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Autore: Ghost Writer TNCS    15/07/2015    2 recensioni
Secondo racconto della saga La via degli assassini (sequel di VdA - 1 - La Contessa di Genseldur).
Hélene Castillon, forte dei suoi innumerevoli successi, ha sia il talento che la volontà per essere la migliore, ma per chi percorre la via degli assassini, vanità e senso della giustizia sono sentimenti pericolosi.
Un giorno si sveglia in una stanza sconosciuta, con un occhio bendato e il corpo indolenzito. I ricordi sembrano inaccessibili, invece le basta vedere la sua immagine riflessa per ricordare ogni cosa e scoppiare in un pianto irrefrenabile.
Cosa può aver spinto una sicaria nobile e infallibile come lei a versare tutte quelle lacrime?
Domande? Dai un'occhiata a http://tncs.altervista.org/faq/
Genere: Azione, Fantasy, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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6. Morta due volte

Hélene, stesa su quel letto estraneo, strinse i pugni. Era così che era andata. Aveva agito in maniera irresponsabile, facendosi guidare solo dalla sua vanità e dal suo ambiguo senso di giustizia, al punto da rischiare sul serio di lasciarci la pelle. Avrebbe potuto piangere per il resto del giorno e anche di più, ma si sforzò di reprimere le lacrime.

«Perché non sono morta?»

«Bloody ti ha portata fuori in tempo.» le spiegò Morpheus con la voce ancora carica di emozioni. «È stata una fortuna che stesse andando da te proprio in quel momento.»

«Volevo dirtene quattro, ma evidentemente sono stata preceduta.» minimizzò la ragazzina.

«Grazie Bloody. Ti devo la vita.»

«Direi proprio di sì.» Poi, dopo un attimo, aggiunse: «Del resto non potevo mica lasciarti lì…»

Hélene non poté fare a meno di sorridere.

«Bloody, andiamo.» disse Morpheus con voce gentile «Lasciamo che si riposi.»

La ragazzina annuì e seguì l’uomo fuori dalla stanza.

Una volta sola, Hélene chiuse gli occhi, anzi l’occhio, ormai incapace di reprimere ulteriormente quel senso di totale impotenza e frustrante rammarico. Sentì le lacrime che scendevano e questa volta non riuscì a fermarle.

Il suo corpo funzionava ancora, però non riusciva a sentirsi davvero viva. Nell’incendio aveva perso tutto ciò che aveva, tutte le sue dotazioni da assassina e tutti i suoi ricordi. A conti fatti, non riusciva a non pensare che sia Hélene Castillon che la Contessa di Genseldur erano morte tra le fiamme di quella casa…


***


Dopo un altro giorno intero di riposo, finalmente le venne concesso di lasciare la stanza, situata in uno dei numerosi edifici di proprietà di Marcel Aubierre. Inizialmente si era stupita del fatto che il boss di Genseldur avesse accettato di darle riparo, ben presto però le fu tutto chiarito: era stato Morpheus a convincere Aubierre, suggerendogli di prenderla come sua protetta in cambio dei servigi della Contessa.

A causa dei tempi di degenza, aveva perso la festa di compleanno della sua amica Morgaine – un’altra cosa da aggiungere alla lista dei rimpianti – ma tanto non avrebbe potuto presentarsi ridotta così. Senza contare che tutta Genseldur la credeva morta, così come i Tadarés, e per di più dubitava fortemente che le sue amiche sarebbero state contente di rivederla.

La ragazza represse nuovamente le lacrime e si guardò un’ultima volta allo specchio prima di incontrare Marcel Aubierre. Per l’occasione aveva indossato abiti maschili ma eleganti – glieli aveva procurati suo zio e lei li trovava davvero molto belli – purtroppo però il suo viso era deturpato da un’orribile cicatrice che le prendeva il lato sinistro, rubandole un pezzo di sopracciglio e avvicinandosi all’occhio, per fortuna rimasto quasi illeso. La parvenza irregolare della pelle le faceva orrore, ma ancora peggio era accaduto ai capelli: erano stati quasi completamente bruciati e la pelle era stravolta dalle ustioni, col risultato che probabilmente non sarebbero mai più ricresciuti.

Il solo pensiero le costò una fitta al cuore, l’ennesima. I suoi meravigliosi capelli erano una parte fondamentale del suo fascino, il fatto di dover portare una parrucca per il resto della vita era peggio di una condanna. Si sentiva persa e impotente davanti al suo riflesso, annientata nel profondo, ma non voleva versare altre lacrime. Odiava mostrarsi debole, e piangere la faceva sentire una totale nullità.

