Libri > Percy Jackson
Segui la storia  |       
Autore: giulji    08/08/2015    1 recensioni
*Storia corretta e rivisitata nei primi capitoli, in modo tale che adesso, anche a coloro che non hanno letto la saga di Hunger Games, risulti una lettura comprensibile*
Questa fanfiction, ambientata in un survivial game, avrà come protagonisti la maggior parte dei personaggi presi dalla saga dello zio Rick, ricollocati sotto forma di tributi/sacrifici.
Il tutto averrà attraverso più punti di vista (POV).
Chi sarà il vincitore finale ? Chi morirà durante i giochi ?
In che circostanze ? Quali saranno le alleanze ?
Dal testo :
"... Nonostante la sua enorme voglia di lasciarsi cadere tra le braccia di Morfeo, affogando in un sonno privo di memorie, che lo avrebbe momentaneamente esonerato dalle tenebre che gli offuscavano perennemente il cuore, Nico non era invece riuscito ad addormentarsi nemmeno per un ora di seguito e le occhiaia violacee che gli contornavano lo sguardo già corrucciato ne costituivano una prova.
Sapeva che quella mattinata, non rappresentava infatti, l'inizio di un giorno comune, bensì quella maledetta giornata portava con se la consapevolezza che di li a poche ore ci sarebbe stata la fatidica mietitura per il distretto 13 dello stato di Panem..."
Genere: Azione, Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Hazel Levesque, Leo Valdez, Nico di Angelo, Percy/Annabeth, Talia Grace
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

LEO

Leo Valdez fissava lo specchio con un sorriso folle, un sorriso che veniva lentamente ricoperto dalle lacrime salate che gli rigavano il volto.

Ormai tutte le sessioni di addestramento erano concluse e quella sera lui e tutti i tributi avrebbero dovuto partecipare alla prova con gli strateghi, dopo che ciò fosse avvenuto, gli rimaneva qualche giorno scarso da trascorrere a Capitol City, e poi sarebbe stato spedito direttamente nell'arena.

La prova con gli strateghi era una specie di esame finale in cui i programmatori dei giochi valutavano le capacità fisiche e tattiche di ognuno dei giocatori e gli assegnavano conseguentemente un voto che avrebbero poi reso pubblico per gli sponsor.

Leo sapeva di non essere pronto per quel test, Leo sapeva perfettamente che tutte le persone a lui più care non avevano riposto un minimo di speranza in lui, sapeva perfettamente anche che non avevano nemmeno ipotizzato l'idea che lui potesse vincere, ma che anzi, era certo che stessero già pianificando il suo funerale.

Era proprio la consapevolezza di tutto questo a dare al ragazzo la forza di continuare, era stufo di esser considerato l'ultima ruota del carro, era stanco di essere sottovalutato in maniera così esplicita, infondo era innegabile, almeno secondo il suo modesto punto di vista, che la sua magnificenza fosse dichiarata.

Suo padre l'ultima volta che si erano incontrati gli aveva pianto addosso tutte le sue lacrime e non aveva osato pronunciare una sola parola d'incoraggiamento, solo frasi d'addio.

Leo era consapevole del fatto che probabilmente anche lui stesso in una piccolissima fazione, nel profondo, ma molto profondo, del suo inconscio avesse valutato l'opzione della morte.

In effetti, lui era un gracile ragazzino dai tratti messicani che non era bravo a fare niente di utile che non costituisse costruire macchine e meccanismi vari.

Infatti il ragazzo, per quanto non fosse propriamente adatto ad i combattimenti sull'arena, per quanto riguardava le capacità d'inventiva e di meccanica era un vero e proprio genio, e non lo negava nemmeno a se stesso, tanto era palese questa condizione.

Suo padre lavorava nell'officina meccanica più sviluppata del distretto, e Leo stando a contatto con questi ambienti fin da piccolo, e forse anche aggiungendo un tocco di genialità innata, aveva acquisito tutte le doti tecniche di suo padre, se non di più.

Bastava porgergli due ingranaggi e quattro pezzi di ferro che lui riusciva a costruire una super arma letale o magari uno strumento simile ad una radio.

Nonostante ciò sapeva perfettamente che nei giochi, quei maledetti strateghi, non gli avrebbero permesso di costruire nulla, e se ci avesse provato, essendo monitorato ventiquattro ore su ventiquattro, probabilmente gliel'avrebbero fatta pagare con i metodi peggiori.

