– Otto –
Danni
Osservo
ancora un po’ la schiuma della mia birra, le cui bollicine crescono e
scoppiettano qua e là. Fra poco scompariranno del tutto, mostrando in
superficie il liquido dorato che ora stanno coprendo. Anche se il boccale è
ghiacciato continuo a tenerlo in mano, guardando distrattamente il suo
contenuto e pensando a tutt’altro. Chissà se ho fatto bene a lasciare Jamie con
Shane; non è che non mi fidi del ventiduenne, sembra un bravissimo ragazzo, è
solo che non mi piace non avere mio nipote sott’occhio quando dovrei essere io
a badare a lui, la cosa mi agita. E, come se non bastasse, ad agitarmi
ulteriormente c’è il fatto che la birra che ho in mano – da cui ho appena
bevuto un gelido e squisito sorso – mi è stata offerta da Matthew Evans in
persona. Se Jenna fosse qui impazzirebbe; devo assolutamente ricordarmi di
dirle quello che sta succedendo, appena recupero Jamie. Se non dovessi farlo
anche questa volta la ragazza mi potrebbe certamente riservare lo stesso
trattamento di martedì sera, facendomi la predica puntandomi contro oggetti
contundenti.
Alzo
lo sguardo su Matthew, intento a parlare con il barista; dopo tutti i terzi
tempi trascorsi qui dentro mi pare più che normale che i due si conoscano. Il
giocatore è stato davvero gentile ad offrirmi da bere, nemmeno ci conosciamo.
Ha detto che avremmo dovuto aspettare insieme il ritorno di Shane e Jamie,
perché l’irlandese avrebbe cercato lui per riuscire a trovare me. Tutto questo
mi fa uno strano effetto. Innanzitutto perché per me è già strano essere qui, e
poi perché devo praticamente rimanere in compagnia del capitano gallese. Devo
assolutamente evitare di fare brutte figure; non sarà semplice, se mi agito
sono un disastro. Matthew non si è ancora accorto del fatto che sono
imbambolata a fissare il suo profilo, ma è più forte di me. A guardarlo più da
vicino mi accorgo che ha qualche lentiggine sul viso, una piccola cicatrice
rosata al lato sinistro del labbro inferiore e le sopracciglia abbastanza folte
che, nonostante siano chiare, ne caricano l’espressività. Ma per il resto
sembra uscito da uno di quei sogni proibiti per single affamate di telefilm. Ha
un profilo perfetto, la mascella leggermente accentuata, il sorriso sicuro e
luminoso e ha uno dei tagli d’occhi più bello che abbia mai visto. Il tutto coronato
da corti e spettinati capelli biondo cenere dove, qua e là, spunta inaspettata
qualche ciocca rame. Ringrazia il barista quando quest’ultimo finisce di
preparargli la birra e si volta verso di me. Ci guardiamo un momento e vedo che
ha gli occhi azzurri, di una bellissima sfumatura celeste. I contorni delle
iridi sono blu e sfumano fino a scomparire nel mare colore del cielo che le
ricopre. Solleva il suo boccale di birra e mi sorride; io faccio lo stesso, ma,
come mi rendo conto della situazione in cui mi trovo, sento il mio imbarazzo
crescere terribilmente.
«Grazie
per la birra» tento di dire, provando a non lasciarmi condizionare dalla
timidezza.
«Non
c’è problema. Almeno ci beviamo qualcosa mentre aspettiamo Shane e Jamie»
Saluta
un suo conoscente con la mano e riprende a parlare:
«Quel
bambino ha una gran energia, ho visto. Mi piace»
«Sì,
è un demonietto. Non riesce a stare fermo un minuto» rispondo.
Lui
sorride e fa segno di sì con la testa, come a farmi capire che ha inteso:
«È
tuo fratello?» mi chiede poi.
Mi
sbrigo a rispondergli:
«No,
no. È mio nipote. Jamie è il figlio di mia sorella maggiore»
«Ah,
ho capito. Sospettavo non fossi sua madre, saresti troppo giovane»
«Sì,
beh, avrei dovuto partorire a quindici anni»
Mi
rendo subito conto di quello che ho detto e mi maledico per averlo fatto. Sto
davvero parlando di gravidanze precoci con quest’uomo? Mi sento avvampare e
spero vivamente che lui non se ne accorga. Invece si mette a ridere,
lasciandomi vagamente perplessa:
«Non
saresti stata la prima, però» dice.
