Anime & Manga > Rocky Joe
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Autore: innominetuo    31/07/2015    13 recensioni
Joe Yabuki ritorna sui suoi passi, dopo un anno di dolore e di rimpianto. La morte di Tooru Rikishi lo ha segnato profondamente. Ma il ring lo sta aspettando ormai da tempo.
E non solo il ring.
…Se le cose fossero andate in un modo un po’ diverso, rispetto alla versione ufficiale?
Storia di pugilato, di amore, di onore: può essere letta e compresa anche se non si conosce il fandom e quindi considerata alla stregua di un'originale.
°°°°§*§°°°°
Questi personaggi non mi appartengono: dichiaro di aver redatto la seguente long fic nel rispetto dei diritti di autore e della proprietà intellettuale, senza scopo di lucro alcuno, in onore ad Asao Takamori ed a Tetsuya Chiba.
Si dichiara che tutte le immagini quivi presenti sono mero frutto di ricerca su Google e che quindi non debba intendersi il compimento di nessuna violazione del copyright.
Si dichiara, altresì, che qualsivoglia riferimento a nomi/cognomi, fatti e luoghi, laddove corrispondenti a realtà, sono puro frutto del Caso.
LCS innominetuo
Genere: Drammatico, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Bianche Ceneri'
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Finalmente era giunta a casa.

Quella appena trascorsa non era stata affatto una giornata facile, per lei. Prima il complotto ignobile dei presidenti dei club di pugilato contro Joe e Tange. Poi… il ritrovarsi tra le braccia di Joe… per sentirsi respingere da lui dopo pochi minuti di paradiso in terra…

“…Non può funzionare, Yoko. Non tra un Yabuki qualsiasi ed una Shiraki.”

Quelle parole continuavano a ronzarle nella testa, pur sentendo ancora sulle labbra il sapore di quelle del ragazzo… Era tutto così maledettamente difficile e solo per una stupida presa di posizione, dettata da ridicole convenzioni sociali! La cosa la addolorava e la irritava ad un tempo. Per cercare di placare il suo animo ferito, si mise un momento seduta al suo Bösendorfer* per suonare la sua aria preferita, il Notturno 9 di Chopin, imprimendo alla dolcissima musica un non so che di malinconico dolore. Mentre suonava, non si accorse assolutamente di esser stata raggiunta nel salotto. Una volta terminato di suonare, mentre riordinava lo spartito, avvertì, infine, una presenza alle sue spalle.

“Nonna” mormorò, alzandosi per inchinarsi compostamente, in segno di saluto.

Hatsuyo Shiraki, a differenza del marito Mikinosuke, che prediligeva con le persone comportamenti più rilassati ed informali, invece pretendeva, soprattutto dalla sua unica nipote, continue dimostrazioni di rispetto per l’etichetta più conservatrice, secondo la millenaria tradizione giapponese, essendo, a differenza del marito, la discendente di un’antica famiglia nobiliare. Dopo la morte del figlio e della nuora in un incidente aereo, cosa che aveva reso Yoko orfana in tenera età, aveva rivolto tutte le sue cure e le sue attenzioni alla nipotina, cercando di tirarla su come una perfetta fanciulla nobile, nel rispetto delle antiche consuetudini. Mikinosuke aveva, suo malgrado, interferito molto nel suo metodo educativo, pretendendo che Yoko studiasse in scuole di stampo occidentale e che viaggiasse molto, “per aprirsi la mente ed il cuore”, come soleva spesso dire alla moglie. Nonostante vivesse, con suo quarantennale disappunto, in una splendida villa in stile, ahimè, occidentale, Hatsuyo era solita abbigliarsi e pettinarsi in modo tradizionale, indossando eleganti kimono in pesante seta di gelso** dall’obi strettamente legato in vita. Quella sera ne indossava uno molto sobrio, in delicatissime sfumature di grigio e di azzurro, che si accordavano alla crocchia argentea ed alla pelle candida e liscia, nonostante l’età. Le tracce della sua antica bellezza erano perfettamente riprodotte sul volto delicato della nipote, che le assomigliava molto.

