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Autore: LilithJow    29/07/2015    0 recensioni
«Siamo normali, no?».
«Siamo normali».
Quelle parole rimbombarono nella mia testa come un eco senza fine. Mi costrinsi a marchiarle in modo permanente: non potevo permettere che la paura di qualcosa o i fantasmi del passato mi rendessero la vita impossibile.
Il sovrannaturale era lontano.
A Parigi eravamo soltanto un ragazzo e una ragazza che affrontavano il mondo adulto.
E nulla più.
(SEGUITO DI LULLABIES E CRYSTALIZED)
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Lullabies Saga'
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Capitolo 8
"A little bit of me"

 

Hazel


Avevo terribilmente freddo, eppure non era una di quelle notti gelide d'inverno. Tale stagione pareva lontana anni luce o forse ero soltanto io che avevo perso la cognizione di tempo e spazio.
Ero in bilico su quella scala antincendio di un ospedale decadente. Cigolava ad ogni mio movimento e avevo timore di cadere e schiantarmi al suolo. Ciò nonostante, l'idea di andarmene non mi sfiorava affatto. Perlomeno, non così presto. Da quella posizione, seppur scomoda, riuscivo a scorgere Simon dormire attraverso la finestra senza che lui potesse vedermi nel caso si fosse svegliato.
Non avrei dovuto tornare indietro, lo sapevo, ma avevo il bisogno di sapere che stesse bene altrimenti non avrei potuto portare a termine ogni mia intenzione.

«Sai, arrampicarsi su una scala antincendio e spiare qualcuno mentre dorme è molto inquietante». La voce di quell'irritante ragazzo sopraggiunse anche in quel momento. Mi aveva torturato in quei ultimi tre giorni: pareva essere ovunque io fossi. «Oltre ad essere incredibilmente fuori moda» proseguì.

«Nessuno ti ha ordinato di seguirmi fin qui» replicai, non scomodandomi neanche a voltarmi per vedere come avesse fatto a raggiungermi. La sua voce era abbastanza.

«Ho cercato di parlarti civilmente un sacco di volte, ma te la sei sempre svignata».

«Il tuo non è “parlare” dal momento che non rispondi a nessuna delle mie domande». Sbuffai e solo allora osai girarmi di poco, giusto per incrociare distrattamente il suo sguardo. Era rannicchiato a qualche metro da me, con addosso un cappotto nero. «Non mi hai nemmeno detto il tuo nome».

Lui accennò un sorriso. «Oh, perché, ti interessa?».

Roteai gli occhi. Per certi versi, mi ricordava Thomàs: era sarcastico e fastidioso allo stesso livello.

«No» risposi. «Posso anche continuare a chiamarti “tizio irritante” o “rottura di scatole”. Come preferisci».

«“Rottura di scatole” è un bel soprannome».

«Attento, potrei usarlo sul serio».

«Non ho dubbi su ciò, ragazza antipatica».

Sbuffai. Quel tipo era il clone di Thomàs.

«Mi chiamo Matthew, comunque» disse, poco dopo. «Matthew Lloyd».

Scossi appena la testa. «Mi presenterei anche io, ma a quanto pare conosci già tutto di me».

«Ehi, non è che mi sia piaciuto seguirti in ogni dove» si lamentò. «Sei piuttosto strana delle volte».

«Io non sono strana».

Lui alzò di poco le braccia, come se ciò stesse a significare che si stava arrendendo in quella sorta di discussione.

Mi rimisi in piedi, senza aspettare che lui aggiungesse un'eventuale replica. Quel mio solo gesto riuscì a fare cigolare l'intera scala, ma non ci badai molto. Scansai Matthew e mi accinsi a scendere fino a toccare nuovamente terra. Non dovetti neanche voltarmi per accorgermi che lui mi aveva seguito.
Infilai entrambe le mani nelle tasche della mia giacca marrone e iniziai a camminare a passo svelto, con il mio stalker alle calcagna.

«Vedi?» lo sentii dire, senza però, ancora, vedere il suo volto. «La storia si ripete: scappi sempre».

«Non sto scappando» puntualizzai. «Il sole sorgerà a breve ed è difficile non essere visti con la luce».

«Quindi, nuovo piano? Vivere nell'ombra?».

«Finché non capisco quel che mi sta succedendo, sì. E, per la cronaca, tu dovresti aiutarmi, ma non hai ancora fatto nulla di concreto».

