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Autore: sfiorisci    06/08/2015    1 recensioni
Anno 3265.
La Terra non esiste più. Gli esseri umani hanno sfruttato tutte le sue risorse, fino a quando questa non è divento un pianeta morente. Un gruppo di scienziati riesce a mettere in salvo parte della popolazione portandola su Xaral, un pianeta con le stesse caratteristiche della Terra. Con la loro partenza sperano di poter mettere fine alla malvagità e la sete di potere degli uomini, ma purtroppo vengono delusi: coloro che avevano salvato si impongono sulla popolazione nativa, massacrando gli Xaraliani.
Anno 4065.
Evelyne è una ragazza fortunata, o per lo meno questo è il pensiero dei suoi dottori. Il suo corpo è stato ritrovato quasi in fin di vita in seguito all'esplosione di un palazzo. Il prezzo per la sua vita è stata la memoria: non ricorda nulla dell'incidente o della sua vita prima di esso, non ricorda amici, familiari e neppure il suo nome. L'unica cosa che sa è la sua età, diciotto anni, confermata dai dottori. Tutta l'eredità del suo passato è una medaglietta con scritto "Evelyne" appesa al collo.
Lentamente, riuscirà a mettere insieme i pezzi del suo passato, scoprendo che il suo destino è collegato a quella misteriosa popolazione, massacrata molti anni prima.
Genere: Avventura, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo IX

 
Speranza riapparve nella vita di Evelyne come un uragano. Era trascorso circa un mese da quando Ashton era venuto a farle visita e, da allora, non aveva più sentito notizie da nessuno. Nonostante cercasse di non darlo a vedere, la ragazza si sentiva un po’ messa da parte: le avevano sempre detto che era il nodo centrale della guerra che stavano combattendo ma, per molti mesi, era stata chiusa in casa senza sapere nulla di ciò che accadeva fuori. Capiva che Speranza, Ashton e suo padre fossero sempre impegnati a cercare modi per battere i loro nemici, ma perché l’avevano esclusa in quel modo? Temevano forse che lei non fosse abbastanza pronta per aiutarli?
I pensieri vagavano confusi e agitati nella testa di Evelyne, mentre Speranza era seduta con faccia funerea nella cucina di Mary Rosen. La donna, dimostrando molta premura, aveva fatto accomodare la Nativa – il cui volto sembrava stravolto – e le aveva preparato una bevanda, probabilmente per rinfrescarla e darle forza.
Speranza non aveva ancora detto nulla e, fissando il vuoto, sorseggiava piano il liquido dalla tazza. Non parlò fino a quando non ebbe finito.
«Porto cattive notizie» esordì «Ci hanno scoperti. O meglio, vi hanno scoperte. In qualche modo sono riusciti a localizzare la posizione di Evelyne e sanno che si trova qui. Non abbiamo idea del perché ancora non siano venuti a prenderti; sospettiamo che stiano elaborando un piano, magari per limitare i tuoi poteri, così che tu non possa sfuggirgli nuovamente».
«Quindi cosa dobbiamo fare?» domandò Evelyne, in preda al panico.
«Dobbiamo andarcene, rifugiarci in un luogo sicuro. Credo che sia meglio spostarsi in continuazione, come facevi quando eri con Kevin. Evelyne, metti tutte le tue cose nello zaino; Mary, prendi una valigia e porta ciò che puoi, questo posto non è più sicuro per voi» disse Speranza.
«Io non mi muovo da qui» annunciò l’Ibrido.
«Mary… capisco che questa sia la tua casa e che tu ci sia affezionata, ma è una questione di vita o di morte! Non posso tenerti al sicuro se rimani qui»
«Lo capisco, ma non c’è bisogno che ti preoccupi: questa gente mi ha portato via tutto. La famiglia, l’amore, i figli, la mia stessa vita. Mi hanno costretto a vivere rinchiusa dentro questa casa, a vergognarmi di ciò che sono. Ora la casa è diventata la mia vita e non ho intenzione di rinunciare di nuovo. Ognuno di voi sta combattendo per ciò che ama e gli sta a cuore, per cui io farò lo stesso. Mi vogliono uccidere? Facessero pure, almeno avrò la certezza di essere morta combattendo».
