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Autore: Himenoshirotsuki    02/08/2015    15 recensioni
[Fantasy Steampunk]
La Dogma e la Chiesa, le colonne portanti di questo mondo. L'una che agisce con il favore dell'ombra, chiamando a raccolta i suoi cacciatori, gli Slayers, per combattere i mostri; l'altra che muove le sue armate di luce contro le vessazioni e i miscredenti in nome di un dio forte e misericordioso.
Luce e ombra, ying e yang che si alleano e si scontrano continuamente da più di cinquant'anni.
Ma è davvero tutto così semplice? La realtà non ha mai avuto dei confini netti e questo Alan lo sa. In un mondo dove nulla è come sembra e dove il male cammina tranquillo per le strade, il cacciatore alla ricerca della sua amata si ritroverà coinvolto in un qualcosa di molto più grande, un orrore che se non verrà fermato trascinerà l'umanità intera nel caos degli anni precedenti l'industrializzazione. Perchè, se è vero che la Dogma e la Chiesa difendono gli umani dai mostri, non è detto che non sarebbero disposte a crearne per difendere i loro segreti.
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Slayers '
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Slayers
Act. 1 - Justice, Abraham Justice



- Giustizia? Ma che razza di nome è? -
Il vecchio che si era presentato con tale nome avanzò di un altro passo.
- Non vedo il problema, messere, inoltre non reputo di alcuna rilevanza che il mio nome debba essere oggetto di discussione, dal momento che non fui io a sceglierlo, ma la madre mia e il padre mio. - 
Si aggiustò gli occhiali sul naso e con grazia si frappose tra l'uomo e la bambina, che non aveva mai smesso di tremare.
- Orbene, a cosa è dovuta questa disputa? Lei, che mi sembra un gran signore, perché ha alzato la voce in tal modo? Nei confronti di una dolce fanciulla, per giunta. -
- Come perché? Quella mocciosa mi ha... -
- Fanciulla, messere. Fanciulla. - lo corresse.
- Quel diavolo che è! Mi ha fatto cadere tutta la merce che avevo comprato: l'oculare, il metronomo e quei gingilli strani mi sono costati più di novanta raie. Ora guardi come sono ridotte! - sputò irato e indicò gli oggetti impolverati ai suoi piedi, - I soldi di mesi di duro lavoro buttati per colpa di questa str... -
- Fanciulla. - scandì nuovamente, l'indice alzato come un maestro che impartisce una lezione ad un allievo particolarmente duro di comprendonio.
- Quello che è! - sbraitò esasperato, - Ora si sposti, le devo insegnare come camminare per strada. -
La bambina pigolò qualcosa a fior di labbra, gli occhi sgranati per la paura, abbassò la testa e si strinse nelle spalle, pronta a ricevere la punizione. Alan mise mano alla spada, ma in quel momento lo strano vecchio girò appena il capo verso di lui. La luce che brillò in fondo alle iridi grigie fermò lo Slayer dal compiere qualsiasi azione, alla stregua di un cane che obbedisce al comando del padrone. Tuttavia, non osò ribellarsi.
- Uhm... osservando i suoi acquisti, posso supporre con ragione che il mercante che le ha venduto questi aggeggi tecnologici si sia fatto beffe di lei. - si chinò e raccolse uno dei libri, - Si dà il caso che questo tomo sia un saggio su messer Chatér Cambreshir, il più grande cuoco di tutti i tempi, maestro nell'arte della cucina elfica. -
- Ma che...? Tu che ne sai, eh? Ti credi un damerino di alta classe, un so-tutto-io dalla lingua troppo lunga per i miei gusti. - sibilò rabbioso, abbandonando i convenevoli.
- Le sto solo facendo notare che è stato imbrogliato. - spiegò senza scomporsi.
- Oh, immagino che il signore qui se ne intenda più di me. Un uomo di mondo che offre il suo sapere a dei poveri buzzurri come me. - replicò sarcastico e ridusse gli occhi a fessure. 
Alan notò che aveva stretto le mani a pugno fino a far sbiancare le nocche.
