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Autore: niclue    03/08/2015    1 recensioni
Di come Castiel migliorò la vita a Sam e Dean senza cambiare di una virgola, nonostante una nazione intera lo stesse facendo.
Conosciuta anche come "L'avventura del fato omofobo del Texas."
Il mio personale contributo (in ritardo) per festeggiare la legalizzazione negli USA. #LoveWins
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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A Claudia e Giulia.
Lo sapete voi il perché. 

 

Capitolo III: Amare significa lasciare andare

 

L’Impala parcheggiò nel posteggio della stazione di servizio e un Sam molto indolenzito e molto accaldato ne uscì fuori prima ancora che il motore si spense.

 

Viaggiavano da ormai quattro ore e, nonostante la macchina fosse dotata di aria condizionata, Dean non poteva proprio biasimare il fratello per agognare dell’aria fresca.

 

Lentamente, uscì anche lui dalla macchina e appena in piedi si sgranchì le gambe, appoggiandosi alla portiera dell’auto. Il sole alto picchiava forte sulla sua testa e quasi quasi preferiva tornare in macchina. Erano da poco entrati in Oklahoma e quello è sempre stato uno stato poco clemente, d’estate. Meno male che si era deciso di andare a fornirsi di t-shirt decenti il giorno prima.

 

Con un gemito chiuse la portiera della macchina e passò affettuosamente una mano sul tettuccio mentre si abbassava all’altezza del finestrino posteriore. Bussò sul vetro attirando l’attenzione dell’occupante e sorrise. “Cas, vieni fuori,” lo incitò, indietreggiando per concedergli lo spazio per uscire.

 

Castiel uscì dall’auto e chiuse lo sportello guardandosi attorno.

 

“Quanto manca ancora?” domandò.

 

“Se va tutto bene, altre quattro ore,” rispose Dean, sentendosi vagamente male all’idea di passare altre quattro ore in macchina attraversando Oklahoma e Texas, “dovremmo esserci per cena.”

 

Castiel annuì e si voltò verso l’ingresso della stazione di servizio. “Credo che lì dentro l’aria sia molto più fresca,” stabilì, per poi rivolgersi a Dean con un sorriso. “Andiamo?”

 

Dean annuì, chiudendo la macchina a chiave. In quei parcheggi c’era sempre gente strana; meglio essere sicuri. Quando ebbe finito, raggiunse Castiel e insieme entrarono nel piccolo negozio. Il sollievo dell’aria condizionata fu istantaneo: Dean si rilassò visibilmente, sospirando. Localizzarono subito Sam di fronte al frigorifero delle bevande, in un momento di contemplazione. Gli si avvicinarono, continuando a guardarsi intorno.

 

“Vuoi qualcosa?” chiese Dean al fratello. “Perché io ho fame, quindi ora o a Lubbock.” Era pure ora di pranzo, eh.

 

Sam volse lo sguardo verso il fratello, facendolo saettare poi sul bancone. “Mh, sì, va bene,” rispose, aprendo il frigorifero per tirare fuori un paio di bottigliette d’acqua. “Prendimi quello che ti pare.”

 

“Fantastico,” rispose Dean, “Cas, tu vuoi—“ si voltò, aspettandosi di trovarlo accanto a sé. Non trovandolo, fece vagare lo sguardo per tutto il negozio. “Cas?” chiamò, fino a quando non occhieggiò una testa castana dall’altro lato del negozio. Scrollò le spalle e si voltò verso il bancone.

 

Si mise in coda dietro a due persone – un uomo sui vent’anni e una donna sui quaranta – aspettando il suo turno per la cassa, dove una signora sui cinquant’anni serviva giovialmente il cliente. Dopo qualche minuto, Sam si unì a lui, portandosi appresso le due bottigliette d’acqua e un paio di giornalini d’enigmistica. Dean roteò gli occhi. Nerd.

 

Ogni tanto si voltava a controllare dove fosse Castiel, che girava ancora per il negozio con l’aria di uno studente in un museo.