Finito il discorso l’Ibrido e la Nativa si abbracciarono. Evelyne rimase in disparte, ad osservare la scena, sentendosi molto triste. Aveva vissuto vari mesi con Mary Rosen e aveva sempre pensato che si fosse schierata nella guerra perché era un Ibrido e, come tale, stava dalla loro parte. Non aveva mai riflettuto sul fatto che forse c’era altro sotto, che forse i Meatch l’avevano fatta soffrire e forse nemmeno voleva trovarsi coinvolta nella guerra. Non si era nemmeno mai chiesta – perché dava anche questo per scontato – come si fossero conosciute Mary e Speranza; solo in quel momento, in quell’abbraccio vide che fra loro c’era un rapporto speciale. Dovevano essere molto legate.
Sospirando, Evelyne uscì dalla cucina e si diresse verso quella che, ormai, era diventata la sua camera. Sapere che avrebbe dovuto abbandonare quella casa la faceva sentire strana. Si era così abituata ad ogni singolo dettaglio che tornare a vagare da un posto all’altro l’avrebbe destabilizzata.
Mentre apriva l’armadio per tirare fuori il suo zaino e riempirlo – di nuovo – con le sue cose, si sentì nostalgica come non mai: dentro quella casa lasciava un pezzo importante del suo cuore e nemmeno se n’era resa conto. I giorni, anche quelli più noiosi, erano volati fino ad arrivare a quel momento e ora tutto le sembrava surreale. I movimenti che compiva per piegare i suoi vestiti e infilarli nello zaino sembravano fatti a rallentatore, il suo cuore sembrava batterle piano, il respiro era lento e i suoi occhi si posavano su ogni piccolo dettaglio, facendo vagare libera la sua mente.
Si ricordò di quando era in ospedale, di come fosse ansiosa e preoccupata di lasciarlo, di come fosse eccitata per una nuova vita. Si domandò che fine avessero fatto il dottor Hemkirk e l’infermiera Pollite. Sapeva che lei aveva una cotta per lui e si chiese se si fossero messi insieme. Decise che, una volta finita l’avventura − se ne fosse uscita viva − sarebbe tornata a trovarli.
In questa partenza, però, c’era qualcosa di diverso da quella volta in ospedale: Evelyne era consapevole di ciò che il mondo aveva ad offrirle e non si sentiva più la ragazzina spaesata e confusa che era allora. Era cresciuta, maturata e forse era pronta per sentirsi dire che era adulta.
Si sentiva diversa, migliore, ma diversa era anche la situazione. Questa volta la ragazza sapeva che la guerra era agli sgoccioli e, dato che lei aveva giocato tutte le sue carte, era il turno dell’avversario. Fino a quel momento gli incontri avvenuti con il nemico erano stati molto veloci e, nel bene o nel male, Evelyne si rendeva conto di non sapere nulla su Tyler Meatch. I telegiornali e i libri lo descrivevano in tutti i suoi aspetti migliori e una sensazione diceva ad Evelyne che avrebbe conosciuto i peggiori non appena avrebbe messo piede fuori da quella casa.
Si sentiva spaventata: tutti quei mesi si era concertata tanto su se stessa, pensando che fosse lei la chiave per vincere, ma non aveva minimamente pensato a come potesse essere il suo vero nemico. Non era nemmeno sicura di sapere che faccia avesse e, se lo avesse incontrato per strada, forse non lo avrebbe riconosciuto. Non era pronta a combattere un nemico di cui non sapeva nulla, per cui decise che, il prima possibile, avrebbe chiesto spiegazioni a Speranza.
Il suo cuore fece un tuffo perché si ricordò le parole della Nativa e ripensò ad Ashton. Cosa aveva fatto in quel mese? Evelyne pensò che poteva aver aiutato suo padre con le ricerche ma, visto il suo carattere, le sembrava piuttosto difficile da credere. Ashton era più un tipo impulsivo, che si buttava a capofitto nelle situazioni pericolose, non importava quanto queste fossero rischiose. Se lo immaginò a prendere a pugni gli scagnozzi di Meatch, con le nocche della mano coperte di sangue e lividi sparsi per tutto il corpo.
