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Autore: DeaPotteriana    22/08/2015    5 recensioni
Questa fanfiction era già stata postata, ma ho deciso di riscriverla completamente, in quanto non mi sembrava...mia. Quindi questa è la Re-edizione de "L'Ultima Black".
E se Sirius Black avesse avuto una figlia?
Questa è una raccolta di avvenimenti della vita di Helena Kaitlyn Black, una vita difficile, passata nella rabbia, nel dolore e nella solitudine. Una vita passata senza genitori, con una famiglia dura e razzista e un padrino troppo buono per riuscire a gestire la figlioccia.
Questa storia narra di questo e di molto altro. Narra di un'amicizia eterna, una scuola che fa da casa e una Casa che non sembra adatta a Kait; parla di una guerra in arrivo, di lacrime trattenute a stento e di lutti strazianti. È solo una fanfiction, ma immaginate come sarebbe stata la vita della figlia di Sirius Black, se solo fosse esistita.
Non siete curiosi?
Vorrei dimostrare, in questa storia, che a volte il dolore toglie il fiato, che l'amore spesso non basta e che essere un eroe ha sempre il suo prezzo. Spero di riuscirci.
EDIT: STORIA INCOMPIUTA, NEGLI ULTIMI 2 CAPITOLI SPIEGO COME FINISCE.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Famiglia Black, I fondatori, Il trio protagonista | Coppie: Ron/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Isn't that what a great story does? Makes you feel?'
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L’ultima luna piena

Erano un gruppo strano, ma il solo guardarlo causava a Kait un moto di gioia ruggente nel petto. Si erano inoltrati nel tunnel che li avrebbe portati a Hogwarts, Minus tenuto costantemente sotto tiro e Piton che ciondolava svenuto, sollevato dalla bacchetta di Sirius. L’uomo era l’ultimo della fila, affiancato da Kait - che aveva continuato a chiamare Helena, ignorando la tensione che la prendeva nel sentire quel nome - e da Harry, i cui occhi luminosi non lo lasciavano un istante.

“Sapete, quando Peter sarà rinchiuso io sarò considerato innocente,” mormorò dopo qualche minuto. Kait sorrise e gli strinse un braccio, annuendo.

Probabilmente aveva aspettato quel momento per tutta la vita.

Alla fine, non aveva fatto lo stesso anche lui?

“Potremmo…” continuò stavolta più esitante, “potremmo essere una vera famiglia, prendere una casa vicino a Londra e vivere lì. Insomma, se volete.”

Si voltò verso la figlia, che lo guardava come se avesse paura di vederlo scomparire in un secondo. “Anche Remus, si intende,” la rassicurò e sorrise nel notare il disagio scivolarle di dosso.

“Aspetta, tu vuoi… Vorresti che lasciassi i Dursley?” si fermò Harry, passando gli occhi sgranati dall’uomo alla ragazza. Prima che Sirius potesse anche solo rispondere “non sei costretto, è un’idea stupida”, Kait strinse la mano a Harry e gli diede un bacio sulla guancia. “Saresti libero,” gli disse e Black non riuscì ad ignorare il sollievo disarmante che si dipinse sul volto del figlioccio.

Un senso di rabbia lo invase - aveva sempre saputo che i parenti di Lily erano degli stronzi, ma con Harry sarebbero dovuti essere diversi.

Ricominciarono a camminare, ognuno perso nei propri pensieri, finché Sirius non si voltò ad osservare i ragazzi, che avevano rallentato per finirgli alle spalle. Si stavano cimentando nell’ardua impresa di baciarsi e camminare e, senza rendersene conto, Sirius si fermò. Rimase a fissarli finché non gli vennero addosso, dopodiché li guardò con un ghigno e un sopracciglio alzato.

Sua figlia.

Il figlio di James.

Ciò che significava? I loro figli sarebbero stati l’unione di lui e James! Già immaginava il momento in cui avrebbe dato loro la Mappa del Malandrino, o li avrebbe aiutati a organizzare i peggiori scherzi ai danni dei Serpeverde, e…

E per fare figli, è necessario fare sesso.

Impallidì vistosamente e Kait, ora lontana da Harry, gli sfiorò una spalla in un gesto di conforto. “Papà?” lo chiamò ed era così, così strano!

“Tu,” indicò Harry. Sirius ghignò nel notarlo indietreggiare. “I miei complimenti! Anche io alla tua età mi davo già da fare!”

E, prima di lasciare il ragazzo sorridere di sollievo, si voltò verso la figlia e smise di essere così contento. “Tu invece sei piccola per queste cose!”

