Babbanologia.
Se
un anno prima qualcuno gli avesse detto che avrebbe frequentato il
corso di babbanologia, avrebbe portato il malcapitato al San Mungo.
D'urgenza.
"Malfoy" e "babbano" non potevano
rientrare nella stessa frase, cozzavano, stridevano come unghie sulla
lavagna!
Gli tornavano in mente i discorsi sul sangue che suo
padre gli faceva ogni sera, seduto sulla grande poltrona davanti al
camino. Era una questione di educazione, non poteva stimare i nati
babbani e i sangue misto dopo aver passato tutta la vita a sentir
parlare di loro come di deboli e ignobili imitazioni dei purosangue.
Nessun bambino sarebbe stato tanto nobile d'animo da comprendere
l'errore dietro un'ideologia estremista come quella che aveva mosso i
mangiamorte sulla strada della distruzione.
Non che si fosse del
tutto ricreduto, certo. Benché fosse contrario allo
sterminio di
massa o all'assoggettamento della razza inferiore, continuava a
ritenere i babbani molti gradini più in basso rispetto a lui
o a
qualsiasi altro mago. I babbani erano esseri umani a metà,
incapaci
di estendere la loro energia al di là dei confini del
proprio corpo
e della propria mente. Si circondavano di tristi surrogati della
magia per convincersi di essere la razza superiore e stavano
riducendo l'intero pianeta ad un cumulo di rifiuti tossici per
mantenere quello status illusorio. Lui lo sapeva bene, Lucius non si
era limitato alle parole, ma gli aveva portato molte volte delle
copie di quotidiani babbani per avvalorare le proprie tesi. Dieci
punti a suo padre, era riuscito nel proprio intento.
Babbanologia.
In
un anno molte cose erano cambiate, la sua vita era stata stravolta e
nuove immagini e nuovi ricordi erano associate a quel termine. Come
avrebbe potuto dimenticare le urla, il volto contratto dal dolore e
il cadavere di Charity Burbage divorato da Nagini?
Fu per questo
che, varcata la soglia della classe, alla vista del ritratto della
professoressa sentì le viscere contorcersi e la nausea farsi
sempre
più forte. Asciugò svelto le goccioline fredde di
sudore che gli
imperlavano la fronte e prese posto tra gli ultimi banchi. Era ancora
troppo presto, mancavano più di cinque minuti all'inizio
ufficiale
delle lezioni e lui era stato il solo idiota a presentarsi in netto
anticipo nell'unica aula in cui un Malfoy non sarebbe mai dovuto
entrare.
Trovarla
non era stato così difficile come credeva, anzi, gli era
bastato
affacciarsi all'interno per capire che fosse proprio quella l'aula
in cui la magia era bandita.
Centinaia di sciocche cianfrusaglie
erano ammonticchiate su decine di mensole e scaffali addossati ad
ogni parete della stanza, le foto e i poster appesi negli spazi
liberi erano drammaticamente statici e in fondo, proprio dietro la
cattedra, c'erano dei manichini di diverse dimensioni agghindati con
abiti leggeri e sgargianti. Persino l'odore era strano, non
assomigliava a niente che riuscisse a ricordare, così
pungente
e innaturale,
non riusciva a capire da dove arrivasse.
Su
ogni banco erano stati posti dei semplici cestini di vimini e dentro
vi erano degli oggetti che non aveva mai visto, molti dei quali, neri
e lucidi, riflettevano il sole che entrava dalle ampie finestre
laterali. Ciò che però lo incuriosì fu
un'assurda rappresentazione
di una papera, gialla, con dei grandi e inquietati occhi azzurri. Si
guardò alle spalle per controllare che non ci fosse ancora
nessuno e
la toccò per saggiarne meglio la consistenza. Era morbida e
liscia
e... puzzava. L'avvicinò al naso e si rese conto che l'odore
nauseabondo proveniva da quell'oggetto. Rigirò ancora per
qualche
istante la paperella di gomma tra le mani, senza riuscire a
capacitarsi di quale utilità e quale funzione avrebbe potuto
svolgere nel mondo babbano.
«Ti piace?» Brett Dukes, il nuovo
insegnante, scese le scale del suo piccolo ufficio e si
avvicinò con
aria sorniona alla cattedra.
L'aveva
beccato, com'era potuto succedere? Era così concentrato su
quella cosa da
non aver neppure sentito la porta aprirsi! Gettò la
paperella nel
cestino e quella emise un fischio che lo fece trasalire. L'insegnante
trattenne a stento una risata «Un oggetto molto affascinante,
seppur
così semplice» disse raggiungendolo.
Draco
sfoderò l'espressione più superba del suo
repertorio: ci voleva ben
altro per mettere in imbarazzo un Malfoy.
«Non so a cosa si
riferisca» disse gelido e tagliente.
«Oh, scusa. Devo essermi
immaginato tutto» rispose il signor Dukes con un altro
sorriso
rassicurante.
Diamine, lo odiava già! Avrebbe scommesso ogni
singola goccia del suo sangue che quello era un ex-Tassorosso: il
sorriso sempre stampato in faccia, il tono di voce gentile e pacato e
quel tocco di goffaggine che aveva dimostrato di avere a cena. Era
chiaro che non aveva voluto entrare in contrasto con lui, spinto da
chissà quale intento caritatevole. Che volesse convertirlo
all'amore
per i babbani? Al solo pensiero gli venne spontaneo sbuffare e
passarsi una mano sugli occhi. Tutto, qualsiasi cosa, ma non quello.
Aveva già parecchie cose a cui pensare senza che ci si
mettesse
quell'idiota di un Dukes.
«Mmh, no. Non ero un Tassorosso, mi
spiace deluderti».
Il suddetto "idiota" aveva parlato
con noncuranza, leggendo quelli che avevano l'aria di essere appunti.
Aveva usato la Legilmanzia e lui non se n'era neppure accorto! Per
quanto tempo e fino a che punto gli aveva frugato in testa? Il timore
che avesse potuto scoprire i suoi piani lo fece raggelare, ma non
poteva andare a finire in quel modo.
Si alzò in piedi, pronto ad
affrontare quell'insegnante o presunto tale, quando dalle porte
aperte giunsero le voci dei suoi compagni e nel giro di pochi minuti
l'aula fu piena di occhi e orecchie indiscrete.
Draco lanciò uno
sguardo penetrante in direzione del signor Dukes, ricevendo in cambio
un mezzo ghigno. Qualcosa gli diceva che non fosse finita
lì, ma che
era stato tutto rimandato ad un 'dopo' da definire. Si rimise a
sedere e guardò il posto vuoto di fianco a sé.
Non era abituato ad
essere considerato un appestato, ma anche quella era una cosa a cui
avrebbe fatto il callo molto presto. La sua posizione, però,
gli
permetteva di osservare indisturbato gli altri studenti che lo
avevano raggiunto in quell'antro di futilità.
Grifondoro e
Serpeverde.
Per quanto il corpo docente si sforzasse, non c'era
alcuna possibilità che le due Case andassero d'accordo e le
lezioni
in comune non facevano che peggiorare la situazione. Come avrebbero
potuto amare i Grifondoro quando c'era la Granger che con quel
braccio sempre alzato guadagnava punti a raffica? Già, la
Granger...
non vedeva la testa straripante di ricci della
so-tutto-io.
«Buongiorno! Oh, scusi il ritardo professore,
prometto che non accadrà mai più!»
La Granger che arrivava di
corsa e che provava a mettere insieme una frase di senso compiuto
nonostante il fiatone. Dov'è che aveva già visto
quella scena?
«Non
si preoccupi signorina, non avevamo ancora iniziato. Lei deve
essere...»