Chiuse gli occhi per cercare di reprimere quella dolorosa immagine, quindi prese un profondo respiro e raggiunse lo studio di Marcel Aubierre. Era la prima volta che lo incontrava di persona e si aspettava di essere per lo meno un po’ emozionata, o preoccupata magari, invece non sentiva nulla. Non riusciva più a provare nulla.

Bussò sulla porta e quasi subito una voce la invitò ad entrare. Abbassò la maniglia e fu nello studio del boss di Genseldur, l’uomo più potente della città e capo di un clan di assassini famoso in tutto il continente.

«Prego, si sieda.»

Aveva già visto alcuni ritratti di Marcel Aubierre, quindi non rimase troppo colpita quando fu faccia a faccia con lui. Aveva i capelli di un biondo quasi arancio, gli occhi tetri erano accompagnati da delle lievi occhiaie e il suo viso stretto rifletteva le linee magre del corpo. La sua pelle era piuttosto pallida, portava un orologio dall’aria molto costosa e vestiva abiti formali, comprensibili data la situazione. Era difficile stabilire la sua età – per quel che sapeva Hélene, doveva avere almeno cinquant’anni – ma ancora più difficile era decifrare le impercettibili variazioni di espressione sul suo volto.

«Signor Aubierre, per prima cosa vorrei ringraziala per avermi fatto curare e per avermi dato ospitalità.» affermò la ragazza in tono rispettoso «Le sono molto riconoscente.»

«Mi hanno riferito quanto le è successo e ho ritenuto doveroso offrirle il mio aiuto. Lei ha ucciso un sicario dei Tadarés nella mia città, un gesto senza dubbio molto audace, e io ho sempre apprezzato le persone dotate di spirito d’iniziativa.»

«La ringrazio, ma temo sia stato un gesto più avventato che audace.»

Marcel la trafisse con uno sguardo, e la ragazza capì di non potergli mentire. «Si pente di ciò che ha fatto?»

Hélene chinò il capo, torcendosi le mani sciupate. «Solo di ciò che ha comportato. Non era mia intenzione portare la guerra a Genseldur.»

Il boss continuò a scrutarla con i suoi tetri occhi neri. «Cambiare il passato è impossibile, dobbiamo osservare la situazione e trarre le nostre conclusioni. Quello che so è che adesso abbiamo un nemico comune, un nemico che nel giro di qualche mese farà la sua mossa. Intendi combattere questa guerra? Combatterla per me

Hélene non era sicura che quella fosse davvero una domanda, in ogni caso non aveva intenzione di restare in silenzio. Sollevò lo sguardo, uno sguardo carico di determinazione. «Voglio combattere, sì, ma da sola non potrei fare nulla. Ho visto Roman Tadarés neutralizzare tutta la mia forza con una mano sola, l’ho visto trasformarsi in un gigante dentro casa mia e poi scaraventarmi a terra come un fantoccio. Non ho idea di come ci sia riuscito, ma credo che lei lo sappia.»

Gli angoli delle labbra di Marcel si sollevarono leggermente. «Ha ragione, so esattamente come c’è riuscito. E la correggo: non si è trasformato in un gigante, si è trasformato in un titano. Questo grazie al siero TitanShape, prodotto dalle industrie ETNA del dio Efesto.»

Hélene la guardò stranito. Non aveva mai sentito quei nomi. E poi cosa c’entrava un dio?

Vedendo lo scetticismo della ragazza, l’uomo continuò: «Sarò molto diretto con lei: né io, né Gordon Tadarés, né molti dei nostri uomini sono originari di questo pianeta. Veniamo dallo spazio, e abbiamo deciso di vivere qui perché ci risulta molto più facile portare avanti i nostri affari. Posso capirla se deciderà di non credermi, comunque tenga a mente che nemmeno suo zio e la sua allieva sono nati qui.»

La giovane era senza parole. Se qualcuno, chiunque, le avesse detto una cosa simile una settimana prima, probabilmente gli avrebbe riso in faccia, il modo con cui Roman l’aveva surclassata però le aveva fatto aprire gli occhi: quell’uomo stava dicendo la verità. «Quindi c’è un modo per vincere contro quei… titani.»

«Ovviamente. Tuttavia devo riconoscere che Efesto ha fatto davvero un lavoro eccellente, non è facile avere la meglio su qualcuno che ha ingerito il suo siero.»

«Me lo faccia avere.» chiese Hélene di slancio «Mi faccia avere quel siero, e lavorerò per lei abbastanza da ripagarla il doppio. No, il triplo!»

«Non è così semplice.» ribatté Marcel «La lista d’attesa per acquistarlo è lunga mesi, senza contare il periodo di adattamento. Ciò non toglie che dovrai diventare più forte, molto più forte. La mia offerta è questa: diventa una di noi, lavora per me, e io ti renderò abbastanza forte da sconfiggere qualsiasi nemico ti troverai davanti durante la guerra, sia esso una persona o un titano. Accetti?»