 

Quando fu il suo turno – Sam gli aveva mollato i suoi acquisti per andare in bagno – poggiò i prodotti sul bancone rivolgendo un sorriso cordiale alla donna di fronte a lui.

 

Nonostante l’età matura aveva un gran sorriso e dava l’impressione di una donna particolarmente energica. Rispose con egual calore al sorriso di Dean, passandosi una mano tra i corti capelli biondi.

 

“Buongiorno,” la salutò Dean.

 

“Buongiorno a te,” ricambiò la donna, con gentilezza, “è tutto?”

 

“No,” rispose Dean, facendo vagare lo sguardo sui ripiani di cottura dietro la cassa, “volevo chiedere i tipi di pasti caldi che avete.”

 

“Oh, abbiamo hot-dogs, hamburgers, cheeseburgers, nachos, tacos e altro che non mi viene in mente,” replicò la donna, dando di riflesso un’occhiata alle spalle.

 

“Mh,” meditò Dean. “Allora… due cheeseburgers, per piacere.”

 

“Subito, caro,” replicò la donna con un occhiolino giocoso, voltandosi a preparare i panini.

 

Dean attese al bancone, estraendo intanto il portafogli dalla tasta posteriore dei jeans, e battendo le dita sulla superficie.

 

Dopo qualche minuto la commessa tornò con due panini incartati e li infilò nella busta di plastica insieme al resto della spesa. Si voltò verso il registratore e digitò qualche tasto, prima di annunciare, “Il totale è undici dollari e cinquanta centesimi.”

 

Dean le porse i soldi e salutò con un “Buona giornata,” allegramente ricambiato dalla donna.

 

Arrivato all’uscita si voltò un’ultima volta verso uno scaffale.

 

“Cas,” chiamò, “andiamo, dai.”

 

L’angelo alzò lo sguardo dalla rivista sportiva che teneva in mano, la poggiò sullo scaffale assieme alle altre e si avviò verso di lui.

 

“Che guardavi di interessante?” gli domandò Dean, uscendo dal locale. Già rimpiangeva la freschezza dell’aria condizionata.

 

Castiel scosse le spalle. “Niente di che,” rispose, “osservavo.”

 

Dean annuì e insieme raggiunsero Sam alla macchina.

 

***

 

Arrivarono a Lubbock al tramonto, stanchi e provati dal lungo viaggio e si fermarono al primo motel che videro appena entrati in città.

 

Entrati nella hall, Sam si avvicinò per primo al bancone, dove una ragazza sui vent’anni abbondanti era pronta a servire i nuovi clienti.

 

“Buonasera,” li accolse la ragazza con un sorriso un po’ troppo timido per la sua occupazione. “Una tripla?” li anticipò.

 

Sam annuì con un sorriso ricambiato dalla ragazza, accompagnato da un leggero rossore sulle guance lentigginose.

 

Ed eccoci, pensò Dean. Diede una leggera gomitata a Castiel, il quale gli rivolse uno sguardo sagace e si voltarono di nuovo verso i due.

 

La ragazza – un po’ bassina, coi capelli lunghi e mori e degli occhiali da vista, anch’essi neri – si voltò per prendere una delle chiavi appese alle sue spalle e si voltò di nuovo verso i suoi tre clienti. “Per quanto contate di restare?” domandò, con voce piccola e allungando la chiave verso Sam.

 

Sam fece per rispondere, ma Dean lo precedette, con un sorriso. “Se tutto va bene, non più di una settimana,” disse. “Ma non ne siamo sicuri.”

 

La ragazza arrossì di nuovo e rivolse di nuovo lo sguardo verso Sam – dovendo alzare di molto la testa, notò Dean con divertimento. “Beh, la stanza è la 16, al piano di sopra,” spiegò, indicando il corridoio alla sua sinistra che portava a una rampa di scale.

 

“Grazie,” disse Sam con un sorriso.

 

“Grazie a voi,” rispose la ragazza, “e buonanotte.”

 

“Buonanotte,” risposero Dean e Castiel in coro, avviandosi in fretta verso le scale.

 

“Buonanotte,” arrivò poco dopo il saluto di Sam, che poi si abbassò per prendere il suo borsone e seguire gli altri due.