«Hermione Granger, signore! Sono la nuova
Caposcuola»
era scattata come una molla sull'attenti.
Brava,
fatti riconoscere...
«Riunione
dei prefetti, eh?» Dukes sistemò gli occhialetti
sul naso, senza
alzare lo sguardo dai propri fogli.
Coglione.
Spero che tu stia sentendo.
«Sì,
esatto» un sorriso e poi le guance le si imporporarono.
Oh,
cielo. Ditemi che non è vero!
«Ah,
immagino! Beh, ma un ritardo non cancellerà la sua nomea. Si
dice
che lei sia la strega più brillante del suo corso».
Un'altra
parola o un altro sorriso smielato e avrebbe vomitato il
caffè nero
appena bevuto. Non poteva credere di aver assistito a quella scena
patetica, era come se stessero flirtando incuranti del resto della
classe. Perché lei sembrava così in imbarazzo e
perché tutte le
altre galline la guardavano scambiandosi battute e risolini?
Osservò
meglio il professore: non se ne intendeva molto di bellezza maschile,
ma eliminando occhiali e abiti da sfigato babbano, forse poteva
risultare attraente alle sue coetanee.
«Ora però si sieda, così
potremo cominciare».
La Granger si guardò intorno spaesata, come
un cucciolo strappato a mamma orsa, finché il famoso
Prescelto la
salutò ridendo dall'alto del suo secondo banco.
Credeva di avere
l'esclusiva della stronzaggine, ma il signor
Salvatore-del-mondo-magico aveva deciso di rubargli anche quel
primato.
D'altra
parte, Draco non aveva niente di meglio da fare e il suo passatempo
preferito gli era appena stato servito su di un enorme piatto da
portata. Allungò la mano e mostrò alla povera,
piccola, ingenua
Caposcuola la triste verità: l'unico posto disponibile era
accanto
al temibile mangiamorte. Lei si sforzò di non dare a vedere
il
proprio disappunto, sedendosi con la stessa aria altezzosa di sempre.
Il signor Dukes stava ancora sistemando decine di piccoli fogli,
quindi perché resistere alla tentazione?
«Pare che
il
processo di beatificazione per San Potter sia ancora lontano»
disse a voce bassa.
Alcuni compagni risero alla battuta, Hermione
invece lo ignorò, tirando fuori dalla
borsa un grosso rotolo di pergamena e una lunga piuma bianca.
«Una
babbana che prende appunti sui babbani in una lezione tenuta da un
mago. Patetico» le sussurrò allora a pochi
centimetri, perché solo
lei potesse sentirlo.
«Un Malfoy costretto a seguire
Babbanologia, ecco cos'è patetico» lo
fulminò con lo
sguardo.
Colpito e affondato. Stava per partire al contrattacco,
ma l'intenzione di ribattere fu stroncata sul nascere dal
professore.
«Bene, adesso che ci siamo tutti, direi che è il
momento di iniziare. Il mio nome è Brett Dukes e sono il
vostro
insegnante di Babbanologia. Al contrario di quanto più della
metà
di voi pensa, la mia materia è molto importante, addirittura
fondamentale per la vita di ogni mago che si rispetti. Non esiste
infatti modo di poter mantenere segreti i nostri segreti se non
conoscendo la cultura della gente da cui ci nascondiamo».
L'aria
bonaria era scomparsa e all'improvviso il professore sembrava molto
più autorevole di quanto Draco avesse immaginato. Era
pacato, ma
allo stesso tempo riusciva ad imprimere forza nella voce e nei gesti
ampi con cui rimarcava ogni concetto espresso.
«Dopo gli ultimi
eventi, il Ministero ha ritenuto fosse giusto istruire le giovani
generazioni sul mondo babbano, per abbattere il muro di pregiudizi e
per aiutarli nel loro percorso al di fuori della scuola» si
appoggiò
di schiena alla cattedra e prese in mano un cestino identico a quelli
a disposizione degli studenti.
«Molti di voi, forse tutti, non
hanno mai seguito neppure una lezione di Babbanologia,
perciò vi
toccherà fare un corso accelerato quest'anno. Con voi il mio
approccio sarà diverso, meno accademico. Qui
dentro» lo sollevò
davanti a sé «troverete tutti gli argomenti che
tratteremo».
Il
famigerato cestino pieno di cianfrusaglie rappresentava un intero
programma di lezioni?
Che
tristezza...
«So
già che ai vostri occhi sembrerà un mucchio
di cianfrusaglie,
ma vi assicuro che non è così» disse,
rivolgendo a Draco
un'occhiata carica di sottintesi.
Era
chiaro ormai che stesse usando la Legilmanzia su di lui, ciò
che non
riusciva a spiegarsi era il modo di fare del professore. Cosa stava
cercando di dirgli?
«Iniziamo con le cose semplici,» prese la
famigerata paperella e la mostrò alla classe
«questa è una
paperella di gomma, un comune giocattolo usato per convincere i
bambini a fare il bagno. Tutte le teorie circolanti intorno a questo
affarino sono false: non controlla la mente, non serve da richiamo
per babbani e, soprattutto, non è una merce di valore. Spero
di non
doverne parlare mai più.» Sospirò
affranto, come se avesse
ripetuto quelle parole per l'ennesima volta.
«Questo tubicino,
invece, è una penna» rigirò la biro tra
le dita.
Molti
Grifondoro si dimostrarono interessati, al contrario dei Serpeverde
che reagirono con sdegno e incredulità di fronte a lo
“sciocco
ritrovato babbano”.
Spostò l'attenzione sulla Granger, che non
smetteva di torturarsi le labbra mentre il rossore delle guance
raggiungeva le orecchie. Una ciocca di capelli era appena sfuggita al
sobrio chignon accarezzandole il collo, lei l'afferrò
distratta
attorcigliandola attorno alle dita e... il tono concitato di Dukes lo
fece trasalire.
«Certo che scrive! I babbani non hanno la magia
dalla loro parte, ma trovano comunque il modo di migliorare la loro
vita attraverso invenzioni ingegnose e la biro rientra tra queste! E
non solo, presto vi mostrerò molti altri oggetti
perfezionati».
«Perfezionati?
Cosa ci trova di così perfetto in questa stupida
penna?» Pansy
espresse l'opinione di gran parte dei Serpeverde con una singola,
disgustata domanda.
«È
leggera, compatta e non necessita di pratica per essere utilizzata.
Grazie al sistema a sfera metallica, non c'è il rischio di
macchiare
la carta come avviene con le normali piume d'oca»
replicò la
Granger con il solito zelo. Odiava il tono squillante che assumeva,
era fastidioso come il miagolare di un gatto intento a difendere il
territorio.
«Ben detto! Cinque punti a Grifondoro!»
proclamò il
professore entusiasta.
«Signorina Parkinson, so che lei nutre una
profonda ostilità nei confronti dei babbani, ma sono certo
che
presto cambierà opinione» disse serio, mantenendo
comunque il
solito tono gentile. Pansy si limitò a gettare la penna nel
cestino
senza controbattere.
Il professore poi proseguì elencando gli
altri oggetti: una lattina di Coca-Cola, un cellulare, un lettore
MP3, un libro tascabile e la pagina di una rivista di moda. La prima,
disse, era una bevanda molto amata dai babbani, ma era anche il
simbolo della loro società basata sul consumo di prodotti.
Il
secondo era il loro mezzo di comunicazione più rapido e
utilizzato... e poi si perse.
Impegnato com'era a schermare la
mente, non avrebbe potuto preoccuparsi anche delle inutili parole del
signor Babbanofilo. La Granger, poi, non era d'aiuto. Lo scorrere
frenetico della piuma sulla pergamena ruvida era una distrazione
sufficiente a fargli perdere il filo del discorso e lei non aveva
smesso di trascrivere ogni parola da quando il professore aveva
iniziato a parlare.
