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Autore: MadHatter93    07/08/2015    0 recensioni
Correva l'anno 1910 e la piccola famiglia Romanov, discendente della più grande famiglia di zar della Russia, dava alla luce la piccola Alice. Data però l'estrema povertà della famiglia e le varie malattie incombenti all'epoca, Alice rimase presto orfana di entrambi i genitori. Si ritrovò così, dai tredici anni, a crescere in un'orfanotrofio, uscendone all'età di diciott'anni, senza aver trovato alcuna famiglia disposta ad adottarla. Bastò poco, alla fragile e ribelle Alice, per entrare in brutti giri e cominciare a frequentare gente poco raccomandabile. Un giorno però, l'incontro con un misterioso ragazzo cambiò la sua vita per sempre e drasticamente. Pochi giorni dopo la ragazza si trovò ad affrontare il passaggio tra la vita e la morte, attraversandolo ma non del tutto. Da quel giorno Alice vive una vita ben più oscura del suo triste passato.
Genere: Dark, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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L'aria era piacevolmente gelida, i piedi affondavano nella neve fresca e il cielo era coperto di nuvole biancastre e pesanti. Alice aveva appena fatto il suo primo passo verso una nuova vita, fuori da quell'edificio che era stato, più o meno, la sua casa per  ben cinque anni. Alla finestra c'erano un gruppo di quattro o cinque bambini, dai dieci anni in giù, che la stavano salutando con le mani, mentre vicino al cancello c'era una delle due persone che le era stata più vicina: Irena, la cuoca dell'orfanotrofio e sorella della responsabile, che invece non aveva molto interesse verso gli ospiti fugaci e destinati a non rimanere a lungo in quel luogo. Prima di fare un ulteriore passo si voltò verso la donna, in carne e con le guance rosse che le avevano sempre ispirato simpatia, abbracciandola forte. Non erano da lei certe dimostrazioni d'affetto disinteressato, ma quella donna aveva contribuito a tenerla in piedi dopo la morte dei suoi genitori.
" Grazie Irena, tornerò a trovarvi"
Le disse queste ultime parole mentre la lasciava andare dall’abbraccio e salutava, con un ultimo cenno della mano, i bambini che la guardavano sorridenti dal secondo piano dell’orfanotrofio. Dopodichè, finalmente, girò su sé stessa e cominciò a camminare per il sentiero ricoperto in parte dalla neve, che portava alla città più vicina.
Solo una persona non era stata lì per salutarla, ed era anche quella che era stata più importante in assoluto in quei cinque anni: Beatrisa, o come la chiamavano tutti, semplicemente Bea. Era una ragazza un anno più piccola di Alice, orfana di madre da quando era nata e di padre da quando aveva nove anni, quando lei arrivò all’istituto era già grande, a tredici anni, quindi i bambini del posto non le rivolgevano molto la parola, Bea invece fu la prima a farlo, offrendogli una mela, insieme alla sua amicizia più sincera. Da quel giorno diventarono inseparabili, crebbero insieme, passando dai giocattoli e le bambole alle prime cotte adolescenziali. Anche nelle notti in cui regnava il silenzio nei dormitori, ma si sentiva solo il lento e sommesso singhiozzare di Alice, Bea era lì, non diceva un parola, ma l’abbracciava e stava con lei tutta la notte, fino al risvegliarsi insieme, ricevendo la ramanzina della responsabile. Tutto sembrava perfetto e alle due nemmeno importava più l’essere adottate, i bambini all’orfanotrofio andavano e venivano, i più piccoli venivano adottati molto facilmente, ma loro rimanevano lì, crescevano lì, vedendo affievolirsi sempre più la speranza di avere una famiglia. Un giorno però tutto questo cambiò. Erano passati quattro anni da quando Alice era arrivata lì e lei e Bea avevano diciassette e sedici anni: Bea era più bassa di Alice, ma aveva lunghi capelli biondi e un viso con dei lineamenti splendidi, senza contare gli occhi color ghiaccio e uno sguardo malizioso da donna adulta, Alice invece era alta e magra, con poche forme e un viso con lineamenti tanto delicati da sembrare quelli di una bambina. L’ennesima coppia, quella mattina, entrò a visitare l’orfanotrofio,  ma appena furono sotto gli occhi di Alice a questa sembrò che fossero entrati i veri genitori di Bea: la donna era bassina, coi capelli biondi che le arrivavano fino alla vita, fermati sulla fronte da un fermaglio a forma di rosa, aveva gli occhi verde smeraldo e indossava un cappotto pesante blu notte,  l’uomo era più alto, con gli occhi di un verde ancora più chiaro di quelli della moglie, i capelli biondo cenere, non troppo corti, lineamenti duri segnati da una folta barba e dei baffi ben curati, indossava un completo pesante e di ottima qualità color verdastro. Per un attimo Alice si bloccò, stava parlando con una delle bambine più piccole, mentre Bea era andata a prendere dell’acqua. Una bruttissima sensazione la trapassò come una coltellata, ma appena Bea entrò con i bicchieri d’acqua la sensazione svanì del tutto. La ragazza bionda diede solo una rapita occhiata alla coppia entrata e sorridendo, subito andò da Alice.