«Sei pronta?» Speranza interruppe le sue fantasie, comparendo sulla porta della camera.
Con stupore, Evelyne notò che i suoi pensieri l’avevano distratta così tanto che aveva preparato lo zaino senza rendersene conto.
«Sì, andiamo» disse prendendolo in spalla.
Al piano di sotto, accanto alla porta, Mary Rosen le stava aspettando. Evelyne si rese conto che, in qualche modo, l’Ibrido e la Nativa si dovevano già essere dette addio, quindi ora toccava a lei.
«Grazie» le sussurrò «Per tutto».
«Non c’è di che. È stato bello poter averti in casa mia, era tanto tempo che vivevo da sola» ammise, dimostrando una dolcezza che la ragazza non si aspettava.
«Anche per me è stato bello poter vivere in una casa. Spero che, quando sarà tutto finito, anche io avrò tante foto da appendere come ricordo».
Detto questo Mary le si avvicinò per abbracciarla e, mentre erano strette, le sussurrò: «Non dimenticarti dell’amore».
Evelyne la ringraziò di nuovo e, insieme a Speranza, uscì dalla casa. Non si voltò mai a guardare indietro e, quando entrò dentro la macchina e volse lo sguardo verso il mare. La Nativa mise in moto si allontanò dal villaggio, mentre la ragazza continuava a fissare la linea blu che separava il mare dal cielo, fino a quando questa non scomparve, rimpiazzata da altri paesaggi.
Dopotutto, Evelyne lo aveva imparato, il modo migliore per dire addio era non dirlo affatto.
 
«Che tipo è Tyler Meatch?» chiese Evelyne, interrompendo il silenzio nella macchina. Era quasi un’ora che si trovavano in viaggio e, fino ad allora, nessuna delle due aveva parlato.
«Che razza di domanda è questa?» domandò a sua volta Speranza, senza capire.
«Volevo sapere che tipo è. Sai, come si comporta, il suo carattere… penso che potrebbe essermi utile il giorno in cui dovrò incontrarlo» le spiegò la ragazza.
L’Ibrido si irrigidì alle sue parole e strinse più forte le mani sul volante, fino a quando non le diventarono bianche le nocche.
«Non succederà» disse decisa.
«Invece ho l’impressione che sarà molto probabile» ribatté Evelyne non calma. Stranamente, l’idea di vedere, finalmente, il suo nemico non la spaventava come avrebbe dovuto. Era più eccitata che impaurita.
«Lo dici perché hai avuto una visione?» le domandò Speranza «Evelyne, lo sai che se fosse così tu devi…»
«No» la interruppe la ragazza, tranquillizzandola «È solo una sensazione. Non so se anche questo faccia parte dei miei poteri oppure no».
Speranza annuì preoccupata e non disse più nulla. Visto che non accennava a parlare, Evelyne le ripeté la sua prima domanda: «Che tipo è Tyler Meatch?»
«Ad essere onesta, non ne ho idea» rispose l’Ibrido «Ho incontrato i suoi antenati, ma non ho mai avuto il “piacere” di conoscere Tyler. Visti i suoi predecessori, però, posso intuire che sia un tipo crudele, orgoglioso e che non si fermerà davanti a niente per ottenere ciò che vuole»
«Ma qual è il suo obiettivo? Insomma, tutto questo tempo che sono stata da sola ho riflettuto molto su quello che stiamo facendo e non ho trovato lo scopo. Lotto solo perché delle persone mi hanno attaccato e ci sono antiche leggende che dicono che io debba farlo. Non sono motivata però, non veramente. Penso che se sapessi un po’ di più su ciò che facciamo, per cosa combattiamo, potrei focalizzarmi meglio sull’obiettivo».
Speranza si morse un labbro pensierosa. «Non sapevo che avessi questo tipo di pensieri. Pensavo che sapessi ciò che stavi facendo, ciò per cui combattevi» non c’era amarezza o rimprovero nella sua voce, ma solo curiosità.