Dukes disse qualcosa come "Vado a
prenderlo, restate lì" e salì nel suo studio.
Nello stesso
istante la Granger poggiò la penna nel calamaio e Draco
sentì i
nervi distendersi.
«Finalmente,» scandì con lentezza
afferrando
la piuma «un altro minuto e le avrei dato fuoco».
Guardò la
ragazza di traverso per analizzarne la reazione. Aveva ancora il viso
arrossato, le labbra di un delizioso rosso ciliegia e gli occhi
castani carichi di disprezzo. Ah, il caro vecchio disprezzo
Grifondoro, era una delle poche cose rimaste immutate.
«Perché?
Vuoi passare alle penne babbane?» lo provocò a sua
volta.
Non
c'era un vero motivo che lo spingesse a infastidire la Granger, a
parte il piacere personale di vederla strepitare in preda a una crisi
di nervi.
Allungò una mano per riprendersi la piuma, ma lui la
allontanò avvicinandola al muro in modo che fosse il
più lontano
possibile da lei.
«Malfoy, non costringermi a fare scenate» gli
intimò a bassa voce, ma Draco ridacchiò per nulla
spaventato da
quella minaccia.
«Sei la strega più brillante di tutta la Gran
Bretagna passata, presente e futura, usa un incantesimo di
richiamo»
la sfidò ghignando divertito.
«Stupido idiota! Non possiamo
usare la magia qua dentro. Ridammela e basta.» Era evidente
quanto
si stesse sforzando per non farsi sentire dagli altri.
«Vedi,
Granger, io non ne posso più di sentirti scrivere e tu non
hai
davvero bisogno di farlo, per cui...» diede un'occhiata alla
piuma
più da vicino, facendola rotolare tra l'indice e il pollice
con fare
annoiato.
Voleva vederla esplodere e riderne fino alle
lacrime, la Granger che conosceva l'avrebbe fatto.
Quella però
doveva essere una copia difettosa della so-tutto-io, perché
invece
di prenderlo a pugni si era limitata ad un grosso sospiro e si era
voltata dall'altra parte, appoggiando il viso alla mano destra,
così
che lui non potesse vederlo.
Era certo che ne avesse almeno un
centinaio in quella maledetta borsetta e allora perché darsi
tanta
pena per un'insulsa piuma? La osservò meglio e vide delle
lettere
incise su un lato: R.B.W.
Oh, com'era scontata e
noiosa!
Rimise la penna nel calamaio senza dire una parola, quando
il professore aprì la porta del suo ufficio e ne
uscì tenendo fra
le mani una grossa scatola nera, la poggiò con un rumoroso
tonfo
sulla cattedra e li guardò entusiasta.
«Che roba è?» Pansy,
voce del popolo eletta all'unanimità.
«Roba?»
Dukes sembrò punto sul vivo «Questo è
un televisore!» esclamò
con enfasi, ma nessuno ebbe la reazione che forse si
aspettava.
«Nessuno
di voi qua dentro sa cosa sia?!»
La mano della Granger si sollevò
prontamente e Draco sentì crescere il desiderio di dare uno
schiaffo
a quelle piccole dita bianche, ma non fu la sola. Per la prima volta
un'altra mano si levò in alto, un evento più che
raro, eccezionale,
tanto che persino lei sembrò stupita dell'accaduto.
«Potter!
Dicci tu cos'è un televisore!»
«Sì, signore. Il televisore è
il centro della vita dei babbani, il loro svago maggiore. È
come le
nostre radio, ma con l'aggiunta delle immagini in movimento. Una
specie di pensatoio a cui migliaia di persone possono accedere
contemporaneamente... e, beh, so che il discorso è
più
complesso...» incespicò sulle ultime parole.
Stupido
Potter.
La
Granger era così fiera di lui in quel momento che quasi gli
venne da
vomitare. Di nuovo. Non aveva mai visto nessuno rallegrarsi per il
successo di qualcun altro e quel sorriso ebete, misto allo sguardo
luccicante di soddisfazione, gli fece rivoltare le budella.
«In
effetti è proprio così ed è per questo
che il televisore sarà tra
gli ultimi argomenti che tratteremo, come ben sai...»
Staccò di
nuovo il cervello, non aveva voglia né tempo di ascoltare
altre
baggianate sul mondo babbano. Di colpo aveva avvertito molte difese
Serpeverde cadere, quindi avrebbe potuto scavare nelle loro menti
indisturbato per un po'. O meglio, avrebbe voluto.
«Signor
Malfoy, la mia lezione sta disturbando le sue erudite elucubrazioni
mentali? Vuole condividerle con la classe? Devono essere davvero
interessanti per averla distratta così a lungo».
Cazzo! Quell'idiota
non sapeva quanto quel rimprovero avrebbe potuto cacciarlo nei guai,
non ne aveva la minima idea.
«Mi
perdoni signor Dukes, ma devo farle notare che sono costretto a stare
qui. Come lei già saprà, ritengo la babbanologia
un inutile spreco
di tempo» si era alzato in piedi, in modo da poter guardare
il
professore dritto negli occhi.
«Quindi per lei tutto questo non
conta?» disse indicando l'aula e gli oggetti intorno a
sé.
«Esatto»
rispose laconico Draco, mentre nella stanza era calato un silenzio di
tomba.
«Bene. Dieci punti in meno a Serpeverde per la sua
maleducazione, anche se sono certo che i suoi compagni la
accoglieranno come un eroe, nonostante la perdita. Ah, e prima che me
ne dimentichi, stasera verrà qui a scontare la sua
punizione»
proclamò con la stessa flemma, rimettendo gli oggetti nel
cestino e
sistemando alcune pergamene sparse sulla cattedra. Avrebbe condannato
a morte un innocente con la stessa quieta indifferenza, Draco ne era
certo.
«Punizione? E cosa dovrei fare? Scrivere un trattato su un
giocattolo per bambini come i suoi stupidi colleghi?!» disse
senza
pensarci.
«No, dubito che lei abbia le doti intellettuali per
scrivere un trattato di qualsivoglia genere».
Draco serrò
le mascelle incassando la stoccata. Se il piano di non farsi notare
era fallito, poteva comunque arginare i danni.
Potter, come molti
altri, si era voltato a guardarlo con un sorriso si scherno stampato
in faccia, mentre la Granger lo aveva ignorato controllando il
foglietto con l'orario delle lezioni. Non avrebbe saputo dire quale
dei due atteggiamenti odiasse di più, ma era chiaro che
reagire
fosse fuori discussione.
Di
positivo c'era che quella notte non avrebbe dovuto inventarsi una
scusa per lasciare il dormitorio, né avrebbe dovuto
utilizzare
incantesimi di disillusione per girovagare tra i corridoi. Se, dopo
aver scontato la punizione, avesse accidentalmente smarrito
la strada per i sotterranei, avrebbe potuto inventarsi di non
conoscere quell'ala del castello.
Nel
frattempo la lezione era giunta al termine e la Granger
schizzò via
senza nemmeno aspettare l'amichetto del cuore. Diede una rapida
occhiata all'orario delle lezioni: lo aspettava un'emozionante ora di
Erbologia con i Tassorosso.
Si alzò per andarsene ma, anche se la
porta era vicina, gli sembrò di non riuscire a trovarla e,
in breve,
rimase l'ultimo all'interno dell'aula. Chiuse gli occhi un paio di
volte e scosse la testa per scacciare quella fastidiosa sensazione di
confusione e poi si diresse verso l'uscita, ma questa venne
magicamente sbarrata.