Gli
do ragione annuendo con la testa, ma poi non so che altro aggiungere. Siamo
arrivati al punto morto in cui ho sempre paura di finire; principalmente perché
non so mai come venirne fuori. Invece, ora, eccoci qui: lui che beve un altro
sorso della sua birra e io che mi guardo intorno, chiaramente imbarazzata.
«Ah,
che stupido» lo sento dire.
Mi
volto a guardarlo, convinta che stia per dirmi qualcosa sul fatto che deve
incontrare assolutamente un suo amico e che quindi mi lascerà sola. Tuttavia mi
accorgo che mi sta tendendo la mano.
«Matt»
dice, appena l’afferro.
Sento
come un brivido scuotermi dentro quando le nostre mani si toccano. Deve
sicuramente essere colpa dell’assurdità del momento; stento ancora a credere
che stia succedendo veramente tutto questo.
«Lo
so» mi viene spontaneo dirgli.
Lui
sorride:
«Lo
immaginavo, ma è comunque buona educazione presentarsi» risponde.
Anche
io gli sorrido, trovando il suo gesto davvero carino.
«Io
sono Danielle»
Le
nostre mani si separano soltanto ora.
«Ah,
allora è per questo che Jamie ti chiama Danni» dice, spettinandosi i capelli
già sufficientemente scompigliati e non ancora perfettamente asciutti,
sicuramente per colpa della doccia che deve essersi fatto a fine partita.
«Sì,
è per questo. I miei amici mi chiamano Danni dalle scuole elementari»
«La
stessa cosa vale per me. Sono Matt, da sempre, per tutti. A volte anche i
giornalisti mi chiamano così» Allarga le braccia: «Ma lo preferisco. Matt suona
molto meglio di Matthew»
Nuovamente
torna il silenzio fra noi, ma per poco. Questa volta sono io a interromperlo;
voglio sfruttare appieno l’occasione che mi si è presentata di poter conoscere
un giocatore della squadra per cui tifo, e non uno qualsiasi, ma Matthew Evans.
«Non
sono mai venuta al terzo tempo, sai?»
Lui
mi guarda, sorpreso:
«Sul
serio? E come mai?»
La
risposta è semplice: perché sono una stupida e ho sempre temuto di venire
derisa per il mio lavoro appena posato piede qui dentro. Ma non rispondo così,
anzi, scuoto appena la testa e dico:
«Non
lo so»
Un
po’ è vero. Non so perché sono sempre stata tanto stupida. Mi sono sempre e
solo creata da sola più problemi di quanti in realtà ne ho incontrati. E ora mi
viene spontaneo chiedermi per quale motivo io abbia sempre rinunciato
all’occasione di passare così piacevolmente il mio tempo dando, invece, retta a
tutti i miei “problemi”. Se non mi fossi mai fermata troppo a preoccuparmi di
quello che la gente avrebbe potuto pensare di me, forse questa che ho in mano
non sarebbe la prima birra offertami da Matt. Tutte le persone che sono qui
dentro sono qui per lo stesso identico motivo: festeggiare e coronare al meglio
un pomeriggio di buon rugby. A nessuno di loro importa se sono una delle donne di
servizio, è già tanto se a qualcuno interessa sapere di me. La verità è che le
mie insicurezze mi hanno sempre sconfitta finora, ma non accadrà più.
«E
questo primo terzo tempo ti piace?»
Matt
mi risveglia dai miei pensieri con questa domanda. Ogni volta che lo guardo,
che penso al fatto che si sta rivolgendo davvero a me, quasi non mi sembra
vero. Se non sto sognando devo ricordarmi di ringraziare Jamie e Jenna, perché
è decisamente merito loro. Da sola non ce l’avrei di certo fatta, mi sarei
sabotata molto prima.