Ma le somiglianze si fermavano lì.

“Yoko. Finalmente a casa. Sono ore che ti attendo.” Il tono utilizzato dall’anziana donna non presagiva nulla di buono.

“Mi dispiace per aver fatto tardi, ma avevo molte cose da fare…”

“Tutte cose disdicevoli, immagino. Vieni nel mio studio, ti devo parlare.”

Nonostante fosse una donna alquanto minuta e sottile, Hatsuyo aveva una sua speciale autorevolezza nel modo di parlare e nella postura. Si diresse quindi alla stanza più raccolta del piano terra, che aveva adibito a suo ufficio personale, con passettini aggraziati e veloci sui delicati zori*** in broccato, dando le spalle alla nipote che, rassegnata, la seguì a capo basso. La lunga giornata non era ancora finita, a quanto pare…

“Siediti e prestami ascolto, dato che ho preso delle decisioni che ti riguardano direttamente, in modo che tu le esegua con giudizio.”

In quel mentre, entrò inchinandosi profondamente ed abbigliata anch’essa in un bellissimo kimono rosso fragola, Misato, la dama di compagnia personale di Hatsuyo. Con gesti misurati ed eleganti, si occupò quindi della cerimonia del tè, cosa che non smetteva mai di affascinare Yoko.

“Non distrarti a fissare Misato, invece di prestarmi attenzione: non è per questo che ti ho convocato, Yoko. Portami rispetto.”

“Chiedo perdono.”

“Uhm. Ti comunico che oggi mi sono consultata con una persona. Si chiama Ikue Miura e mi presterà aiuto come nakodo****” dichiarò solennemente.

Nel sentir far cenno ad una sensale di matrimoni, Yoko, pallidissima, saltò in piedi, cosa che fece sussultare Misato, la quale rovesciò la ciotolina del tè. Dopo un’occhiataccia ed un gesto stizzoso di congedo da parte di Hatsuyo, la dama di compagnia si inchinò affranta per ritirarsi, silenziosa come un topolino, lasciando finalmente sole nonna e nipote.

“Ricomponiti, Yoko. Non accetto da te questi comportamenti da pescivendola. Ecco il frutto delle scuole occidentali e dei troppi viaggi all’estero: si dimenticano le buone maniere” disse in tono duro. Rassegnata, Yoko si risedette, a capo chino. Si sentiva come un’imputata al momento della sentenza… “Allora, ti stavo dicendo… nei prossimi giorni verrà qui da noi Miura-sama con foto e rirekisho**** di papabili candidati alla tua mano.”

“NON. VOGLIO. SPOSARMI.” replicò Yoko, a voce stentorea, fissando la nonna negli occhi con sguardo acceso.

“Silenzio! Come ti permetti di rivolgerti a me con questo tono e con questo atteggiamento?” sibilò Hatsuyo “Non ti basta gettare discredito sul nostro nome con la tua condotta screanzata? Osi pure ribellarti?” Gli occhi di Hatsuyo si ridussero a fessure di giaietto nel guardare la nipote, che impallidiva sempre più.

“Che cosa avrei fatto di tanto screanzato per essere trattata così?” chiese Yoko, con le labbra che le tremavano: si sentiva profondamente umiliata.