«Perché
tanta fretta, Malfoy?»
lo fermò, trattenendolo per un braccio «Noi due
dobbiamo ancora
chiarire i termini della tua punizione».
Draco
sentì la minaccia velata dietro quelle parole, nonostante la
sensazione di smarrimento non lo avesse ancora abbandonato. Scosse di
nuovo la testa e scrollò le spalle per liberarsi dalla
stretta di
Dukes, ma questi sembrava parecchio determinato. La mano corse alla
bacchetta...
«Non
vorrai mica schiantare un professore, giusto Malfoy?»
lo canzonò sfacciato.
Dov'era finito il mite e imbranato
Brett Dukes? Si era lentamente dissolto durante l'ora e, in quel
momento, le ultime tracce stavano scomparendo lasciando il posto
all'uomo spavaldo che lo teneva in trappola.
«Farò
tardi alla prossima lezione, quindi se non le dispiace...»
lasciò
cadere la frase e fece per andare via, ma stavolta Dukes si
parò di
fronte alla porta con uno strano sorrisetto a incurvargli le labbra.
Era alto quasi quanto Draco e non dimostrava più di
trent'anni e,
malgrado il maglione infeltrito, si intravedevano i muscoli definiti
delle braccia e delle spalle larghe. Per quanto si sforzasse di
apparire un noioso topo di biblioteca, non avrebbe mai avuto
l'aspetto di un professore e ora Draco ne stava avendo
conferma.
Giunti a quel punto era inutile continuare a opporre
resistenza. Qualunque cosa Brett Dukes avesse intenzione di fargli
non avrebbe potuto fermarlo in nessun caso. Sospettava che fosse
più
abile di quel che aveva dato a vedere.
«Va
bene,» sollevò le mani in segno di resa
«andiamo
nel tuo ufficio».
«Bravo,
non avevo nessuna voglia di schiantarti»
disse
con una risatina, facendogli strada verso il piccolo studio in cima
alle scale.
«Tu non
smetti mai di ridere?»
«Dovrei?»
lo invitò ad entrare con uno spintone e poi richiuse la
porta dietro
di sé.
Il famigerato ufficio era una stanza spoglia, fatta
eccezione per la scrivania centrale, qualche scaffale di libri e
alcune lampade. C'erano poi la poltrona del professore e altri due
posti a sedere di fronte allo scrittoio. Era strano, perché
in
genere ogni professore arredava il proprio studio in modo molto
personale e lo riempiva di oggetti e libri che potessero servigli
durante le lezioni.
Draco rimase in piedi accanto alla feritoia
nel muro, unica finestra e fonte di luce, mentre Brett, lanciati
diversi incantesimi di protezione e sigillata la porta,
gettò via
gli occhiali e si accomodò sulla poltrona stendendo le gambe
sopra
il tavolo.
«Vuoi restare fermo come una statua ancora per
molto?»
persino il suo accento era diverso, molto più... irlandese?
«Sì!
Mi vuoi spiegare chi sei e che cosa vuoi da me? Vuoi uccidermi?
Torturarmi? Prego,» allargò le braccia
«ma fai in fretta perché
mi sono rotto di questo giochetto del cazzo!»
esclamò
esasperato.
«Mi avevano parlato di te come di un gelido figlio di
puttana e, invece, sei solo una donnetta isterica» si
alzò con un
colpo di reni per fronteggiarlo.
«Di cosa stai parlando?» sibilò
velenoso come un serpente a due passi da lui.
Brett non si lasciò
impressionare dal suo sguardo tagliente, ma accese con calma una
sigaretta presa dall'interno della giacca.
«Risparmiami la
scenata, ti prego,» disse serio «e piuttosto, vedi
di non
costringermi mai più a salvarti il culo, chiaro? Se non
fosse per me
saresti stato scoperto e addio alla copertura, cocco!»
alzò il tono
sventolandogli un dito davanti alla faccia.
«Salvarmi?
Copertura?» un'idea cominciava a farsi strada nella mente del
ragazzo, un'idea difficile da metabolizzare e che gli fece corrugare
la fronte.
«Dai, ci sei quasi, un ultimo sforzo!» disse Brett
con quel suo tono irritante.
Draco passò in rassegna le possibili
ragioni che avrebbero dovuto spingere quello strano individuo a
parlare di "salvargli il culo".
Scartò a priori
l'ipotesi della vendetta, se avesse voluto ucciderlo avrebbe trovato
un modo più discreto e meno compromettente, ma soprattutto
non si
spiegava da cosa lo avesse salvato. Un babbano che si finga mago per
poter insegnare quella stupida materia era fuori discussione, non
avrebbe neppure trovato il castello... poi, l'illuminazione. La
parola chiave era un'altra: copertura.
Le mani tra i capelli, gli
occhi sgranati e la pelle bianca ancora più bianca. Non
voleva
crederci.
«Tu sei il mio contatto?!» quel bizzarro irlandese
privo di tatto, che si fingeva un tranquillo professore di
Babbanologia era il suo unico contatto con l'esterno? Quell'idiota
sbruffone avrebbe dovuto aiutarlo?!
«Sì e non credere che la
cosa mi renda felice, quindi smetti i panni della ragazzina con il
ciclo e... e piantala di darmi dell'idiota! Non sei abbastanza abile
per schermare la tua mente come si deve!» squittì
irritato.
«E
tu smettila di leggere nella mia mente!»
«Sono un Legilmens,
idiota! Cerca di sradicare la convinzione che gli irlandesi siano
stupidi da quella testolina se non vuoi rogne!»
Draco fece un
respiro profondo e prese posto in una delle poltroncine. Continuare a
urlarsi contro non avrebbe portato da nessuna parte e, se quello era
davvero il suo contatto, dovevano imparare a tenere una conversazione
civile.
«Va bene, dimmi quello che c'è da
sapere».
«Tanto
per cominciare, non provare mai più a leggere la mente dei
tuoi
compagni quando sono così vigili e attenti. Per quanto
possano
essere alle prime armi, ti assicuro che non sei abbastanza discreto
da non farti notare. Detto questo,» spense il mozzicone
dentro un
posacenere, sedendosi di fronte a Draco «il mio vero nome non
è
Brett Dukes, ma tu sei ancora in prova e non posso di certo svelarti
la mia vera identità. Ti basti sapere che sono un Auror e
che, se ti
azzardi a fare un passo falso, ti farò il culo e poi ti
regalerò un
biglietto di sola andata per Azkaban, okay?»
«So già qual è la
procedura, non c'è bisogno che me la ricordi»
rispose
stizzito.
«Meglio così! Ora, come avrai intuito, la
punizione è
solo un pretesto per farti uscire indisturbato. Verrai qui, resterai
un po' di tempo e poi ti recherai al quinto piano, alla statua della
chimera».
«Che c'è al quinto piano?» Ricordava
vagamente
quella statua perché era lì che le Corvonero si
facevano trovare
quando avevano un appuntamento. Dicevano che non era troppo lontano
dal loro dormitorio, ma nemmeno così vicino da destare
sospetti.
Brett incrociò le mani sulla scrivania, puntellandosi
sui gomiti, con una buffa espressione simile a quella dei bambini che
abbiano appena commesso una marachella. Doveva aver letto anche
quell'ultimo pensiero.
«Quando la Parkinson ha fatto la sua
stupida osservazione sulle penne babbane, ho approfittato del momento
di distrazione per scavare più a fondo nei suoi pensieri e
ho
scoperto che ha un appuntamento a mezzanotte proprio nei pressi di
quella statua» disse senza nascondere una certa soddisfazione.