- Credo non abbia capito il senso del mio discorso. - disse con voce pacata.
- No, invece, ho capito perfettamente! Ti ho già detto di levarti di torno, ma evidentemente hai le orecchie foderate di sterco. -
Sollevò il pugno per colpirlo. Il vecchio alzò gli occhi al cielo e sospirò con fare teatrale, poi agguantò la bambina per un braccio e rapido si spostò a sinistra per fare uno sgambetto all'uomo. Costui, com'era prevedibile, perse l'equilibrio e cadde lungo disteso nella polvere con un tonfo e un grugnito sorpreso. 
- Avremmo potuto evitare questo inutile tafferuglio, se lei si fosse dimostrato un pochino più ragionevole. - commentò il vecchio con aria mortificata, poi lasciò la presa sul braccio della piccola e le accarezzò gentilmente i capelli sporchi. 
Alan era sicuro che, nonostante l'espressione dispiaciuta, si stesse divertendo tanto e forse anche più della gente radunata in cerchio attorno a loro.
Il padrone della bambina, però, sembrava non volerne sapere di fermarsi a ragionare, e magari realizzare la figura ridicola che stava facendo. Si tirò su e sbuffò come un toro impazzito, prima di caricare l'anziano damerino nuovamente, ma stavolta quest'ultimo non si mosse. Attese che fosse abbastanza vicino, dopodiché gli afferrò una spalla e lo scaraventò contro il banco del mercante di stoffe, dietro di sé. La folla si aprì e il commerciante fece in tempo a saltare di lato, prima che il corpo massiccio dell'uomo si schiantasse contro il piccolo palchetto di legno, mandando all'aria ogni cosa. Una donna lanciò un urlo isterico, seguito da quello di un'altra ragazza, che corse a rintanarsi dietro un carro, sparendo alla vista.
L'uomo si rialzò, gli occhi sgranati, iniettati di sangue per la rabbia, e le labbra macchiate di rosso. Il vecchio lo fissò impassibile e, ancora una volta, attese che il suo avversario gli arrivasse addosso. Poi, con la fluidità di un felino, scattò indietro e con un gioco di polso afferrò il bastone dalla parte della punta. L'altro esplose in una risata e sibilò qualcosa tra i denti, ma prima che potesse anche solo fiatare, il pomello d'argento del bastone si abbatté con violenza contro la sua guancia, rompendogli qualche dente. Uno scricchiolio agghiacciante risuonò tra gli astanti e l'uomo precipitò a terra con un tonfo, privo di sensi.
Alan fischiò, fintamente impressionato. Fece per tornare nella tenda, quando una mano gli si posò sulla spalla: una stretta educata, ma terribilmente salda. 
- Buon giovanotto, vorrei conversare con lei in privato. Sarebbe disponibile? -
- Dipende da chi mi cerca. -
Lo Slayer si voltò, ritrovandosi faccia a faccia col sorriso a trentadue denti del vecchio. Quel sorriso era inquietante. Una sensazione simile all'angoscia gli artigliò le viscere. 
- La mia persona si sarebbe già presentata poc'anzi. -
- Dubito seriamente che dei genitori possano dare un nome così strano al proprio figlio, a meno che non lo odino. - Alan gli spostò la mano e fece un passo indietro, - Se mi fa la grazia di dirmi il suo vero nome, prometto che rifletterò sulla sua proposta, signore. -
Ora che lo osservava più da vicino, non sembrava così vecchio come gli era sembrato. Prima che facesse volare un uomo di almeno dieci chili in più di lui, s'intende. 
Sulle labbra sottili di quello strano individuo comparve un mezzo sorriso: - Ha ragione. Effettivamente, le ho mancato di rispetto non presentandomi come si deve. - 
Si tolse la tuba e si inchinò leggermente, ma uno sferragliare concitato lo costrinse a voltarsi. Tre guardie, con addosso delle pesanti cotte di maglia e il fucile già imbracciato, stavano marciando verso di loro. Un mercante li additò, bisbigliando qualcosa all'orecchio del capo, e i tre si diressero nella loro direzione.