Cosa avresti fatto, nipote? A te sembra dignitoso occuparti di… pugilato?” pronunciò l’ultima parola come se la sputasse “Se almeno fosse un sport della nostra tradizione, come il sumo… invece di una diavoleria straniera… ma ti pare che una signorina di buona famiglia debba interessarsi di maschi che fanno a pugni, in ambienti sporchi, degradati… maleodoranti? Te ne stai in mezzo a tutti quegli uomini, poi… è un’indecenza! Le ragazze perbene vivono ritirate, non se ne vanno in giro a vedere incontri di boxe, sappilo. Dal giorno che Mikinosuke ti ha appoggiato in questa follia affidandoti la presidenza della sua palestra non riesco più a darmi pace... Non avrei dovuto permettere che ti portasse con sé sin da quando eri solo una ragazzina a vedere gli incontri di quello sport orrendo, e men che meno a fare beneficenza in quel postaccio sull’isola… un riformatorio, che obbrobrio! Per non parlare di quel Rikishi che frequentava sin troppo questa casa…”

Nel sentir nominare il povero Tooru con tanto disprezzo, Yoko scoccò alla nonna un’occhiata di fuoco, per poi tornare a fissarsi le mani che le tremavano in grembo.

Hatsuyo continuò con la sua reprimenda, come se nulla fosse: “Non voglio più pensarci, visto che quel tizio è morto, ma sappi che non ho mai approvato certe conoscenze di Mikinosuke” sospirò profondamente “Questa cosa deve finire, bambina. E subito.” Yoko si mordeva le labbra a sangue, il corpo scosso da brividi, affondando le unghie nei palmi. Lacrime dispettose le lucidavano le ciglia, minacciando il loro ingresso in scena. Hatsuyo covò la nipote ribelle con uno sguardo che, da indignato, si addolcì progressivamente. Poi riprese con un tono più pacato e gentile, per blandirla: “Su, non fare così. Diciamo che il tuo comportamento è stato dettato dall’eccessivo permissivismo di tuo nonno e dalla tua ingenuità. Hai voluto giocare per un po’ a fare l’emancipata. Ma ora bisogna rientrare nei ranghi. Fortunatamente hai solo venticinque anni, sei ancora in un’età più che dignitosa per sposarti senza che nessuno abbia qualcosa da ridire, anche se io alla tua età ero già sposata e madre. Beh, sorvoliamo… al giorno d’oggi le sposine non hanno più vent’anni…” brontolò.

Al che Yoko non resse più ed esplose, come spinta da una forza interiore che non sapeva di avere… “Al giorno d’oggi nessuno dev’essere obbligato a sposarsi per uno squallido omiai****! Al giorno d’oggi ci si sposa con chi si ama! Al giorno d’oggi una ragazza deve poter scegliere la sua strada, facendo un lavoro che le piace! Nonna,” al che Yoko si alzò in piedi, di nuovo: “sappi che non intendo ascoltare una parola di più. Non riceverò nessuna nakodo e non voglio saperne di candidati. IO sono già innamorata, profondamente e per sempre” proruppe, arrossendo e prendendo coscienza, per la prima volta ed in modo cristallino, di ciò che il suo cuore aveva sempre saputo e che lei stessa non aveva ancora ascoltato fino in fondo “e non sposerò nessun altro se non l’uomo che amo. Non scomodarti a sapere di chi si tratti: non sono affari tuoi. E ti comunico che domattina lascerò per sempre questa casa per andare a vivere per conto mio e secondo le mie regole.”

Livida, Hatsuyo strinse le labbra, rimanendo rigidamente composta. Le due donne si sfidarono con lo sguardo, ad altezze differenti, essendo una ritta in piedi e l’altra ancora seduta in poltrona.

“Questa è la tua ultima parola?” le ingiunse la nonna, in tono spaventosamente calmo.

“Esatto.”

“Bene. Da questo preciso istante tu sei morta, per me. E questa è la mia ultima parola.”

Levatasi in piedi a sua volta, la donna dette le spalle alla nipote, uscendo dallo studio, senza dir più nulla.

°°°°°

Rinchiusasi in camera sua, Yoko si lasciò andare su una dormeuse, affranta.

Era distrutta. Era stanca. Era sola.

