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Autore: selala    16/07/2015    0 recensioni
Lovely Eleanhor Semenye, una ragazza ricca che vive a Buenos Aires, classica cocchina di papà, amante delle buone maniere e della legge.
Justin Drew Bieber, un ragazzo che si finge uno stronzo che nasconde un segreto, si fa chiamare William Kevin Herondale, solo l'amore potrà fermarlo dall'essere ciò che è.
Genere: Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Christian Beadles, Jaden Smith, Nuovo personaggio, Pattie Malette, Sorpresa
Note: What if? | Avvertimenti: Incest
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Le fiamme ormai erano ovunque ed io non potevo fare niente. Io ero impotente, come tutti coloro intorno a me. Era come trovarsi all’inferno, anzi peggio: la gente piangeva, urlava o, addirittura, si strappava i capelli dalla disperazione. Io, invece, stavo semplicemente in silenzio e fissavo la mia casa e quella dei vicini andare a fuoco. Io e mio padre eravamo salvi. Lui continuava a farmi le stesse domande, come se potessi dargli una risposta, da svariati minuti “Dove sono la mamma e Kyle?”. Lui piangeva, mentre io facevo finta che non m'importasse di ciò che stava accadendo.  O almeno, lo feci finché uno sconosciuto uscì da casa nostra. Il suo volto e il resto del corpo erano sporchi di fuliggine e fradici di sudore. Sembrava quasi che stesse cercando qualcosa, -o forse qualcuno-, in particolare. Così mio padre, con la sua solita gentilezza che, non so come, riusciva a mantenere anche in certe situazioni, chiese: “Scusi, signore, c’è ancora qualcuno lì dentro, vero?”. I suoi occhi erano speranzosi. “Non c’è nessuno” rispose l’altro, abbassando il volto, come se sapesse già come avremmo reagito. Papà spalancò gli occhi e, un secondo dopo, si buttò a terra e urlò. Non l’aveva mai fatto prima di quel giorno. Mamma e Kyle non erano stati trovati. Mamma e Kyle erano spariti per sempre. Mamma e Kyle erano morti. La mamma, colei che mi aveva cresciuto e si era comportata come un’amica per tutti quegli anni. Come avrei fatto senza di lei? Come avrei fatto a svegliarmi al mattino senza sentire la sua voce? Come avrei potuto vivere un solo giorno senza le sue carezze e i suoi caldi abbracci? E Kyle, il mio fratellino. Lui era tutto per me. Come avrei passato le notti insonni senza di lui? Come avrei fatto a stringere amicizia con altri maschi? Tutti mi avrebbero ricordato lui, se l’avessi fatto. Troppe domande a cui non potevo rispondere. Tutto mi sembrava irrealistico e allo stesso tempo così reale. Avevo perso due delle persone più importanti della mia vita, mio padre era stramazzato al suolo e i nostri vicini cercavano di entrare in casa per trovare i propri famigliari, molto probabilmente inutilmente perché, appunto, coloro che potevano essere salvati, erano stati resi tali già da un pezzo, per gli altri era troppo tardi. Mi sentivo egoista e ignorante a pensare certe cose, ma effettivamente era ciò che stava succedendo in quel momento. Era la realtà. Solo questa poteva essere. Non era la mia immaginazione, non era un sogno. Era tutto vero ed io ero troppo debole per sopportarlo. Accadde tutto in un nano secondo. Non avevo tempo per pensare. O meglio, i miei piedi non mi avevano permesso di farlo. Stavo correndo. Correvo più veloce che potevo mentre sentivo le guance bagnarsi delle mie insulse lacrime salate. Non avevo una meta, correvo e basta. Oltrepassai molte schiere di case, finché non mi trovai di fianco ad un vicolo cieco e mi fermai di colpo.