- Ehi, voi due! Che diavolo avete combinato? - 
Il vecchio inarcò un sopracciglio, visibilmente irritato dall'interruzione, ma non si scompose.
- Signori, sono solo venuto a trovare un collega e, mentre girovagavo, ho avuto un piccolo screzio con uno dei vostri rispettabili cittadini. - illustrò affettato, mentre esaminava con occhio critico la minuscola macchia di fango che era andata a finire sulla tuba, visibile solo all'occhio mutante di Alan o alla lente di un microscopio.
La seconda guardia, dopo aver occhieggiato l'uomo svenuto ai suoi piedi, probabilmente la vittima della colluttazione, serrò ancora di più la presa sul fucile.
- Jasper, vai a chiamare i rinforzi, qui serve la cavalleria pesante. -
Lo Slayer si passò una mano sul viso, cercando di nascondere un sorriso divertito. 
- Tu, cacciatore, cosa hai da ridere? Ti faccio saltare il cervello, se non la pianti subito! - ringhiò il soldato, mentre sollevava il fucile e glielo puntava contro.
Ad Alan non sfuggì il lieve tremore delle sue mani e si chiese distrattamente se quell'idiota sarebbe riuscito a premere il grilletto o persino a prendere la mira senza pisciarsi addosso.
- Che giornata fortunata. Anche un'altra persona ha minacciato di spararmi in testa. - rispose in tono piatto.
- Se non chiudi quella fogna... -
- Calma, signori, calma. - li blandì il vecchio, aprì la giubba e dalla tasca interna tirò fuori lo stemma con l'effige del grifone, - Il mio nome è Justice, Abraham Justice, e sono lo Slayer che avete richiesto alla Dogma. -
Le tre guardie si lanciarono degli sguardi confusi.
- E allora perché non si è presentato prima, eh? Inoltre abbiamo già lui! - rispose uno e indicò Alan con la canna del fucile.
- Credevo che essermi annunciato pubblicamente sarebbe bastato. Insomma, chi se non gli Slayers possono vantarsi di essere i paladini della giustizia? Chi se non uomini abili, nati dalle mani della Dogma solo per difendere i deboli e gli oppressi, possono portare la punizione della legge in queste terre selvagge? - gli fece notare alzando la voce.
Alan avrebbe voluto sottolineare che lui era tutto tranne che un paladino della giustizia, ma il suo compagno sembrava troppo esaltato per osare contraddirlo, e se gli sguardi avessero potuto uccidere, quello delle guardie e di tutti i cittadini raccolti intorno a loro sarebbero stati a dir poco mortali. Con eleganza felina si tolse dalla linea di tiro, giusto per essere sicuro che una pallottola volante non gli facesse un bel buco nel cervello, visto l'andazzo delle ultime ore.
- Comunque, se i messeri non mi credono, posso dar loro una dimostrazione. -
Fece ruotare il bastone e in un attimo disarmò le guardie, che indietreggiarono immediatamente. Un colpo partì dalla canna di uno dei fucili caduti e un vaso di ceramica esplose alle spalle di Alan. Un bambino urlò spaventato e la gente arretrò.
- Bene, ora che lor signori si sono sincerati della mia identità, possano tornare ad occuparsi di faccende più importanti. - li invitò con voce apparentemente calma, ma ad Alan non sfuggì il tono sprezzante con cui pronunciò quelle parole.
I soldati si guardarono con aria incerta, ma un'ultima occhiata gelida del vecchio fugò ogni reticenza. Raccolsero le armi e se la diedero a gambe senza voltarsi indietro.
- Devo dire che sa essere molto convincente quando vuole, Abraham. - commentò il giovane cacciatore, esibendo un sorriso divertito.
- Oh, dammi pure del tu. In fin dei conti, siamo pur sempre colleghi, Alan. - prese un fazzoletto dai pantaloni e si pulì gli occhiali con aria soddisfatta.
Lo Slayer stava per chiedere come facesse a conoscere il suo nome, quando sentì una mano delicata stringergli il braccio e l'ormai familiare odore di putrefazione gli penetrò nelle narici.