Sola, soprattutto. Si lasciò andare alle lacrime prima ed ai singhiozzi poi, senza freni. Dopo essersi sentita svuotare completamente, riuscì a calmarsi e si rialzò stancamente. Trasse fuori dal suo armadio un paio di valigie per riempirle di vestiti e di effetti personali. Sapeva bene dove andare a vivere: la madre le aveva lasciato in eredità una graziosa villetta in stile moderno con un bellissimo giardino, in un quartiere residenziale tranquillo e decoroso. Sebbene disabitata da molti anni, su espresso volere del nonno, la casa veniva periodicamente revisionata e ripulita da una ditta specializzata ed il giardino costantemente curato dal giardiniere di fiducia degli Shiraki. Yoko sapeva bene che il nonno non avrebbe approvato il suo trasferimento e che si sarebbe addolorato della sua decisione. Ma non tollerava di passare un giorno di più sotto lo stesso tetto di Hatsuyo Shiraki, dopo le cose orribili che le aveva detto su lei stessa, sul suo lavoro e sul povero Tooru. Non poteva farsi illusioni: mai e poi mai sua nonna avrebbe capito ed accettato lo stile di vita che lei intendeva seguire, né tanto meno i suoi sentimenti per un ragazzo come Joe. Mentre era intenta a chiudere le valigie ed il grazioso beauty-case, si rese conto che non solo non avrebbe tollerato di trascorrere una notte di più in quella casa, ma neppure un minuto di più. Dopo essersi quindi fatta aiutare dal maggiordomo a caricare la sua Corvette, Yoko mise in moto, sentendosi finalmente libera.

§§§§§

Dopo essersi allenato per tutto il resto del pomeriggio, cercando di comportarsi esteriormente in modo rilassato e sereno a suo solito per non suscitare la curiosità di Danpei e di Nishi, fischiettando a tratti un motivetto allegro, Joe si concesse una lunga doccia tiepida per riuscire a schiarirsi le idee. Durante l’allenamento, non appena gli si era riaffacciato alla mente il dolce volto di Yoko, ecco che aveva ripreso a colpire il sacco con rinnovato vigore, per concentrarsi meglio sugli esercizi di routine e per non pensare a lei. Aveva pure tartassato lo stomaco del povero Nishi, quando questi gli aveva fatto da sparring partner. Ma ora, da solo nella cabina della doccia, Joe stentava a scacciare il ricordo delle meravigliose sensazioni fisiche provate appena qualche ora prima, stringendo a sé il flessuoso corpo di Yoko. Gli sembrava di sentire ancora il dolce tepore del seno di lei contro il proprio petto, il profumo delicato dei suoi capelli. Il sapore delle sue morbide labbra…

Con rabbia, imprecò contro la saponetta che non smetteva di sgusciargli via dalle mani, mentre in realtà voleva imprecare contro se stesso e la sua stupidità. Yoko. Accidenti a lei, alla sua dolcezza, ed ai suoi occhi così belli...

“Dannazione, che cavolo mi prende?” disse a se stesso, abbassando la temperatura dell’acqua da tiepida a fredda, per tentare di… “smorzare” certi inequivocabili segnali che gli mandava il suo stesso corpo… Con suo disappunto, Joe pensò di non esser stato abbastanza forte da respingerla subito, magari parlandole in modo iroso, come ai vecchi tempi del riformatorio… Si era abbandonato alla magia del momento… per poi anzi scusarsi con Yoko per aver risposto ai suoi baci, con tenerezza e passione.

Ma lui non era più il teppistello dei bassifondi.

Il ragazzaccio, pur non essendosi trasformato in un damerino, era comunque maturato in un giovane uomo di buone qualità, avendo imparato finalmente a trattare le persone con maggior rispetto: in questo, la boxe era stata per lui un’ottima maestra di vita. Strigliandosi con furia, continuava a ripetere a se stesso che sicuramente si era trattato di un momento di follia e che tutti e due erano stati colti dalla magia del momento, complice l’ardore della giovane età. Non era possibile nessun rapporto di quel tipo tra di loro: non tra un ragazzo del ghetto ed una fanciulla cresciuta nella bambagia. Come un mantra, Joe cercava di autoconvincersi di aver fatto la cosa giusta, nel dire di “no” a Yoko.

