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Autore: sfiorisci    26/07/2015    0 recensioni
Anno 3265.
La Terra non esiste più. Gli esseri umani hanno sfruttato tutte le sue risorse, fino a quando questa non è divento un pianeta morente. Un gruppo di scienziati riesce a mettere in salvo parte della popolazione portandola su Xaral, un pianeta con le stesse caratteristiche della Terra. Con la loro partenza sperano di poter mettere fine alla malvagità e la sete di potere degli uomini, ma purtroppo vengono delusi: coloro che avevano salvato si impongono sulla popolazione nativa, massacrando gli Xaraliani.
Anno 4065.
Evelyne è una ragazza fortunata, o per lo meno questo è il pensiero dei suoi dottori. Il suo corpo è stato ritrovato quasi in fin di vita in seguito all'esplosione di un palazzo. Il prezzo per la sua vita è stata la memoria: non ricorda nulla dell'incidente o della sua vita prima di esso, non ricorda amici, familiari e neppure il suo nome. L'unica cosa che sa è la sua età, diciotto anni, confermata dai dottori. Tutta l'eredità del suo passato è una medaglietta con scritto "Evelyne" appesa al collo.
Lentamente, riuscirà a mettere insieme i pezzi del suo passato, scoprendo che il suo destino è collegato a quella misteriosa popolazione, massacrata molti anni prima.
Genere: Avventura, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo VIII
 
Era già passato un mese da quando Evelyne si trovava ospite presso Mary Rosen, l’Ibrido presentatole da Speranza, ma ancora non si era abituata all’enorme casa in cui viveva. Enorme, almeno, rispetto alla sua stanza d’ospedale o all’appartamento in cui una volta l’aveva condotta Kevin Fort o agli accampamenti provvisori in cui era solita vivere negli ultimi tempi. A pensarci bene, era anche più grande della casa che aveva sognato durante la visione che aveva avuto mentre la Nativa la curava.
Non conosceva ancora così bene il mondo da poter dire se la signora che la ospitava avesse tanti soldi oppure no, ma la casa era simbolo di ricchezza, probabilmente passata, date le condizioni in cui viveva in quel momento − Mary Rosen era una donna attenta ad ogni singolo soldo che usciva dal suo portafoglio, ma non aveva l’aria di essere taccagna – facevano presupporre alla ragazza che si trovasse in difficoltà economiche.
La casa era formata da moltissime stanze, che Evelyne non aveva avuto l’occasione di esplorare perché non le era stato accordato il permesso dalla padrona; le uniche in cui poteva stare erano la cucina, la sala da pranzo, la camera degli ospiti (temporaneamente adattata a sua camera), la biblioteca, il soggiorno e i bagni. La ragazza sapeva che c’erano anche un piano sotterraneo e almeno altre tre stanze in cui non aveva mai messo piede. Certo, l’esplorazione totale della casa poteva essere un utile passatempo, ma il prezzo da pagare sarebbe stato far arrabbiare l’Ibrido e pensò che non ne valesse la pena. Inoltre amava stare nelle stanze in cui le era concesso e non soffrì tanto il non poter muoversi.
Nella casa, perfettamente arredata, c’era sempre qualcosa da notare e di cui rimanere sorpresi. Evelyne aveva adocchiato parecchie foto di famiglia – risalenti a moltissimo tempo prima – in cui una sorridentissima e giovane Mary Rosen guardava verso l’obbiettivo, in compagnia di un uomo alto e di due bambini piccoli. C’erano anche altre foto dei bambini: alcune li ritraevano insieme vestiti per andare a scuola, altre a feste di compleanno, ce n’era una in cui il più piccolo teneva in mano un dentino – forse il primo che gli era caduto? – e un’altra dove il maggiore baciava una ragazza.