«E
non sei riuscito a scoprire altro?» la situazione cominciava
a farsi
seria e lui voleva quante più informazioni possibili per non
farsi
trovare impreparato.
«Solo che deve vedersi con un Corvonero, ma
non ho voluto rischiare oltre. In fondo è compito tuo
svelare il
mistero» schizzò sulla poltrona e
cambiò di nuovo posizione,
mettendo una gamba sul bracciolo.
«Pansy che incontra un
Corvonero dietro la statua della chimera? Potrebbe trattarsi di una
semplice scopata!» strinse i pugni per costringersi a non
urlare.
Brett sbuffò seccato «Un Legilimens non carpisce
solo
informazioni, ma anche emozioni, ricordi, sentimenti. Se ti dico che
c'è sotto qualcosa puoi metterci la mano sul fuoco. In caso
contrario ci penserò io a sistemare la faccenda,
okay?»
Annuì a
fatica, non aveva altra scelta: doveva fidarsi, anche se quello era
l'auror più assurdo che avesse mai incontrato.
«Ovviamente dopo
tornerai di corsa al tuo dormitorio e mi darai tutte le informazioni
domani mattina. Ho letto il tuo orario e so che hai un'ora
buca».
«E
secondo te non è sospetto che Draco Malfoy usi quel tempo
per far
visita al professore di Babbanologia?» chiese con tono di
sufficienza e un sopracciglio alzato fino all'attaccatura dei
capelli.
«Certo! Ma la punizione prevede che tu debba catalogare,
con mezzi babbani, tutti gli oggetti che ci sono in aula e, ti
assicuro, sono davvero tanti. Sarebbe impossibile finire tutto in una
notte, per cui sarai costretto a tornare domani e per chissà
quanti
altri giorni. Quando la scusa non reggerà più ti
farai punire di
nuovo!» ghignò e si accese un'altra sigaretta.
Un raggio di sole
entrò dalla feritoia e colpì le volute di fumo
argenteo che
volteggiavano pigre verso l'alto. Cominciava ad abituarsi all'intenso
odore di tabacco misto ad un fiore che non aveva riconosciuto.
«Rosa
canina» disse tranquillo Brett, incurante della cenere caduta
dalla
sigaretta che teneva mollemente poggiata sulle labbra.
Draco
sollevò gli occhi al cielo «Piantala,
dannazione!»
«Su, su,
mio caro rampollo in disgrazia, non disperare. Farò in modo
di
inserire qua e là qualche lezione di Occlumanzia, sei
contento?» di
nuovo quel ghignò e di nuovo la voglia di farglielo sparire
a suon
di pugni.
«Se questo ti rende felice» mormorò a
denti stretti.
«E comunque vorrei proprio sapere perché con
un'intera squadra di
auror qui a scuola, tu...»
Brett si rabbuiò «Loro non
c'entrano, questo caso appartiene alla mia squadra»
Il
cambiamento d'umore repentino turbò il Serpeverde che si
chiese
quante cose ci fossero ancora da scoprire sugli auror.
«Hai fatto
bene a tirare fuori l'argomento,» spense il mozzicone, prese
una
fiaschetta dal cassetto e ne bevve un sorso «quegli auror non
sanno
chi sono perché non hanno mai avuto la fortuna di
conoscermi. Se lo
sapessero potrebbero mandare all'aria tutta l'operazione».
«Ah
sì? Quindi non vivete tutti nella stessa stanza e non
mangiate tutti
dallo stesso piatto?» scosse la testa con finta
incredulità, ma
Brett ignorò la battuta.
«Matthew Turner è bravo nel suo
lavoro, ineccepibile, porta a termine le missioni come una mortale
macchina da combattimento. Durante la seconda guerra magica ha ucciso
parecchi mangiamorte, sia sul campo che nel corso degli
interrogatori, l'unico problema è che ha qualche rotella
fuori
posto».
Guardò Draco dritto negli occhi: «Stai molto
attento,
Malfoy. Per lui sei solo l'ennesimo falso pentito,
ricordatelo» finì
lapidario e sospirò stiracchiandosi.
«Fammi capire,» si passò
la lingua sulle labbra secche «dovrei credere che tu sei un
auror
basandomi sulle tue parole? Chi mi dice che tu non sia un Legilimens
molto astuto che finge di essere il mio contatto solo per trarmi in
inganno e smascherarmi?»
Senza dire altro l'auror mise una mano
sotto il collo del maglione e ne tirò fuori un pendaglio
d'oro, il
quale scintillò alla luce del sole che ormai aveva inondato
la
piccola stanza. Si trattava di una placchetta su cui era stato inciso
il simbolo del Ministero della Magia, colorato poi con uno speciale
inchiostro opalescente. Suo padre gli aveva spesso parlato di quel
ciondolo, era dato in dotazione solo agli auror che avevano superato
le prove di addestramento. Molti mangiamorte avevano provato a
riprodurne una copia per infiltrarsi nei reggimenti, ma era
impossibile perché solo il Ministero conosceva la formula di
quell'inchiostro. Rubarli era fuori discussione: una volta tolti si
dissolvevano, inviando un messaggio ad un apposito ufficio del
Ministero che aveva la funzione di ritrovare gli auror scomparsi o
dispersi.
Brett lo fece penzolare con sguardo di sfida «Vuoi
dargli un'occhiata più da vicino?»
«Va bene, mi fido» si
arrese. «C'è altro che dovrei sapere?»
«No, per il momento
puoi andare» sventolò le mani davanti a
sé per rimarcare il
concetto.
Draco, ancora frastornato per tutte le informazioni e le
rivelazioni ricevute, si avviò verso la porta ma quando fu
sul punto
di aprirla si rese conto di essersi dimenticato la cosa più
importante.
«Sta bene» disse Dukes, semplicemente.
«Chi?»
si girò a guardarlo e vide un altro sorriso comprensivo sul
volto
del finto professore.
«Tua madre, sta bene».
*
Che
Draco Malfoy avesse detto la verità era già di
per sé un evento
eccezionale, ma che Draco Malfoy avesse addirittura detto la
verità
a Hermione Granger poteva significare solo che l'apocalisse era
vicina. Aveva poca importanza che volesse qualcosa in cambio, la
notizia era comunque talmente sconvolgente che, se avesse voluto
creare un pettegolezzo più grosso di quello che la
riguardava,
avrebbe avuto materiale per mesi interi.
Le supposizioni di Pansy
si erano diffuse tra la prima e la seconda ora, avevano camminato
veloci, di bocca in bocca, per tutto il castello e già
all'ora di
cena tutti sapevano che Hermione Granger urlava nel sonno in preda a
incubi terribili.
Era sorpresa e un po' delusa dalla mancanza di
ricami e merletti intorno alla sua storia, si sarebbe aspettata un
po' più di fantasia, ma probabilmente la presenza di
così tante
testimoni aveva contribuito ad arginare la situazione.
Il suo
piano di saltare la cena e tutti i pasti per i restanti mesi di
permanenza a Hogwarts andò in fumo quando si rese conto che
avrebbe
solo peggiorato la situazione, per cui si fece coraggio e si
inoltrò
all'interno della Sala Grande. L'odore forte e speziato dell'arrosto
e quello dolciastro del pudding le avevano riempito subito le narici
nauseandola. Cercò Harry con lo sguardo tra la folla e
quando lo
vide si sforzò di andargli incontro sorridendo per non
destare
sospetti. Le voci sarebbero rimaste tali solo se lei non le avesse
confermate.
Giunta al tavolo i suoi amici la squadrarono di
sottecchi, incapaci di porle la domanda da un milione di sterline,
quella che tutti gli studenti di Hogwarts bramavano di farle.
