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Autore: PikkolaGrandefan    25/01/2009    2 recensioni
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Rinoa81, assistente amministratrice.

Angela è una diciasettenne che abita nel Quartiere dei Boschi, nel quale è cresciuta assieme ad un gruppo di amici. Tuttavia la sua vita verrà sconvolta dall'arrivo di uno sconosciuto, che la porterà nel suo mondo fatto di musica e sincerità. Tra canzoni, professoresse particolari, boschi e amori la vita nel quartiere più tranquillo del mondo non sarà più la stessa...
Aprì il cancelletto di casa e feci per entrare quando la vista di un ragazzo mi colpì.
Non l’avevo mai visto. Era molto alto, aveva delle belle spalle e un fisico forte e atletico. Due occhi scuri e i capelli arruffati.
Mi chiesi dove abitasse ma non ci pensai più di tanto. Dovevo chiamare Caterina.
Quelle parole cattive, disumane l’avevano colpita nel profondo. Deborah, che lo amava da cinque anni, nel bene o nel male, soffriva per lui, che non la degnava di uno sguardo.
Ero andata poche volte fuori da Sobo per fare compere o cose simili. Tutto il necessario lo trovavamo qui, nel Quartiere dei Boschi.
E mi guardò, con quei suoi occhi fusi, che mi laceravano l'anima ed entravano dentro di me.
"R-Roberto" tremai io.
"Si?" Sorrise.
"Mi stai facendo impazzire...".
Risi e guardai la professoressa più mitica del mondo.
"Comunque" disse lei con la sua voce penetrante e molto acuta, "Roberto ha detto che non stai più nella pelle per cantare al concerto. E' vero? Lui era così entusiasta!".
"Le ha detto questo?".
"Sisi". Rabbrividì.
"Lei è Roberto parlate molto di me, vedo...".
Genere: Romantico, Commedia, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Aprì la porta del cancelletto di casa e inspirai quel profumo di camomilla che mia mamma coltivava con passione da una vita. Mi girai e la vidi tutta indaffarata, con le guance rosse che strepitava per far uscire mio padre di corsa.
”Giulio!” urlò.
”Si amore cosa c’è?” chiese quel pover’uomo dai capelli brizzolati.
“Esci che dobbiamo andare a salutare i nuovi vicini! Spero saranno meglio dei vecchi…Ah, ciao Angela!” mi salutò. Bella considerazione avevano per me i miei genitori!
“Ciao mamma. Dove sono Alby e Costy?” chiesi.
”Sono su in camera. Non vieni a salutare i nuovi vic…”.
”No mamma, ehm…devo studiare. Papà dai muoviti che la mamma ti aspetta!”.
“Ok va bene!” acconsentì mio padre uscendo dalla porta di casa, “Ciao tesoro!” mi salutò, ed uscì dal giardino di casa.
Sospirai, guardandomi intorno. Il giardino era abbastanza grande, dal cancello partiva un vialetto fatto di pietruzze varie che portava alla porta di casa, ma intorno mia madre teneva un bel prato ben curato, con tanti fiori che lei amava e infine un tavolo con un barbecue. Dietro casa si sentiva il profumo del bosco e di notte, il canto dei grilli e il verso di qualche animale animava la mio piccola ninna nanna notturna-
Non avevo da studiare, ma non avevo voglia di conoscere nuove persone. Di sicuro i “neovicini” erano una famiglia adulta o due persone anziane, al massimo. Non badavo molto a chi abitava la casa verde muschio accanto alla mia, tuttavia avevo notato troppo movimento nei suoi paraggi.
Aprì la porta di casa, attraversai la hall, la cucina e il salotto, per poi salire nella mia camera che dava sulla strada in modo perfetto.
Era abbastanza spaziosa malgrado ci dormissi solo io, le mie sorelle dormivano altrove, ma io l’avevo riempita per bene. Un letto, una scrivania spaziosa con sopra il computer, due armadi, una grande libreria e poi uno scaffale con sopra un lettore Cd e ovviamente tanti dischi. E poi, affianco allo specchio, nel suo angolino preferito c’era lei. La MIA chitarra. Quella che suonavo da sette anni, la mia prima chitarra. Ovviamente ne avevo usate altre che ancora utilizzavo, ma lei era sempre la mia preferita.
Buttai la borsa a terra e mi sdraiai sul letto.
Sedici anni. Quasi diciassette oramai. Ero in terza superiore ma il tempo era volato da quando ero bambina.
Avrei dovuto chiamare Caterina ma non avevo voglia. Sapevo che se non l’avessi fatto lei ci sarebbe rimasta male.
Indossai dei pantaloni di canadese bianchi e una maglietta a maniche corte e regolarmente mi guardai allo specchio.
Premettiamo una cosa. Io non ero vanitosa. Tanto meno superba o altezzosa. Ma proprio per niente. Solo che mi piaceva controllare che stessi apposto.
Ogni fine estate, capita almeno una volta che una persona incontrandoti, dice di vederti molto cresciuta.
Ma io più mi continuavo a guardare allo specchio, più mi vedevo perfettamente identica a prima.
Ero bionda, mia madre è di origine tedesca anche se il mio viso di ariano ha ben poco, la pelle color pesca non bianchissima comunque, anche se le mie guance erano pallide. Sembravano fatte apposta per quando arrossivo come un pomodoro, cosa che ero solita a fare.
I miei occhi erano…boh, ancora oggi non so definire il loro colore. Azzurri. Ma anche grigi. E verdi. Strani insomma. E poi ero bassa. E questo mi escludeva completamente dalla razza tedesca.