Eppure il viso delicato di Yoko, le sue lacrime e le sue labbra tremanti lo avevano profondamente colpito. Non riusciva a smettere di pensare a lei…

Pur inveendo contro se stesso, la cosa che avrebbe fatto se l’avesse vista in quel preciso istante sarebbe stata quella di baciarla.

Ancora ed ancora.

Joe non era ossessionato dal sesso come la maggior parte dei ragazzi della sua età, anche perché per mantenere alte prestazioni in una attività sportiva come quella della boxe era necessaria una certa… continenza, per meglio sfogare l’aggressività testosteronica sul ring. Ad ogni modo, Joe era, in fondo, un uomo come tutti gli altri: aveva scoperto le gioie del sesso in campagna, quando mesi prima aveva fatto il bracciante in alcune fattorie. Aveva rovesciato sulla paglia qualche contadinella più che compiacente e, fra risate e sospiri, aveva scoperto pure lui l’incanto del piacere fisico. Ma con Yoko con poteva mica comportarsi con leggerezza, non essendo di certo una scioccherella superficiale come le ragazze che lo avevano sedotto. Al pensiero di averla fatta soffrire con le sue parole si sentiva morire.

“… E se ora andassi da lei? Anche solo per vedere come sta…magari potrei anche chiederle scusa di nuovo e dirle che possiamo restare buoni amici, come prima…”

Asciugatosi alla bell’e meglio, si rivestì in fretta con pochi gesti febbrili.

“Ci vediamo dopo.” bofonchiò all’indirizzo di Tange e di Nishi, intenti l’uno a preparare la cena, l’altro a riordinare la palestra. Non si premurò neppure di aspettare la loro risposta. Conosceva l’indirizzo della lussuosa magione Shiraki e vi si recò con decisione. Prima di suonare il campanello, però, pensò di fare un colpo di telefono, per accertarsi che non si fosse già coricata. Trovò una cabina telefonica poco distante dall’imponente cancellata della villa; dovette ripetere il numero più volte, imprecando tra sé e sé, prima di riuscire ad azzeccarlo, dato che non chiamava Yoko di frequente e dato che aveva perso il suo biglietto da visita. Gli rispose il maggiordomo il quale, in modo educato e compunto, gli fece presente che la signorina era uscita, senz’altro precisare.

“Ha un messaggio da riferirle?”.

“Le dica per favore che ha chiamato Yabuki. Nient’altro, grazie.”

“Sarà fatto, signore. Buona sera.”

Joe sorrise con amarezza. Di certo doveva trattarsi di una bugia: Yoko non voleva parlargli e gli si era negata. Poco male: il giorno dopo l’avrebbe cercata allo Shiraki Boxing Club, lui non era il tipo da scoraggiarsi per una porta in faccia!

Fischiettando il suo solito triste motivetto, di cui ignorava l’origine ma che si portava nel cuore da sempre, Joe ritornò sui suoi passi.

Tutti i movimenti del ragazzo vennero seguiti, a debita distanza, da uno sguardo molto, molto attento…

Come in una malinconica eco, un secondo più flebile fischio riprodusse la stessa canzone, non appena Joe si fu allontanato.

 
§§§§§§§

Circa ventun anni prima, Kyoto, hanamachi di Gion Higashi*****

“Sei pazza, Kahori-san? Andartene via dalla nostra okiya? E dove te ne andrai?” cercò di trattenerla la geisha più anziana, dato che l’altra, borsone alla mano, stava per varcare la soglia.