Hélene chinò il capo, studiando le sue mani strette a pugno. Non voleva rinunciare alla sua libertà, ma del resto quale libertà le restava? Tutto sommato aveva sentito che gli uomini di Aubierre, specie quelli bravi, se la passavano molto bene, e poi voleva vendicarsi, lo voleva disperatamente. «Sì, accetto. Ucciderò Roman, e dimostrerò che sono la migliore.» Si pentì di quelle parole un attimo dopo averle pronunciate, ma ormai era troppo tardi.

Marcel tornò a quel suo velato sorriso. «Mi aspetto grandi cose da lei, signorina Castillon. Può andare, manderò qualcuno a chiamarla per l’inizio dell’addestramento.»

Lei si alzò. Non sapeva bene cosa rispondere, così si limitò ad un grazie e ad un saluto formale prima di lasciare lo studio. Solo quando ebbe chiuso la porta alle sue spalle, le venne in mente una cosa piuttosto strana: i canini di Marcel Aubierre non erano fin troppo pronunciati?

L’arrivo di Morpheus la distolse dai suoi pensieri. «Allora Michelle, com’è andata?»

«Credo abbastanza bene. Ho accettato di lavorare per lui e in cambio ha detto che mi addestrerà per farmi diventare abbastanza forte da sconfiggere i titani.»

L’uomo tirò un mezzo sospiro di sollievo. «Ne sono felice. Ho un’altra buona notizia: ho chiamato il padre di Bloody e mi ha detto che può curare la tua cicatrice, ti farà tornare bella come prima. Sei contenta?»

Quella notizia ebbe sulla ragazza l’effetto di un afrodisiaco: il suo cuore cominciò a battere più forte e i suoi occhi si illuminarono di speranza. Dopo un istante però si ricordò di quello che le aveva detto Marcel, che sia Morpheus che Bloody non erano nati su quel pianeta. Tentennò un istante. «Zio, è vero che tu… vieni dallo spazio?» Le sembrava una domanda terribilmente stupida e si vergognava di averla fatta, ma quando vide l’espressione incredula dell’uomo, capì che era tutto vero.

«Te l’ha detto Aubierre immagino.»

La ragazza annuì. Non sapeva bene cosa dire.

«Michelle, ti posso spiegare, davvero…»

«Non sono arrabbiata.» lo interruppe lei «Solo… Insomma, non me l’aspettavo.» Suo zio non aveva nulla che suggerisse una sua origine aliena, viceversa aveva sempre pensato che le orecchie leggermente a punta di Bloody fossero solo un po’ strane.

Raggiunse lo specchio in cui si era osservata prima di entrare nell’ufficio di Aubierre e di nuovo studiò la sua immagine riflessa. La cicatrice non era affatto diventata meno ributtante, però sapere che non era irreversibile, le aveva tolto un grosso peso dal cuore. Per la prima volta da quando si era rimessa, si sforzò di portare una mano al viso per toccare la pelle ustionata.

Si voltò verso suo zio. «Dì al padre di Bloody che lo ringrazio, ma per il momento voglio restare così. Non voglio dimenticare quello che è successo, né qual è il mio obiettivo.»

Lo sguardo della ragazza era lo stesso di quando si erano incontrati la prima volta, e Morpheus, sorpreso da quelle parole, non poté che sorridere. A volte stentava a credere che la giovane donna che aveva di fronte fosse la stessa bambina di sei anni che gli aveva chiesto di diventare un’assassina. «D’accordo Michelle. Sono fiero di te.»

Lei gli sorrise, dopo un attimo però riprese a guardarsi nello specchio. Si morse il labbro e poi si voltò nuovamente verso l’uomo. «Ripensandoci però… E se intanto mi rimettesse a posto solo i capelli…?»

Suo zio sospirò, ma senza rammarico. Avrebbe dovuto aspettarsi una richiesta del genere, e in realtà non ne era dispiaciuto: già il fatto che avesse accettato di tenere una parte della cicatrice, dimostrava che la sua vanità non era più un ostacolo alla sua crescita, e poi neanche a lui faceva piacere vedere la sua bellissima figlia ridotta in quello stato. «Penso sia fattibile. Gli chiederò quando è libero.»

Lei sorrise e lo abbracciò. «Non ti farò mai più preoccupare così, te lo prometto.»

Morpheus la strinse a sé e dovette faticare per reprimere una lacrima di gioia. Sua figlia era stata surclassata da un altro assassino, aveva perso tutto ciò che aveva nell’incendio della sua casa ed era stata costretta a rinunciare al suo essere una solitaria, eppure non aveva l’aria di una perdente, al contrario: era pronta a ricominciare daccapo per preparare la sua grande rivincita.

   
 
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