“Dalila?!” Lovely chiamò la sua balia per la terza volta, ma anche ora non fu notata.  Solo una cosa poteva fare: alzarsi dal letto e andare a chiamare Dalila. La ragazza in quei giorni era parecchio pensierosa e non aveva voglia di fare nulla, ma trovò la forza di mettersi in piedi e di recarsi in corridoio. Non sapeva dove avrebbe potuto trovare  la balia, ma puntò per la stanza da colei più frequentata, cioè la cucina. Aveva bisogno di parlare con qualcuno e Dalila poteva ascoltarla e capirla meglio di chiunque altro. Scendendo le scale, Lovely si mise a pensare nuovamente a colui che sarebbe quel giorno entrato a far parte della sua famiglia. Mancavano poche ore, ma la ragazza era già pronta: i suoi capelli erano perfettamente pettinati e alcuni morbidi boccoli corvini, appositamente lasciati fuori dalla crocchia, le ricadevano leggiadri sulle spalle; gli occhi e il resto del viso erano stati leggermente truccati da Dalila; l’abito era lungo, color verde opaco e faceva risaltare la scura carnagione della ragazza. Sinceramente, a Lovely non piaceva essere vestita e “agghindata” in quel modo, preferiva notevolmente i capelli sciolti e i vestiti corti dai colori accesi. Arrivata in cucina, Lovely riuscì a scorgere Dalila intenta a preparare uno dei suoi dolci a base di cioccolato e panna, uno di quelli che preparava solo per le occasioni importanti e che lei e Lovely non avevano mai assaggiato perché erano sempre state deboli di stomaco.
“Dalila, hai un secondo?” chiese cordialmente Lovely, dirigendosi a passo lento verso la balia.
“Oh, signorina, ma che domande! Ne ho anche due per voi” Dalila si girò sorpresa a guardare la fanciulla come se fosse un angelo appena sceso dal cielo e, in quell’attimo, Lovely si sentì estremamente amata. Non aveva mai permesso a Dalila di chiamarla per nome o di darle del “tu”, ma non sapeva bene perché. Forse era per il semplice fatto che, da quando era piccola, Lovely aveva smesso di dare fiducia alla gente, anche a quella da lei più amata. Tuttavia, non era il momento di pensarci, non ora che nella sua vita stava filando tutto liscio. O almeno, quasi tutto.
“Ti è mai capitato di sentirti fuori posto? Di sentirti come se nessuno fosse in grado di capire ciò che hai passato?” Lovely fece quelle domande in fretta, ma Dalila capì comunque parola per parola.
“Eccome se mi è capitato. E non solo a me, signorina, chissà a quante altre persone è successo” rispose Dalila sorridendo.
“Mi stai quindi dicendo che è normale, giusto?”
“Ovviamente, è normalissimo. Non vi preoccupate se vi state sentendo in quel modo, prima o poi passerà”
Lovely non rispose, annuì solamente e le sembrò quasi di veder Dalila starci male. Sapeva quanto la balia tenesse a lei, ma la cosa non era reciproca. Certo, la ragazza teneva a Dalila, ma non così tanto.
A un tratto, proprio mentre Lovely stava per formulare un’altra domanda, il campanello suonò. William era arrivato. Dalila parve agitata e cominciò a blaterare nella sua lingua madre –il francese- parole che Lovely non riusciva a capire. Nello stesso momento, il resto della famiglia si recò nella sala da ricevimento e la ragazza fece lo stesso. Si collocò tra suo padre e suo fratello minore, posando le mani in grembo esattamente come aveva fatto sua madre.
“Secondo te com’è?” Mark bisbigliò nell’orecchio di Lovely con un’aria visibilmente divertita. Probabilmente suo fratello si aspettava uno dei soliti ragazzi ricchi che venivano nel palazzo “giusto per fare un giro”. Lui li considerava “noiosi” e “all’antica”, ma Lovely era l’unica dei quattro fratelli a sapere che William sarebbe effettivamente entrato a far parte della famiglia.
“Non bisbigliare, è maleducazione” rispose Lovely, continuando a tenere lo sguardo fiero e deciso verso la porta. Non appena il signor Blanco batté le mani, un cocchiere aprì la porta. Lovely non guardò neanche la figura davanti a lei e indietreggiò istintivamente per fare un inchino, imitando i suoi famigliari. Non appena rialzò lo sguardo, Lovely lo vide. Non poteva essere molto più grande di lei… diciassette o forse diciotto anni. Indossava una semplice camicia bianca, calzoni neri e stivali marroni da cavallerizzo. Era senza panciotto, cosa alquanto rara per un maschio. Persino il più piccolo dei fratelli di Lovely lo aveva. Nella mano destra teneva due mazzi di fiori. A ogni modo, Lovely non aveva ancora ben analizzato il volto del ragazzo e, appunto, quando lo fece, rimase a bocca aperta. Quello era il viso più bello che lei avesse mai visto. Capelli castani leggermente arruffati e occhi ambrati. Zigomi eleganti, una bocca piena e lunghe ciglia folte. Perfino le vene sul collo erano perfette. Sembrava quasi uno di quegli eroi romanzeschi che Lovely immaginava mentre leggeva. Per poco non cadde quando William si avvicinò e porse un mazzo di fiori a sua madre -la quale sorrise e ringraziò- e l’altro a lei –che non si ricordava neanche come sorridere o proferire parola.