«Kevin mi aveva detto che i Meatch avevano ucciso i miei genitori e che avrebbero ucciso anche me. Quando ho deciso di schierarmi con lui e con Ashton ci hanno inseguiti e sono sicura che ci avrebbero uccisi. Una volta ci hanno raggiunto in una grotta ed erano armati. Se ci avessero trovati, ci avrebbero uccisi anche allora. L’ultima volta che mi sono trovata faccia a faccia con loro il padre di Ashton avrebbe voluto iniettarmi qualcosa con una siringa, poi mi avrebbero uccisa. Mentre ero con Kevin lottavo per la sopravvivenza. Ogni giorno diventavo più consapevole del fatto che loro fossero il male e noi il bene, che noi agivamo nel giusto. Erano degli uomini malvagi e ci volevano eliminare. Poi anche Kevin ha cercato di uccidermi e da lì è crollato tutto. Ero sola, Ashton mi aveva ingannata e poi abbandonata e pensavo di morire. Lì per lì non ci ho fatto caso ma, riflettendoci, ho capito che Kevin era peggio dei Meatch perché, invece di tentare di uccidermi e basta, mi aveva presa in giro fin dall’inizio. Se non mi fossi schierata con lui, se quel giorno, fuori dall’ospedale, fossi salita in quella macchina, cosa sarebbe successo?»
«Capisco i tuoi dubbi, ma non puoi torturarti sul passato. Pensa solo che, se tutto questo non fosse successo, ora tu non saresti la persona che sei ora»
«Lo so, davvero» disse Evelyne, con una nota di impazienza nella voce «Quello che stavo cercando di dirti è che io sono sempre stata all’oscuro di tutto. Ho sempre creduto cose che alla fine si sono rivelate false, e sono stata costretta a fidarmi o non fidarmi delle persone solo in base al mio istinto. Non ho mai avuto qualcosa di concreto da analizzare che non fosse ciò che mi diceva la mia testa. So che per via del discorso dei poteri la situazione non è così male come sembra ma, se nessuno mi dice mai nulla, vorrà forse dire che non sono affidabile? Perché devo sempre fidarmi di tutti e nessuno può mai fidarsi di me?»
«Io non ti ho mai nascosto niente. Non intenzionalmente almeno. Mi dispiace che tu abbia incontrato questo tipo di persone nel corso della tua vita, ma io non sono così. L’unico motivo per cui ancora non ti ho parlato di ciò che sta accadendo è che, prima di conoscere il signor Wilson, molte cose non le sapevo nemmeno io e credo che sia meglio che te le spieghi lui di persona»
«E quando potrà farlo?» domandò Evelyne, ansiosa di conoscere la verità.
Speranza la guardò e le sorrise: «Se non troviamo traffico, fra un paio d’ore».
 
Quando Ashton, per la prima volta, aveva raccontato ad Evelyne la sua storia, la ragazza non si immaginava di certo che la casa in cui aveva trascorso la sua infanzia fosse una villa, né che successivamente ci avrebbe vissuto con suo padre e stabilito il luogo da cui intraprendere le sue ricerche.
«Perché?» aveva chiesto confusa, una volta che lui le aveva detto che quella era casa sua.
«Da quando è morta mia madre nessuno ha più vissuto qui, pensavo fosse un buon posto per nascondersi» ammise lui con una scrollata di spalle. Nonostante Ashton fosse molto convincente e non lasciò trapelare il minimo dolore dalle sue parole, Evelyne non gli credette. Se lo immaginava bambino, al buio e con le lacrime agli occhi – era sicura che ci fosse un tempo in cui era sensibile – che vagava per la grande casa, chiamando il nome di sua madre. Riuscì anche a vederlo mentre apriva la porta della camera da letto e trovava sua madre in una pozza di sangue, con i polsi tagliati. Chissà cosa doveva aver pensato la donna prima di morire. Chissà se si era mai soffermata a pensare a ciò che ne sarebbe stato di Ashton dopo il suo gesto. Nonostante provasse compassione per lei, Evelyne sentì anche di odiarla, nel profondo: in parte era colpa sua se Ashton era diventato freddo e restio a dimostrare il proprio affetto.