La foto più bella dell’intera casa, comunque, era posizionata in soggiorno, al di sopra di una mensola. Era una foto scattata di nascosto, forse da uno dei due bambini quand’erano piccoli, dato che appariva un po’ mossa, e le persone immortalate in essa non erano in posa. Forse proprio a causa della spontaneità dello scatto e di chi l’aveva scattata, la foto sembrava la rappresentazione dell’amore vero: all’interno di essa Mary Rosen – sempre giovane – guardava suo marito in maniera dolce mentre lui, a pochi metri di distanza, le sorrideva. Non c’erano gesti plateali o grandi baci a mostrare ciò che provavano l’uno per l’altra, ma il modo in cui i due si fissavano valeva più di mille parole: i loro sguardi s’incontravano e sembravano quasi parlarsi. Cosa dicessero non era dato saperlo a nessun’altro se non a loro due. L’amore, pensò Evelyne, non era altro che questo, l’essere profondamente in sintonia con qualcuno, così tanto da fare gli stessi pensieri allo stesso momento e capirsi solo con un’occhiata fugace. Nella foto vi erano anche fiori magnifici, un bellissimo cielo azzurro primaverile e, in lontananza, anche il mare, ma tutto ciò che catturava l’attenzione di un osservatore – anche del più sbadato – era lo sguardo dei due giovani innamorati.
Evelyne era davvero curiosa di sapere che fine avesse fatto quell’uomo di cui Mary Rosen era tanto innamorata e, soprattutto, si chiese se e quando  qualcuno avrebbe mai guardato lei in quel modo. Per un attimo s’immaginò che tutto ciò che stavano vivendo sarebbe finito per il meglio, e inventò una persona al suo fianco; una persona che l’amava, con cui aveva tante foto appese alle pareti di loro casa a testimonianza del loro amore, una persona che sarebbe invecchiata al suo fianco.
Senza riuscire a trattenere un sospiro, si domandò quand’è che la persona che idealizzava avrebbe smesso di prendere le sembianze di Ashton.
 
Generalmente, la sua vita, nella grande casa, era piuttosto tranquilla: inizialmente Evelyne aveva provato a far conversazione con Mary Rosen, ma Speranza non l’aveva messa in guardia a dovere. Tutto ciò di cui si era raccomandata la Nativa era stato di non farle perdere la pazienza perché L’ibrido era una tipa scontrosa e burbera, solo che aveva dimenticato di specificare quanto lo fosse. La prima volta che la ragazza aveva provato a parlarle, Mary le aveva rivolto un’occhiataccia e aveva messo in chiaro fin da subito che la sua presenza era sopportata, non gradita; per cui Evelyne avrebbe fatto meglio a rispettare le regole da lei dettate e importunarla il meno possibile.
La ragazza lì per lì ci era rimasta un po’ male – nemmeno Kevin Fort era così scontroso – eppure, dopo averci riflettuto su, pensò che un po’ di autonomia e solitudine non le avrebbero fatto male. Dopotutto aveva deciso di lavorare su di lei e, per farlo, aveva bisogno solo di se stessa.
Iniziò tutto il giorno seguente alla chiacchierata con l’Ibrido: Evelyne si era svegliata presto e, non sapendo bene da dove cominciare per trovare se stessa, vagò per la casa senza una meta precisa, fino a quando non venne attirata da una stanza in cui non era mai stata prima. Nonostante la biblioteca non fosse stata menzionata da Mary Rosen fra le stanze in cui non poteva mettere piede, la ragazza – forse perché di libri, in fondo, non se n’era mai interessata – non l’aveva mai notata. O meglio, lo aveva fatto, ma aveva deciso che non le interessava.
Fu proprio la noia a condurla lì e, una volta entrata, si sentì stupida per non averlo fatto prima: non solo poteva trovare libri con storie e leggende sulla storia di Xaral, ma anche romanzi le cui protagoniste vivevano una vita molto simile alla sua. Non avrebbe mai immaginato che il mondo fantastico creato dai libri potesse interessarla – era già abbastanza strano quello in cui viveva lei – ma non aveva mai pensato a quante eroine si erano già trovate nella sua situazione e vedere i loro ragionamenti, le scelte che avevano preso e la crescita durante il loro percorso la aiutavano.