- Oh, non immaginavo fossi in dolce compagnia. - un sorriso sornione si dipinse sulle labbra sottili di Abraham, - Se vuoi, possiamo parlare più tardi. -
Quello sguardo carico di sottintesi, accompagnato dall'atteggiamento spavaldo da uomo vissuto, ad Alan suscitò non poco fastidio, ma non lo diede a vedere, mentre Angelika si limitò a stringersi ancor di più a lui. In quel momento, si ritrovò a ringraziare le lunghe ed esasperanti discussioni con Frejie, durante le quali si era allenato a costruire una perfetta faccia di bronzo per mascherare la noia o la furia omicida.
- Non ti preoccupare, non abbiamo molto da fare. Ho chiesto un favore a un amico, ma non credo si sbrigherà presto, e questa ragazza non ci disturberà. - rispose neutro.
- Oh, va bene. La compagnia di una gentil donzella non può che essere gradita. - sorrise affabile all'indirizzo di Angelika.
Si sistemò il colletto e si rimise la tuba in testa. Poi, dalla tasca interna della giacca, tirò fuori un paio di monete d'oro e le lasciò cadere sui resti del banco distrutto con assoluta indifferenza. Quei due pezzi di metallo corrispondevano a duecento raie, una somma che Alan guadagnava forse con l'uccisione di una Wraith, faticando e sudando sette camice, per non parlare del concreto rischio di morte. La cosa lo indispettì.
Il mercante offeso osservò le monete con occhi avidi, ma non ebbe il coraggio di andarle a raccogliere fino a quando Abraham non si fu allontanato. Allora, con le gambe tremanti e lo sguardo che saettava a destra e a sinistra simile a quello di una gazza ladra, si gettò a terra, impadronendosi con gesti febbrili del risarcimento fin troppo generoso del cacciatore.
- Su, fammi strada. É quasi l'una e ho proprio voglia un bel tè caldo. - esordì il vecchio.
Alan assentì piano e, con Angelika attaccata al braccio e Abraham che li seguiva a breve distanza, si fece strada verso l'uscita. Quando passarono in mezzo alla folla, le persone si voltarono dall'altra parte come se nulla fosse successo, sebbene il timore fosse ben visibile sui loro volti.

                                                                            *
- Per Dio, questo tè è... -
- Ti avevo detto di prendere qualcos'altro. - sbuffò Alan con una scrollata di spalle.
- Non è un'opzione accettabile: il tè dopo pranzo è un obbligo, nonché un piacere che ogni gentiluomo, quale io sono, dovrebbe regalarsi. Anche se, devo ammetterlo, questo è proprio... - fece un gesto vago, per la prima volta senza parole, ma la sua espressione ne valeva mille.
Alan sospirò e affogò i borbottii con un altro sorso di birra. Il sapore del malto gli pizzicò fastidiosamente il palato, ma l'arsura che regnava all'esterno rendeva decisamente piacevole alle sue papille gustative quella bevanda di qualità scadente. 
Si erano recati in una topaia di periferia dopo aver camminato sotto il sole cocente delle due del pomeriggio, solo e soltanto perché Abraham voleva bere quello stramaledetto tè. Peccato che, da quando erano arrivati, cioè all'incirca un'ora prima, non aveva fatto altro che lamentarsi, cosa che aveva seriamente messo a dura prova la già inesistente pazienza di Alan. L'unica che non sembrava vicina a una crisi di nervi era Angelika, che invece aveva mangiato di gran gusto anche buona parte delle porzioni dei due cacciatori. 
- La signorina aveva fame, vedo. - scherzò Abraham, esibendo un sincero sorriso divertito, forse l'unico che Alan gli avesse visto fino a quel momento.
- E' un peccato che non siate una coppia. Ti darebbe un molta soddisfazione in cucina. -
- Non ci so fare ai fornelli. -
- Per tutti i numi, che dici? Il cibo è uno dei leganti dell'amore! Chatér Cambreshir... -
Alan optò per sedarlo prima che ricominciasse a stordirlo di chiacchiere su cose di cui non gli importava un accidente.