 

***

 

La camera era abbastanza grande, le pareti di un azzurro cielo tenue, una grande finestra che si affacciava sul parcheggio: non era una suite, ma c’era un po’ d’impegno nel mantenerla vivibile.

 

Dean gettò la borsa su uno dei letti – che sarebbe stato suo per quella settimana, se tutto andava bene – e si precipitò nel bagno.

 

Quando ne uscì, trovò un Sam rosso in faccia e frustrato e un Castiel decisamente sereno e indifferente.

 

Appena la porta si chiuse, suo fratello si volto verso di lui. “Dean.”

 

Sam,” lo scimmiottò.

 

“Perché tu e Cas discutete della mia vita sentimentale a letto?” chiese Sam, con un tono leggermente più acuto del solito.

 

Dean osservò l’angelo alle spalle del fratello con rimprovero. “Cas!”

 

Castiel abbassò lo sguardo, mortificato. “Non gli ho detto che stavamo a letto,” mormorò ai suoi piedi.

 

Dean roteò gli occhi e si rivolse di nuovo verso Sam. “Che problema hai, Sam?” domandò, stancamente.

 

“Che problema ho?” ripeté Sam, incredulo.

 

“Sì, Sam. E’ tutta la vita che ti lamenti del fatto che ti tengo incollato a me, che odi questa vita, che vorresti trovarti una ragazza e farti una famiglia. Beh, ci ho pensato. E hai ragione. Quindi, apri le ali e vola, uccellino,” concluse Dean, sedendosi sul suo letto e cominciando a togliersi le scarpe.

 

Sam rimase immobile per qualche secondo, scioccato dalla facilità con cui suo fratello aveva parlato. “Dean,” cominciò, scuotendo la testa, per poi fermarsi subito. Dean capì che non sapeva che dire dall’emozione. Lo comprendeva; lui stesso teneva gli occhi fissi al pavimento per non fargli vedere il loro luccichio.

 

Nella quiete si intromise la voce di Castiel, premurosa anche se lievemente – e inusualmente – a disagio. “Io esco… a fare un giro e… controllare i dintorni. Torno tra… non so.” E detto questo uscì prima che qualcuno potesse obbiettare.

 

La porta si richiuse con delicatezza e, a parte il risuono dei passi di Castiel sul parquet del corridoio, nella stanza non si udiva il volare di una mosca.

 

Infine, Dean, stanco di quel silenzio opprimente alzò lo sguardo – ormai a prova di lacrime – e lo fissò con decisione in quello del fratello. “Senti, Sam,” cominciò, “in passato ti ho detto molte volte che volevo che alla fine di tutto questo schifo tu ti salvassi, ti facessi una famiglia e ti godessi in pace una lunga vita piena di ragazzini e parchi divertimento. Per questo ti ho protetto tutta la vita, ho fatto un patto con un demone per farti resuscitare, ti ho mentito per permettere ad un angelo di curarti, e tanto altro. Ma alla fine, ogni volta che riuscivi a sistemarti io non ti lasciavo mai andare. E perché? Perché sono un fottuto egoista e non volevo rimanere da solo. Ero terrorizzato di rimanere da solo. Ma ora,” e qui il suo sguardo si addolcì visibilmente, andandosi a fissare per un attimo sulla porta della stanza, “ora credo – ora so, di non essere da solo, so che non sarò mai più da solo. E non voglio che in cambio sia tu ad esserlo.”

 

Alla fine di questo discorso Dean sospirò, riportando lo sguardo su quello del fratello, aspettando una sua reazione.

 

Sam stava in piedi al centro della stanza, fissando il fratello con dei grandi occhi verdi, le mani penzolanti ai lati del corpo e leggermente tremanti d’emozione, il respiro rotto.

 

Dopo un lasso di tempo – per Dean – scomodamente lungo, Sam esplose nella reazione, a suo parere, più improvvisa: scoppiò a ridere. E lo fece di gusto. Per un lasso di tempo scomodamente lungo.

