Capitolo Quarto
Le
nausee si prolungavano da settimane ormai, e
la stessa Daphne fu tentata di chiamare l’infermiera per
aiutare l’amica, ma la
sua idea fu prontamente bocciata.
Non
sarebbe caduta più in basso di quanto già era
caduta... continuava a ripetersi la brunetta, cercando di dare una
sistemata a
quei capelli non più neri come una volta.
Quella
mattina avrebbe mangiato qualcosa, era
decisa a farlo, anche se non sentiva fame da giorni, sperava di mettere
un
freno ai dolori laceranti allo stomaco, e anche al vomito che
l’accompagnava
ogni mattina.
Uscì
dalla sua stanza, dopo essersi data una mano
di trucco, inutile sulla pelle quasi trasparente.
Si
soffiò tra le mani gelate e attraversò la sala di
ritrovo, salutando con lo sguardo qualche ragazzino, di cui non
ricordava il
nome.
In
quei giorni si sentiva sempre più stanca e
pesante, la notte scorsa
Si,
favore... come no…
Saliva
le scale e senza accorgersene si ritrovò
faccia faccia con la riccioluta.
La
fulminò con lo sguardo, ritornando sulla sua
strada senza farle proferire parola, ma la lingua della riccioluta la
precedette.
-Non
ho ancora sentito neanche un grazie…-
enunciò la grifone, alzando la voce per farsi sentire.
-Grazie?-
disse amaramente la bruna, votandosi.
-E
per cosa di grazia?- domandò, facendo roteare
gli occhi, prima di posarli fissi e scrutatori sulla figura della
ragazza che
arrossì.
-Ieri
ho preso il tuo posto per la ronda
notturna…- iniziò, sottopressione, cercando d non
fare incrociare i loro
sguardi.
Pansy
si schiarì la gola.
-La
prossima volta che hai intenzione di farmi un
favore… risparmiati, okay Granger?- tossì,
vacillando.
-Ma
ti sei vista come sei combinata? Volevo solo
farti dormire una notte tutto qui…-.
Quelle
parole, seppur dette a fin di bene erano
come lame.
Aveva
toccato proprio il fondo se una Griffyndor
le stava facendo la carità.
-Ma
cosa ne vuoi sapere tu se io voglio o no
dormire la notte??- urlò, per quanto la voce e il fiato
glielo permettessero.
Si
appoggiò alla parete, la riccioluta fece per
avvicinarsi ma quella la bloccò immediatamente.
-Non
toccarmi, mezzosangue…- sbottò acidamente,
facendole ritirare la mano che aveva
porto per aiutarla.
-Non
ho bisogno di mangiare… di dormire… non ho
bisogno di niente… dovreste capirlo tutti…-
continuò, come se stesse parlando
da sola.
-Non
fare così…- continuò quella come se
gli
insulti non l’avessero minimamente sfiorata.
-Ormai…
non mi interessa niente… lasciatemi
sola…- sbottò, con gli occhi umidi, ma con il
desiderio di non scoppiare a
piangere davanti a lei.
Si
allontanò, voltandole le spalle, deviando la
sua strada.
Uscì
dal castello e camminava a passi decisi
verso il lago nero, increspato leggermente dal vento debole.
Avvicinandosi,
riuscì finalmente a scorgere la
quercia, la loro quercia.
La
quercia su sotto la quale avevano passato
interi pomeriggi.
Dove
lui l’aveva pregata di poter scrivere i loro
nomi, e lei aveva sempre rifiutato, fino a cedere nel farli segnare un
semplice
P+C con un cuore sbilenco.
L’aveva
preso in giro un’intera giornata per quel
cuore, che tutto sembrava fuorché quello che era.
Si
sedette sotto quei rami spogli che cedevano
alla brezza invernale.
Abbracciò
le gambe, come era solita fare da
bambina, mentre i suoi sbraitavano fuori dalla porta della sua camera
da letto,
e lei cercava di coprire quelle urla con canzoni delle quali aveva
scordato le
parole.
Chiuse
gli occhi ed eccolo apparire nel buio.
Un
corpo, esanime, bianco disteso in uno stadio
gremito di gente urlante e festosa.
Lei
seduta nelle ultime file, teneva il gioco ai
suoi amici, criticando ogni partecipante, compreso lui.
Sorrideva
al pensiero che quella notte sarebbero
stati insieme nuovamente, per festeggiare una vittoria o per scordare
una
sconfitta.
Ed
invece tutto cambiò.
Le
urla del bambino sopravvissuto la fecero
tornare alla realtà.
Si
sporse leggermente in avanti e lo vide, steso
a terra, con gli occhi spalancati e la pelle cerulea.
Sentì
il mondo crollarle addosso, quasi svenne.
Si
accasciò al pavimento, con il cuore che
batteva troppo forte, e il respiro che accelerava e sembrava sempre
troppo
lento.
Scosse
il capo varie volte, la confusione la
stava opprimendo.
Sentì
l’urlo straziante di una ragazza, sperò che
non fosse il suo, ormai non riusciva a controllare il suo corpo.
Vedeva
le mani tremare, e sentiva le lacrime
calde che le sfioravano le gote sicuramente arrossate.
-Il
mio ragazzo…!- la voce del padre, interruppe
nei suoi pensieri, e si issò immediatamente.
Fece
per scendere, ma la folla le impediva di
procedere.
Tutta
quella gente sconosciuta, inconsapevole di
tutto, le impediva di abbracciare il suo innamorato ormai freddo come
la pietra.
La
rabbia la fece impazzire, si ritrovò a
piangere disperata urlando il suo nome.
Ed
ora sola, ripensava a tutto quello,
limitandosi a chiamarlo, sussurrando.
Era
il momento di rientrare, le lezioni sarebbero
iniziate da lì a poco, e la sua media immacolata non poteva
subire altre
assenze.
Alzò
i tacchi e si diresse all’interno del
castello...