«Certo, perché sei ostile nei miei confronti».

«Sono ostile perché non mi piaci».

A quel punto, Matthew accelerò il passo e me lo ritrovai di fronte all'improvviso, tanto che dovetti fermarmi di scatto e bruscamente per non andargli addosso. «Beh, in tutta sincerità, neanche tu mi piaci» disse.

«Allora perché sei ancora qui?».

Matthew esitò, mordendosi appena il labbro inferiore. «Te l'ho detto» mormorò. «Ho fatto una promessa».

Abbozzai una risata, isterica. Il suo atteggiamento mi dava sui nervi e qualcosa mi suggeriva che ciò non sarebbe mai cambiato. Mi chiesi, tuttavia, per quale motivo, nonostante tutti i sentimenti forti e repellenti che provavo nei suoi confronti, le maledette voci tacevano sempre in sua presenza.

«La promessa, ovvio» esclamai. «Perché l'hai fatta? E quando? Che cosa hai promesso di fare?».

«E' complicato».

«Se devi aiutarmi a non impazzire, qualcosa dovrai pur dirmi».

«Sì, ma prima ho bisogno che tu ti fidi di me».

Lo fissai, incerta, per qualche secondo. L'espressione sul suo viso era cambiata: se nelle frasi precedenti era vaga e appena scherzosa, adesso si era fatta seria ed era tornato quel velo di malinconia sopra i suoi occhi. «Come faccio a fidarmi di te se a malapena ti conosco?» mormorai.

«Non lo so» replicò. «Immagino tu debba basarti sul tuo istinto. Che ti dice quello?».

Abbozzai una risata e non seppi dire fosse isterica o che altro. «Il mio istinto si è sbagliato così tante volte che credo sia ormai fuori uso».

Matthew fece una smorfia. Ero piuttosto sicura mi ritenesse ridicola la maggior parte delle volte e che gli piacesse prendersi gioco di me in qualunque situazione. Non lo biasimavo neppure: al suo posto, probabilmente, anche io avrei pensato fossi patetica.

«Se mi fido di te» dissi, prima che lui potesse ribattere in qualunque modo ironico. «Se mi fido di te, mi racconterai perché sei qui e come hai intenzione di aiutarmi?».

«Se affermi di non minacciarmi più con un coltello. Io lo inserirei nella clausola».

Risi nuovamente, ma quella volta seppi quale sentimento la mosse. «D'accordo» conclusi. «Allora... Potrei fidarmi di te».

«Potresti?».

«Non ti allargare. Ho incluso il non minacciarti nella clausola».

«Bene».

«Ora parlerai?».

«Mhm, qui, in mezzo alla strada?».

«Preferisci davanti ad un té caldo e dei pasticcini?».

«Sarebbe carino».

Sbuffai. Come faceva il suo atteggiamento e la sua espressione a cambiare così velocemente? Era come se non fosse possibile portare avanti un discorso serio con lui.
Roteai gli occhi e ripresi a camminare a passo svelto, certa che mi avrebbe seguito ancora fino alla camera di un bed and breakfast in cui mi ero sistemata in quei ultimi giorni.
E fu, di fatto, ciò che accadde. Quando entrai nella stanza – che era piccola e gelida – non mi scomodai a chiudere la porta; la lasciai aperta pur di non udire il suo fastidioso bussare che sarebbe persistito finché non lo avessi invitato dentro.
Perciò mi avvantaggiai. Matthew superò la soglia e si chiuse la porta verde militare alle spalle.
Io mi lasciai andare seduta sul bordo del letto, incrociando le braccia sul petto. «Allora?» esclamai. «Questo posto va bene o andiamo in un hotel a cinque stelle? Ti avverto, dovresti pagare tu».

«Vedi? Quando dico che sei antipatica, intendo proprio questo» commentò Matthew. Accennai un sorriso, sarcastico. A quel punto, mi divertivo anche io a prenderlo in giro. Perlomeno la cosa era reciproca.

«Allora?» insistetti.

Lui sospirò e mosse qualche passo distratto nella stanza, senza una direzione precisa. Si fermò davanti a me, a qualche metro di distanza, tirando fuori le mani dalle tasche del cappotto.

«Quanto ne sai su Djinn?». Partì con una domanda. Dovevo esserne lieta o no?

«Non so la loro storia nei minimi dettagli, ma...» risposi. «So quel che mi ha detto Thomàs».