Però erano davvero troppo ingenui per poter pensare, anche per un solo istante, che questo avrebbe fermato il ragazzino dal progettare un piano favorito dalle sue capacità effettive, infatti proprio in quei giorni Leo si stava sforzando visibilmente per ideare una strategia con il fine di aggirare il sistema e salvarsi la pelle con il suo invidiabile e riconosciuto “stampo alla Valdez”.

A parte l'ingegno, che era ovviamente il punto forte della sua persona, purtroppo anche lui, nonostante fosse troppo esibizionista per ammetterlo pubblicamente, sapeva di possedere un infinità di punti di svantaggio.

Per esempio, in confronto ai suoi presunti amici, degli idioti colossali che si sforzava di intrattenere con qualche smorfia solo per evitare di esser preso di mira, possedeva delle palesi condizioni di scarsità fisica, infatti, almeno in quest'ambito, non era per niente forte.

Pensava che gli sponsor non l'avrebbero mai notato, come d'altro canto nessuno degli altri tributi aveva fatto, nessuno lo temeva e forse questo era un punto a suo favore.

Se tutti lo davano già per spacciato nessuno l'avrebbe considerato un gran pericolo e magari lo avrebbero lasciato vivere per un po', giusto il tempo che gli serviva per trovare un piano con cui salvarsi le chiappe in modo a dir poco scenico.

Nelle sezioni di allenamento aveva cercato di apprendere il più possibile, aveva provato a lavorare sulla sua mira e con il corpo a corpo, ma era stato a dir poco disastroso, allora si era cimentato nell'utilizzo di varie armi da taglio e gli era andato un pochino meglio, infine aveva tentato con le cose meno importanti come i nodi e l'arrampicata ed era riuscito a cavarsela in maniera apprezzabile.

L'unico problema era che, a differenza degli altri giocatori, lui non aveva assi nella manica, per quanto riguardava l'utilizzo di un oggetto da combattimento, da nascondere ed i suoi punti di svantaggio erano talmente tanti da equilibrare la sua assenza di punti a favore.

Infatti non gli era mai capitato di cimentarsi nei combattimenti, aveva sempre avuto altre priorità.

Prima di esser stato estratto, quella fredda e maledetta mattinata della mietitura, aveva infatti, condotto oggettivamente una vita piuttosto monotona e regolare, anche se con qualche variante, anzi con più di “qualche” variante.

Proveniva dal distretto 12, il distretto del carbone, e da qualche anno era propenso a lavorare come aiuto di un suo caro zio nelle miniere, oltre che a cimentarsi nel tempo libero alla costruzione di oggetti nell'officina del padre, ed aveva quindi imparato a scavare e lavorare con picchetti, con le pale ed occasionalmente con i martelli.

Non era il più in forma tra gli operai, ma la sua dedizione ed il suo impegno riuscivano a portarlo al medesimo livello di risultati degli altri.

Aveva cominciato a lavorare in miniera per aiutare il padre, dato che la fame del 12 era sempre più pressante e lui era stufo di dover sentirsi un peso, così si era rimboccato le maniche il più presto possibile.

Tecnicamente fino ad una certa età non si poteva entrare a lavorare in quei luoghi, ma grazie all'importante posizione nelle cave di suo zio, allo scarso controllo dei Pacificatori nel suo distretto ed alla predisposizione del ragazzo, venne chiuso un occhio.

Anche se inizialmente tutti erano titubanti in quanto pensavano che il ragazzo non avrebbe potuto fare qualcosa di veramente utile in quel mestiere data la sua corporatura gracile, ma ben presto avevano scoperto quanto determinato e piacevole fosse quel soggetto riccioluto.

Leo lavorava anche per non pensare, lo aiutava a distrarsi, ed a non farlo soffrire troppo per via dei fantasmi del passato.

In quel periodo, finalmente dopo tanto, troppo tempo, forse grazie ai mille impegni che affollavano le sue giornate, Leo era riuscito a ristabilirsi mentalmente, sembrava molto tranquillo e diligente, ma anche simpatico e buffone al di fuori dalle mura di scuola e dal lavoro.

Nonostante ciò non gli capitava spesso di avere rapporti con le persone fuori da questi ambienti, ogni tanto però si sforzava di provarci, per risultare più “comune” agli occhi estranei.

In realtà una tra le poche e sfortunate doti che gli erano state trasmesse dal padre c'era proprio il fatto che a lui non andassero tanto a genio “le forme di vita organiche”, come le definiva il suo genitore.

