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Autore: bibersell    23/07/2015    7 recensioni
Una calda sera di Maggio Abigail Jensen, la figlia diciottenne di uno dei più importanti giudici di pace dell'intera Washington, viene rapita da Storm, il quale è pronto a correre qualsiasi rischio pur di assecondare il suo folle e sconsiderato piano. Sarà proprio questa stessa follia che porterà Abby e il suo carnefice su una strada piena di sorprese e colpi di scena.
Il giudice è pronto a tutto pur di riavere indietro la sua bambina, ma riuscirà a tradire la giustizia pur di salvarla?
Storm riuscirà a rinunciare a quella ragazza dal viso d'angelo che giorno dopo giorno si insinuerà maggiormente nella sua testa?
Ed Abby riuscirà mai a perdonare sia il padre che Storm?
Dal nono capitolo:
"Per la prima volta riuscii a vederlo. Vederlo veramente. Senza apparenze e inutili maschere.
Se ne stava lì con le spalle leggermente ricurve come se il peso morale che si portava sempre dietro lo avesse piegato definitivamente al proprio volere. Le labbra erano chiuse e totalmente inespressive, ma gli occhi brillavano di una luce nuova. Sembravano essersi accessi e persi in una valle di ricordi felici fatti di gioia e spensieratezza.
Era totalmente immobile, eppure si muoveva".
Storia in revisione.
Genere: Angst, Azione, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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XX