“Oh mio Dio, ma non mi avevano detto che ci sarebbe stata una donna in più!” esclamò il ragazzo, riferendosi a Dalila e prendendole la mano “Perdonatemi, magnifica signora, non mi avevano avvertito della vostra presenza” William parlò ancora -con quella voce che Lovely riteneva incantevole- e baciò la mano della balia suscitando nella ragazza un'ondata di gelosia.
Dalila sorrise. Stava per replicare, ma non fece in tempo perché il signor Blanco lo fece al posto suo.
“Dalila è la nostra badante, William, per questo non te ne ho parlato”
“Non credo che sia ad ogni modo giusto considerarla ‘una cosa a parte’, è comunque una donna e va trattata bene. Non credi anche tu, padre?” Rispose il ragazzo, notevolmente infastidito ma allo stesso tempo gentile nei confronti del signor Blanco. Lovely non riusciva a capire. A lei era stato permesso di chiamare suo padre in quel modo dopo svariati mesi, e William poteva farlo già il primo giorno?
“Certo, William” Diego sembrava quasi impaurito dal nuovo arrivato, era molto strano tutto ciò. “Lovely, cara, perché non accompagni William nella sua stanza?” A questa domanda, Lovely si sentì mancare il fiato. Non riusciva ancora a parlare, si vergognava troppo, così annuì semplicemente e iniziò a camminare verso le scale. Salì sopra di esse, girandosi un paio di volte per assicurarsi che William fosse dietro di lei. Trovatasi di fronte alla camera del ragazzo, in altre parole l’unica ad avere la porta già aperta, Lovely si fece finalmente coraggio e parlò “Questa è la vostra stanza, spero che sia di vostro gradimento”. La giovane fece per andarsene, ma fu fermata dalla voce del ragazzo.
“Ve ne andate di già? Non ci siamo neanche presentati. Allora, come vi chiamate?” il ragazzo non aveva scandito benissimo le parole -molto probabilmente non era spagnolo-, e Lovely non riuscì a capire bene ciò che aveva detto.
“Come mi chiamo?” chiese Lovely con un velo d'insicurezza.
“Non lo sapete?”
“Voi… voi parlate così… Sentite, potreste scandire meglio le parole? Neanche io sono madrelingua spagnola, per cui è difficile anche per me riuscire a… Anzi, come vi chiamate voi, piuttosto?”
“Mi chiamo Herondale” rispose il ragazzo, in tono allegro. “William Herondale, ma per gli amici Will. Questa è davvero la mia stanza? Non è un granché, no?” Andò alla finestra, fermandosi a esaminare le tende e poi il letto su cui sopra erano stati piegati alcuni asciugamani.
“Sì, questa è la vostra stanza, almeno così mi è stato riferito” rispose Lovely, cercando di non incespicare con le parole.
“Ah, capisco, signorina…” William guardò la ragazza, con una domanda inespressa negli occhi.
“Lovely Semenye” disse Lovely flebilmente.
“Bel nome” William ammiccò. “E non avete un soprannome?”
“Alcuni mi chiamano Love, quindi direi di sì”
“Love come amore, giusto?”
“Sì, in inglese il mio nome completo significa ‘amabile’…”
“Pensate che io non lo sappia? Non per essere sfacciato, ma io sono americano, signorina Semenye” William ridacchiò divertito.
“Non lo sapevo, signor Herondale, scusatemi” Lovely fece per andarsene per la seconda volta, ma fu fermata nuovamente.
“Aspettate! Come fate a sapere che sono maggiorenne?”
“L’ho immaginato, tutto qua” Lovely alzò le spalle e se ne andò di nuovo. Questa volta, però, William non la fermò.

“Dalila, così non ne metti forse un po’ troppa?”
“No no, signorina, è la quantità giusta. Non vorrete mica fare una brutta figura con il signorino Herondale, dico bene?”