Quell'uomo infatti veniva soprannominato come “l'orso del 12”, sempre chiuso in casa o al lavoro, sempre ad una cauta distanza dalle persone, un asociale per eccellenza, in più il suo aspetto rozzo e bruto non lo aiutavano nel crearsi amicizie, ma lui sembrava comunque tranquillo.

Se avesse potuto anche Leo, probabilmente avrebbe fatto così, ma proprio non riusciva ad adattarsi con cotanta dimestichezza nella solitudine, lui doveva sentirsi circondato, doveva evadere, aveva bisogno di sentire attutito quel senso di disagio che lo attanagliava costantemente.

Per quanto agli occhi di tutti Leo potesse apparire uno sgargiante e geniale, anche se un po' buffone ed impacciato, normalissimo ragazzino del distretto, in realtà dietro quella facciata perfetta si nascondeva una psiche molto più tormentata, infatti lui stesso facendosi carico delle proprie esperienze non giudicava mai un libro dalla copertina.

Da quanto era successo quel cruciale fatto con sua madre, Esperanza Valdez, aveva temuto che la sua psiche prima o poi si frantumasse, ma non aveva mai chiesto aiuto a nessuno, credeva che non fosse necessario e che non sarebbe servito a nulla coinvolgere altre persone nelle sue turbe.

Al ragazzo era sempre piaciuto giocare con il fuoco, letteralmente, fin da bambino gli capitava di appiccare piccoli fuocherelli nei luoghi deserti, poi però si affrettava a spegnerli e far finta di niente perseguitato da un precoce sentore d'ingiustizia dovuta all'avventatezza dei suoi atti.

Gli piaceva osservare il colore delle fiamme, sentirne il loro calore ed odorare il fumo che emettevano, ne era affascinato, riuscivano a scaldargli il cuore e ad estasiarlo.

Quando Leo aveva cominciato a fare queste cose, era troppo piccolo per rendersi conto di quanto fosse sbagliato e pericoloso, di quanto la piromania in realtà fosse solo una disambiguazione mentale, ma lui era solo un bambino molto ingenuo, a quel tempo.

Un giorno però appiccò un fuoco che non riuscì a spegnere, un fuoco di cui le bruciature scottavano ogni giorno nel suo cuore.

Quest'esperienza traumatica era accaduta durante una normale giornata estiva, in cui Leo aveva una febbre terribilmente alta ed era per questo costretto a stare chiuso in casa, privo di forze.

Sua madre si era presa un giorno di riposo dalle cave per stare ad assisterlo ed ogni tanto saliva in camera sua per dargli uno sguardo od una medicina.

Il legame che univa il piccolo Valdez e sua madre era bellissimo, era forse l'unica persona nella sua vita che riuscisse a colmare tutto il senso d'inadeguatezza che l'aveva da sempre caratterizzato.

Quel giorno però, l'impulso di accendere un fuoco lo colpì come di consueto, ma lui era troppo stanco per uscire dalla propria casa ed era sicuro che la madre glielo avrebbe comunque proibito e forse avrebbe anche indagato e scoperto le sue intenzioni.

Così dopo essersi accertato del fatto che sua madre fosse occupata in qualcos'altro, dal momento che non faceva irruzione in camera sua da un po' di tempo, si diresse silenziosamente in cucina ed accese i fornelli, non sapeva però che il genitore si era sdraiato nel letto per riposarsi un po' data la stanchezza che gli comportava il lavoro di madre ed operaia.

Leo sbadatamente portò le tende della finestra sopra la fiamma dei fornelli e lentamente il tutto cominciò ad espandersi e prendere una brutta piega.

Prima che Leo avesse l'opportunità di spegnere il piccolo incendio che si stava divulgando lo colpì un mancamento dovuto alla malattia e svenne tra le fiamme.

Quando riprese conoscenza era sdraiato in un lettino d'ospedale, aveva una mascherina che gli ricopriva gran parte del volto ed un tubo che gli scorreva in gola, non riusciva a capire bene cosa stesse succedendo.

Una stanca infermiera, quando si accorse della sua rinvenuta gli spiegò cos'era accaduto e lui per poco non rischiò un collasso cardiaco.

Nella sua abitazione era partito un incendio dai fornelli, se n'era accorto il vicino di casa che rientrava dal lavoro, allora aveva chiamato istantaneamente le autorità locali.

Leo era riuscito a venir salvato in quanto l'entrata fosse molto vicina alla cucina e maggiormente accessibile per i soccorsi, anche se il fatto che ne le fiamme ne il fumo l'avessero colpito direttamente e mortalmente era un miracolo, dal momento che l'incendio era partito proprio nel luogo dov'era stato ritrovato il ragazzo, sembrava quasi che le fiamme l'avessero protetto ed evitato.