Zona pacifica




Abigail's point of view

Nel pomeriggio, col sole ancora alto che illuminava le montagne di un bagliore giallognolo rendendo l’atmosfera rilassata, Storm fermò la macchina in un immenso spiazzale deserto.
La strada non era asfaltata e, invece del cemento, c'era una sabbiolina rossa che aleggiava nell’aria insieme al vento. In lontananza scorsi qualche folto e vecchio pino coi cespugli appuntiti. Uno stano senso di pace aleggiava nell’aria e quell’umore contagiò anche me che mi sentivo che in una specie di limbo. Ero cosciente di quello che mi circondava e degli eventi ma mi sentivo distaccata da essi, come se non li stessi veramente vivendo in prima persona.
Mi domandai cosa ci facessimo in quella zona dimenticata da Dio. Storm aveva parlato di un raduno per camperisti ma non vedevo nemmeno una roulotte nei paraggi e sperai che quello non fosse il confine di cui parlava. Ma dubitai fortemente di quell’ultima possibilità visto che se fosse stato così saremmo rimasti isolati dal mondo per due giorni. «Scendi» disse Storm aprendo lo sportello.
Io feci lo stesso e quando poggiai i piedi a terra avvertii un forte vento caldo sfiorarmi ogni centimetro di pelle sollevando le punte dei miei capelli. La polvere mi penetrò nei polmoni soffocandoli e impedendomi di respirare adeguatamente. Il mio petto fu scosso da una feroce tosse che non face altro che aumentare il bruciore alla gola.
Non mi sentivo affatto bene e temevo che in quelle ultime ore la mia temperatura si fosse alzata di parecchi gradi.
Con la coda dell’occhio vidi Storm prendere delle buste e riempirle con i panni che aveva in macchina e le poche bibite rimaste. Tra le tante cose notai anche il mio vestito che un tempo era di un delizioso rosa pallido. A vederlo adesso tutto stracciato e sporco non sembrava nemmeno lo stesso abito di chiffon.
«Tieni» allungò il braccio porgendomi l’abito mentre continuava ad imbustare la sua roba. «Ti servirà a proteggerti dal vento» aggiunse.
Lo afferrai e lo strinsi al petto come se fosse una reliquia del passato e probabilmente lo era, simboleggia la persona che ero stata prima di conoscere Storm.
«Dove andiamo?» chiesi a bassa voce sentendo a mano a mano le forze abbandonarmi.
«Lo vedrai» rimase sul vago prendendo le ultime cose per poi richiudersi lo sportello alle proprie spalle ed imbracciare le buste. «Seguimi»
Si voltò ed iniziò a camminare in mezzo al nulla. Sembrava che stesse percorrendo una precisa strada che era visibile solo a lui visto che secondo quel che vedevano i miei occhi ci trovavamo in mezzo al nulla.
«E la macchina?» chiesi seguendolo a piccoli passi e subito si insinuò un baratro di distanza tra noi due. I ritmi dei nostri passi non andavano proprio d’accordo, erano totalmente diversi.
«Non m’importa. Che se la prendano pure» rispose scrollando le spalle. Quel movimento travolse l’intera schiena facendola vibrare in seducenti onde. «Tanto non è mia»
Senza dire nient’altro lo seguii a piccoli passi e, diverse volte, Storm non mancò di ricordarmi quanto fossi lenta. Ovviamente non dimenticò di usare i toni duri e le parole sgradevoli, ma non ero in forma per imbastire un battibecco con lui, così eviati di rispondere.
Se stamattina lamentavo di stare male, beh non era niente in confronto a come mi sentivo in quel momento. Non risposi a nessuna provocazione di Storm e quello gli dovette far capire il mio stato fisico e mentale visto che dopo un po’ smise di tormentarmi.
Lungo la strada il nostro cammino fu intralciato da massi di diverse misure. Qualcuno era talmente grande e la strada si era ristretta a tal punto da costringerci a scavalcare quelle macerie. Il ragazzo non sembrava affatto disturbato da questo dettaglio diversamente da me che faticavo anche a camminare.
Quando il sole stava iniziando a cadere a picco alle spalle delle montagne che solitarie si stagliavano davanti a noi giungemmo alla cavità concava di una grotta.
«Che cavolo?» mi lasciai sfuggire quella frase seguita da un gemito di pura sorpresa. Non capivo più niente e il mio stato di debolezza fisica non aiutava affatto. Cosa c’entrava quella grotta con i camperisti, con lo scambio e con Jack? «Aspettami qui» disse Storm alzando un dito segnandomi che ci avrebbe messo poco.
Approfittai della sua momentanea assenza per appoggiarmi alla roccia della caverna e tirai un sospiro profondo. Chiusi gli occhi e rilassai i muscoli della schiena facendo peso sulle gambe per sorreggermi.
Avevo la pelle appiccicosa e sudaticcia, i capelli erano sporchi e li sentivo oleosi quando ci passavo le dita in mezzo e gli occhi si erano arrossati per i granelli di sabbia che volavano nell’aria. E per concludere in bellezza in mio corpo era scosso da tremiti di freddo nonostante fossi cosciente del caldo estivo.
Mi persi nei miei pensieri mentre la paura aumentava. Il fatto che mi fosse salita la febbre proprio in quella situazione mi metteva ansia. Se tutto andava bene secondo i piani della mente contorta di Storm tra due giorni sarei stata a casa ma il pensiero di passare anche solo un altro secondo in quelle condizioni senza un piatto cucinato, senza medicine e coperte per stare al caldo mi disarmava.
Un rombo forte che mi ricordò il rumore dell’accensione del motore di un'auto ormai vecchia mi riportò alla realtà costringendomi ad aprire gli occhi.
Storm in sella ad un Quad Honda uscì dalla grotta sollevando una nuvola di polvere rossa. Tossii coprendomi il volto con le mani.
«Ma che cavolo sta succedendo?» domandai sconcertata quando Storm sgommò portandosi al mio fianco e restando per una frazione di secondo stabile solo sulle due ruote laterali.
«Sali» disse porgendomi il casco e ignorando totalmente la mia domanda. Il suo volto era coperto dal casco gemello a quello che mi stava porgendo e dalla visiera alzata scorsi i suoi occhi azzurri luccicare di eccitazione.
Certo, ad un pazzo come lui come non poteva emozionare una folle corse sul quattroruote.
Ma ad una ragazza di città come me abituata al lusso quell’idea non piaceva proprio. Cavoli, non ero mai andata neanche in moto.
«Preferirei di no» risposi scuotendo la testa.
Storm tenne il braccio teso con in mano il casco puntato sul mio petto. «E sentiamo» iniziò «come intendi arrivare al campo di roulotte se non ce la fai nemmeno a reggerti in piedi?»
Solo in un'occasione riuscivo a detestare Storm ancora di più: quando aveva ragione, come in quel momento.
Cambiai argomentazione sapendo che su quel punto aveva mano facile.
«Dove l’hai preso?» chiesi indicando il mezzo «Hai rubato anche questo?»
«No, questo è mio» ribadì.
«E perché era in una..grotta?» domandai sentendomi stupida solo a porre una domanda del genere. «Non dirmi che quello è il tuo garage» proseguii ironicamente.
«Anche da febbricitante non rinunci al sarcasmo» rispose ed ero pronta a scommettere che da sotto il casco stesse ghignando «L’ho portata qui il mese scorso»
«É perché mai avresti fatto una cosa del genere?» anche se mi scoppiava la testa ero curiosa di risolvere almeno quel mistero.
«Ce l’ho portata in previsione di questo momento» parlò muovendo la mano che impugnava il casco «Il mio piano è stato studiato nei minimi particolari»
Non seppi come rispondere e rimasi in silenzio.
«Sali» ripeté la stessa frase di prima «O hai altre domande?»
Svilita afferrai il casco e feci per salire dietro di lui ma lui mi bloccò afferrandomi un braccio. Stranamente non strinse la presa per farmi male, ma appoggiò semplicemente la mano sul mio avambraccio.
«Davanti» disse facendosi indietro e indicandomi il posto da lui occupato fino a pochi secondi prima.
Senza fare ulteriori domande mi infilai il casco che fortunatamente chiusi senza intoppi e salii in sella al Quad.
Le braccia di Storm sfiorarono le mie per raggiungere gli estremi del manubrio nero e restarono a stretto contatto con la mia pelle per tutto il tragitto.
Le sue braccia calde e il suo petto massiccio che gravava sulla mia schiena mi riscaldarono tenendomi al calduccio e lontana da quel freddo che mi stava gelando le ossa.
Quando partì il quattroruote saltò con un balzo in avanti e io mi sentii catapultata da una parte all’altra e capii perché Storm mi avesse fatta sedere avanti: dietro sarei caduta appena aveva messo in moto.
Le sue braccia mi protessero evitando scombussolamenti inutili.
A bordo del Quad vidi il sole scomparire totalmente e il cielo tingersi di una tonalità sempre più scusa fino a diventare di un blu intenso, quando riuscii a scorgere da lontano qualche camper ormai era già sera. Con il crossover non saremmo mai potuti arrivare fin lì, la strada era troppo dissestata e con tutti quei massi avremmo sicuramente forato e senza il Quad avremo dovuto proseguire a piedi e ci avremmo messo un’eternità.
Storm aveva davvero pianificato tutto non lasciandosi sfuggire nulla e sperai che anche il momento dello scambio andasse come sperava. Non sapevo perché volesse salvare il fratello assassino da morte certa e, in tutta onestà, non mi importava. Volevo solo tornare a casa.

