwë avesse sfilato la spada dal fodero, a capire se avrebbe passato il suo giudizio in quell’istante.

Ma non ci fu nessuno sfregare di metallo. E Niel non risollevò la testa.

«Domani prenderai la prima nave per Valinor e ti sottoporrai al giudizio dei Valar».

«Così sia, comandante».



Il mare aveva divorato gran parte del Beleriand e, in lontananza, i Monti di Ferro non erano più visibili, ormai rivoltati e aperti perché l’acqua li consumasse e spegnesse i fuochi che bruciavano nelle loro profondità.

I marinai Telerin stavano finendo di caricare la nave e Niel diede loro una mano, nonostante l’umiliazione di aver fallito verso i suoi compagni le rendesse troppo gravoso anche il carico più infimo. Ma era la giusta punizione, per quanto non fosse pentita di aver provato a salvare i fratelli di Tyelko. Non aveva potuto salvare lui, neppure Huan ci era riuscito, ma aveva provato a fare per i suoi fratelli maggiori quel che non era riuscita a fare per lui.

E aveva fallito.

Niel saltò giù sul pontile per prendere un’altra cassa da caricare sulla nave.

Magari, aveva avuto davanti un altro modo per redimerli, ma non lo aveva preso in considerazione, e aveva fallito. Così come avevano fallito Russandol e Makalaurë a non accettare l’occasione migliore di riappropriarsi dei Silmarilli, e avevano scelto la via più sanguinosa.

Niel scese sottocoperta con la cassa. Non aveva più sentito parlare di loro, non aveva idea di cosa fosse successo. Avrebbe dovuto catturarli quando aveva portato loro il messaggio di Eönwë, ecco cosa avrebbe dovuto fare. Quello avrebbe salvato vite, non lasciarli agire in libertà. Era stata così speranzosa! Così stupida!

E questa volta, non poteva dare la colpa solo a Melkor.

Quando Niel riemerse sul ponte della nave, iniziarono i canti per Uinen, mentre i marinai Teleri levavano le ancore e spiegavano le vele, e Niel andò al parapetto rivolto verso Ovest. Voleva tornare ad Aman, sottoporsi al giudizio dei Valar, mostrare la bontà delle sue intenzioni e ripartire per l’Est. Voleva distruggere qualsiasi vestigio del dominio di Melkor. Altri Cacciatori la pensavano così e lei non aveva mai preso le loro parti, perché lei era l’Araldo di Oromë e non poteva lanciarsi in cacce folli e sconsiderate.

Ma ora, nel suo tentativo di mediare, aveva sacrificato due compagni e questo non era il comportamento degno dell’Araldo di Oromë. La prossima volta, non si sarebbe lasciata indebolire dalla fiducia. Il seme del male che Melkor aveva piantato nella Terra di Mezzo era più forte di qualsiasi buona ragione, di qualsiasi speranza. Non c’erano altre alternative per estirparlo, solo la forza.

Nielíqui non l’avrebbe dimenticato.






Nota dell'autrice


E abbiamo finito!
Partiamo con i consueti appunti:

  • ho fatto un vasto uso del termine Verme quando Niel fa riferimento ai draghi senza ali, ma mi sembrava adatto e se lei è partita di sua spontanea volontà a chiamarli così, chi sono io per vietarglielo?
  • le battute di Eönwë, Maedhros e Maglor durante la scena “dell’ambasciata” sono adattate dal Silmarillion, ho evitato di copiare tutto parola per parola perché c’erano cose che erano giuste per il tono del Silma, ma non per quello di questa storia.
  • ho usato Russandol perché… è il suo epessë, immagino che qualcuno che non fosse suo familiare lo chiamasse così, no? Non l’ho visto usare molto, perciò ho detto “spieghiamo la cosa”, ma magari è una decisione superflua.
  • ho usato “veste” come traduzione di “raiment” invece della traduzione italiana (che mi pare sia “panno”? o “indumento”?), perché… mi sembra più specifico, ecco. E ho cercato di usarlo sempre e solo per indicare il corpo di cui gli Ainur vestono il loro spirito.
  • il valarin: ho immaginato che, essendo una “““lingua telepatica””” usata da nessuno d’importante come gli Ainur, be’, avesse potere in sé e che parole/sensazioni/ricordi/pensieri portano con sé un po’ delle intenzioni di chi trasmette il messaggio. Probabilmente mi sono spiegata male, ma spero che si intuiscano le mie intenzioni dalla storia e non dalla confusione dei miei appunti.
  • nel capitolo precedente, modificherò il nome Artaresto in Artaher dopo una consulta con la Shibboleth e melianar. Le varie versioni dei nomi mi confondono, ma è anche vero che se sto sposando l’idea di Gil-Galad figlio di Orodreth, devo sposare anche il nome Quenya più “moderno”, no?

La battaglia è stata una bella gatta da pelare, ho riscritto grossi pezzi e sono nervosa come non mai. Avevo pensato di descrivere anche la cattura di Melkor e la resa di Sauron, ma immagino siano avvenuti in Angband e Niel sarebbe rimasta fuori e non avrebbe avuto molto da vedere.
E, sinceramente, la scena si è conclusa da sola dove voleva.
(il Grande Gufo… lol, mi sembrava poco adatto alla situazione e ad Arda riferirmi alla veste di Niel durante la battaglia come di “Gufo reale”, anche perché non era un semplice gufo reale, ma uno di quegli animali oversize che sembrano amare a Valinor. Idem l’orso di Sunda. Tra l’altro, i problemi che ha Tolkien con i felini – SIGH – mi hanno precluso molti animali da caccia da cui far “vestire” i Cacciatori e bestie come aquile e falchi sono off-limits, nella mia mente, per il semplice fatto che li vedo legati solo a Manwë ed Eönwë).

Scrivere di Maedhros e Maglor, per quanto dal punto di vista super-soggettivo di Niel, mi preoccupa da morire, soprattutto in un momento così disperato della loro esistenza.

Temo che Eönwë potrebbe non essersi riscattato, ma ho piani per lui, quindi non è finita qui. Di certo, i miei piani non erano di basharlo allegramente, gli voglio bene ed è uno di quei personaggi che solo a leggere il nome fa fare doki doki al mio cuore, lol.
Poi, vabbè, non è ancora successo Numenor. L’idea di Eönwë che insegna l’uso delle armi ai Numenoreani mi fa sempre una gran tenerezza!

Infine, non è finita neppure con Niel. Niente affatto. Ho piani per lei, già belli che scritti (lol tour de force da novembre a febbraio, yay me!) e solo da revisionare allegramente a partire da luglio, per il Camp NaNoWriMo.

Bon, credo sia tutto, cioè, probabilmente chiacchiererò nelle recensioni e domani è la festa del santo patrono, quindi niente lavoro per me, farò di tutto per rispondere almeno alle recensioni di questa storia in tempo breve. Ho visto che forzandomi ad andare in ordine cronologico non concludo niente, devo pur arrangiarmi come posso nei ritagli di tempo, argh!
Mi scuso in anticipo per la lentezza!

Ci dovremmo rivedere verso venerdì, con una cosetta nuova in tre parti, per comprarmi un altro po’ di tempo per concludere la mini-long che avrei dovuto iniziare a postare a inizio giugno, ma che devo ancora concludere, meh.

Grazie mille per aver letto questo bel mappazzone!
Buona notte e alla prossima,

Kan

EDIT: questa storia ha un seguito in Caccia Grossa nell'Est: ritroviamo Niel, Eonwe, Alatar e Pallando... un po' più a Est di così e due ere più avanti ;)


   
 
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