«E lui che ti ha detto?».

Feci mente locale su quel discorso avvenuto mesi e mesi fa. Era qualcosa di sfocato nella mia mente e da quel momento erano successe talmente tante cose da rendere difficile per me ripescare nitidamente il ricordo.

«Che sono esseri che uccidono utilizzando i desideri delle persone e che sono creature oscure» dissi.

«Nient'altro?».

«Non che io ricordi».

«Wow, si è dato davvero da fare». Matthew commentò in modo ironico e riuscì a strapparmi un mezzo sorriso. Poi andò avanti: «Beh, forse si è scordato di accennarti questioni molto più importanti».

«Questioni di che tipo?».

«I Djinn hanno... Molti poteri. Non sto qui ad elencarteli tutti, altrimenti finiremmo tra un centinaio d'anni».

«Poteri come quello di scacciare creature sovrannaturali?».

«Sì, qualcosa del genere». Fece una breve pausa, mordendosi appena il labbro inferiore. Mi parve stesse esitando e non ne compresi il motivo. Ma, del resto, non aveva osato rivelarmi nulla per giorni, quindi poteva esser considerato normale un suo tentennamento.

«C'è un potere in particolare» riprese e il suo tono non assunse affatto sicurezza. «Non viene usato molto, solo in casi estremi. Un Djinn è in grado di riportare qualcuno indietro dalla morte, ma, per farlo, deve sottintendere alla leggere universale una vita per una vita. Solitamente, se si fa uso di un normale incantesimo, qualcuno muore al posto di chi torna, ma è una persona dall'altra parte del pianeta, per cui è... Non so, credo più facile da accettare. Se lo fa un Djinn, invece, la vita che viene presa è la sua e non solo».

Non fui scioccata dalla sua rivelazione, non del tutto. Ero cosciente del fatto che Thomàs mi avesse ceduto la sua vita. Me lo aveva raccontato Simon, seppur non scendendo nei dettagli perché nemmeno lui li sapeva; lo aveva soltanto supposto e io lo avevo accettato, relativamente.
Matthew interruppe il proprio discorso ancora una volta. Probabilmente si aspettava una reazione diversa da parte mia a ciò che aveva appena detto e non solo una leggera smorfia sulla mia faccia e gli occhi appena spalancati.
E forse avrei dovuto dare di matto e iniziare ad urlare, considerato ciò che aggiunse dopo: «Thomàs non ha trasferito su di te solo la sua vita. Ti ha... Donato anche i suoi poteri».

Serrai la mascella. «E questo che vuol dire?».

«Vuol dire che ti stai trasformando».

Scattai in piedi. Non me ne ero neanche accorta, ma il mio cuore aveva iniziato a battere molto più forte rispetto al normale e avevo il fiato corto, come se avessi appena finito di correre una maratona.

«Trasformando?!» esclamai. «Trasformando in un... Djinn?».

«In che altro, se no?». Matthew sospirò, scuotendo appena la testa. «Ciò che senti quando sei arrabbiata, le strane voci che ti spingono a fare cose che normalmente non faresti... Dipende tutto dall'oscurità che ti circonda e che tenta di attirarti a sé».

Avevo ragione: avrei dovuto dare di matto prima.

Mi passai nervosamente entrambe le mani tra i capelli e mossi qualche passo distratto. Percepivo lo sguardo di Matthew addosso, il che contribuiva soltanto a rendermi più nervosa.

«Lo sapeva?» esclamai, fermandomi e cercando di prendere quanti più respiri profondi possibili. «Thomàs sapeva quel che stava facendo?».

Matthew fece una smorfia. «Certo che lo sapeva». Scosse appena la testa e incrociò le braccia sul petto. All'apparenza, pareva fosse sollevato di avermi finalmente rivelato tutto oppure... Non lo sapevo. In quel momento non ero in grado di definire ciò che provavo io, figuriamoci se avrei potuto descrivere sensazioni altrui. «Qualche giorno prima che tutto accadesse» proseguì «mi ha chiamato, spiegandomi la situazione in ogni dettaglio. Mi ha detto che non sapeva come sarebbe finita, ma che se dopo una settimana da quella telefonata non si sarebbe fatto risentire, allora voleva dire che aveva optato per la soluzione più drastica e che io dovevo intervenire».