Una volta presa questa abitudine, Evelyne passava intere giornate a leggere. Aveva trovato un posto perfetto, su una piccola poltrona, davanti alla finestra. La luce del sole che filtrava le illuminava le pagine e la ragazza amava perdersi fra di esse, sia che fossero appartenute ad un romanzo o a dei libri storici. A volte si trovava così bene e si immedesimava così tanto in ciò che stava leggendo che si dimenticava di saltare i pasti e Mary Rosen ogni volta la chiamava dalla cucina – la pancia grossa dell’Ibrido e la sua faccia rotonda dimostravano quanto lei al buon cibo ci tenesse – intimandole di avere almeno tre pasti al giorno.
A parte qualche sporadica conversazione di cortesia e qualche rimprovero, però, Mary Rosen rimaneva un mistero. I libri la confortavano durante le lunghe ore del giorno, ma non sarebbe stato male avere qualcuno con cui fare quattro chiacchiere ogni tanto. La padrona di casa, però, era così riservata che non avrebbe gradito nessuna conversazione. La ragazza pensava che già il fatto che vivesse in casa sua e che quindi aveva scoperto una parte della sua le pesasse. Non c’era nulla da fare, la signora era riservata e, fino a quando non lo avrebbe deciso lei, la ragazza non sarebbe riuscita a scoprire qualcosa.
Dopo un mese passato principalmente a leggere libri e osservare vecchie foto, Evelyne decise che sarebbe stata l’ora di iniziare a fare qualcosa di nuovo. Era vero che si era concentrata su di lei, ma lo aveva fatto tralasciando una parte importante del suo essere: i suoi poteri. Non sapeva ancora bene come funzionassero o quali fossero, per cui iniziò a stringere la collana con il suo nome e concentrarsi sul suo battito cardiaco come faceva di solito, senza sapere bene cosa aspettarsi. In un primo momento non accadde nulla ma, dopo giorni passati a ripetere lo stesso rituale, Evelyne si accorse che dentro di lei qualcosa si era trasformato.
Il primo cambiamento più evidente riguardò i sogni: la ragazza non sognava mai dopo l’incidente ma, finalmente, nelle ultime settimane aveva iniziato a svegliarsi ricordandosi qualcosa. Non era sicura che quelli che producesse il suo cervello fossero sogni- dato il contenuto sembravano più visioni – ma rispetto al niente precedente era già qualcosa.
La seconda cosa importante che cambiò in lei era molto più interessante della prima: aveva sviluppato un livello di meditazione tale che, quando si concentrava, riusciva a spostare gli oggetti con la forza del pensiero. Tutto questo lo scoprì un giorno freddo, uno di quelli che preannunciavano l’arrivo dell’inverno, quand’era spaparanzata sulla poltrona, cullata dai caldi raggi solari, senza la minima voglia di alzarsi e prendere un altro libro per colmare il vuoto di quello che aveva appena terminato. Quello che avrebbe voluto leggere lo aveva adocchiato quella stessa mattina; nella sua memoria erano ben impressi il tiolo, l’autore e addirittura la copertina, rossa con le lettere incise di color oro… Non aveva fatto in tempo a pensarlo che subito il libro era volato via dalla biblioteca per atterrare dolcemente fra le sue mani.
Evelyne, a quel punto, aveva osservato la stanza con circospezione, intenta a vedere se Mary Rosen le avesse fatto qualche scherzo – per quanto l’idea sembrasse improbabile alla sua stessa mente -  o peggio se fosse entrato qualcuno. La ragazza si guardò intorno a lungo, eppure la biblioteca era sempre la stessa e non c’era nessun segno di intrusione. Spaventata ed eccitata come non mai, sperimentò di nuovo questo suo strano potere. Quel pomeriggio fece volare altri tre libri, una sedia e una lampada – anche se solo per un breve tratto – fino al punto che non le fece male la testa.