“Non posso più rimanere Kaneko… Credo che ritornerò a casa mia, ad Otsu… spero che mia madre non mi scacci…” mormorò la ragazza, mentre le lacrime le scorrevano, copiose, sulle gote, sciupando il trucco sofisticato.

“Io sono la tua onee-san, ho il dovere di prendermi cura di te, piccola. Dimmi cosa ti succede, confidati… sai che farò di tutto per aiutarti!” le disse Kaneko, accarezzandole il viso con infinita tenerezza.

“Non puoi aiutarmi… nessuno può farlo, qui… sono incinta!” esclamò Kahori, affranta.


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*marca austriaca di pianoforti piuttosto élitaria: Schubert e Chopin, tanto per far nomi, suonavano con pianoforti Bösendorfer! Quisquilie!

**la seta di gelso è la seta più pregiata e costosa, e si chiama così perché la sua farfalla (Bombyx mori) si nutre solo di foglie di gelso. La caratteristica principale del filato è la sua meravigliosa lucentezza. È la regina delle stoffe!

***si tratta di calzature simili alle nostre infradito, abbinate ai kimono.

**** Omiai (お見合い) è un'usanza tradizionale giapponese che consiste nel far incontrare due persone libere da legami sentimentali affinché prendano in considerazione la possibilità di sposarsi. Il termine viene talvolta tradotto in altre lingue come "matrimonio combinato". Spesso sono le famiglie ad incaricarsi di trovare lo sposo o la sposa ai propri rampolli, incaricando ad hoc il nakodo (che in Occidente sarebbe una specie di sensale di matrimoni) di occuparsi della faccenda: il nakodo propone quindi al ragazzo o alla ragazza tutta una serie di possibili candidati/e, mostrando fotografie e rirekisho, cioè una specie di… curriculum vitae, con albero genealogico, studi e posizione lavorativa. Naturalmente, si prediligono candidati/e appartenenti alla stessa classe sociale. Dopodiché inizia tutta una serie di inviti a pranzo ed a cena, in modo che i due nubendi (le famiglie ci sperano…) possano conoscersi e vedere se si piacciono. Non è previsto che ci si debba per forza sposare con il primo o con il secondo candidato: però dopo una serie di rifiuti, la famiglia comincia a brontolare sulle “eccessive pretese”… Al giorno d’oggi questa è un’usanza un po’ meno usata, anche se non è affatto scomparsa. Però, ambientandosi la mia ff agli inizi degli anni ’70 credo che sia verosimile la sua applicazione, specie nelle classi più élitarie (che di certo non caldeggiavano il libero amore…). Fonte Wikipedia

*****gli Hanamachi sono i distretti delle città di appannaggio delle geishe. Il più importante è ancora oggi quello di Gion, della città di Kyoto, che si suddivide in Gion Kobu e Gion Higashi. Durante il lungo e complesso apprendistato di un’aspirante geisha presso la okiya (letteralmente “casa”), che, come “praticante” si denomina maiko, viene incaricata una geisha più esperta di affiancarla e di insegnarle i trucchi del mestiere: la onee-san (letteralmente “sorella maggiore”). Si sviluppa così un legame molto stretto tra le due donne. Addirittura, per tradizione, la maiko muta il suo nome adottandone uno diverso, come nome d’arte, che contenga la prima parte del nome della sua onee-san: per questo nella mia fan fiction ho chiamato la più giovane Kahori, dato che Kaneko è il nome della sua mentore. Fonte Wikipedia
 
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Spigolature dell’Autrice:

• Piccola precisazione: Hatsuyo Shiraki è un personaggio di mia invenzione, non esiste né nel manga, né nell’anime.

• L’angolo del boxeur lo ritroverete al prossimo capitolo, dato che i guantoni si incroceranno di nuovo! In questo capitolo di raccordo ho preferito parlare di qualche piccola curiosità della cultura jap: spero che vi abbia interessato!
  
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