I miei pugni si chiusero a scatto lungo i fianchi. Non percepivo le maledette voci, ma sentivo comunque la rabbia diffondersi in ogni parte del mio corpo.

Ed ecco... Sì, ero arrabbiata.

Non avrei dovuto.

Avrei dovuto essere grata.

Grata per essere ancora viva e non a marcire tre metri sotto terra. Avrei dovuto essere lieta, felice di quel suo gesto.

E invece non ci riuscivo. Ero in collera e avrei volentieri picchiato Matthew in quel momento, sebbene, di fatto, non c'entrasse nulla con quanto accaduto.

Riuscii a trattenermi a stento, conficcando le unghie nei palmi talmente a fondo che iniziai a sanguinare. Non ci badai molto.

«Perché?» esclamai e i miei occhi si fece lucidi. «Perché lo ha fatto?».

Matthew sospirò. «Non lo so» replicò, a bassa voce. «Forse dovresti capirlo tu».

«Thomàs conosceva la mia storia» proseguii. «Lui la conosceva. Sapeva benissimo che avevo combattuto secoli per diventare umana, sapeva che era ciò che avevo sempre desiderato e... Ed è andato comunque a fondo. Ha... Ha deciso di trasformarmi di nuovo in un mostro».

Avevo iniziato a singhiozzare e senza che me ne rendessi conto delle calde lacrime mi scesero lungo entrambe le guance. Le palpitazioni continuarono e il respiro si fece più corto.
Tali sensazioni mi avevano già raggiunto in precedenza e non fu difficile riconoscere l'attacco di panico che mi stava colpendo.
Avrei voluto urlare per liberarmi di quella bolla d'aria compressa che mi impediva di respirare correttamente, seppur consapevole del fatto che non avrebbe funzionato affatto.

«Non credo che Thomàs avesse queste intenzioni» sentii Matthew dire, intanto. «Insomma, voleva solo che tu vivessi e...».

«Ti prego, abbracciami» lo interruppi bruscamente e fu strano udire una frase del genere con il tono elevato che usai.

Lui spalancò gli occhi, perplesso. «Come?».

«Sto avendo un attacco di panico». Non seppi in che modo, ma riuscii a spiegarlo. «Se... Se non mi abbracci adesso, credo che il cuore mi salterà fuori dal petto e smetterò di respirare e...».

«Okay, okay, okay».

Non vidi esattamente ciò che fece, però, dopo qualche secondo, le sue braccia mi avvolsero e la mia testa finì appoggiata sul suo petto. Ci poggiai anche le mani accanto, tremando e calai le palpebre.
Mi concentrai solamente sui battiti del suo cuore, li contai uno per uno e pregai affinché il mio iniziasse a seguire quel ritmo normale invece di quello eccessivamente accelerato.
Per mia fortuna quel rimedio funzionò e tornai ad essere normale – per quanto davvero potessi definirmi tale – dopo un minuto scarso.
Riacquistai anche una certa lucidità, la quale mi portò a scansare Matthew in maniera tutt'altro che delicata. Lui roteò gli occhi, come se il mio comportamento lo esasperasse e, sinceramente, non potei dargli torto.

«Grazie» sbottai. Il mio tono non parve sincero, ma non mi importava molto. Lo dissi solo per circostanza. In quel momento ero così... Furiosa, triste e angosciata che nient'altro riusciva a preoccuparmi.

«Ma di che, ti ho solo impedito di avere un infarto» replicò Matthew, alzando appena le spalle.

Scossi il capo e tornai a sedermi sul letto, con le mani premute sulle cosce e lo sguardo fisso a terra.

«Non...» sussurrai. «Non voglio diventare un Djinn».

Non seguii ogni suo movimento, però, poco dopo, mi accorsi di Matthew che si era accomodato al mio fianco, quasi con la mia stessa posizione, ad eccezione dei suoi occhi che finirono dritti sul mio volto. «Non hai propriamente scelta» disse.

«Perché no?».

«O diventi un Djinn e impari a controllare l'oscurità oppure muori, Hazel».

Una nuova condanna a morte. Nel giro di un breve lasso di tempo – considerata la mia lunga esistenza – avevo collezionato una serie infinita di minacce alla mia vita che quasi non mi sorprese udire proprio quelle parole provenire dalla sua bocca. Fu come se le stessi aspettando, al punto che ciò scatenò in me una lieve risata, scatenata, più che altro, da puro isterismo.