Calì e
Lavanda fremevano al loro posto, in attesa del più piccolo
segnale
di disagio da parte della compagna per poter partire all'attacco, ma
lei era troppo scaltra per lasciarsi cogliere impreparata.
«Hey
tu!» puntò il dito contro Harry «Non
credere di averla passata
liscia, te la farò pagare per oggi!»
«Che è successo oggi?»
chiese Ginny addentando un tramezzino.
«Il tuo ragazzo non mi ha
aspettata e si è seduto accanto a Seamus, così a
me è toccato
Malfoy! Ci puoi credere?» si finse oltraggiata, mentre
provava a
riempire il piatto con qualcosa che non fosse troppo unto né
troppo
solido.
«Mi spiace davvero, ma se poi tu non fossi arrivata in
tempo e fosse toccato a me? Addio lezione, bentornata infermeria!
Abbi un po' di cuore».
Lo guardò in cagnesco ancora per qualche
secondo, ma poi scoppiarono entrambi a ridere. Esultò
mentalmente
per il modo in cui era riuscita a simulare quella risata, nonostante
lo stomaco facesse i capricci.
Sto
ridendo, sto mangiando, mi comporto come sempre... dovrei aver
convinto tutti.
«Oh,
senti Hermione, te lo devo chiedere, non ce la faccio
più!» esplose
Calì.
«Dimmi pure» disse Hermione continuando a
ridacchiare.
«Beh, da oggi si vocifera che sia stata tu a urlare
stanotte. Ma non lo faccio per me!» si affrettò a
dire «Non è
giusto che dicano delle falsità su di te,
perciò...»
«Oh, sì
ho sentito una cosa del genere oggi in biblioteca, ma mi dispiace
deluderti, ieri sera stavo facendo la mia ronda notturna».
Grazie
a Malfoy (purtroppo) aveva avuto tutto il pomeriggio per rimuginare
sulla versione migliore da dare in caso di domande dirette come
quella. Tra i compiti dei Caposcuola c'era anche quello di
controllare che gli studenti, Prefetti compresi, fossero tornati nei
loro dormitori dopo cena. Di solito le ronde si protraevano per
qualche ora e quando i Caposcuola andavano a letto tutti stavano
già
dormendo. Era quindi certa che l'avessero sentita rientrare: aveva un
alibi di ferro.
«Ma allora chi è stato?!» delusione,
shock,
paura, tutte queste emozioni attraversarono il volto di una
Calì
sconvolta dalla rivelazione del secolo.
«Non saprei, magari
qualcuno che ha avuto un incubo» fece spallucce.
«Merlino! State
ingigantendo tutta la faccenda. A chi vuoi che interessi?»
era stata
Ginny a parlare, ormai al limite della sopportazione.
«A me
interessa!» saltò su Lavanda «Dopo tutto
quello che è successo
l'anno scorso non voglio ritrovarmi ad utilizzare incantesimi di
difesa, magari nel cuore della notte, perché voi avete
deciso di
lavarvene le mani!»
Catastrofe.
Quando
Ginny e Lavanda iniziavano a discutere civilmente i capelli di
entrambe allacciavano le cinture, pronti a vedersi strappare via
dalle rispettive teste. Non era un odio scaturito da un litigio, ma
un'intolleranza atavica stabilitasi nel momento in cui i loro sguardi
si erano incrociati per la prima volta. Le due erano inoltre agli
antipodi, una frivola e civettuola, l'altra pragmatica e schietta,
non c'era speranza di vederle parlare in modo tranquillo.
«Rimangiati
tutto, stronza» sibilò minacciosa la piccola
Weasley, stritolando
quel che rimaneva del tramezzino.
«Ti piacerebbe!» rispose
sprezzante Lavanda «Sappi che se state nascondendo
qualcosa...»
«Ragazze, smettetela di litigare» intervenne
Neville mettendo un tappo su quel vulcano in eruzione.
Aveva un
inquietante sorriso a trentadue denti e gli occhi sgranati.
«Neville,
stai bene?» chiese incerta Hermione.
«Sì, ma Turner ci sta
osservando e non mi piace per niente. Harry, non voltarti per nessun
motivo».
Da quella posizione lei e Neville avevano la visuale
perfetta sull'auror e il resto degli insegnanti.
Hermione spostò
lo sguardo sulla McGranitt, che stava seduta al centro, poi su
Vitious che era il più vicino a Turner,
all'estremità destra del
tavolo. Era vero, li guardava con insistenza e l'espressione sul suo
viso non era delle più amichevoli.
«Credete che possa
sentirci?» sussurrò Lavanda impaurita, guardando
il piatto con
interesse.
«No, ma muore dalla voglia, ecco perché non
dobbiamo
dargli nessun pretesto per venire qui a indagare» disse
Neville
pacato, tornando a mangiare la sua fetta di torta.
Hermione si
chiese se le voci che circolavano su di lei non fossero arrivate
anche alle orecchie degli auror.
Tutta
colpa di quella faccia da carlino,
pensò guardando il tavolo Serpeverde.
Pansy si godeva il momento
di gloria, ciarlando di come fosse riuscita a smascherare Hermione
Granger. Il suo sguardo, però, venne catturato da una testa
bionda.
La solita odiata testa
bionda.
Per quanto fossero seduti vicini, era evidente che Malfoy
fosse escluso dal resto del gruppo. Doveva aver finito di mangiare da
un pezzo, o forse non aveva neppure iniziato, restava fermo al suo
posto ignorando i suoi compagni di Casa e guardandosi intorno con
aria di sufficienza.
Non poteva credere che Mr. Spocchia avesse
davvero provato ad aiutarla e cominciava a temere che ci fosse sotto
qualcosa. Sì,
ma cosa?
Lo
avrebbe detto a Harry, se questo non avesse comportato il suo
coinvolgimento diretto nella faccenda. Si era appena liberato di un
grosso fardello, non voleva mettergliene un altro sulle spalle e
Malfoy avrebbe potuto rivelarsi piuttosto pesante.
Tornò a
guardarlo per accertarsi che stesse facendo lo stesso a sua volta, ma
lui la stava deliberatamente ignorando. Brutto segno o magari buono?
Era brava a consigliare gli altri, correggere gli errori le veniva
naturale, ma sbagliare da sola era diverso. Il fallimento era dietro
l'angolo e lei non aveva una Hermione a guardarle le spalle.
Era
così impegnata ad immaginarsi come sarebbe stato avere un
clone di
se stessa come amico, da non accorgersi della bomba finché
questa
non esplose. Lavanda non era mai stata brava a gestire la tensione e
quella sera il pasticcio di carne non doveva aver aiutato il suo
fragile apparato digerente a contenere l'emozione. Ebbe appena il
tempo di vederla gonfiarsi come un rospo, ma non di ripararsi almeno
con un tovagliolo.
«M-mi dispiace!»
Hermione pose una
mano davanti a sé, imprimendo forza su ogni singolo dito
teso, per
bloccare le scuse di Lavanda, mentre il resto del corpo restava
rigido come un pezzo di legno.
Aveva il vomito della ex ragazza
del suo ex ragazzo attaccato ai capelli e su metà del viso.
Non
voleva delle scuse, voleva la bacchetta per compiere uno sterminio di
massa.
*
Draco
uscì di soppiatto dal
dormitorio, risalendo svelto in superficie. Sperava che Prefetti e
Caposcuola non avessero modificato il classico e collaudato giro di
ronda, che aveva studiato con attenzione al sesto anno per potersi
recare nella Stanza delle Necessità. Per quanto riguardava
Gazza e
quella sua gattaccia spelacchiata... chi ne avrebbe sentito la
mancanza?