L’ultima cosa importante che Evelyne apprese sui suoi poteri fu che l’uso continuo e prolungato la faceva stare male, costringendola al letto con un malessere fisico e mentale, così decise di non esagerare e di apprendere e testare le sue abilità poco alla volta.
Ormai la stagione del passaggio si era conclusa da un pezzo e l’inverno, da poco entrato, si faceva già sentire, freddo come ci si aspettava. Evelyne amava quella stagione, perché per uscire doveva coprirsi così tanto che nessuno l’avrebbe mai riconosciuta. Si metteva sempre i pantaloni o i jeans sopra i leggins, caldi e grandi maglioni e completava il suo look con cappotto, cappello, sciarpa e guanti gentilmente offerti da Mary Rosen e che quindi le stavano enormi. Probabilmente l’Ibrido, che era gelosa della sua roba, capiva la disperazione di Evelyne, sempre chiusa in casa, e la voleva veder uscire, oppure lo faceva solo per togliersela dai piedi. Qualunque fosse stata la ragione, alla ragazza non importava. Tutto ciò che le interessava era andare in giro per il piccolo paesino, senza dover essere costretta a trascorrere tutta la giornata in biblioteca, che sì era bella, ma iniziava a stancarla.
Uscire la faceva sentire viva di nuovo e, anche se le conversazioni con le altre persone le erano precluse per motivi di sicurezza, Evelyne trovava altri modi per impegnare la sua giornata. Aveva trovato una panchina sulla spiaggia che d’inverno non era occupata da nessuno e, nei momenti di svago, ci si sedeva ad osservare l’immensità del mare. Altre volte le piaceva giocare con le onde, misurando la lunghezza di ognuna e vedendo quale si spingeva più sulla spiaggia (tutto questo le costava altre sgridate da parte di Mary Rosen, perché spesso tornava a casa con qualche indumento bagnato).
Un altro vantaggio che portò l’inverno fu la neve. Evelyne non solo amava giocarci, camminarci sopra ed assaggiarla, ma quando i fiocchi scendevano copiosi e lenti dal cielo si esercitava con la sua magia, assicurandosi prima che nessuno fosse nei paraggi. Muovere la neve, far danzare i fiocchi a suo piacimento, era un gran divertimento per la ragazza, oltre che un buon allenamento. Nei giorni in cui c’era la bufera e non si poteva uscire, notava che i suoi poteri aumentavano a dismisura, così tanto che, per controllarli, non le serviva più tanta concentrazione come in passato.
 
La prima svolta nella vita di Evelyne da quando abitava nella casa di Mary Rosen avvenne sei mesi dopo esserci arrivata. L’inverno era finito, così come il passaggio e da poco era iniziata l’estate. La ragazza stava leggendo tranquillamente in biblioteca, quando qualcuno aveva bussato alla porta di casa. L’Ibrido aveva sceso le scale e le aveva detto di nascondersi: probabilmente era Speranza che veniva a farle visita, ma la prudenza non era mai abbastanza.
Evelyne si nascose dietro ad uno scaffale della biblioteca ed attese il segnale per poter uscire. Sentì Mary borbottare qualcosa a qualcuno e, solo dopo alcuni minuti, questa la chiamò.
«Evelyne, dovresti venire alla porta!» le disse dall’ingresso.
La ragazza, titubante, si avviò sicura che non fosse la Nativa ad aspettarla, altrimenti l’avrebbe fatta entrare. Ma,se non era lei, chi altro poteva essere?