Kait sobbalzò, sembrando colpevole per qualche secondo, dopodiché portò le braccia al petto e alzò il mento, in una posa di pura fierezza. “Sono più grande di lui di un anno,” puntualizzò. “Quindi o sei sessista, o ti fa impressione perché mi consideri una bambina.”

Sirius deglutì amaramente. “Sei mia figlia.”

“Già. E lo vedono tutti. Sono persino più bella di te.”

E a quelle parole, purtroppo, l’uomo non seppe rispondere. Era innegabile quanto lei gli somigliasse, sebbene avesse ereditato alcuni tratti dalla madre, e alcuni modi di muoversi da Remus. Immaginava che crescere con qualcuno lasciasse una traccia e si chiedeva come avrebbe reagito l’amico nel sapere che, una volta libero, avrebbe preso casa e lavorato per riottenere la custodia di sua figlia. Non voleva scatenare una “guerra”, ma aveva atteso dodici anni, per quel momento. Nessuno glielo avrebbe portato via.

Uscirono dal tunnel e si ritrovarono nel parco di Hogwarts. C’erano un po’ di nuvole, alte nel cielo, tuttavia dopo appena qualche secondo cominciarono a diradarsi e la luce della luna permise a tutti di vedere meglio.

Impiegò qualche istante a rendersi conto del perché la cosa gli sembrasse così sbagliata e immediatamente si lanciò su Remus, che aveva già cominciato il cambiamento.

Fu tutto molto caotico, da quel momento in poi.

Cercò di trattenere l’amico il più possibile e lui - o meglio l’essere che era diventato - lo allontanò più volte con spinte e colpi che gli spezzarono il fiato. Era troppo vecchio per quello.

“Kait?” sentì Hermione chiamare. La ragazza guardava la scena con occhi sgranati, stretta agli amici. “Tu non sei più un Animagus, vero?”

Kait scosse la testa e Sirius smise di prestarle attenzione.

Dall’altra parte del prato, Harry aveva la bacchetta in mano e stava discutendo con la Black. “Ma sai come fare, no?”

“Non è così semplice,” spiegò. “Imparare è un processo lungo mesi e io ho chiesto ai Fondatori di togliermi la capacità… innata, diciamo così.”

“Quindi che facciamo?”

Kait scosse la testa, la bacchetta alta contro l’uomo che l’aveva cresciuta. “Che giornata di merda,” sussurrò con un groppo in gola. Remus - per qualche motivo - perse interesse in Sirius e si diresse di corsa nella Foresta; Minus era sparito da un pezzo, mentre loro erano impegnati a gestire un lupo mannaro nel pieno delle sue forze - e Sirius si trasformò nuovamente in umano, zoppicando giù per la collina dove stavano loro. “Dobbiamo seguirlo!” urlò Harry avanzando insieme a Hermione. Ron aveva una gamba rotta, ma se la sarebbe cavata, insieme ad un Piton incosciente. “Kait?” la chiamò Harry. Indicò con due mani la strada che aveva preso Sirius e solo dopo qualche secondo si rese conto che la ragazza, anziché guardare le sue indicazioni, aveva gli occhi fissi sulla Foresta. “Si farà del male,” mormorò. “È quello che succede quando da ferire non ha altri che se stesso.”

“Kait!” esclamò Hermione, l’espressione preoccupata come se avesse capito le sue intenzioni. “Non sei più un Animagus.”

“Ho una bacchetta. E sono allenata, non mi prenderà.”

“Non puoi giocare al gatto e al topo! Non nelle parti del topo!”

“Hermione, devi capire!” sbraitò la Black. “Se avrà qualcosa da cacciare, da seguire, non si farà del male!”

“E se tu cadessi? Ti ferissi? Qualsiasi cosa, Kait, basta qualsiasi cosa, e lui ti sarà addosso. Pensa a domattina - come si sentirebbe nel sapere che ha divorato, o peggio trasformato, sua figlia?”

Udirono Ron borbottare un “priorità”, però nessuno gli prestò attenzione. “Sono addestrata.”

Fu Harry, a quel punto, a fermarla. “Sirius è…”

“Non posso perdere Remus.”

Salutò il Grifondoro con un bacio a fior di labbra, dopodiché scattò verso la Foresta, più veloce di quanto non fosse mai stata. 

