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Autore: FloxWeasley    09/08/2015    4 recensioni
Lo scricchiolio delle vecchie assi del pavimento dovette distoglierla dai suoi pensieri, perché non appena Bill mise piede in cucina si ritrovò addosso lo sguardo allarmato della donna.
«Oh, tesoro, sei tu» fece lei, distendendo il volto in un sorriso affettuoso. «Mi hai spaventata. Che ti succede? Non riesci a dormire?» aggiunse poi, addolcendo il tono.
Lui scrollò le spalle e si lasciò cadere sulla sedia accanto a quella della madre.
«Vuoi una camomilla?» chiese allora la donna, alzandosi faticosamente prima ancora che il ragazzino rispondesse e tirando fuori un pentolino. «La volevo fare anche per me, il thé non è servito a molto... »
Bill accettò e la osservò riempire il pentolino di acqua, posarlo sul fornello e tirare fuori un'altra tazza sbeccata dalla credenza. Tenersi occupata con quei semplici gesti la distraeva dalla preoccupazione per Arthur: farli con la magia non avrebbe sortito lo stesso effetto.
«Non vai a dormire, mamma?» domandò infine il bambino.
Genere: Fluff, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Arthur Weasley, Bill Weasley, Charlie Weasley, Famiglia Weasley, Molly Weasley | Coppie: Arthur/Molly
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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La lunga notte di Bill Weasley

capitolo due: Ti prego, mamma, solo dieci minuti!




«Ehi, questa me la ricordo!»
Le dita sottili di Bill si fermarono sulla pagina dell'album che Molly stava sfogliando e sfilarono una foto dalla sua sede per poterla studiare più da vicino: ritraeva un bambino dai capelli rossi e gli occhi celesti, sdraiato a pancia in giù sul tappeto davanti al camino, mentre sorrideva tranquillo all'obiettivo circondato da fogli di carta e matite colorate.
«Eri già molto bravo a disegnare» osservò la madre con un sorriso, prima di scoppiare a ridere davanti alla piccola scena che, come ogni foto magica che si rispetti, anche quella mostrava: Charlie aveva fatto il suo ingresso correndo come un pazzo, un paio di mutande in testa che gli coprivano gli occhi, e aveva seminato lo scompiglio tra fogli e colori. «E anche molto paziente» aggiunse.
«Lo faceva di continuo» commentò Bill con aria contrariata, rimettendo la foto al suo posto e sospirando rassegnato. «Non so quante volte papà ha dovuto aggiustare le mie matite calpestate». Molly rise di nuovo e tornò a sfogliare lentamente le pagine del grosso album, facendosi un poco più tranquilla e distesa ad ogni foto.

Quando Bill l'aveva vista estrarre dalla credenza del salotto quel grosso libro era rimasto sorpreso: non sapeva nemmeno che esistesse, non essendosi mai chiesto se ci fossero altre foto oltre a quelle attaccate ai muri con il Magiscotch o incorniciate sui mobili.
Spiegargli il contenuto di ogni scatto era un ottimo modo per distrarsi, oltre che un piacevole tuffo nel passato: l'album ripercorreva la storia della famiglia a partire dal matrimonio di Arthur e Molly e continuando con l'infanzia dei ragazzi, sempre più grandi e sempre più numerosi di foto in foto.


La prima mostrava Arthur che, tenendo in braccio una Molly dall'aria contrariata, tentava di portarla dentro casa senza inciampare nel voluminoso vestito da sposa di lei.
«Tuo padre ha insistito per farlo, ha detto che era un'usanza babbana, ma io non ero molto d'accordo: infatti mi ha quasi fatto sbattere la testa contro lo stipite della porta» aveva ricordato la donna, ridendo della goffaggine del marito.
I successivi erano scatti rubati alla loro vita di sposini: i lavori per sistemare la Tana, allora persino più sgangherata di adesso; il primo Natale insieme, qualche scena di vita quotidiana o di tenerezza a cui Bill aveva storto il naso (“Che schifo, vi stavate baciando!”)
Poi ecco comparire una morbida curva dietro il grembiule da cucina della donna, mentre minacciava il fotografo con un cucchiaio di legno, e qualche scatto dopo faceva la prima apparizione William il giorno della sua nascita, in braccio ad un'esausta ma radiosa Molly.
«Tuo padre non riusciva a darti il biberon senza addormentarsi a sua volta. Eravate buffissimi» commentò sua madre davanti ad una foto che lei stessa aveva fatto a tradimento al povero Arthur mentre dormiva con aria pacifica, gli occhiali di traverso e i capelli rossi tutti arruffati, tenendosi stretto al petto un minuscolo Bill e un biberon quasi vuoto.
C'erano una miriade di foto del primogenito (“Era tutta una novità, per noi, volevamo ricordare ogni cosa”) da solo, in braccio a zii e nonni il giorno del suo primo compleanno o mentre giocava con i genitori, finché non era saltato fuori uno scatto di lui chinato con aria incuriosita su un lettino di legno. Da lì in poi era Charlie il protagonista indiscusso degli scatti, nella maggior parte dei quali combinava qualche disastro (“Mi ricordo quando ha quasi ingoiato uno zellino, menomale che papà l'ha fermato in tempo!”) ma i due fratelli, inseparabili fin dal primo momento, comparivano quasi sempre insieme davanti all'obiettivo.