- Sì, sì, molto interessante, ma ti assicuro che non siamo niente di più che sconosciuti finiti nei casini assieme. -
Il vecchio ridacchiò, scosse la testa e riprese a sorseggiare il tè in perfetto silenzio.
“Ma guarda questo...” 
Lo Slayer si sistemò sulla sedia e lanciò un'occhiata annoiata ad Angelika. Mentre divorava anche la sua parte di tacchino, aveva avuto modo di studiarla e aveva dovuto ammettere con se stesso che era veramente bella: gli occhi verdi e i capelli color cenere, lunghi fino alla vita, le donavano un'aria selvaggia e allo stesso tempo innocente. Il modo meravigliato con cui sbatteva le ciglia, poi, addolciva ancora di più il suo aspetto, rendendolo fanciullesco. Eppure c'era qualcosa che stonava. Angelika l'aveva guardato e Alan si era reso conto di quanto fosse grande la veste che copriva quel corpo esile e quelle spalle magre e ossute. 
Il tintinnio della tazzina sul piatto di ceramica lo ridestò bruscamente dai suoi pensieri. 
- Ordunque, ti ho invitato qui, esimio collega, per discutere di un tema ben preciso. - l'espressione di Abraham si incupì e le labbra si serrarono in una linea dura e sottile.
Alan lo invitò a continuare con un cenno del capo, ma nella sua mente si era già profilato il motivo che li aveva condotti in quell'osteria.
- Suppongo tu sia a conoscenza degli orrori che hanno turbato la quiete Iadera. Da quello che ho avuto modo di capire, ti sei già assunto l'incarico di far luce su questo mistero. -
- Diciamo di sì. - confermò Alan.
- Bene, ma purtroppo sono io il cacciatore assegnato a questo caso dalla Dogma. Dovresti sapere che rubare la missione di un tuo collega non è tollerato. -
A quelle parole, il giovane dovette reprimere una risata. Tutti gli Slayer di grado basso passavano il loro tempo a far fuori i loro compagni per sottrar loro i soldi e le carte bollate dell'organizzazione e, fino ad allora, nessuno dei piani alti si era degnato di risolvere il problema. Non che la cosa gli importasse, già da quando si addestrava alla Rocca di Mohor aveva fatto sua la filosofia di vita intrinseca alla Dogma stessa: cacciare o essere cacciato. Celando una smorfia infastidita, si sistemò meglio sulla sedia.
- Non lo sapevo. A essere proprio sinceri, sono capitato qui per sbaglio. Ho saputo degli omicidi soltanto stamani. -
- Davvero? - domandò Abraham, fingendo stupore.
- Non ho motivo di mentire. Se non è strettamente necessario, cerco di non mettermi contro la gente sbagliata. -
- Ah, si? E cosa ti fa credere che io sia la persona sbagliata? - ghignò il vecchio e una scintilla sinistra brillò nelle sue iridi grigie.
Alan lanciò un'occhiata distratta alla sua sinistra, osservando per un istante la sala vuota e polverosa dell'osteria. Poi tornò a fissarlo e sostenne il suo sguardo penetrante senza timore.
- Non ci vuole molto, Abraham. Sei vestito con abiti eleganti e osservi il mondo che ti circonda con lo stesso disinteresse di un bambino che si è stufato del proprio giocattolo. Per mia fortuna, non ho incontrato molti Slayer di classe SS, ma un comportamento come il tuo se lo possono permettere solo i più forti o quelli che credono di esserlo. -
- E io in quale di queste due categorie rientrerei? - 
Lo scrutò intensamente e Alan si sentì nudo sotto quegli occhi gelidi. Per la prima volta dall'inizio di quella conversazione percepì un brivido freddo scivolargli lungo la spina dorsale.