Lovely annuì e permise a Dalila di passare ancora un po’ di cipria sul proprio viso. Mancava meno di un’ora alla cena e il signor Blanco aveva ordinato a tutti i suoi figli, William incluso, di conciarsi bene. Di solito non si curava molto dell’aspetto dei propri ragazzi, ma quella sera voleva che fossero perfetti a tutti i costi. Dopo aver finito di parlare con il nuovo arrivato, Lovely si era recata in biblioteca e aveva preso un paio di libri. Lei amava leggere, era il suo passatempo preferito, dopo la danza. Sì, Lovely sapeva ballare, e anche molto bene. Lo faceva da quando era piccola, forse aveva cinque anni quando aveva iniziato. Da quando era nel castello dei royals, però, lo faceva molto meglio. Ora aveva un insegnante privato, di nome Paolito Esperada, che le dava lezione di ballo per otto ore la settimana. Non aveva mai legato con quel signore, ma lui le permetteva comunque di chiamarlo per nome poiché sosteneva di avere un cognome “troppo sempliciotto per uno come me”, citando le sue parole. A Lovely scappò una risatina quando ripensò alla voce dell’insegnante mentre diceva quella frase, infatti ricevette una strana occhiata da parte di Dalila, la quale però non disse niente. Era troppo impegnata, in quel momento, a truccare il viso della ragazza per parlare.
Quando Lovely scese le scale per recarsi in sala da pranzo, notò subito che non era l’unica a essere in ritardo. Infatti, all’appello mancava anche William. Come se potesse leggerle nel pensiero, Federico chiese alla madre “Mami, ma dov’è Will?”.
“Non lo so, tesoro, è uscito poco fa” rispose lei.
Proprio in quel momento, il campanello suonò e Dalila si affrettò per andare ad aprire. Troppe coincidenze in un solo giorno. Lovely girò lievemente lo sguardo e vide William appoggiato allo stipite della porta. Era vestito elegantemente con un soprabito nero e le sue guance erano arrossate. Non appena Dalila gli fece un inchino, William entrò e si andò a disporre di fianco a Lovely, la quale stava sentendo il battito del cuore accelerare. Da così vicino, la ragazza si accorse di una cosa che prima non aveva notato.
“Avete i capelli bagnati” Lovely sussurrò a William quasi impercettibilmente quelle parole.
Il ragazzo annuì.
“Dove siete stato?” domandò la ragazza.
“Qui, là e dappertutto” William sorrise. Nonostante il suo fascino abituale, c’era qualcosa di strano nel modo in cui parlava e nello scintillio dei suoi occhi. A Lovely sembrò di poter quasi leggere William come uno dei suoi libri preferiti, se non come il più preferito.
“Ma sei ubriaco?” domandò Mark senza neanche un velo di gentilezza, procurandosi un breve rimprovero da parte della madre.
“In effetti, il mio scopo era quello. Però, ahimè, non c’erano abbastanza cocktail o donne, così ho preferito tornare qui” William sembrò non preoccuparsi di ciò che aveva appena detto, ma da come aveva parlato sembrava quasi ironico, infatti nessuno si stupì più di tanto.
“Bene, direi che possiamo sederci” il signor Blanco annunciò come al solito quella frase ad alta voce ed il via vai serale di cameriere e chiacchere incominciò.
Lovely non era solita a prendere parte ai chiacchiericci di famiglia, ma quel giorno aveva un’irrefrenabile voglia di parlare con William.
“State bene?” chiese la ragazza, contemporaneamente era intenta a spezzettare la sua fettina di pollo.
William rimase un momento zitto… e immobile, a parte l’alzarsi e l’abbassarsi del petto nel respiro. Poi, fece un profondo sospiro e annuì semplicemente, senza neanche guardare Lovely.
“Ne siete sicuro? Perché non…”
“Sto benissimo, davvero. Ora mangiate e lasciatemi in pace” William interruppe la ragazza e girò la testa verso di lei questa volta.
Lovely ci rimase un po’ male, ma obbedì e continuò a mangiare la sua fettina. Ogni tanto guardava con la coda dell’occhio William e pensava a quanto bello fosse.
“Signor Herondale…” iniziò Lovely posando coltello e forchetta sul tavolo e la sua voce suonò fievole alle sue stesse orecchie.
Il ragazzo girò nuovamente lo sguardo verso di lei. “Che c’è?”
“Siete strano, oggi pomeriggio non vi comportavate in questo modo” replicò la ragazza tutto di un fiato. Le pareva di aver corso fin sopra a una collina senza mai essersi fermata.
“Davvero?” replicò lui.