Per me uno e sessanta era molto. Invece Alberta e Costanza erano altissime. Non sembravamo neanche sorelle tra loro. E poi il mio corpo che si intravedeva abbastanza bene dal mio abbigliamento. Ero magra, non come Costanza che aveva avuto anche problema con l’anoressia, ma lo ero. Non che fossi piatta, grazie al cielo almeno qualcosa di buono e di femminile ce l’avevo!, anzi ero anche formosa.
In quel momento due elefanti di quasi un metro e settantacinque entrarono dentro la mia pacifica, cara stanza.
“Angy!!!!” esclamarono in coro quelle belve.
”Ciao Costy, Alby” dissi io scocciata.
”Wow che allegria” disse Alberta con la sua insopportabile voce da ochetta, “Dai Ely che cos’hai?”.

Credo che, prima di continuare il mio racconto, una descrizione delle mie due angosce naturali sia d’obbligo. Non che le odiasse, povere sorelle. Anzi le adoravo.
Alberta era poco più grande di me, in quarta liceo ed era sicuramente la mia migliore amica, dopo Deborah ovviamente. Era alta e con un filo di pancia che per fortuna era riuscita da poco a smaltire con una tremenda dieta. Aveva i capelli castani chiari con qualche ciocca bionda e gli occhi color nocciola. Era una ragazza tremendamente pettegola e troppo loquace, al contrario di me che odio la folla.
Costanza mi assomigliava di più. Mentre Alby era molto formosa, lei a quindici anni era piatta come una tavola da surf. O quasi. Aveva i capelli quasi biondi, non come i miei, e gli occhi allungati e verdi. Il suo viso aveva qualcosa di orientale e la carnagione giallastra. Nel complesso era molto carina. Ma anche fragile. Povera Costy, a soli tredici anni era stata operata al cuore e l’esperienza aveva molto turbato sia a me che ad Alberta che ad ogni suo piccolo colpo di tosse eravamo percorse da un brivido.