Però con me l’ha fatto, pensò colta da un improvviso senso di colpa, mi ha detto che mi ama e io gli ho detto di aspettare.
«Evelyne, non eri ansiosa di sentire le nostre scoperte?» le chiese Speranza, riportandola alla realtà.
«Sì, scusa, ero soprappensiero» mormorò lei. A volte si stupiva della sua capacità di perdersi nei propri pensieri e si domandava tutto ciò si fosse intensificato dopo aver ampliato i suoi poteri.
«Come ben sai» iniziò Mark Wilson «Ho lavorato per molti anni come ricercatore per i Meatch. Inizialmente non collaborai, dissi loro che avrebbero anche potuto uccidermi, ma loro mi risposero che se non li aiutavo avrebbero fatto del male alla mia famiglia» l’uomo lanciò uno sguardo pieno d’affetto verso il figlio, che gli sorrise senza dire nulla.
«Mi dissero di condividere con loro tutto ciò che sapevo riguardo agli Xaraliani, soprattutto riguardo la loro morte. Avevano rinvenuto da poco un testo e, decifrandolo, avevano scoperto che i Nativi potevano morire solo con specifiche armi fabbricate appositamente per loro e che, se non fossero uccisi da quelle, entravano in un sonno perenne»
«Quindi stai dicendo che il Massacro in realtà non è avvenuto? Che hanno bruciato vive quelle persone?» domandò Evelyne sconvolta.
«Non ne sono sicuro, purtroppo. Non sono mai stato una figura così importante all’interno del laboratorio di ricerca, per cui tutto ciò che so l’ho scoperto da solo o con l’aiuto di qualche collega a cui piaceva vantarsi. Scoperto questo, Meatch voleva che ci concentrassimo sulla produzione di quelle armi, voleva scoprire quale fosse il materiale davvero capace di uccidere gli Xaraliani. Purtroppo, lo trovammo»
Speranza sussultò a quelle parole. Anche se aveva già sentito la storia, il venire a conoscenza di poter essere realmente uccisa le doveva fare uno strano effetto.
«In tutti questi anni, mentre Benedict – il padre di Tyler – aveva proposto a Kevin Fort una tregua, si produssero una quantità esagerata di armi. Ancora oggi non capisco perché, se dei Nativi non è rimasta traccia, ne abbiano prodotte così tante. La mia ipotesi è che Tyler non abbia solo intenzione di uccidere gli Xaraliani rimasti, ma anche tutti gli Ibridi e tutti gli Esseri Umani che sono a conoscenza della verità»
«Ma è terribile!» esclamò Evelyne «Praticamente sta progettando un secondo massacro!»
«Potrebbe anche essere peggio di così» intervenne Speranza «Vedi, i primi Uomini che vennero sul nostro pianeta avevano buone intenzioni. Un gruppo ristretto di scienziati aveva scelto chi portare su Xaral e non ci sarebbero stati problemi se un antenato di Tyler, Sebastian Meatch, non li avesse scoperti e non li avesse minacciati se non avessero portato via anche lui e i suoi uomini. Forse lo scopo di Tyler non è solo quello di ripulire Xaral da chi dovrebbe abitarlo di diritto, ma fare una nuova selezione al contrario: ucciderebbe tutti coloro che non ritiene degni di vivere e chissà quanti potrebbero essere»
«Tyler va fermato» commentò Ashton «Per questo siamo tornati, per questo ti abbiamo salvato da Kevin Fort. Perché sapevamo che se non ci fossi stata tu un giorno lui avrebbe vinto e non potevamo convivere con il senso di colpa. Tyler ha già troppi uomini dalla sua parte, non poetavamo aggiungerci anche noi».
Ashton la fissò attentamente negli occhi ed Evelyne, contrariamente a ciò che pensava, riuscì a sostenere il suo sguardo. Si ricordò di quando le aveva detto che l’amava e che l’avrebbe aspettata e forse solo in quel momento capì quanto davvero il ragazzo fosse sincero. Il bambino che si era immaginata poco prima era quel tipo di persona dallo sguardo sfuggente, che scappava  dai problemi invece di affrontarli. L’Ashton che stava in piedi di fronte a lei, invece, era un Ashton consapevole dei propri sbagli, che avrebbe lottato per ripararli.