- Non lo so e non sono sicuro di volerlo scoprire. -
Tra di loro calò un pesante silenzio, interrotto soltanto dai mugugni di Angelika che mangiava. Da fuori, un fievole venticello portò con sé il leggero parlottio degli abitanti di Iadera, ma lo Slayer sapeva di poterle sentire solo grazie al suo udito fino e che in realtà lì, su quella strada nascosta dalle ombre dei palazzi in rovina, c'erano solo loro tre e il proprietario della bettola. Se Abraham avesse voluto ucciderlo, sarebbe morto ancor prima di sfoderare la spada. Si maledì per non aver pensato prima a quell'eventualità e, istintivamente, mise la mano sull'elsa.
Con un mezzo sorriso, il vecchio pulì con un fazzoletto di stoffa il pomo del bastone. Ancora una volta, Alan si stupì di quanto la sua eleganza facesse a pugni con il sudiciume che lo circondava.
- Sei molto acuto per essere così giovane. Anche tuo padre aveva capito di che pasta ero fatto già al nostro primo incontro. Gli somigli molto. E questo è un complimento. -
Alan non si sorprese più di tanto. Tutti conoscevano Vincent, ma ben pochi potevano ricondurre il suo aspetto a quello del cacciatore che cinquant'anni prima aveva ucciso il mostro più forte che la Dogma avesse mai conosciuto: Hannabeth di Corvia, la prima Lilith, sua madre.
Si spostò con malagrazia una ciocca rossa dal viso, senza proferire parola.
- Non devi preoccuparti delle possibili ripercussioni delle tue avventate azioni, comunque. Posso immaginare che nel tuo profondo volessi solo porre fine alle orrende atrocità che lordano le strade di questa piccola e proba cittadina, perciò non farò rapporto alla Dogma. - accavallò le gambe e intrecciò le dita sul tavolo, assumendo una posa rilassata. 
Alan notò che aveva ripreso a parlare nel suo solito modo fastidiosamente artificioso.
“Beh, almeno non mi ha tagliato la testa.” 
- Mentre mi avviavo qui, mi sono prodigato a cercare informazioni sul caso, a differenza dei giovani d'oggi, che si perdono nelle loro fantasticherie amorose. - disse allusivo, elargendo un'occhiata pregna di significato ad un'ignara Angelika, che ruminava sul suo piatto.
- Fantasticherie amorose che vedi solo tu. - borbottò esasperato.
Abraham scrollò le spalle e cambiò argomento: - Sei andato a controllare la scena del delitto? -
- No. -
- L'abitazione della vittima? -
- No. -
- Hai analizzato il corpo? -
- Non credo ci sia un corpo. -
- Non credi, appunto. Per essere dei buoni paladini della giustizia, bisogna disporre di diverse caratteristiche, tra le quali il grande Emrad di Karden annovera la capacità di pianificare con meticolosità le proprie strategie. Affinché il nostro operato esprima il volere della legge... -
- Sì, ho capito, risparmiami la lezioncina. - tagliò corto Alan, - Comunque, cosa hai scoperto? Ho parlato col sindaco e mi ha riferito che sono stati gli orsi. A mio parere è improbabile. -
Abraham schioccò le dita verso l'oste, facendogli cenno di portare il conto: - L'egregio Dottor Mercer, primo cittadino e detentore dell'ordine, per quanto grande e rispettabile non conosce i mostri che vivono qui, come al contrario ho avuto modo di apprendere dai pellegrini incontrati lungo la strada. -
- Nella richiesta d'aiuto, invece? Non c'è scritto nulla riguardo gli altri casi? -
- Non è mai arrivata nessuna richiesta di aiuto alla Dogma da Iadera. - rispose pacato, mentre con lo sguardo seguiva i movimenti impacciati dell'oste.
Alan sospirò, ma non commentò. Guardò in tralice Angelika, che si era appisolata con la testa sul tavolo, poi rivolse nuovamente l'attenzione sul collega.
- Non mi sembri sorpreso. - commentò Abraham, che adesso scrutava accigliato il foglietto stropicciato del conto.