“Lo volete proprio sapere?” chiesi io. Tanto valeva dire loro di Deborah e Tiberi.
Le due annuirono buttandosi come elefanti sul letto. Le raggiunsi anche io.
“Beh, avete presente Debby e il suo amore…beh, amore è una parola grossa…la sua infatuazione per Tiberi?”, iniziai io sconfortata, “Beh, io e lui ci siamo incontrati per strada e mi ha detto di dire a Deborah che lui non la vuole!”.
“Caspita”, sentenziò Costanza, “E tu hai intenzione di dirglielo?”.
“Ma chi, a Debby?” chiesi io.
A questo non avevo pensato. No, non potevo dirlo a Deborah, sarebbe stato troppo triste e lei era una facile a deprimersi.
”No. Non lo farò” dissi piano io tormentandomi una ciocca di capelli.
“Ma come, è la tua migliore amica non puoi farle questo!” esclamò Costy.
”Si lo so. Ma il fatto è che…beh, penso che Matteo sia più interessato a me…” ammisi piano. Si, era piuttosto ovvio dopo quello che mi aveva detto vicino a Piazzetta Liscia.
Ci fu un momento di silenzio.
E iniziò a tossire. Tossiva contorcendosi, così all’improvviso.
Alberta scattò in piedi e la fece alzare, pallida. “Costy!” esclamai io.
Mentre Alberta cercava di farle bere un bicchiere d’acqua, io scesi di sotto allarmata e terrorizzata dall’idea di essere così sola in casa. Pensai a cercare mamma e papà, mentre sentivo Costanza dimenarsi e, con un urlo da parte di Alberta, cadere a terra.
O meglio, così mi parve dal tonfo che udì provenire dal pavimento della mia stanza.
E poi ricordai dei vicini. Dovevo avvisare i miei genitori.
Uscì di corsa e il mio corpo trasalì dal cambio di temperatura. Ormai sera, faceva un freddo cane. Avvistai subito la grande casa verde muschio accanto alla mia, il cancello era aperto e non badai al rumore che i miei passi facevano. Al diavolo quei vecchietti dei vicini.
Suonai alla porta, ma sentivo solo della musica provenire dall’interno. Bene, ora anche il bel concertino in tv.
Suonai una più volte, ma quella non cessava. Mi fermai nervosa ad ascoltare quella chitarra incessante. Il musicista era bravo. Forse lo conoscevo, ,mi sarei informata in seguito sille trasmissioni tv.
”Driiin Driiin” riprovai a suonare. Quella volta, la musica cessò e sentì dei passi veloci correre ad aprirmi.
Finalmente la porta si aprì e…
”Ciao” disse la voce del ragazzo che avevo già visto in strada quella stessa sera. Mi guardò sorridente, aveva una voce profonda e degli occhi neri, come la pece, e fusi.
”C-ciao!” balbettai io. Per quale motivo mi trovavo lì? Mi sentivo proprio scema.
“Come ti chiami?” chiese lui.
”Ange …no aspetta! Ci sono i miei genitori in casa?” e mi pareva strano che fossi andata lì solo per parlare con lui.
”Sei la nuova vicina di casa?”.
”Si…ma lasciami entrare!” dissi io stizzita e, ripensandoci, davvero cafona. Il ragazzo si mise da parte senza dire niente.
Spalancai la porta del lungo corridoio e trovai i miei genitori in un salottino davvero grazioso, intenti a parlare con due persone che dovevano essere i genitori del ragazzo.
”MAMMA, PAPà!” Costanza si è sentita male, è svenuta credo! Mio Dio dobbiamo tornare a casa, venite insomma andiamo…”.
Ma i miei genitori non si mossero di lì…
”Angy…”.
”Papà non c’è niente da dire, Costanza sta male andiamo. E’svenuta!!”
”Scusa?” disse la voce del ragazzo moro, “Tua sorella è qui”.
Con un tuffo al cuore mi voltai e vidi Alberta e Costanza in piedi affianco alla porta.
”Ehm…” disse Alberta, “Costy sta bene. Forse hai un po’ esagerato Angela…”.
E in quel momento un turbine di emozioni mi pervasero. Gioia, rabbia nel vedere la faccia sorridente di quel bellissimo sconosciuto e poi… vergogna. E come al solito avvampai e le mie gote…no anzi, tutta la mia faccia divenne ardente.
”Ah. Si scusate…” dissi desolata ai nuovi vicini di casa saltando ovviamente il ragazzo, “ Solo c-che mi sono preoccupata per mia sorella e n-non…”.
”Dai Angela andiamo” disse Alberta facendomi segno che, forse, era meglio togliere il disturbo.
”Si… scusate ancora. Arrivederci” mi congedai e per mia fortuna, sentì anche il loro saluto.
Uscite dalla casa, ero davvero stordita. Tornai a casa, mi buttai sopra il letto e iniziai a piangere affranta, con il cuore che batteva a mille per le emozioni appena vissute. E mi addormentai. Sognai piazzetta Liscia, il sole cocente di un pomeriggio di Ottobre, un pallone da calcio e due occhi neri e fusi, e un sorriso mozzafiato.

La mattina dopo, a scuola, ero davvero stanca. Arrivai in ritardo e non seguì né le due ore di inglese, né quelle di storia, grammatica e geografia.
A pranzo, in sala mensa non mangiai niente. Mi limitavo a guardare le mie migliori amiche chiacchierare di cose che per me, in quel momento non avevano senso compiuto. Alberta, dall’altro lato della sala, si limitava a sorridermi. Costanza non c’era perché tornava a casa per pranzo. Seguiva una dieta molto rigida per la sua carente salute.