La sorpresa di Evelyne quando vide Ashton alla porta le fece spalancare la bocca. Era dal giorno del loro litigio che non lo vedeva più e il suo cuore prese a battere a mille. Si vedeva chiaramente che il ritrovamento del padre aveva giovato al ragazzo: la sua espressione cupa si era un po’ addolcita. In quei mesi la distanza aveva fatto allungare i suoi capelli e la sua barba e forse aveva anche messo su un po’ di peso.
«Ashton…» sussurrò la ragazza, incapace di dire altro.
«Ciao» la saluto lui, piuttosto imbarazzato «Speranza mi ha detto che abitavi qui e mi sono sentito in dovere di passare. Devo assolutamente parlarti».
Evelyne stava per rispondergli, ma Mary la anticipò: «Beh, non lo farai sull’uscio di casa mia, ragazzo. Non so chi tu sia, ma non ti voglio qui. Parlerai con Evelyne da un’altra parte».
«Oh, va bene» disse Ashton, un po’ dispiaciuto. Sembrava davvero intenzionato a dirle qualcosa di importante.
«Dove possiamo vederci?» chiese, rivolto alla ragazza.
Nuovamente, Evelyne stava per rispondere, ma Mary fu più veloce: «C’è un mio amico che gestisce un locale. Posso chiedergli una sala solo per voi, così che possiate parlare senza mettere a rischio la vostra salute. Passa domani mattina e troverai un biglietto sotto lo zerbino con tutte le informazioni» disse, per poi aggiungere «Ora vattene!» in tono minaccioso quando vide che Ashton non si schiodava dalla soglia di casa sua.
«Perché quella faccia?» chiese Mary ad Evelyne, una volta liquidato il ragazzo. Effettivamente, la ragazza non si sentiva abbastanza bene. Improvvisamente le sue ginocchia erano diventate molli e aveva il desiderio di ridere e piangere allo stesso tempo.
«Cos’ho che non va?» rispose lei con un’altra domanda, cercando di apparire il più normale possibile.
«Sei pallida. Hai per caso un calo di zucchero o è solo mal d’amore?» le domandò.
«Cosa?» chiese Evelyne, incredula per ciò che aveva sentito.
«Oh, andiamo, pensi di poter portare in giro me?» la canzonò Mary che, per la prima volta in sei mesi accennava un sorriso «Guarda che sono stata giovane e innamorata anch’io».
«Forse Ashton potrebbe piacermi un po’» ammise Evelyne sospirando. Nonostante tutto era contenta di poter confidare a qualcuno come si sentiva «Ma io di sicuro non piaccio a lui».
«Secondo questa vecchia pazza qui siete entrambi cotti l’uno dell’altra. Avete solo bisogno di accorgervene» insistette l’Ibrido.
«Non credo. Ha preferito suo padre a me e ha detto che sono un mostro» disse la ragazza in tono afflitto.
«Tutti sbagliano in amore. La cosa più importante è che siano pronti a riparare ai loro errori e, da quello che ho visto oggi, quel ragazzo lo è. Non privarlo dell’opportunità che vuole»
«Non ho intenzione di farlo, ma non so nemmeno come comportarmi. Tutto ciò che è successo fra noi è sempre stato spontaneo e ora questo… appuntamento? Mi mette in crisi» le confessò mordendosi l’interno di una guancia.
«Stai calma» la tranquillizzò Mary «Vatti a fare un bagno caldo e poi riposati, per domani penserò a tutto io. La cosa più importante è che tu non ti fossilizzi su questo: altre cose richiedono la tua attenzione, concentrati su quelle».
 
Nonostante l’ottimo consiglio dell’Ibrido, Evelyne pensò costantemente ad Ashton. Ci pensò mentre cercava inutilmente di leggere un libro, di usare i suoi poteri, mentre si faceva un bagno e la notte invece che dormire. Anche il giorno successivo, nonostante Mary fosse più allegra e bendisposta nei suoi confronti, i suoi pensieri erano rivolti a lui.