- Non c'è da stupirsi che mi abbia mentito. Non mi aspettavo altrimenti da un uomo così. -
- Non siamo qui per discutere sulla moralità del Dottor Mercer, non ci compete. Ora, da quello che ho udito durante il mio lungo girovagare fino a qui, gli omicidi negli ultimi sei mesi sono cresciuti esponenzialmente, con un incremento del duecento per cento negli ultimi tre. Alcuni di quelli che ho avuto il piacere di incontrare mi hanno riferito che si pensava fossero stati gli Orifax, ma noi sappiamo che gli Orifax non si spingono così vicino agli insediamenti umani da più di trent'anni. -
Posò le monete sul tavolo e sbuffò corrucciato.
Alan fece un lieve cenno di assenso, che Abraham interpretò come un'esortazione a continuare.
- Di solito tendo a non dare troppo credito a ciò che il vile e ignorante popolino sussurra, ma quando ho sentito che addirittura qualcuno ha visto la Dama Nera in persona, sono quasi rimasto senza parole. All'inizio pensavo fossero i vaneggiamenti di qualche povero pazzo, ma poi la voce è diventata sempre più insistente e... beh, si potrebbe dire che quando un bisbiglio si tramuta in un coro, forse non sono tutte menzogne. -
- Non ti facevo così superstizioso. - ghignò.
- Non lo sono, infatti. Però ritengo che sia da sciocchi escludere delle possibilità sulla base delle nostre certezze, che talvolta possono rivelarsi confutabili e prive di una base solida. In questo mondo non credevamo fattibili tante cose e ora guarda dove siamo arrivati: macchine a vapore, armi capaci di bruciare la distanza di una freccia in un battito di ciglia, protesi che permettono a soldati mutilati di tornare a camminare. Cent'anni fa tutto ciò sarebbe stato additato come la visione allucinata di un folle, invece oggi è accettato dai più come normale. -
- Dove vuoi arrivare? -
- Io? - si alzò e rimise a posto la sedia, - Da nessuna parte, Alan. A volte mi piace perdermi in discorsi senza né capo né coda. Sai, noi cacciatori antiquati amiamo filosofeggiare sui bei tempi andati, ci fa sentire come dei sopravvissuti, eroi di un'epoca che non tornerà mai più. Le donne lo trovano affascinante. - ammiccò.
Alan assicurò la spada alla cintola e si mise la balestra in spalla. Scosse appena Angelika per svegliarla e la ragazza socchiuse lentamente le palpebre, fissandolo con gli occhi ancora appannati dal sonno.
- Ad ogni modo, considera il caso tuo. Agli anziani come me non servono molte raie per condurre una vita dignitosa. - continuò pacatamente Abraham, - Inoltre, sono convinto che questo lavoro ti regalerà la notorietà che cerchi. Tutti i giovanotti come te smaniano affinché qualcuno dia loro l'occasione di distinguersi ed ergersi al di sopra degli altri e io te la sto offrendo. Vediamo di cosa sei capace. -
Si mise il capello in testa e un sorriso sghembo e inquietante si dipinse sulle labbra sottili. Alan avvertì ancora quel brivido freddo serpeggiargli lungo la schiena, ma mantenne gli occhi fissi in quelle fangose pozze grigiastre.
- Allora arrivederci, mio caro Alan. Alza la spada verso il cielo e lascia che la voce della Giustizia ti guidi lungo la strada della purificazione. - recitò solenne.
Infine, Abraham Justice gli diede le spalle e pochi istanti dopo la campanella posta sopra la porta del locale trillò, salutando il vecchio cacciatore.
Lo Slayer rimase immobile, pietrificato, incapace di dare un nome all'irritante sensazione di disagio che quegli occhi gli avevano suscitato dentro. Mai aveva conosciuto qualcuno in grado di annichilire una persona con la sola forza dello sguardo, facendolo sentire inferiore, una formichina al cospetto di un lupo feroce. Percepì le dita di Angelika stringersi attorno al suo braccio, ma quel tocco delicato non riuscì a placare l'agitazione provocata dal ghigno sgradevole del vecchio. 
In quel momento Alan realizzò che ciò che provava, quel senso di oppressione misto a un forte turbamento, si chiamava "paura".

 
 
  
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