Lovely annuì e si massaggiò lentamente il braccio.
“Signorina Semenye, preferireste vedere il vero me, oppure quello finto?” Le labbra del ragazzo si curvarono in un sorriso malizioso che fece sentire Lovely leggermente a disagio.
“Quale dei due è meglio?”
“Quello finto”
Lovely restò in silenzio. Era rimasta spiazzata da quelle parole, talmente tanto che le sembrò di essere appena stata colpita in pieno viso da un forte schiaffo.
“Allora continuate a comportarvi come state facendo ora, voglio conoscere il vero William Herondale”
William parve sorpreso e sorrise.
“Voi siete la prima che a questa domanda risponde in questo modo, lo sapete?” disse William, era notevolmente compiaciuto.
“No, non lo sapevo” la risposta era ovvia.
I due si misero a ridere e poi ricominciarono a mangiare.

Lovely si svegliò il giorno seguente, quando Dalila accese la lampadina sul comodino. Si strofinò mugolando gli occhi e si recò istintivamente in bagno.
“Coraggio, signorina, la colazione è quasi pronta, vi consiglio di fare in fretta” Dalila le si rivolse in tono pacato. Dopodiché, uscì dalla stanza e Lovely riuscì a sentire la sua voce in lontananza mentre svegliava il resto dei suoi fratelli.
I ricordi della sera precedente tornarono ad affluirle nella mente: aveva passato il resto della cena a parlare con William di libri e danza e aveva scoperto che a lui piacevano ambo le cose.
Lui è proprio il ragazzo perfetto.

Lovely scacciò quel pensiero e iniziò a lavarsi il viso, ma poi notò che la vasca da bagno era piena fino all’orlo di acqua e sapone. Dalila probabilmente l’aveva riempita per lei e l’acqua calda stava già incominciando a raffreddarsi. Lovely si sfilò il pigiama, la biancheria intima e s'immerse nella vasca. Le sue spalle furono coperte dall’acqua e la ragazza rimase immobile, lasciando che il calore le penetrasse nella pelle. Lentamente cominciò a rilassarsi e chiuse gli occhi, poi scivolò ancora più in profondità fino a che riuscì a bagnarsi anche i capelli. Si lasciò cullare per un paio di minuti dal silenzio e dalla tranquillità di quel momento. Quando si mise a sedere, allungò la mano verso la saponetta alla vaniglia posata sul bordo della vasca e si strofinò la pelle e i capelli finché l’acqua circostante iniziò a sporcarsi. Forse era impossibile strofinare via i pensieri riguardanti William ma Lovely poteva comunque provarci.

La sensazione della spazzola che le passava tra i capelli era molto piacevole e, come sempre, faceva sentire Lovely più bella e aggraziata di quanto già non fosse. Era talmente rilassante che, quando Dalila parlò, Lovely sussultò.
“Avete chiesto al signorino Herondale dov’era andato ieri sera?”
“Oh, lui… Non me l’ha voluto dire”
“Capisco” I colpi ritmici di spazzola nei capelli di Lovely diventarono più rapidi “Non dovreste affezionarvi a lui, signorina. Non troppo. Lui non è… come voi credete che sia”
“E come mai?” Lovely corrugò la fronte.
Dalila smise di pettinare i capelli della ragazza e posò la spazzola sul tavolino di legno di fianco al letto a baldacchino, ma non rispose alla domanda.
Lovely voleva ordinarle di replicare, ma preferì lasciar stare. Dopotutto, la sua balia diceva così di tutti i ragazzi che Lovely adocchiava. Insomma… non proprio di tutti.
“Sai cosa, Dalila? Voglio che tu smetta di darmi del ‘voi’”
“Signorina Lovely, credo di non aver capito” la balia ridacchiò.
“No, Dalila, sono seria. Dammi del ‘tu’ e chiamami semplicemente Lovely o Love, come preferisci tu”
“Ne siete proprio sicura?” la balia ora era seria.
“Non te l’ho mai detto, Dalila, ma io ti voglio bene. So che anche tu me ne vuoi e che faresti di tutto per me. Quando sono arrivata in questo palazzo, pensavo di essere sola. Colei che sono obbligata a chiamare madre non ha mai voluto legare con me e dunque ero l’unica donna qui, senza considerare ovviamente le cameriere e le cuoche che mio padre cambia puntualmente ogni mese. Però, poi ho conosciuto te. Fin dal primo giorno, tu ti sei presa cura di me e hai fatto in modo che non mi mancasse nulla. Mi hai amato come… una madre. E per questo te ne sarò sempre grata” Lovely prese un forte sospiro. “Voglio anche dirti che mi dispiace se prima d’ora non ti ho mai dimostrato l’affetto che provo per te, ma voglio rimediare. Devo rimediare. Spero solo che non sia troppo tardi. Posso farlo?”.