«Villa Conchiglia... ci andavamo sempre quando eravamo piccoli! Mi piaceva tantissimo, ma', perché non ci torniamo?» esclamò Bill ad un tratto, passando le dita su una foto che ritraeva lui e Charlie mentre correvano su una spiaggia di finissima sabbia bianca, inseguendo i gabbiani in una giornata invernale. Anche quella successiva era ambientata nello stesso posto, ma raffigurava Arthur mentre insegnava al maggiore a far volare un aquilone.
Molly sorrise e gli scompigliò i capelli rossi.


Quella casa non piaceva solo ai ragazzi, con quel suo fascino un po' selvaggio per la vicinanza con le onde dell'oceano: anche lei e Arthur se ne erano innamorati, fin da quando sua zia Muriel aveva acconsentito a lasciargliela usare, di tanto in tanto (“Quel tuo marito è così secco, tesoro, e poi non vede un accidenti! Chissà che un po' d'aria di mare non gli tolga quell'aria malaticcia”).
Era diventato ben presto il luogo in cui fuggire, loro due soli, quando le famiglie e i problemi si facevano troppo pressanti, e aveva finito per essere anche un luogo in cui portare i bambini per far trascorrere loro qualche giorno lontano da casa, non potendosi permettere delle vere vacanze.
Da quando erano arrivati i gemelli, però, stare tutti in quella casa così piccola era diventato un problema, e con i tempi che correvano non era poi nemmeno tanto sicuro.


Stava per rispondere al figlio che magari, una volta nato il bambino, avrebbero potuto approfittare di qualche giorno di ferie di Arthur per tornarci (“Ma quali ferie” aveva pensato tra sé, dandosi della bugiarda, “Con tutti gli straordinari che fa, lo vediamo a malapena”), ma la vocina sottile di Perce l'aveva salvata dal raccontare una mezza bugia al proprio figlio.
«Tornare dove?» aveva sbadigliato, attraversando il salotto mentre si stropicciava gli occhi da dietro le lenti storte. Molly aveva lasciato che si sedesse accanto a lei sul divano, sistemandogli gli occhiali con un gesto amorevole.

«A Villa Conchiglia. Ma tu non puoi ricordartelo, eri troppo piccolo quando ci andavamo» gli rispose Bill, sbrigativo, dando un'occhiata al vecchio pigiama di Charlie in cui ci sarebbero stati comodi due Percy prima di tornare ad osservare le foto.
«Me lo ricordo invece» replicò il fratellino con aria saccente. «Avete cercato di affogarmi» aggiunse poi, una smorfia infelice sul visetto appuntito.
Lo sguardo di Molly si fece tagliente al ricordo di quell'episodio, ma si trattenne dal rimproverare il figlio maggiore già sufficientemente punito all'epoca, che almeno aveva avuto la decenza di arrossire e non alzare lo sguardo dall'album, l'aria vagamente colpevole.