«Sono contenta che ti applichi per seguire i miei consigli» commentò l’Ibrido, notando le due ombre scure sotto gli occhi della ragazza.
«Non è che non volessi, è che proprio non ce l’ho fatta. Ho troppa ansia per oggi» disse Evelyne sospirando.
«Anche io mi ricordo che ero ansiosa, al primo appuntamento con il mio Albert» iniziò a raccontare Mary, perdendosi nel fiume dei ricordi «Certo, per me era tutto diverso ovviamente. Sono un Ibrido, so che non dovremmo innamorarci perché viviamo centinaia di anni mentre i nostri partner no, ma quando l’ho visto ho capito che non m’importava. Prima di allora avevo sempre cercato di evitare qualsiasi coinvolgimento emotivo, ma quando il tuo cuore sceglie non puoi fare nient’altro se non seguirlo. Abbiamo vissuto così bene, ci siamo amati così tanto. Se tornassi indietro sceglierei lui ogni volta. Non dico di non aver mai sofferto: Albert è morto un centinaio di anni fa e anche i miei figli sono morti, ma l’ho sempre saputo, avevo accettato questo compromesso già dall’inizio. Da giovane ho dovuto scegliere se vivere una vita lunga senza mai conoscere l’amore o se portarmi per sempre la sofferenza con me per essere felice. Anche tu sei speciale, Evelyne, sei diversa, ma questo non vuol dire che ti sia preclusa l’opportunità di amare. L’amore dovrebbe sempre essere presente nelle nostre vite».
Non appena ebbe finito di parlare, Mary Rosen sorrise, commossa, e si avviò lungo le scale, facendo segno alla ragazza di seguirla. La portò in camera sua, quella che prima di allora era off-limits, la fece sedere davanti ad uno specchio e si mise a rovistare in un vecchio baule.
«Dovrei averlo qui da qualche parte» borbottò mentre era intenta a cercare, mentre le parole che aveva detto poco prima si incidevano a fondo nell’anima di Evelyne. L’Ibrido aveva ragione e lei era stata una sciocca a non averci pensato prima. Era stata così offuscata dalla sua missione importante – anche se non sapeva bene quale fosse – dal cercare se stessa e dall’imparare a controllarsi, che non aveva mai pensato all’amore.
«Oh, eccolo qui!» esclamò Mary tirando fuori un vecchio abito verde a pois bianchi. Disse ad Evelyne di provarlo e le sistemò davanti un separé. La ragazza inizialmente oppose un po’ di resistenza, ma l’Ibrido insistette così tanto che non ebbe alternativa se non fare ciò che le veniva detto.
«Ti sta molto bene!» fu il commento di Mary non appena la vide «Certo è un po’ largo di vita e sul seno, ma io ero una sana ragazza con le curve e non scheletrica come te. Meno male che ti ho fatto mangiare in questi sei mesi, altrimenti non ti sarebbe mai stato addosso».
Evelyne non aveva mai pensato di essere carina. Troppo impegnata a pensare alla sua vita e alla sua memoria, non si era mai osservata davanti allo specchio e non aveva mai pensato a giudicare il suo aspetto fisico. C’era da dire però che quell’abito le stava davvero bene: la vita alta e la gonna a balze slanciavano le sue gambe, le spalline mettevano in evidenza il suo collo delicato e i suoi capelli erano in armonia con i colori del vestito. Certo, la sua pelle era un po’ troppo pallida ed era davvero parecchio magra, ma non poteva fare a meno di sentirsi carina.
«Non so davvero come ringraziarti» disse al limite della sua commozione, continuando ad ammirarsi.
«Non devi. Anzi, a quel vestito farà bene prendere un po’ d’aria, sono secoli che sta chiuso lì dentro. Letteralmente» rispose Mary sorridendo.