Storm fermò il quattroruote all’inizio di un vialetto i cui contorni erano stati fatti da delle piccole piantine di cactus in vaso. Cinque vasi a destra e rispettivi a sinistra creavano quel vialetto nel del mezzo del nulla. Più avanti erano parcheggiati una decina di roulotte bianche che distanziavano una trentina di metri l’una dall’altra. Tutt’intorno ai camper altre piante grasse formavano un cerchio irregolare. Chiunque abitasse lì doveva avere il pollice verde e una gran passione per quei vegetali.
Storm mi affiancò e insieme percorremmo il breve viale. Io mi guardai attorno credendo di essere capitata in una dimensione parallela. Non riuscivo ancora a capire cosa ci facessero quelle persone nel bel mezzo del nulla. Tra una roulotte e l’altra erano legati dei fili ai quali erano stesi dei panni. A qualche metro da noi erano stati posti dei tronchi in modo da formare un enorme cerchio. Sembrava uno di quelli che si facevano al campo scuola la sera con un falò acceso al centro ma lì non c’era traccia di fuoco.
«Sono un gruppo di Figli dei Fiori. Vivono qui tutto l’anno» mi disse Storm all’orecchio abbassandosi fino a far sfiorare i suoi capelli sulla mia guancia.
Prima che potessi rispondere la porta di un camper vicino a noi si aprì e un uomo sulla trentina tarchiato e dal lunghissimi capelli biondi ne uscì.
«Ti aspettavamo in mattinata» disse e la sua voce risuonò melodiosa senza la minima nota di nervosismo.
«Ho avuto dei contrattempi» rispose Storm duramente e il suono della sua voce risuonò in contrasto con quella del giovane uomo.
Mi persi ad osservare i suoi lunghi capelli biondi che gli sfioravano la spalla e incorniciavano quel viso spigoloso. Gli occhi erano piccoli e tagliati a mandorla e brillavano di un colore scuro simile a quello della cioccolata fondente.
La carnagione era talmente chiara che a stento si riusciva a distinguere la differenza tra la sua pelle e la camicia bianca che indossava.
«Gareth chi è alla porta?» proruppe una voce femminile e una donna ben presto raggiunse l’uomo. Appena ci vide un sorriso spuntò sul suo volto e corse immediatamente verso Storm gettandogli le braccia al collo.
«Che bel giovane che sei diventato» strillò di gioia abbracciandolo affettuosamente ma lui rimase immobile con le braccia tese e le mani nelle tasche posteriori dei jeans scuri.
Poco dopo la donna dai lunghi capelli ricci e neri come la pece, che non facevano altro che svolazzare, si stacco da Storm e in quell’esatto momento sentii un peso in meno sul cuore, come se la vicinanza di quella donna mi avesse innervosito. «Su, entrate» disse allegra guardando verso di me e sorridendomi. Io cercai di ricambiare flebilmente ma quello che mi spuntò sulle labbra fu più un ghigno che un sorriso.
La donna sembrò non farci caso ed entrò nella roulette invitandoci a fare lo stesso.
Storm la seguì a ruota ma prima che potesse salire i gradini del camper io lo bloccai.
«Come mai vi conoscete?» domandai nervosa sputando quelle parole con stizza ad un millimetro di distanza dal suo volto.
«Che t’importa?» rispose cercando di liberarsi della mia presa e riuscendoci ma io mi posizionai davanti a lui bloccando il suo corpo contro la roulotte.
«Rispondimi Storm» dissi abbassando il tono della voce ad ammorbidendo i miei gesti.
Lui sospirò ma cedette «Sono un gruppo di Hippie in continuo spostamento, qualche anno fa sono venuti nulla mia città e mi hanno preso in simpatia»
«Quella donna sembrava conoscerti molto bene» continuai rimanendo immobile in quella posizione, coi nostri petti che si sfioravano ad ogni respiro.
«Sofia saluta tutti in quel modo. É fatta così. Fa parte del modo di essere degli Hippie» si giustificò guardandomi negli occhi.
«L’uomo alla porta non la pensava allo stesso modo» risposi ripensando a Gareth, così lo aveva chiamato la donna, e a come lo aveva salutato. La sua voce era stata morbida ma il saluto era rimasto comunque freddo, soprattutto in confronto a quello di Sofia.
«Ce l’ha con me perché mi sono fatto sua sorella» disse come se fosse la cosa più normale di questo mondo.
Quella frase mi cadde addosso come una secchiata d’acqua e non seppi nemmeno perché ci fossi rimasta tanto male.
Mi allontanai di scatto dal corpo di Storm muovendomi all’indietro. Un capogiro mi colse inaspettato e in un attimo, in cui mi resi conto della mia pelle bollente e dei miei muscoli deboli, tutte le forze mi abbandonarono definitivamente e caddi all’indietro. Ad attendermi, però, non ci fu il polveroso terreno ma due forti braccia.