Evelyne stava per pronunciare quelle due parole che lui tanto avrebbe desiderato ascoltare, ma Mark fu più veloce: «Grazie alla mia abilità con la tecnologia qualche giorno fa siamo riusciti ad entrare dentro il sistema del nemico. Abbiamo visto che aveva tutte le informazioni su di te: il tuo incidente, l’ospedale in cui alloggiavi, i vari spostamenti con Kevin Fort e la sistemazione da Mary Rosen. Non abbiamo mai capito perché non ti avessero catturata e temiamo che stiano seguendo un piano ben preciso. Purtroppo, però, non sappiamo quale»
«C’era qualcosa anche riguardo la mia vita prima dell’incidente? C’era scritto niente dei miei genitori?» domandò Evelyne, con il cuore che le martellava nel petto. Poteva essere molto vicina alla verità.
«Solo poche informazioni. A quanto pare l’appartamento che è esploso era quello in cui vivevi, i tuoi genitori si chiamavano Cassandra e Julian ed entrambi sono morti nell’esplosione. Non si sa cosa l’abbia provocata, ma negli appunti c’era scritto che fosse qualcosa di essenziale per i tuoi poteri. Vorrei poterti essere più d’aiuto, ma non so altro, mi dispiace».
«Hai fatto molto, invece» disse Evelyne con le lacrime agli occhi. Portò la mano al collo e strinse la collana che – ora ne era sicura – suo padre le aveva regalato. Questa volta non compì il gesto per fare magie di alcun tipo, ma solo per sentirsi un po’ più vicina ai suoi genitori: erano morti sul serio, questo voleva dire che gli uomini di Meatch le avevano mentito sin dal principio. Cassandra e Julian… che bei nomi che avevano. Si chiese se fossero molto innamorati, se avessero amato lei e desiderò con tutti il cuore che, ora che sapeva i loro nomi, qualche altra memoria le sarebbe tornata alla mente. Purtroppo non accadde nulla: Cassandra e Julian avrebbero potuto essere i nomi di chiunque, perché lei non li sentiva propri.
Mentre Speranza e Mark chiudevano le attrezzature dentro le proprie buste per caricarle in macchina e poi partire, Evelyne era uscita per prendere una boccata d’aria e si era seduta sui gradini della casa. Non appena Ashton la vide si andò a sedere accanto a lei.
«Mi dispiace per i tuoi genitori» le disse.
«Grazie. Credo che una parte di me sapesse che erano morti, ma fino a quando tuo padre non me l’ha confermato c’era un qualcosa dentro di me che si ribellava a questa idea»
Il ragazzo sospirò «Non l’avresti mai dovuto scoprire in questa brutta maniera»
«Non credo ci siano bei modi di scoprirlo, no?»
«Già» concordò lui. Forse stava pensando a quando aveva trovato sua madre morta nel letto, per cui Evelyne pensò bene di cambiare l’argomento della loro discussione.
«C’è ancora una cosa che non mi torna di tutta questa storia» gli disse pensierosa.
«Cosa?» le chiese lui aggrottando le sopracciglia.
«Se quello che vuole Tyler è uccidere tutti coloro che non ritiene degni di vivere, cosa c’entro io in questa storia? A che scopo ho i miei poteri?»
«Evelyne» pronunciò il suo nome divertito «Non puoi accontentarti di essere speciale e basta?».
La ragazza arrossì violentemente e cerò qualcosa per ribattere a ciò che le aveva detto Ashton, ma farfugliò varie parole senza senso, non riuscendo a produrre una frase di senso compiuto. Lui le aveva detto che era speciale.
«No, davvero, a parte gli scherzi, c’è una spiegazione. O almeno credo» le rispose il ragazzo, tornando serio.
«Davvero?» chiese Evelyne, che stava lentamente tornando al suo colorito naturale.
«A quanto pare, se gli Xaraliani non sono veramente morti, tu hai qualche connessione con loro. Anche se i loro corpi non esistono più, i loro poteri – tutti i loro poteri – continuano a vivere dentro di te»
«Mi stai dicendo che dentro di me ho gli spiriti dei Nativi morti?» chiese Evelyne in preda al panico.