Dalila aveva gli occhi lucidi: Lovely l’aveva fatta commuovere. Tuttavia, non rispose, guardò semplicemente la ragazza che per tutti quegli anni aveva cresciuto negli occhi e, senza pensarci due volte, la strinse forte a sé in un caloroso abbraccio.
“Questo è un sì, giusto?” domandò Lovely sussurrando dolcemente.
“Certo piccola mia” rispose la balia. Questa volta, però, scoppiarono a piangere entrambe.

Quando Lovely entrò nella sala da pranzo, gli altri stavano già facendo colazione. Sua madre indossava un abito rosa di tulle, che attirò immediatamente l’attenzione della ragazza, e stava spalmando della marmellata all’albicocca su una pagnotta; Suo padre stava mangiando il suo amato toast e i suoi fratelli stavano aspettando di essere, come tutte le mattine, serviti e riveriti da Dalila. William, invece, aveva nel piatto una montagna di uova e bacon e li mangiava con voracità, cosa che Lovely non poté fare a meno di trovare insolita per un ragazzo così magro. Lovely si sedette accanto a lui e versò dentro il suo bicchiere un po’ di aranciata.
“Stavo giusto pensando a voi” disse William, e le porse un vassoio d’argento “Un toast?”.
Lovely lo guardò in modo strano. “E cosa pensavate?”
“Ho fatto una domanda prima della vostra. Vi dispiacerebbe rispondermi?”  William si appoggiò allo schienale della sedia senza posare il vassoio.
“No, non voglio un toast. Vi ringrazio”.
A quelle parole, William posò il vassoio nel punto in cui era prima.
“Ora rispondo io alla vostra domanda” il ragazzo emise un profondo sospiro e poi guardò negli occhi Lovely. “Stavo pensando al fatto che mi piacerebbe conoscervi meglio, signorina Semenye”.
“Bene. Allora, iniziate dandomi del ‘tu’. So che sembra banale, ma aiuta a stringere i rapporti” disse la ragazza alludendo a ciò che aveva detto prima alla sua balia.
“Quindi posso chiamarti Love?” William piegò le labbra all’insù.
“Certo. Io invece posso chiamarti Will?”
“Non sei mia amica, ma te lo permetto solo perché sei tu”.
Solo perché sei tu.


“Raccontami un po’ di te. Di dove sei, quanti anni hai… Questo genere di cose” disse Will.
“Sono del Sud Africa, Botswana. Ho sedici anni, ma ne faccio diciassette fra un paio di mesi. Tu invece?”
“Immaginavo fossi di quelle parti. A ogni modo, io non ho una dimora fissa. Dove mi mandano, beh, vado e resto finché mi vogliono” il giovane ora parlava con tono distaccato. “Infine, ho diciotto anni” queste parole furono diversamente dette in modo compiaciuto e Lovely non poté fare a meno di ridacchiare. Poi, si ricordò di una cosa.
“Non avevi detto di essere americano?”
“Sono nato in America e ho vissuto lì per molto tempo, ma è dall’età di undici anni che non ci torno”
Lovely annuì e bevve l’aranciata rimasta nel bicchiere.
“Ehi, ti va di uscire con me? C’è un sole stupendo questa mattina e le passeggiate non fanno mai male” domandò Will senza preoccuparsi di parlare a bocca piena. Per lui il galateo è un optional, pensò Lovely.
“Non posso, ho lezione di danza fra poco” replicò la ragazza. Era la verità, eppure Lovely si sentiva meschina a dire di no a William.
“Ah, va bene…” il ragazzo espirò e fece un sorriso forzato. Quando si alzò, si chinò fino a sfiorare il naso di Lovely con il suo e disse “Buona lezione, allora”.

Lovely spinse la porta ed entrò nella sala delle prove con estrema grazia. La stanza era silenziosa poiché Paolito non era ancora arrivato, ma la giovane si sentiva in qualche modo osservata. Facendosi avanti, notò che c’era un foglietto a terra. Si avvicinò ad esso e si chinò per prenderlo, quando…

“Sei curiosa, Love?” disse una voce in perfetta lingua inglese.