 

Ad un certo punto, Dean, stufo di quella scena, fece per rimettersi le scarpe per uscire, ma in quel momento un peso di più di ottanta kili gli venne in contro, stringendolo nelle sue lunghe braccia.

 

Passato qualche momento di sbigottimento, Dean mollò la presa sul suo anfibio e strinse con forza il fratello minore. Si erano scambiati così tanti abbracci in quegli anni: più volte per sollievo, altre per disperazione, spesso per felicità, poche volte per conforto. E in ogni abbraccio c’era così tanto da dire. Ogni stretta, ogni pacca, erano tutte parole di un discorso che non avevano mai il coraggio di pronunciare. Ma poche volte si abbracciavano così. Non per evitare un discorso, o camuffare un’emozione; bensì per esprimere un’emozione, per condividere e riaffermare tutto quello che era stato detto e accolto, tutto quello che sapevano per ammissione e conoscevano per certezza.

 

In quell’abbraccio c’era tutto l’amore che provavano l’uno per l’altro.

 

Quando si divisero, Sam rimase inginocchiato alla stessa altezza del fratello e disse, “Stare con Cas ti ha ammorbidito, Deanna.”

 

Dean non poté trattenersi dal sorridere, fermando però la risata che gli era nata in petto. “Sta’ zitto. Rimani tu la ragazzina, Samantha.”

 

“E perché scusa?” domandò Sam.

 

Dean ghignò ancora di più. “Perché le palle le hai lasciate alla reception,” rispose prontamente.

 

A quello Sam arrossì in modo imbarazzante. Dean lo trovò estremamente divertente.

 

“E’ carina,” lo incitò, “dovresti provarci. Oppure quelli troppo alti le fanno paura. Oppure a te fanno paura quelle troppo basse,” ragionò tra sé. “Nah,” si risolse alla fine, “da come vi guardavate, non credo. Ma, beh, forse in giro per strada sembreresti un pedofilo. Almeno di spalle. Perché, beh, le hai viste quel bel paio di—“

 

“Dean,” fu l’esclamazione esasperata di Sam. “Chiudi il becco!”

  

“Cercavo di convincerti,” si giustificò Dean con una scrollata di spalle. “Anche se non credo tu ne abbia bisogno,” ammiccò, aprendo il suo borsone.

 

“Sì, beh, smettila,” replicò Sam, voltandosi verso il suo letto e facendo lo stesso. “E sei in una relazione, non dovresti andare in giro a notare le ragazze e le loro—“

 

“Oh, giusto!” esclamò d’improvviso Dean, sbattendosi una mano sulla fronte. “Devo chiamare Cas! Chissà dove diavolo è andato,” mormorò, tirando fuori il telefono dalla tasca e alzandosi in piedi per raggiungere la finestra della stanza.

 

Sam scosse la testa tra sé e sé, incredulo. “Idiota,” mormorò.

 

“Puttana,” fu la risposta. Sam ridacchiò.

 

Dean digitò la chiamata rapida e dopo un paio di squilli la voce del suo angelo rispose. “Pronto?”

 

“Hey, Cas,” lo salutò, sorridendo, “dove sei?”

 

Un leggero chiasso arrivò dall’altra parte della telefonata. “Oh, ad un pub vicino al motel,” rispose Castiel con noncuranza.

 

“Vuoi che ti venga a prendere? O torni tu? Io e Sam abbiamo finito con i discorsi da donne,” disse Dean.

 

Fu sicuro di sentire Castiel roteare gli occhi. “Dean, sono un Angelo del Signore. Me la so cavare,” rispose, infatti, con uno sbuffo. “E non credo di tornare subito,” aggiunse, dopo un attimo.

 

Dean aggrottò la fronte. “Come no?” chiese, in un tono più aggressivo di quanto non volesse.

 

“In ogni caso non dormirò,” fu la risposta, sempre pacata, di Castiel. “Almeno qui comincio a mettermi a lavorare. Molte persone mi stanno raccontando delle vittime. A quanto pare siamo nella loro zona,” spiegò.

