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Autore: HollyIsForLovers    16/01/2009    2 recensioni
"I soli occhi che l’aveva apprezzata per la Pansy buffa, per la Pansy impacciata nell’alzarsi la mattina quando ormai era troppo tardi per presentarsi in aula, per la Pansy amareggiata dall’indifferenza di una famiglia assente, per la Pansy innamorata che era."
Forse la prima FanFiction su questa coppia insolita (PansyxCedric), spero vi farà piacere leggerla. Baci la vostra Holly.
Genere: Triste, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Cedric Diggory, Pansy Parkinson, Serpeverde
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Quarto

Le nausee si prolungavano da settimane ormai, e la stessa Daphne fu tentata di chiamare l’infermiera per aiutare l’amica, ma la sua idea fu prontamente bocciata.

Non sarebbe caduta più in basso di quanto già era caduta... continuava a ripetersi la brunetta, cercando di dare una sistemata a quei capelli non più neri come una volta.

Quella mattina avrebbe mangiato qualcosa, era decisa a farlo, anche se non sentiva fame da giorni, sperava di mettere un freno ai dolori laceranti allo stomaco, e anche al vomito che l’accompagnava ogni mattina.

Uscì dalla sua stanza, dopo essersi data una mano di trucco, inutile sulla pelle quasi trasparente.

Si soffiò tra le mani gelate e attraversò la sala di ritrovo, salutando con lo sguardo qualche ragazzino, di cui non ricordava il nome.

In quei giorni si sentiva sempre più stanca e pesante, la notte scorsa la Granger aveva  preso il suo posto nel giro di guardia notturno, per stare col suo pel di carota, facendola infuriare.

La McGranitt aveva risposto alle sue critiche con un sorrisetto tirato, tipicamente acido quando si rivolgeva a lei, dicendo che la carissima Granger voleva solo farle un favore.

Si, favore... come no…

Saliva le scale e senza accorgersene si ritrovò faccia faccia con la riccioluta.

La fulminò con lo sguardo, ritornando sulla sua strada senza farle proferire parola, ma la lingua della riccioluta la precedette.

-Non ho ancora sentito neanche un grazie…- enunciò la grifone, alzando la voce per farsi sentire.

-Grazie?- disse amaramente la bruna, votandosi.

-E per cosa di grazia?- domandò, facendo roteare gli occhi, prima di posarli fissi e scrutatori sulla figura della ragazza che arrossì.

-Ieri ho preso il tuo posto per la ronda notturna…- iniziò, sottopressione, cercando d non fare incrociare i loro sguardi.

Pansy si schiarì la gola.

-La prossima volta che hai intenzione di farmi un favore… risparmiati, okay Granger?- tossì, vacillando.

-Ma ti sei vista come sei combinata? Volevo solo farti dormire una notte tutto qui…-.

Quelle parole, seppur dette a fin di bene erano come lame.

Aveva toccato proprio il fondo se una Griffyndor le stava facendo la carità.

-Ma cosa ne vuoi sapere tu se io voglio o no dormire la notte??- urlò, per quanto la voce e il fiato glielo permettessero.

Si appoggiò alla parete, la riccioluta fece per avvicinarsi ma quella la bloccò immediatamente.

-Non toccarmi, mezzosangue…- sbottò acidamente, facendole ritirare la mano che aveva  porto per aiutarla.

-Non ho bisogno di mangiare… di dormire… non ho bisogno di niente… dovreste capirlo tutti…- continuò, come se stesse parlando da sola.

-Non fare così…- continuò quella come se gli insulti non l’avessero minimamente sfiorata.

-Ormai… non mi interessa niente… lasciatemi sola…- sbottò, con gli occhi umidi, ma con il desiderio di non scoppiare a piangere davanti a lei.

Si allontanò, voltandole le spalle, deviando la sua strada.

Uscì dal castello e camminava a passi decisi verso il lago nero, increspato leggermente dal vento debole.

Avvicinandosi, riuscì finalmente a scorgere la quercia, la loro quercia.

La quercia su sotto la quale avevano passato interi pomeriggi.

Dove lui l’aveva pregata di poter scrivere i loro nomi, e lei aveva sempre rifiutato, fino a cedere nel farli segnare un semplice P+C con un cuore sbilenco.

L’aveva preso in giro un’intera giornata per quel cuore, che tutto sembrava fuorché quello che era.

Si sedette sotto quei rami spogli che cedevano alla brezza invernale.

Abbracciò le gambe, come era solita fare da bambina, mentre i suoi sbraitavano fuori dalla porta della sua camera da letto, e lei cercava di coprire quelle urla con canzoni delle quali aveva scordato le parole.

Chiuse gli occhi ed eccolo apparire nel buio.

Un corpo, esanime, bianco disteso in uno stadio gremito di gente urlante e festosa.

Lei seduta nelle ultime file, teneva il gioco ai suoi amici, criticando ogni partecipante, compreso lui.

Sorrideva al pensiero che quella notte sarebbero stati insieme nuovamente, per festeggiare una vittoria o per scordare una sconfitta.

Ed invece tutto cambiò.

Le urla del bambino sopravvissuto la fecero tornare alla realtà.

Si sporse leggermente in avanti e lo vide, steso a terra, con gli occhi spalancati e la pelle cerulea.

Sentì il mondo crollarle addosso, quasi svenne.

Si accasciò al pavimento, con il cuore che batteva troppo forte, e il respiro che accelerava e sembrava sempre troppo lento.

Scosse il capo varie volte, la confusione la stava opprimendo.

Sentì l’urlo straziante di una ragazza, sperò che non fosse il suo, ormai non riusciva a controllare il suo corpo.

Vedeva le mani tremare, e sentiva le lacrime calde che le sfioravano le gote sicuramente arrossate.

-Il mio ragazzo…!- la voce del padre, interruppe nei suoi pensieri, e si issò immediatamente.

Fece per scendere, ma la folla le impediva di procedere.

Tutta quella gente sconosciuta, inconsapevole di tutto, le impediva di abbracciare il suo innamorato ormai freddo come la pietra.

La rabbia la fece impazzire, si ritrovò a piangere disperata urlando il suo nome.

Ed ora sola, ripensava a tutto quello, limitandosi a chiamarlo, sussurrando.

Era il momento di rientrare, le lezioni sarebbero iniziate da lì a poco, e la sua media immacolata non poteva subire altre assenze.

Alzò i tacchi e si diresse all’interno del castello...

  
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