Mentre per la madre non si era potuto far niente, non era stata altrettanto fortunata, per lei era stato troppo tardi per un salvataggio, la sua stanza era troppo distante, aveva respirato troppa anidride carbonica ed era morta, anzi nella testa del bambino cominciò ad inoltrarsi la convinzione che fosse stato lui stesso ad ucciderla.

Leo nell'udire quella notizia spalancò gli occhi terrorizzato e provò ad urlare, ma le tubature bloccavano la fuoriuscita della sua voce, cercò di strapparsele via, cercò di alzarsi, perse la ragione e cominciò a dimenarsi in stato di shock, con il cuore che gli batteva in maniera troppo rapida, finché non arrivò un altro infermiere che istantaneamente lo sedò.

Leo rimase una settimana in ospedale, in stato di trauma, appena si risvegliava cominciava a dare di matto e i dottori erano costretti a dargli dei sedativi, ripetevano questo processo diverse volte al giorno, molti credevano che ormai il ragazzo avrebbe perso la ragione per sempre, che sarebbe impazzito completamente, anche Leo lo pensava.

Il suo sonno era sempre tormentato da incubi che riguardavano il fuoco ed il cadavere incenerito della defunta Esperanza, l'unica persona che l'avesse mai capito e che avesse mai creduto in lui.

Spesso sentiva le mani sporche di sangue, le lacrime gli scendevano durante il sonno e la sua mente scoppiava tormentata costantemente da delle grida di panico.

Successivamente ci furono mesi di riabilitazione, ma il ragazzo non riuscì mai a riprendersi completamente, anche se da fuori non sembrava.

In poco meno di un anno Leo era tornato a scuola sorridendo, scherzando, ostentando espressioni allegre nonostante si sentisse un ignobile omicida.

Il sorriso era sempre stata la sua unica arma di difesa e ormai riusciva a servirsene a comando.

Cercava di fingere allegria nella speranza che un giorno il rimorso sparisse e la finzione si tramutasse in realtà.

Si teneva sempre impegnato e sempre occupato e sentiva che piano piano stava raggiungendo di nuovo il controllo di se stesso, gli incubi di giorno come di notte diminuivano, le crisi psicotiche erano quasi sparite, e le sue scottature interiori divenivano meno dolorose con il passare dei giorni.

Nonostante ciò alcune rare giornate lo colpiva una rabbia folle, ultimamente succedeva di rado, forse massimo cinque volte all'anno, ma in quei momenti perdeva il controllo di se e senza rendersene conto scompariva nei boschi, o nei luoghi isolati ed appiccava un fuoco.

Da quel terribile giorno in cui perse la madre, odiava le fiamme, ma allo stesso tempo non poteva farne a meno, nelle fiamme rivedeva il volto sorridente di sua madre e ne sentiva l'affetto, ma ne vedeva anche la loro colpa e la loro mortalità.

Appena riacquistava coscienza spegneva immediatamente i fuochi e si odiava immensamente per averli appiccati, spesso piangeva o sbatteva la testa sul tronco di un albero.

Temeva che un giorno avrebbe riacquistato troppo tardi la coscienza di se e che sarebbe morto tra le fiamme, ed in quel momento in particolare temeva che gli sarebbe venuta una crisi del genere durante gli Hunger Games.

Aveva confessato a suo padre che a provocare quel mostruoso incidente era stato lui stesso, gli aveva confessato tutti suoi sensi di colpa e il padre l'aveva prima picchiato e poi consolato, cercando di affievolire il suo rimorso, ma dimostrando rabbia ed intimandogli di non provare più a fare una cosa del genere con il fuoco e di non parlarne con nessuno.

Leo si sentiva un codardo perché non aveva mai smesso in realtà di accendere incendi, aveva solo cominciato ad essere più cauto, si sentiva sporco ed ingiusto per il fatto di non aver confessato l'omicidio a nessuno tranne al padre, ma aveva troppa paura e si sentiva orribile per questo.

In verità credeva di essere malato, d'altronde era da sempre risaputo che il confine tra genio e follia era minimo, e spesso neppure esisteva.

Considerando le sue perdite di coscienza nei momenti di furia, era arrivato addirittura alla conclusione di soffrire di un disturbo dissociativo della personalità, ma per timore e rassegnazione non aveva mai svolto approfondimenti sul suo stato mentale.