“Che strani quei due.. sembrano usciti da un film”
Le disse Bea e in quel momento pensò che era tutto apposto, che era stata solo una brutta sensazione e che nemmeno questa volta sarebbero state separate. Si sbagliava. Quel giorno Beatrisa se ne andò per sempre  con quella coppia di sconosciuti, suo malgrado certamente, ma la lasciò comunque.
Mentre pensava a tutto ciò, Alice era ormai arrivata alla città di Tolka, dove tutto avrebbe preso inizio. Aveva la voglia di fare tutto ciò che le era stato negato per diciott’anni, ma come prima cosa voleva tener fede alla promessa tra lei e Bea. Capitava spesso che all’orfanotrofio si cenasse con ben poco, le due ragazze allora, scappavano in camera e cominciavano a fare un gioco. Facevano finta di essere in un grande ristorante, vestite di tutto punto, e di poter ordinare tutto quello che volevano. Quelle sere ridevano e scherzavano più di quando si cenava relativamente bene, perché la loro fantasia volava e non aveva limiti. Una sera, dopo la cena fantastica e dopo qualche bicchiere di vino immaginario, le due si fecero una promessa.
“Quando usciremo di qui... quando anche io uscirò di qui, insieme andremo al ristorante della città più vicina e ci prenderemo della carne arrosto.. e un gelato al cioccolato!”
Disse Bea.
“Ma a me piace di più quello all’amarena! “
Replicò l’amica.
“Va bene, che problema c’è, li prendiamo entrambi!”
Replicò di nuovo la bambina bionda.
“Allora è una promessa!”
E l’altra annuì, incrociando il mignolo con quello dell’amica.
Lei era uscita dall’orfanotrofio, ma Bea non era lì con lei a festeggiare.. non sapeva dire nemmeno lei se fosse arrabbiata o solo invidiosa che lei avesse trovato una famiglia al suo contrario, ma sapeva che era sbagliato provare quei sentimenti. Arrivò in quel momento al primo ristorante che i suoi occhi avessero mai incontrato, o almeno che avessero ricordato. Si chiamava “La rosa rossa”. Entrò senza pensarci due volte. Tutti la guardarono con aria strana, il posto era pieno di gente vestita bene e lei aveva indosso un vestito nero che apparteneva a sua madre quando era giovane e per questo le stava largo, un cappotto di due taglie più grandi marrone e delle scarpe un po’ rotte alle estremità anch’esse scure. Ignorando gli sguardi della gente si andò da sola a sedere ad un tavolo, poggiando il cappotto sulla sedia di fianco. Il cameriere le portò il menù, non potendo evitare nemmeno lui uno sguardo non proprio amichevole. La ragazza ignorò anche lui e si mise a leggere, ma solo per pochi secondi, già sapeva ciò che voleva prendere. Chiamò a gran voce il cameriere, attirando borbottii di disappunto nella sala, e ordinò. Dopo vari minuti, passati a giocare col centrotavola di fiori un po’ avvizziti e ad analizzare i presenti in sala, come se non avesse mai visto tanta e tale gente in vita sua, arrivò davanti a lei un fumante piatto di carne arrosto. Sorridendo ringraziò il cameriere, che questa volta le ricambiò il sorriso, ed impugnò forchetta e coltello. Si fermò prima di iniziare però, rimise sul tavolo le posate e si versò dell’acqua nel bicchiere di vetro, alzandolo davanti a lei.
“Non è vino cara Bea, ma mi devo accontentare di questo, alla tua salute!”
E bevve, sotto altri occhi attoniti dei presenti che ormai la credevano pazza. Finita l’ottima carne prese un gelato, facendoselo fare al cioccolato e amarena. Assaporò anche quest’ultimo, bevendo dalla coppa anche ciò che ne era rimasto sciolto sul fondo, dopodichè fece un sospiro di sollievo e andò a pagare. L’orfanotrofio dava, a tutti coloro che lo lasciavano a diciott’anni, dei soldi, erano veramente pochi, tanto che la ragazza ci pagò la cena e le rimasero solamente per pernottare una notte da qualche parte, ma le avevano comunque permesso di realizzare il suo sogno e quello di Bea.
“Bene mondo, adesso vediamo che hai da offrirmi.”
Disse tra sé, uscendo dal ristorante e assaporando l’aria ricca di sapori e odori della città.
   
 
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