«Se muoio» esclamai «andrà bene così».

«Cosa?».

Presi il coraggio di alzare lo sguardo solo in quell'istante, a fissare gli occhi color cioccolato di Matthew che intanto si erano spalancati così da risultare ancora più grandi di quanto già fossero. «Ho vissuto per millenni» spiegai «ho visto tutto ciò che c'è da vedere al mondo, fatto qualsiasi cosa. L'idea di tornare ad essere una creatura sovrannaturale non... Non mi alletta. Non voglio. Se per restare umana devo morire, a me sta bene».

«Non puoi dire sul serio».

«Dico sul serio».

Lui sbuffò, esasperato, e si alzò di scatto in piedi, gesticolando in maniera frenetica. Io restai immobile, stringendo i pugni ancora appoggiati sopra le mie gambe.

«Oh, puoi scordartelo» lo sentii esclamare. «Non ti sono stato mesi dietro per guardarti semplicemente morire».

Sospirai. «Beh, non è una scelta che spetta a te».

«No, ma è una scelta stupida e priva di senso».

«Perché?».

Matthew mi fissò quasi fosse sorpreso da tale mia domanda, come se dovessi esser già a conoscenza della risposta, come se essa fosse ovvia e scontata. Ma non era così, non per me. Avevo smesso di credere che esistesse qualcosa di scontato.
A quel punto, fu lui ad esalare un lungo e profondo respiro. «Thomàs è morto per te» disse «e se adesso ti lasci andare, se permetti all'oscurità di inghiottirti, renderai il suo sacrificio vano».
Scossi appena la testa. «Mi dispiace» sussurrai «ma non posso. Ho combattuto per tutta la mia esistenza contro qualunque nemico e... E adesso non mi va di mettermi contro un ente privo di forma che si intrufola nella mia testa. È una battaglia già persa».

«Parli come una che si arrende».

«Parlo come una che è stanca di lottare».

«La differenza qual è?».

Abbozzai una risata e fu del tutto priva d'entusiasmo. Abbandonai il letto e in soli due passi riuscii ad essere di fronte a Matthew. Dovetti sollevare bene la testa per essere quasi alla sua altezze, sebbene rimasero ancora un paio di centimetri a dividerci. «Quanti anni hai?» sbottai. «Venti? Massimo venticinque? Per quanto la tua vita in questo breve arco di tempo sia stata travagliata, non eguaglierà mai millenni di fughe, di battaglie, di urla e di dolore. Un continuo tormento, senza un attimo di tregua. Millenni, non solo anni. Forse ad un certo punto è lecito fermarsi e arrendersi. Farlo senza passare per forza per una che non ha voglia di lottare».

Matthew serrò la mascella e, per un attimo, mi diede l'impressione di non sapere come replicare. Restò in silenzio, sostenendo a stento il mio sguardo, tanto che mi parve di aver vinto e di essere stata in grado di zittirlo senza l'incalzare di ulteriori discussioni.

Ahimè, non fu così.

«E al tuo fidanzato non ci pensi?» mormorò.

Tratteni il respiro per un istante. «Lui che c'entra?» soffocai.

«Se tu morissi, ne sarebbe devastato, no? Vuoi davvero farlo passare attraverso tutto ciò di nuovo?».

La rabbia tornò di prepotenza e mi morsi forte il labbro inferiore per evitare di urlare. Nonostante quelle orribili sensazioni, le solite maledette voci non avevano ancora fatto il loro ingresso nella mia mente. «Non ti azzardare a fare leva su Simon per convincermi» sibilai.

«Sto solo dicendo la verità» si giustificò Matthew. «Vuoi morire? A me non interessa, fa' pure. Sappi solo che rovinerai la vita di una persona che ami con tutta te stessa e, non meno importante, morire mentre ti trovi in una transizione simile non è affatto facile. Hai parlato di dolore di millenni? Immaginalo tutto concentrato in pochi giorni. Senza fare riferimento al fatto che le voci diverranno sempre più forti e avranno sempre più controllo sulle tue azioni. Morirai, sì, e soffrirai parecchio e nella tua sofferenza trascinerai chiunque ti starà attorno. Ma se ti sta bene così... Fallo. Io uscirò da quella porta e, a quel punto, sarai completamente e inesorabilmente sola».