«Sembrerebbe di sì» confermò lui.
«Non ho mai sentito nulla di più inquietante. Davvero, sono spaventata da tutto ciò»
«Se può farti stare più tranquilla, questa è solo un’ipotesi. La più accreditata, certo, ma sempre un’ipotesi rimane. Non c’è nulla che ci confermi che sia la verità» le spiegò Ashton.
«Nel file che ha trovato tuo padre non c’era scritto niente riguardo ai miei poteri o alle intenzioni che Tyler Meatch ha con me?» gli domandò.
«No» rispose lui «A quanto pare erano solo un insieme di appunti su di te. Se sa qualcos’altro deve essere scritto in qualche altro file che non siamo riusciti a leggere, oppure è contenuto tutto nella testa di Tyler»
«Tu credi?»
«Non mi dà l’impressione di un uomo che si fidi molto di chi ha alle proprie dipendenze. Ha quel personale solo perché gli è utile, ma non sono convinto che siano a conoscenza del suo piano. Da quello che ha detto Speranza i sui avi erano freddi e calcolatori e credo che lo sia anche lui»
«Hai paura?» gli domandò Evelyne. La domanda lo spiazzò.
«Questo cosa c’entra con quello di cui stavamo parlando?» sbuffò.
«Io sì» ammise la ragazza, mordendosi un labbro.
«Evelyne» sussurrò con dolcezza, avvicinandosi di più a lei. Le mise un braccio intorno alle spalle e lei poggiò la propria testa sull’incavo del collo di lui. Anche da lì poteva sentire il suo cuore battere.
«Stiamo combattendo la più grande guerra del mondo e nessuno sa di noi. Siamo quattro contro un migliaio e detta così nessuno scommetterebbe sulla nostra vittoria. Siamo già sfuggiti agli uomini di Tyler più di una volta, per tutta la nostra vita gli siamo scivolati via come acqua fra le dita e non ho dubbi sul fatto che potremmo farlo ancora. Ho paura?» si chiese «Certo che ne ho. Solo uno stupido non avrebbe paura in questo situazione, ma ci sei tu, che sei così coraggiosa che dai un po’ di coraggio anche a me. C’è mio padre, che non ho intenzione di perdere proprio ora che ho trovato. Tutti abbiamo paura Evelyne, ma continuiamo ad aggrapparci a qualcosa per cui valga la pena lottare e andiamo avanti».
La ragazza alzò la testa e lo attirò a sé, baciandolo dolcemente. Le sue labbra erano delicate e quel bacio fu tutto ciò di cui aveva bisogno. Ashton aveva ragione: ognuno si aggrappava a qualcosa per essere coraggioso e quel bacio le aveva dato il coraggio per dire ciò che avrebbe voluto dirgli da sempre: «Ti amo» gli sussurrò.
Lo vide sgranare gli occhi, voleva rispondere, ma venne preceduto da qualcun altro.
«Beh, è un vero peccato rovinare questo quadretto» Tyler Meatch stava sopra di loro con un esercito armato alle spalle «Ma temo proprio che sia necessario».


 
 
Salve gente! Eccomi qui con il penultimo capitolo. Spero che sia stato di vostro gradimento, con il precedente avevo paura di annoiarvi dato che non succede un granché, per cui ho pensato di rimediare metteono questo colpo di scena alla fine. Inizialmente doveva finire diversamente, ma quando l'ho scritto ho pensato che sarebbe stato meglio così, per non affrettare troppo i tempi. 
Mi piacerebbe darvi una data certa di quando pubblicherò l'ultimo capitolo, ma la prossima settimana parto qualche giorno per il mio compleanno e poi ho da fare per iscrivermi all'università.
Il capitolo successivo, comunque, è a metà e sicuramente riuscirò a pubblicarlo entro la fine di agosto :)
Vi ringrazio per la pazienza con cui mi seguite, vi ricordo che un parere, positivo o negativo, fa sempre piacere.


Francesca.
   
 
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