«Sì,
molto. Mi stavo giusto chiedendo perché ho aspettato tanto a decidermi a
venirci»
Si
mette a ridere e io rimango imbambolata a guardarlo mentre si ricompone. Mi
rendo conto che quando ho pensato che Matthew Evans mi affascina, ho pensato solo
la verità. Ora che gli sono davanti, che
l’ho visto in più occasioni interagire con Jamie, che lo vedo socializzare con
le persone e con me, ammetto che è davvero un ragazzo interessante. È
completamente diverso da come il gossip lo dipinge: non è affatto sfuggente, né
di poche parole. È proprio vero che i giornali rigirano le cose come vogliono
loro.
Matt
beve un altro sorso di birra, dopodiché appoggia il boccale al bancone e io lo
imito. Si passa nuovamente una mano fra i capelli:
«Mi
fa piacere saperlo. Allora significa che comincerai a venirci più spesso?» mi
chiede.
Lo
guardo, leggermente sorpresa. Mi sento vagamente arrossire perché i suoi occhi
celesti sono lì ad osservarmi:
«Direi
di sì» rispondo, fingendo nonchalance.
Pare
aver funzionato e, prima che lui possa dire qualcos’altro, approfitto della mia
finta tranquillità per continuare:
«Complimenti
per la partita, comunque»
Sorride,
distogliendo un momento lo sguardo:
«Grazie»
«Hai
giocato davvero bene, sul serio. Scommetto che te lo hanno già detto
praticamente tutti, ma il placcaggio che hai fatto all’ultimo è stato
provvidenziale»
Sento
che il mio fiume di parole è appena straripato. Alle volte mi capita, sempre
quando c’è di mezzo il rugby. Attacco a parlare più rilassata che mai e riuscire
a fermarmi mi è quasi impossibile.
Incomincio
ad analizzare alcuni dettagli della partita appena trascorsa e Matt continua ad
ascoltarmi, sempre con il sorriso in volto. La cosa che più mi sorprende, però,
è che pare davvero interessato a quello che sto dicendo. Credo sia sul punto di
pronunciare qualcosa, ma sento il mio nome esclamato a gran voce e qualcuno
afferrarmi per la vita: è Jamie. Poco dopo di lui ricompare anche Shane e io
torno a ricordarmi di essere alla cittadella di Arms Park in mezzo a centinaia
di persone e non sola con Matt chissà dove.
«Rieccoci»
dice Shane come ci raggiunge.
«Ho
conosciuto un sacco di giocatori, Danni, sai?» esclama Jamie, lasciandomi
libera e fermandosi fra me e l’irlandese.
«Sul
serio?» gli chiedo, felice nel vederlo così allegro.
Annuisce
energicamente e comincia ad elencarmi i nomi dei giocatori in cui si sono
imbattuti. Lo interrompo:
«Calma,
calma. Perché non me li dici stasera, quando incontriamo tuo padre?»
Il
piccolo mi dà ragione, dopodiché vedo Shane richiamare l’attenzione di Matt
dandogli un leggero colpo sulla spalla.
«Ho
incontrato Aaron. Mi ha chiesto di te» gli dice.
Matt
alza gli occhi al cielo:
«Cavolo,
è vero. Vado subito a salutarlo» Poi si rivolge a me: «È stato un piacere
conoscerti»
«Anche
per me» rispondo.
«Ci
vediamo, Jamie» saluta anche il più piccolo, che risponde con un “Ciao” e la
mano alzata.
Guardo
Matt allontanarsi e successivamente poso lo sguardo su Shane, che mi sorride.
«Vado
anche io» mi dice.
«Ah,
sì. Grazie di tutto» rispondo.
Lui
alza le spalle:
«Ci
mancherebbe. Alla prossima»
Saluta
sia me che Jamie e si immerge fra la folla.
Ora
che tutto è finito mi sento strana, devo ammetterlo. Ho parlato con Matthew
Evans, sono riuscita a rimanergli vicina e a non farmi influenzare
dall’imbarazzo che ho provato. Sento un sorriso comparirmi in volto, uno di
quelli che non si riesce in alcun modo a fermare. Non vedo l’ora di raccontarlo
a Jenna; so che mi dirà che sapeva sarebbe successo un giorno e che se mi fossi
sbrigata prima sarebbe stato meglio, ma posso sopportare di sentirglielo dire.
Gliene voglio assolutamente parlare, devo
parlarne con qualcuno. Più ci penso, più tutto mi sembra ancora più
incredibile.