Tremai appena. Una parte di me si era convinta a non credere a nemmeno mezza delle sue parole, eppure la sua espressione si era fatta così seria da mettermi i brividi addosso. Nel frattempo, la furia si era trasformata in pura paura.
Paura che ciò che Matthew aveva detto avesse potuto trasformarsi in realtà e, in tal caso, da sola non avrei potuto fare nulla per impedirlo.

«Stai solo... Cercando di spaventarmi» mi difesi.

Lui inarcò di poco le labbra all'insù. «Di nuovo, sto solo dicendo la verità» mormorò.

Scossi il capo. Mi aspettavo che da un momento all'altro scoppiasse a ridere e tornasse ad essere il solito ragazzo irritante, ma niente di ciò accadde. La maschera di serietà e durezza che aveva indossato non dava nessun cenno di cedimento.

«Ci tieni tanto a mantenere la tua promessa» commentai.

«A rigor di logica, avrei dovuto fregarmene e andare via alla tua prima resistenza».

«E invece sei ancora qui».

Matthew annuì. «Thomàs era come un fratello per me» spiegò. «E' stato lui a insegnarmi come controllare la mia oscurità. Evidentemente ha pensato che io fossi la persona più adatta per trasmettere i suoi insegnamenti a te».

«A volte non sembrava essere davvero in grado di controllarsi».

«Controllare la propria oscurità non è facile. Ci sono momenti in cui ogni cosa ti sfugge di mano e tutto si complica. Però non è impossibile».

Fissai il suo viso per qualche secondo. Pareva tutto così surreale. Quell'intera conversazione lo era.

«Quindi che dovrei fare?» domandai, retorica. «Prendere delle lezioni da te?».

Lui fece una smorfia. «Più che lezioni li chiamerei “consigli”».

«Consigli?».

«Sì. Rende la cosa meno formale. E poi...». Fece una breve pausa, incrociando le braccia sul petto. «E poi, se ascolterai i miei consigli, non dovrai tenere per forza le distanze dal tuo ragazzo».

«Gli ho ficcato un coltello nello stomaco. Dubito che mi vorrà vicina».

«Basterà spiegargli che non eri propriamente in te».

«No» mormorai. «E' questo il problema». Sospirai appena e indietreggiai fino a sedermi nuovamente sul materasso. «Una parte di me voleva davvero farlo» confessai e la parte peggiore fu che non mi vergognai neppure di dire una cosa del genere ad alta voce.

«Ero così arrabbiata» continuai «per una sciocchezza e... Ad ogni sua parola, la rabbia aumentava a quelle voci nella mia testa mi convincevano sempre di più a compiere quel gesto».

«Ho ben presente la sensazione» commentò lui.

«Ma tu non perdi le staffe».

«Questo adesso. Se mi avessi visto qualche anno fa... Le cose erano un bel po' diverse».

Non replicai a ciò. Abbassai lo sguardo, fissandolo sulla moquette beige che ricopriva il pavimento. Passò relativamente poco prima che il mio campo visivo venisse invaso dal volto di Matthew, che mi si era inginocchiato davanti, posando i pugni chiusi sulle mie ginocchia.

«Lo so che non mi conosci» mormorò «però io conosco te. Cioè, sono stato il tuo stalker personale per mesi, qualcosa ho imparato per quanto tutto ciò sia raccapricciante».

Riuscì a strapparmi un sorriso e non seppi dire se traboccante d'entusiasmo o meno.

«Quindi» andò avanti «so che puoi farcela. Puoi vincere un'altra battaglia senza problemi. Devi soltanto... Volerlo».

Non dissi nulla in replica. Non avevo idea di cosa dire e ogni frase pareva fuori luogo. Non sapevo nemmeno cosa volessi.

Una parte di me voleva tornare ad essere la solita Hazel, continuare quella nuova vita a Parigi che per i primi tempi era stata perfetta, seppur semplice e, delle volte, monotona.
Un'altra parte, invece, bramava l'oscurità, voleva annegarci dentro, perché anche se sbagliato, quando essa mi inghiottiva, mi sentivo invincibile, in grado di fare qualsiasi cosa, senza nessuna paura.
Ed io ero, semplicemente, combattuta.
Mi trovavo davanti ad un bivio, ferma, immobile, senza un'indicazione certa da seguire.

Per quel primo momento, mi convinsi a lasciarmi guidare da Matthew. Non fu una decisione presa con tutta la mia convinzione, ma fu dettata da quella parte – per ora – più forte di me.

  
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