Lovely sussultò e si girò: nel vano della porta c’era un’ombra, che nel venire avanti si trasformò in Will, il quale aveva un sorrisetto malefico stampato sul volto.
“No, stavo… Aspetta, perché hai parlato in inglese?” replicò Lovely mentre il ragazzo continuava ad avvicinarsi.
“Se non ti piace l’inglese, posso provare a parlare l’italiano. So anche quello”.
Per un momento, sul viso di Lovely balenò un’espressione di sgomento, ma la ragazza si affrettò a nasconderla. “Mi piace il tuo accento” disse poi lei, sorridendo leggermente.
L’angolo della bocca di William si sollevò leggermente e il ragazzo rimase un attimo in silenzio.
“Il signor Esperada ha telefonato poco fa: non verrà a fare lezione oggi. Tua madre mi ha mandato qui per dirtelo”
Lovely annuì. “Lo immaginavo, di solito arriva in anticipo”.
“Posso farti lezione io, se ti va” ribatté Will. Era serio, o almeno così pareva.
“Will, sei davvero molto gentile…” iniziò Lovely.
“Io sono sempre gentile” la interruppe Will. “E determinato. Sono quel tipo di persona che, se vuole una cosa, la ottiene, costi quel che costi”.
“E ciò che vuoi ottenere adesso è un ballo con me, dico bene?” domandò Lovely.
“Dici bene, Love” rispose il giovane, trascinando la lettera “o”.
“Te lo concedo se mi dici che cosa c’è scritto su quel foglietto a terra”.
Will spalancò gli occhi come se fosse stato colto in fallo a rubare le caramelle in un negozio di dolciumi, ma non disse nulla.
Il ragazzo si avviò verso il foglietto e lo raccolse, dopodiché si posizionò davanti alla porta.
“Will?” Lovely chiamò confusa il ragazzo. Non capiva neanche cosa stesse succedendo.
“Ho delle cose da sbrigare. Ci vediamo a cena”. Detto questo, William non diede a Lovely il tempo per replicare e uscì dalla porta chiudendola violentemente alle proprie spalle.
Io sono sempre gentile. Ora come ora, questa frase pareva solamente un’enorme bugia alle orecchie della ragazza. Un attimo prima, William era il sole che faceva crescere i fiori. Un attimo dopo, William era la tempesta che li rovinava. Perché?

“Jaden, non ha senso più senso ormai” il telegrafo parve scivoloso nelle mani di William mentre diceva quelle parole.
“Per te nulla ha mai senso” replicò il ragazzo dall’altra parte della cornetta, sbuffando. “Tu mi devi un enorme favore, amico. Non l’hai dimenticato, vero?”
“Certo che no. Però, sono dell’idea che potrei sdebitarmi in un altro modo, questo non mi sembra il più adatto”.
“Il mondo non gira intorno a te”.
“Neanche intorno a te”.
“In questo caso sì. Ho io il coltello dalla parte del manico e, se non vuoi che sia puntato contro di te, fai ciò che ti ho detto, oppure ne pagherai le conseguenze”.
“Dunque devo continuare a mentire?” una sfumatura di amarezza attraversò la voce di Will.
“Esattamente. D’altronde, è ciò che fai tutti i giorni”.
“Lo so. Jaden, però, devi smetterla di inviarmi quelle lettere. Le perdo sempre e oggi rischiavo persino di essere scoperto”.
“Da chi?”
“Lovely”.
Jaden rimase in silenzio. Ogni volta che sentiva pronunciare quel nome, sentiva una strana fitta che gli trafiggeva il petto, fino a trapassare il cuore. Il dolore più atroce mai esistito sulla Terra, ecco come il giovane definiva quell’orrenda sensazione.
“Scusa, non volevo…” incominciò Will.
“No, tranquillo, sto bene” lo interruppe l’altro.
“Ragazzi, è pronta la cena!”. La voce di Dalila risuonò per tutto il palazzo e William iniziò ad agitarsi.
“Jaden, devo andare. Ci sentiamo domani, va bene?”.
“Sì, ma fai ciò che ho detto. Io ti vedo sempre, lo sai”. Detto questo, Jaden attaccò. Will non aveva paura di lui, anzi, gli faceva perfino tenerezza.
 
  
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