Quando ripresi conoscenza vidi il volto di Sofia teso in un’espressione concentrata. Non si era accorta nemmeno che avevo aperto gli occhi. Sbattei le palpebre tornando a vederci bene e notai che la donna mi stava cambiando le bende sulla fronte intinse d’acqua fredda.
Sentivo la pelle del petto tirarmi eppure sembrava che il bruciore alla gola fosse sparito. Mi portai una mano tra i seni e toccai una sostanza pastosa che profumava di menta.
«Ben svegliata» mi salutò raggiante la donna sedendosi sul letto, lo stesso letto in cui ero stesa io. «Come ti senti?»
Mi raschiai la voce prima di rispondere «Meglio. La gola non mi fa più male»
La donna annuii fiera. «Ti ho spalmato una pasta di erbe curative sul petto. Fanno effetto velocemente»
«Grazie» balbettai incerta sbattendo le palpebre.
«Non devi ringraziarmi bambina» rispose alzandosi dal letto e prendendo un bicchiere d’acqua.
«Bevi» disse e aprì l’altra mano stretta a pugno e mostrandomi una pillola abbastanza grande «Ti aiuterà a far scendere la febbre»
«Cos’è?» domandai timorosa che si trattasse di qualche altro intruglio d’erbe.
«Semplice tachipirina» rispose la donna tranquillizzandomi.
La inghiottii subito meravigliandomi di quanto l’effetto di quella pasta ad erbe naturali fosse stato repentino.
«Riposati cara». Sofia mi poggiò una mano sulla fronte e quel gesto mi sembrò talmente materno che quasi mi commossi. La mancanza di casa era fortissima.
«Vorrei chiederle delle cose» parlai nonostante il suo rabbonimento. «..su Storm» continuai.
«Me le chiederai domani cara. Adesso riposati» disse in tono talmente dolce e musicale che le sue parole, alle mie orecchie, risuonarono come una ninna nanna.


 

Note
Allora ragazze, cosa ne pensate di questo capitolo? Vai aspettavate che i due finissero in un campo di Hippie?
Il giorno dello scambio si avvicina. Nel prossimo capitolo mancherà solo un giorno e sarà l’ultimo di tranquillità per i nostri bei protagonisti.
Come sempre ci tengo a sapere ogni vostro pensiero, emozione, parere. Tutto ciò che vi passa per la testa. Su questo capitolo non so cos’altro dirvi e spero che vi sia piaciuto, almeno un pochino. Se vi ha tenute compagnia per pochi minuti riuscendo a rubarvi qualche emozione sono contenta, non potrei augurarmi nulla di meglio.
Ci tengo a ringraziare ognuna di voi, da chi recensisce a sci legge semplicemente. Sappiate che io sono abbastanza contenta di come stanno andando le cose con questa storia.
Spero di vedere visetti nuovi tra i recensori e nulla, un bacio e al prossimo delirio che sono sicura vi piacerà e ricompenserà questi ultimi capitoli a mio parere bruttini.
Notte alla prossima, si spera
-B
  
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