Giunto al secondo piano, bussò alla terza porta sulla
destra senza ricevere risposta. Provò ad aprirla con
l'alohomora, ma
l'unico risultato fu ricevere una lieve scossa elettrica. Era ormai
sul punto di darle fuoco, quando la porta cigolò sui cardini
e la
mano di Dukes spuntò per attirarlo dentro.
L'aula era appena
illuminata da alcune candele fluttuanti, che orbitavano attorno
all'auror donandogli il lugubre aspetto di un fantasma. Un fantasma
assonnato e molto spettinato.
«Avevi dimenticato l'appuntamento?»
disse Draco allibito.
«Forse,» rispose l'auror sbadigliando «e
comunque sei in ritardo, avresti dovuto raggiungermi subito dopo
cena, testa vuota».
«Ho avuto i miei buoni motivi. La Brown ha
vomitato in faccia alla Granger!»
«Prima cosa, ugh che schifo.
Seconda cosa, non dirlo che se le due cose fossero collegate».
«E
invece lo sono» ghignò beffardo. «Ne
abbiamo riso così tanto che
alla fine siamo finiti a bere in Sala Comune, come se fossimo ancora
vecchi amici».
«E ti illudi che questo significhi qualcosa?»
gli chiese scettico.
«Certo che no! Ma è già un passo
avanti».
«Voglio credere che sia così, è
già tardi e non
abbiamo altro tempo da perdere. Ora, guardami bene negli
occhi»
puntò gli indici verso il suo viso.
«Piuttosto la morte».
«Ah,
come sei schizzinoso! Arriva al quinto piano dalla scala secondaria,
lei userà quella principale. Si vedrà con il
Corvonero vicino alla
statua della chimera e tu dovrai nasconderti proprio lì. È
tutto chiaro? Hai bisogno di una mappa o magari vuoi che ti
accompagni tenendoti per mano?»
«Aspetta! Vuoi che mi nasconda
nel punto esatto in cui si incontreranno?! Forse non sai cosa
significhi nascondersi!» avrebbe ucciso quello sciocco
irlandese
prima di portare a termine il proprio compito.
«Ti
tratterei da adulto, credimi, se solo non fossi davvero un moccioso
viziato» sbuffò spazientito.
«Usa dei cazzo di incantesimi di
protezione! E comunque la statua è davvero enorme,
basterà che ti
sistemi sul lato opposto a quello da cui arriverà la
Parkinson».
Un
ex mangiamorte inglese e un auror irlandese, messi insieme avevano la
carica esplosiva di una pozione preparata da Seamus Finnigan. La loro
collaborazione era iniziata da neppure un giorno e avevano
già
litigato così tante volte da potersele far bastare per il
resto
della vita.
Draco non rispose, intento a schermare la mente carica
di pensieri di morte verso l'auror, e Dukes interpretò a
modo suo
quel silenzio.
«Li conosci, vero? Muffliato, Salvio Hexia...»
prese ad elencare incantesimi di protezione come fossero ingredienti
di una semplice pozione.
«Sì, li conosco, falla finita!»
sbottò stanco di tutte quelle chiacchiere.
Brett non sembrò
prenderla bene, lo spinse fuori senza troppe cerimonie intimandogli
di tornare con delle informazioni utili e poi sigillò di
nuovo la
porta.
Era fuori dall'aula di Babbanologia, ce l'aveva fatta.
Le zampe della
bestia acquattata
artigliavano il massiccio basamento di pietra, tre fauci spalancate
proiettavano le lunghe ombre delle zanne sul pavimento, mentre la
luce lunare metteva in evidenza le scaglie del drago sulla schiena
arcuata e tre file di grossi spuntoni. Le ali semi-spiegate gli
offrirono il rifugio che temeva di non trovare, s'infilò
nell'incavo
tra la statua e il muro, poi recitò gli incantesimi di
protezione e
restò in attesa.
Guardò l'orologio: mancavano poco meno di dieci
minuti alla mezzanotte. Chiuse gli occhi, appoggiò la testa
contro
la parete fredda e fece un respiro profondo. Sentiva il sangue
pulsargli nelle orecchie e le gambe doloranti, ma non era il momento
di farsi prendere dal panico. Il suono di passi leggeri
riecheggiò
nel silenzio del corridoio. Come aveva detto Brett, Pansy era
arrivata dalla scala principale e si era fermata davanti alla
finestra. Riusciva a vederla attraverso le ali della chimera, aveva
la preoccupazione dipinta sul volto e si stringeva nelle spalle
guardandosi intorno senza lasciare il cono di luce. Sobbalzò
e puntò
la bacchetta davanti a sé quando il rumore di altri passi
giunse
dalla scala buia. Era lui, ne ebbe conferma quando vide Pansy
rilassarsi. Indossava il mantello con lo stemma dei Corvonero cucito
sul petto e aveva il cappuccio calato sulla testa.
«Allora?
Quanti sono?» chiese Pansy con l'impazienza che la
contraddistingueva.
«Non quanti speravamo. Ho dovuto usare
l'Oblivion parecchie volte, sono troppo astuti».
«Ti ho chiesto
quanti» sgranò gli occhi verdi con rabbia, il suo
viso contratto
era l'unica cosa che Draco riuscisse a vedere da quella
posizione.
«Nessuno, tranne lei» rispose pacato l'altro.
Sembrava che niente potesse turbarlo.
«Lei?! Ci farà ammazzare
tutti, lo sai» la Serpeverde era sempre più
agitata, tanto che
faceva fatica a mantenere un tono di voce basso.
Quello stralcio
di conversazione, all'apparenza incomprensibile, aveva confermato le
teorie degli Auror e Draco sentì brividi di terrore
percorrergli la
schiena. Un amico in quel momento gli avrebbe fatto comodo, senza
dubbio. Qualcuno di intelligente, in grado di reggere la tensione e
pensare in fretta, qualcuno come...
«Shh! Hai sentito?» sussurrò
Pansy spaventata.
Non l'aveva vista, era giunta lì silenziosa
come un gatto e si era accostata alla stessa ala dietro cui lui era
nascosto. Intravide il profilo dei ricci castani, mentre un passo
alla volta indietreggiava, appiattendosi al muro. Doveva aver usato
un incantesimo, perché le sue scarpe non producevano alcun
rumore,
ma le sarebbe servito a ben poco se quei due l'avessero scoperta.
Ormai si era avvicinata davvero tanto, a Draco sarebbe bastato
allungare la mano per trarla in salvo, ma era rischioso: e se gli
incantesimi non avessero retto? Perché rischiare tutto per
una
stupida Grifondoro ficcanaso?
Pansy, la punta della
bacchetta brillante di luce chiara, stava avanzando nella loro
direzione, seguita a ruota dal Corvonero. Draco prese per mano
Hermione e la attirò a sé un attimo prima che la
Serpeverde
illuminasse il corridoio.
«Ti preoccupi per niente, qui non c'è
nessuno» Draco si maledì per non aver mai prestato
attenzione ai
Corvonero, di sicuro avrebbe riconosciuto quell'insopportabile tono
saccente.
E continuò a maledirsi mentre provava a non ingoiare i
capelli della Grifondoro che gli solleticavano il viso. La stringeva
al petto tappandole la bocca, in modo che non fiatasse e non si
muovesse, perché non sapeva quale degli incantesimi fosse
ancora
attivo.
«Mi sembrava di aver sentito il respiro di qualcuno,
proprio qui, dietro la statua» soffiò Pansy con
tono tremante.
«Ah
sì? Be', ma allora dovremmo controllare» disse il
ragazzo, una nota
maligna ad animargli la voce.
Siamo fottuti, pensò Draco
mentre il Lumos del Corvonero lo accecava.