Leo Valdez si sciacquò il viso nel bagno situato nell'anticamera del salone d'attesa, cercando di non pensare a niente che non riguardasse il suo incontro con gli strateghi e rapidamente si avviò, senza aspettare nemmeno la sua compagna di distretto, verso la sala dove avrebbe dovuto aspettare di essere chiamato per dare quei maledetti esami, per cui non aveva ancora ideato una strategia, ma a cui purtroppo l'impreparazione non comportava una bocciatura, ma una maggiore possibilità di morire.

Quando arrivò trovò tutti i tributi seduti in cerchio sopra le comode sedie verdognole posizionate ad una distanza simmetrica in entrambi i lati della stanza.

Sembravano tutti molto nervosi, l'ansia che si ergeva nell'aria era palpabile e tutti parevano terrorizzati, a parte qualche rara eccezione come Clarisse la Rue o Annabeth Chase, loro sembravano veramente preparate.

Decise di esorcizzare l'ambiente ostile facendo qualche battutina qua e la, al quale molti dei tributi risposero ridacchiando sommessamente.

Quando, ad un certo punto, mentre si mordicchiava le unghie in preda ai pensieri, Leo fu come illuminato da un enorme lampo di genio e gli si presentò davanti agli occhi l'intero piano a cui avrebbe ricorso successivamente durante i giochi.

Scatenò la sua gioia in una risata compiaciuta e strappò in un movimento istantaneo l'insulso portafortuna che gli era stato assegnato dal proprio mentore, un volgarissimo bracciale d'oro massiccio completamente pacchiano e privo di un reale significato.

Apparentemente quel gesto non venne compreso da nessuno dei presenti, che si guardarono di sottecchi, pensando che quella fosse la sua anormale maniera di smaltire l'ansia, ma a Valdez non importava, lui ormai aveva trovato un metodo perfetto, che non contemplava il vincere gli Hunger Games, bensì di sabotarli e riuscire a fuggire dall'arena, magari accompagnato da qualche altro giocatore.

Il primo passo per attuare questa sua fantastica idea era assumere un atteggiamento esplicito e molto preciso con gli li strateghi, ossia doveva far loro pena nelle prove fisiche e risultare estremamente stupido.

Aveva deciso di farsi assegnare un voto appositamente basso per riuscire a farsi apparire più incapace ed innocuo di quanto potesse già essere, per poi provare a riprendersi nel migliore dei modi nell'arena dimostrando tattica e coraggio con la sua strategia infallibile.

Era veramente molto pericoloso attuare una simile messinscena, probabilmente si sarebbe giocato definitivamente l'aiuto degli sponsor, ma piuttosto che ricevere un voto mediocre ed esser preso subito di mira dagli altri, il ragazzo pensò che quella che stava facendo, fosse la scelta migliore.

Lui era nel dodicesimo distretto e come tale si sarebbe dovuto presentare per penultimo, subendosi un angosciante attesa nella quale i suoi rivali davano prova dei propri meriti.

Mano a mano che la sala si svuotava, il ragazzo si sentiva sempre più nervoso, le sue gambe divenivano come gelatina e se non fosse stato per quel piccolo particolare, Leo era certo che sarebbe già fuggito da quella sala.

Poi finalmente giunse il suo turno e con il cuore in gola ed uno stupido ghigno dipinto sulle labbra il ragazzino si alzò dalla sua comoda sedia e s'incamminò lentamente, tanto che sembrava fosse stato selezionato per la sceneggiatura uno di quegli effetti al rallentatore che inseriscono nei film d'azione, verso l'oscura entrata della stanza incriminata.

Il fuoco ribolliva nei suoi profondi occhi scuri, ma nonostante ciò lui avrebbe ancora una volta, nascosto quelle fiamme, dimostrando la sua vera piromania dell'animo solo una volta giunto nell'arena, per adesso si sarebbe limitato ad occultare per un ennesima volta un ennesimo incendio.

 

Nda: Allora mi scuso per il ritardo, effettivamente avrei dovuto postare di Giovedì, ma in questi giorni sono partita per una breve gita al mare perciò non ho avuto ne modo ne tempo di scrivere ne postare.

Comunque, premettendo che Leo è tra i miei personaggi preferiti della serie, mi dispiace per averlo mostrato così disturbato, un effettivo piromane forse anche bipolare, ma ho in mente delle cose che credo si riveleranno interessanti per lui, ed il piano che ho ideato è parecchio rischioso e contorto, ma allo stesso tempo potrebbe salvare la situazione, perciò non me ne vogliate <3.

Al prossimo capitolo(Lunedì).

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: giulji