”L’avete visto che carino?” disse Caterina.
”Si, è proprio bello! Hai visto che begli occhi?” esclamò Ele.
“Frequenta le stesse lezioni di Matteo, anche se sinceramente preferisco lui…” mormorò Deborah, assorta a guardare Tiberi.
”Assolutamente No! Molto meglio lui di Tiberi, scherzi?” disse Eleonora indignata.
”Sinceramente non trovo nessuna differenza” s’intromise Bea.
”Ma è bellissimo. Non hai visto che fisico, che occhi? So solo che da lui mi farei fare qualunque cosa…!” disse Caterina, pervertita come sempre.
”Che nobili pensieri, ma di chi state parlando?” chiesi io sarcastica.
“Del nuovo arrivato. Lo devi vedere! E’ un figo della Madonna!”.
“Wow, scusa de non mi piego in due dall’emozione…” risposi io.
”Ehi amore, ma per Sabato è tutto pronto?” chiese John facendomi sobbalzare.
”Si. Ma non chiamarmi amore!” risposi io alzandomi.
”Dai, ma perché non mi vuoi?” chiese, prendendomi per mano e facendomi due occhi da cerbiatto che avrebbero fatto impazzire tutte tranne me.
”Perché tu non mi piaci minimamente John. Sei simpatico, gentile ma anche troppo pieno da te stesso. Sei un pallone gonfiato!”.
“E dai, dillo che nel profondo ti piaccio!” urlò davanti a tutti, facendo la solita scena teatrale.
”Basta John! Sei P E S A N TE!” scandì bene ogni parola. Se avesse avuto il coraggio di controbattere io, io…
”Ma se peso solo cinquantacinque chili, non credevo di essere grasso!”.
”Basta!” esclamò una voce acutissima da me ben conosciuta, “Scusa John ma hai oltrepassato il limite, non vedi che la stai stressando?”.
”Ok va bene” disse John congedandosi.
Lo guardai per un poco allontanarsi, quando la stessa vocetta femminile m’interruppe.
”Come si dice?” chiese una donna sulla quarantina, minuta e magrolina, dai capelli biondi tinti che dovevano essere castano scuro in precedenza e gli occhi castani. Il viso era pallido, solcato dalle occhiaie e da qualche ruga, ma incredibilmente simpatico.
Lei era Alice. La mia professoressa di chitarra. Quella che per me era come una madre, senza togliere nulla a quella vera; che mi aveva praticamente adottato e che mi adorava.
”Grazie prof” dissi io sconsolata. Lei si sedette affianco a me.
“Cos’ha fatto stavolta?”.
“Quello che fa sempre!” esclamai io, “Mi chiede di uscire davanti a tutti, come se a me interessasse…”.
”Beh, a te John piaceva” disse lei, come se fosse la cosa più naturale del mondo, “ E non fare quella faccia. Lo sai anche tu che è vero!”.
”Si, ma adesso non m’interessa più” ammisi.
“Prof, lo sa che c’è un nuovo arrivato nel quartiere?” s’intromise Debby come suo solito.
”Si. Ma non è un nuovo arrivato. Lui abitava a Sobo, lo conoscevo anche io dato che studia chitarra da una vita. Ci sono molto affezionata” disse. Alice era solita affezionarsi ad alcuni suoi alunni, essendo single e vivendo da sola nel Quartiere Del Bosco, per avere un po’ di compagnia nella sua quasi triste vita non poteva fare diversamente. I suoi figliocci evidentemente eravamo io e quello sconosciuto ragazzo che non sapevo ancora chi fosse e come si chiamasse.
“Ma chi è?” chiesi esasperata. Finalmente si sarebbe svelato il mistero.
“Si chiama Roberto. E’ in terza superiore e abita qua da poco, non so dove. Frequenta le stesse lezioni di alcuni vostri conoscenti, Tiberi e Enrico per esempio. E’ quello lì” e indicò un ragazzo seduto in compagnia di una certa Viviana, una ragazza magrissima dal viso cavallino e i capelli neri, che rideva e scherzava. Riconobbi il suo sorriso, i suoi occhi incandescenti.
”Oh cazzo” mormorai. Era il mio vicino di Casa!.
“Ma perché, ti piace?” chiese impertinente Alice.
“A me? No, assolutamente. MAI visto prima…”.

Beh, la mia storia non piace. Ma non importa, perché la scrivo con passione e l’importante è questo. Ringrazio chi l’ha messa nei preferiti e invito a continuare a leggere! Cercherò di aggiornare prima comunque. Baci, Ely.
  
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