«Cosa fai in piedi, tesoro?» domandò invece al più piccolo con una carezza, mentre quello si stringeva contro il suo fianco.
«Charlie russa, non riesco a dormire» rispose Percy con una vocetta lamentosa che normalmente avrebbe fatto irritare Bill, ma che per una volta provocò la sua empatia: suo fratello russava come un orso, sopportarlo era davvero impossibile.
«Se vuoi vengo a prenderlo a cuscinate insieme a te» gli propose allora, negli occhi una scintilla di divertimento. Charlie era sì il suo alleato, ma non poteva resistere ad un'occasione del genere.
«Bill, c'è modo e modo di-» lo riprese la madre con un'occhiataccia, venendo però interrotta di nuovo da Percy:
«Apprezzo la tua proposta, Bill, ma preferisco stare qui con voi a guardare le foto» rispose, dando come sempre l'impressione di aver ingoiato un dizionario.
«Nossignore, tu hai cinque anni e i bambini di cinque anni a quest'ora dormono» replicò decisa Molly. «Dai una scrollatina a Charlie e vedrai che smetterà di russare. Forza, ti accompagno di sopra...»

«Guarda, Perce, qua ci sei anche tu!» esclamò in quel momento Bill, puntando il dito su una foto con l'intento di distrarre la madre e lasciare che il fratellino restasse con loro.
Percy era un rompiscatole, certo, ma lui a cinque anni avrebbe pagato per stare sveglio di notte, e la solidarietà tra fratelli gli imponeva di aiutarlo.
«Ti prego, mamma, solo dieci minuti!» insistette allora il piccolo, mettendo a dura prova la forza di volontà già piuttosto debole di Molly. Diede un'occhiata alla foto, in cui Bill e Charlie, uno per ogni lato, se ne stavano con un orecchio incollato al suo pancione e un'espressione sorpresa in viso, mentre lei rideva e scompigliava i capelli ad entrambi.
Suo malgrado, Molly sorrise e passò un braccio intorno alle spalle del bambino, lasciando che quello gli si accoccolasse accanto e appoggiasse la testa al suo seno.
«Va bene, ma tra dieci minuti fili a letto».


«Eri completamente pelato quando sei nato, guarda» gli spiegò Bill, incapace di resistere all'impulso di prenderlo un po' in giro, mentre gli mostrava una foto in cui Arthur lo teneva in braccio, appena nato, per farlo vedere ai fratelli più grandi. «Me lo ricordo perché i gemelli avevano un sacco di capelli, e anche Ron, e se non sbaglio anche Charlie...» ridacchiò, mentre Percy metteva su un'espressione offesa.
«Lo sai, Bill, anche tu eri pelato. Non hai visto la foto, prima?» replicò Molly con un sorrisetto.
Perce scoppiò a ridere e le orecchie di Bill si fecero rosse.
Scorsero qualche altra foto in silenzio, e se il maggiore notò qualche cosa per cui prendere in giro il fratellino, se la tenne per sé. Non gli andava di essere canzonato così da sua madre, era umiliante!
Scoppiarono a ridere insieme davanti a Charlie che, per consolare Percy in lacrime per una caduta quando muoveva i primi passi, aveva finto di inciampare a sua volta ed era rotolato goffamente a terra (“Si era fatto più male di te, poverino”) e alla vista dell'espressione depressa di Bill mentre veniva stritolato da zia Muriel ad uno dei tanti matrimoni Weasley a cui la donna si era invitata da sola.


«Non hai qualche foto tua e di papà quando eravate giovani?» domandò ad un tratto William, colto improvvisamente da quell'idea. Non ricordava di aver mai visto foto dei suoi prima del matrimonio, a parte qualcuna da bambini che era appesa in camera loro.
«Stai dicendo che siamo vecchi, signorino?» replicò la donna, punta sul vivo, lanciando un'occhiata minacciosa al più grande dei suoi figli.
«Io... no, certo che no» si affrettò a rispondere quello, impacciato. «Solo, ero curioso di vedere foto di Hogwarts o...»
«Apri l'anta della credenza da cui ho preso l'album» rise la donna in risposta, aspettando che Bill eseguisse l'ordine. «Vedi la scatola da scarpe celeste? Ecco, portala qui».




Come promesso, sono tornata! 
Le quindici ore di pullmino (che sono diventate ventotto, ma questa è un'altra storia) non sono servite a granché: ho scritto tutto oggi pomeriggio, comodamente a casa.
Spero che questo secondo capitoletto (un po' meno incentrato su Molly e Bill, ma non è esattamente quello il tema della storia, quando più una panoramica della famiglia Weasley o qualcosa del genere... come avrete capito non è chiaro nemmeno a me) vi sia piaciuto e vi do appuntamento al prossimo!
Grazie mille a chi è passato a dare un'occhiata e doppio grazie a chi ha recensito! 

  
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