 

Dean tacque per qualche secondo. In effetti, Castiel aveva ragione: era un angelo, non aveva bisogno di dormire. Perché confinarlo in una stanza di motel quando fuori poteva essere molto più attivo e molto più utile? D’altro canto, a Dean non piaceva non tenere un occhio su Cas. Certo, lui di notte dormiva, ma almeno sapeva che l’angelo era accanto a lui, al sicuro. Ma comunque Castiel era un maledetto angelo, sapeva difendersi. E aveva visto bene, come si difendeva. L’aveva anche sperimentata la sua difesa. E più volte. Di sicuro se la sarebbe cavata. Eppure, eppure. Eppure, lo voleva lì e basta, ecco. Voleva lì il suo angelo. Era una mossa da egoista, ma per quella sera era stato abbastanza altruista. No?

 

“Dean?” arrivò la voce dell’angelo dall’altro capo della linea. Era da un po’ che stava in silenzio.

 

“Sì, Cas,” rispose Dean. Torna qui, è meglio. “Beh,” torna “se vuoi,” potresti tornare “puoi anche” tornare “puoi rimanere lì finché vuoi,” disse, infine. “Ma non fare troppo tardi,” aggiunse, dopo un attimo.

 

“Va bene, Dean,” rispose Castiel. “Tu vai a dormire, però. Sei stanco, dopo tutto il viaggio.”

 

Dean soppresse un sorriso. Torna. “Tranquillo, Cas. Ti posso benissimo aspettare.”

 

“Dean, buonanotte,” replicò Cas, con una punta di divertimento.

 

“Ciao, Cas,” rispose Dean e attese che Castiel attaccasse per primo.

 

Si voltò e poggiò il telefono sul comodino accanto al letto, per poi collegarlo al caricabatteria. Si sedette pesantemente sul letto e si passò una mano sul viso, sospirando.

 

“Va tutto bene?” domandò Sam, preoccupato. “Dov’è Cas?”

 

“E’ in un bar da queste parti, dice,” rispose Dean. “Non so quando torna.”

 

Sam sbatté le palpebre più volte. “E— cosa starebbe facendo in un bar, a quest’ora, di lunedì?” chiese, sconcertato.

 

Dean scrollò le spalle. “A quanto pare ha incontrato alcuni conoscenti delle vittime e si sta facendo dei nuovi amici,” rispose, buttando per terra il borsone e alzandosi in piedi per togliersi i pantaloni.

 

“Oh,” fu la replica di Sam. “Okay?” rispose, titubante.

 

Dean rimase in silenzio, appallottolando i pantaloni e mettendoli nella borsa e tirandone fuori una maglietta rovinata per dormire.

 

“Dean,” lo chiamò Sam. “Sa badare a sé stesso, lo sai questo.”

 

“Certo che lo so,” rispose Dean.

 

“Bene,” rispose Sam. “Ora rilassati un po’, io vado a prendere qualcosa per cena. Torno subito.”

 

Era quasi arrivato alla porta, quando la voce di Dean lo fermò sul posto. “Sam.”

 

“Sì?”

 

Si voltò, trovando un sorrisetto sulle labbra del fratello. “Fatti dare il nome della ragazza.”

 

“Dean.”

 

“Sì?”

 

“Fottiti.”

 






Eccola

Ho aggiornato un po' più tardi di quanto avessi programmato, okay, colpa mia, come vi pare.
Però non è come se qualcuno avesse recensito per lamentarsene, uhm? *guarda male*
Okay, non ruolerò, la smetto.

Comunque, qui inizia a muoversi la storia. Sì, ho messo un altro momento cuore-amore, tra i fratelli 'sta volta, e con il discorso lacrimuooooso di Dean ho finito con le smielate. Non vorrei causare l'insulino-resistenza a qualcuno, e.e
Ad ogni modo, ringrazio tutti quelli che hanno aggiunto la storia alle seguite e alle preferite, e anche chi legge in silenzio. Ma ricordatevi che non mordo, eh. Le recensioni fanno sempre piacere.
Bene, ora vado, mi aspetta la mia prima visione di Philadelphia. Auguratemi buona fortuna, colleghi. Cià, tanti saluti.

   
 
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