«Uff, Pansy non sei
per niente adatta. Sicura di essere figlia di un mangiamorte? Sembri
una Tassorosso che viola per la prima volta il coprifuoco!»
ridacchiò dando loro le spalle.
«Ma io ho sentito qualcosa!»
protestò lei come una bambina.
«Sarà stato un fantasma» disse
chinandosi a baciarla.
Hermione fremette tra le sue braccia, forse
disgustata quanto lui da quello spettacolo di lingue e gemiti. Per
loro fortuna, però, non durò molto.
«Devo andare prima
che qualcuno si accorga della mia assenza».
Pansy non rispose, ma
si staccò da lui e sollevò la mano sinistra, in
modo da mostrargli
il palmo, il Corvonero fece la stessa cosa e poggiò la mano
su
quella di Pansy.
«Rózsák
Örokké!» dissero all'unisono e poi
si separarono, ognuno per la sua strada, inghiottiti di nuovo
dall'oscurità.
Draco allentò la presa su Hermione, ma lei non si
mosse, forse troppo scioccata per poter dire o fare qualcosa.
Forse.
«Credo siano andati via» disse con ancora il mento
incastrato fra i suoi capelli.
Hermione trasalì. Lo spazio
era davvero stretto, ma riuscì comunque a girare su se
stessa per
poterlo guardare in faccia: «Tu!»
esclamò fuori di sé.
«Tu!
Tu! Tu! Che ci facevi nascosto qui dietro?!» quasi gli
conficcò
l'indice nel petto.
«Ahia! Dovresti ringraziarmi!» disse
bloccandole i polsi ai lati del corpo.
«Per cosa?» Già, per
cosa? Dirle la verità era fuori discussione, non aveva
bisogno di
San Potter e di tutta la combriccola tra i piedi. Aprì e
chiuse la
bocca un paio di volte senza riuscire ad articolare una frase di
senso compiuto.
«Dimmi almeno perché sei qui!»
esclamò a pochi
centimetri dal suo viso, pestandogli un piede.
«La vuoi smettere
di farmi male?!» mostrò i denti come una fiera
ferita. La ragazza
sapeva difendersi e gli avrebbe fatto un occhio nero se non avesse
parlato, ne era certo.
«Io... io mi trovavo qui per caso».
«Mi
stai insultando, Malfoy. Sei coinvolto, non è
vero?»
«No che
non lo sono! Come ti viene in mente?»
«Continui a insultarmi
e... e lasciami!» si liberò con uno strattone.
«Devo per caso
elencarti tutti i motivi che mi spingono a pensare che tu sia
coinvolto? Sul serio, Malfoy?»
Sputava il suo cognome come fosse
un boccone particolarmente amaro e quel “Malfoy”
ripetuto con
enfasi cominciava a suonare come un insulto. Un orribile insulto. Non
sarebbe stato facile trovare una scusa che potesse convincerla a
lasciarlo in pace, ma, d'altro canto, conosceva bene il nobile animo
Grifondoro, così attento e sensibile ai problemi degli
altri, che
sarebbe bastato toccare i tasti giusti per indurla a desistere.
«Vuoi
davvero sapere perché ero nascosto dietro questa
statua?» disse con
una punta di esasperazione. L'aveva distratta abbastanza per
elaborare una scusa plausibile, era il momento di entrare in scena.
Sospirò con teatralità e abbassò lo
sguardo per poterla guardare
negli occhi.
Lei sembrò sorpresa da quella reazione, forse si
aspettava qualche maledizione e invece lui stava per parlarle con il
cuore in mano, come un tenero grifoncino impaurito. Ripensò
all'espressione terrorizzata di Paciock undicenne e disse:
«Ho
paura, Granger. Sono in una posizione scomoda, i miei compagni mi
odiano e comincio a temere che tramino qualcosa contro di me. Stasera
ho origliato una conversazione tra Pansy e Millicent e quando ho
saputo che sarebbe venuta qui, l'ho preceduta» si
passò una mano
tra i capelli senza interrompere il contatto visivo.
Erano in
penombra, la scarsa luce che filtrava attraverso la statua creava
ombre sui loro visi, ma Draco riuscì comunque a vedere il
lieve
rossore che colorò le guance di Hermione. Avvertì
il suo cuore
battere più veloce, accompagnato dal ritmico alzarsi e
abbassarsi
del seno premuto contro il suo petto. Sapere di averla messa in
imbarazzo lo riempiva di una maligna euforia. Negli anni di scontri
in corridoio l'aveva messa alla prova, curioso di sapere fin dove
avrebbe potuto spingersi prima di vederla crollare. Riteneva ingiusto
che una Nata Babbana come lei fosse migliore di lui in tutto e voleva
distruggerla; ricordava bene la sensazione che gli provocava vederla,
la voglia di schiacciarla come fosse un brutto insetto e si rese
conto di non provare più le stesse cose. O quasi.
Le mise una
mano sulla spalla «Stai bene? Sembri turbata».
«D-dovremmo
uscire, quale che fosse il motivo tu non dovresti essere qui e io
devo finire la mia ronda» disse incerta.
L'aveva convinta ed era
riuscito a farle dimenticare l'ultima parte della conversazione tra
Pansy e il Corvonero. Le avrebbe chiesto di lui, se questo non avesse
significato spostare di nuovo l'attenzione della Grifondoro su
quell'argomento. Ciò che aveva visto meritava di essere
obliviato
senza esitazione, ma lui non era abbastanza bravo con quel tipo di
incantesimo e non era il caso di cancellare la memoria alla Granger,
rischiando di attirare altre attenzioni negative su di sé.
«Sì,
hai ragione. Dopo di te» poggiò le mani sui
fianchi della ragazza e
la spinse oltre l'ala di marmo della chimera. Hermione non
sembrò
apprezzare quel gesto e, anzi si guardò intorno preoccupata
e, dopo
aver sistemato la divisa, lanciò un Homenum Revelio in ogni
direzione.
«Credevo che solo i maghi e le streghe più esperti
sapessero usare quest'incantesimo».
«E infatti io lo sono,
Malfoy» di nuovo sembrò che stesse cercando di
offenderlo.
Lui
ignorò la provocazione, ansioso com'era di tornare nel suo
personale
covo di serpi prima del loro risveglio.
«Be', Granger, non posso
dire sia stato un piacere...» fece per
andarsene.
«Aspetta...!»
Draco, ora giri i tacchi e
te ne vai per la tua strada.
Fece alcuni passi, superò un
grosso arazzo e due armature, ma poi fu costretto a fermarsi quando
si ritrovò la Granger attaccata al mantello.
«Che vuoi?»
utilizzò l'ultimo briciolo di pazienza per non mandarla a
quel paese
assieme a tutta quella pantomima.
«Perché sei così sicuro che
vogliano farti del male?» la luce delle torce accese si
rifletteva
sui suoi ricci castani, illuminandoli di sfumature dorate. Gli
sembrò
sinceramente dispiaciuta.
Povera ingenua Grifondoro, non hai
imparato proprio niente...
«Sono uscito da Azkaban, penso sia
una buona giustificazione».
«Ah... già» disse pensierosa.
«Che
significa quella cosa che hanno fatto Pansy e il suo
ragazzo?».
Stupido idiota! Si sarebbe preso volentieri a schiaffi
se non ci fosse stata la Granger ad assistere. Era ovvio che lei non
avesse dimenticato un bel niente, stava solo aspettando il momento
migliore per parlarne, al sicuro e con la bacchetta a portata di
mano.
«Io... io non lo so proprio».
Per la seconda volta in
un giorno Draco Malfoy aveva detto la verità a Hermione
Granger.