 
Evelyne si presentò all’appuntamento con dieci minuti di ritardo. Secondo Mary era giusto che la donna fosse in ritardo e, fino a quando non la pregò in ginocchio, non la lasciò uscire da casa sua. La stanza in cui avevano messo il loro tavolo era piccola e un muro li separava dal resto del locale. Ashton era arrivato, puntuale ed elegante e vederlo vestito in quel modo, con la camicia bianca che metteva in risalto i muscoli della schiena e delle braccia fu un vero colpo per Evelyne.
Si salutarono in maniera un po’ impacciata, dandosi due baci sulle guance prima di sedersi ai rispettivi posti.
«Ti ho cercata tanto in questo tempo, ma Speranza non voleva dirmi dove ti trovassi» le confessò il ragazzo.
«Come mai?» gli domandò.
«Aveva paura che uno di noi due facesse qualche stupidaggine. A quanto pare i Nativi sono molto più cauti con le emozioni rispetto a noi. Le ho detto che sarei voluto esserlo anche io, ma la mia vita non dura quanto la sua e avevo un disperato bisogno di rivederti».
«Come sta Speranza?» gli domandò, elusiva. Non era pronta ad affrontare un discorso su loro due.
«Oh, sta bene. È sempre in movimento e mio padre l’aiuta con le ricerche. Sai, abbiamo capito di aver fatto uno sbaglio quel giorno. Io ho capito di aver sbagliato»
«Mi fa piacere»
«Ti prego, non fare così con me. So che me lo merito, solo… ti prego. Ero stanco, stupido e accecato dalla rabbia. Non volevo definirti un mostro, sai che non lo penso realmente» si scusò il ragazzo.
«Accetto le tue scuse e apprezzo molto il fatto che tu abbia detto a Speranza di Kevin e che abbia lottato con lui. Ti ho perdonato, Ashton, sul serio» rispose sinceramente Evelyne.
«Tutto qui? Non hai altro da dirmi?» il ragazzo sembrava essere contrariato.
«Cosa vuoi che ti dica, eh? Che cadrò fra le tue braccia, che ti amo, ti amerò per sempre e voglio stare tutta la vita con te? Perché non è questo quello che voglio o quello che sento. Ci sono persone che hanno bisogno di me e io devo pensare a loro. Però tu mi piaci, Ashton e non voglio rinunciare a te. Devo combattere, capisci? Combattere per te e per gli altri. Se tu mi hai urlato contro quella mattina vuol dire che c’è qualcosa di me che non accetti, così come ci sono delle cose tue che non sopporto. Non voglio essere stupida e frettolosa, se vogliamo costruire qualcosa devi darmi tempo» gli spiegò.
«Per favore, non usare stupide scuse. Ciò che provo per te non l’ho mai provato per nessun’altra e ci sono voluti mesi prima che trovassi abbastanza coraggio per venire da te e dirti queste cose. Mi stai dicendo che tutte le mie fatiche sono state inutili?»
«No, non ti ho mai detto questo. Nemmeno io ho sentito mai un sentimento così forte per qualcuno e quella notte, quando mi hai baciato, mi sono sentita felice di essere viva ed importante per qualcuno. Per la prima volta dall’incidente mi sono sentita amata ed è stato bellissimo. Solo che non voglio stare con te se questo vuol dire non fare altro che litigare. Ho detto che provo qualcosa per te, qualcosa di grande, ma ho bisogno che tu rispetti la mia decisione e mi aspetti. Fammi trovare me stessa e poi sarò tutta per te».
Ashton la fissò per lunghi istanti prima di risponderle. Evelyne non era sicura di essersi spiegata bene ma, alla luce degli ultimi avvenimenti, non avrebbe saputo cos’altro dirgli: lo amava, ma amava anche se stessa e non poteva fare di lui la sua vita. Non era mai stata egoista ma aveva capito che, se voleva essere felice, un po’ doveva esserlo.
«Penso di amarti, Evelyne» disse lui infine «Sarei pronto ad aspettare tutta la mia vita per te».
   
 
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