“Come può…”

Hermione sospirò, voltandosi verso l’amico. “Harry, Kait ha fatto una scelta. Sirius è suo padre sul certificato di nascita, ma lei ne ha fatto a meno per tutta la vita o quasi. Remus è l’uomo che l’ha cresciuta,” prese fiato. “In qualche modo è Remus, suo padre. E ora ha bisogno di aiuto.”

La Black, intanto, aveva raggiunto la Foresta e vi si era inoltrata, la bacchetta infilata nel retro dei pantaloni per avere le mani libere. Fischiò un motivetto che Remus le cantava da bambina, nel tentativo di attirarlo e, forse in modo ingenuo, di fare appello alla sua parte umana. Se anche non fosse servito all’ultimo scopo, Kait era sicura di sopravvivere alla nottata.

Moody le aveva insegnato che i Lupi Mannari non erano troppo diversi dai lupi normali, alla fin fine, e che un lupo - soprattutto se da solo, un omega, - aveva bisogno di un branco. Kait era umana e non poteva più trasformarsi in Animagus, ma era quasi del tutto certa che Remus l’avrebbe ricordata. Se non la parte umana, almeno quella istintiva che riconosceva nel suo odore il proprio e quello della loro casa, della loro “tana”. Si sarebbe appellata al lato di lui, qualunque fosse, che la vedeva come il suo cucciolo.

Perché, sebbene il solo pensiero la confondesse, aveva due padri. Uno biologico e uno che l’aveva stretta durante gl’incubi, che l’aveva portata al binario 9 e 3/4 il primo giorno di scuola e che l’aveva sgridata quando era uscita dal loro giardino senza permesso.

Remus e il suo lupo, ne era sicura, non avrebbero mai ferito la loro stessa figlia.

Udì un rumore di rami spezzati alle sue spalle; senza voltarsi, scattò.

 

Aveva retto bene per la prima ora. Saltando ed arrampicandosi sugli alberi, zigzagando tra di essi e correndo nella Foresta, riuscì sempre a mantenere una certa distanza tra lei e il Lupo Mannaro.

Fu, però, una questione di un attimo. Smise di udire rumori alle proprie spalle e, girandosi a sbirciare, non vide alcun movimento, così si fermò - giusto un momento, per riposare.

Un momento.

E lui le fu addosso.

La schiacciò al terreno, le zampe a tenerle ferme le braccia e il muso a pochi centimetri dal suo naso. Fissò l’animale negli occhi prima di ricordare che i lupi lo consideravano un gesto di sfida. Subito voltò la testa, esponendo il collo in sottomissione.

Remus le passò il naso umido lungo tutta la pelle nuda, più e più volte, poi le respirò nei capelli. Si allontanò di qualche passo, muovendo il muso a destra e a sinistra come nel tentativo di schiarirsi le idee e Kait ne approfittò per tirarsi in ginocchio; un ringhio la costrinse a piegarsi nuovamente.

Mai cercare di superare la loro altezza, ricordò la Black. È un modo per sfidare l’Alpha.

Io sono l’omega, si costrinse a pensare, quasi l’idea potesse arrivare anche a lui.

Il Lupo Mannaro le si avvicinò e le annusò il collo per l’ennesima volta, poi le camminò affianco e le si posizionò alle spalle. Kait si irrigidì nel sentire i denti affilati sfiorarle poco sotto la nuca, ma quando l’animale la spinse con il muso per terra eseguì il comando, pregando di non finire sulla coscienza di Remus. Si sarebbe tormentato a vita, se le avesse fatto del male.

Si sentì abbassare da una zampa e, il tempo di chiudere gli occhi per riacquistare coraggio e riaprirli, e il Lupo Mannaro era disteso al suo fianco, il muso mezzo appoggiato sul viso di lei.

“Esatto,” sussurrò Kait arrischiandosi a voltarsi verso la foresta, così da dare la schiena all’animale. “Sono il tuo cucciolo.”



 

“È innocente!” sbraitò Harry, il respiro affannato nonostante fosse seduto su un letto dell’infermeria. Hermione, al suo fianco, afferrò la mano di Kait e la strinse. La Black aveva lo sguardo perso nel vuoto, immersa nei suoi pensieri.

Caramell le fece segno di alzarsi. “Vieni, cara. Ti accompagnerò io stesso a dirgli addio.”

La fissò come a dire “povera ragazza” e le strinse un braccio, più a sostenerla che a tenerla sotto controllo. “Mi auguro che ti renda conto che è ciò che doveva succedere.”

Kait non rispose, l’espressione ancora vuota. Aveva i capelli scompigliati e pieni di foglie, due occhiaie scure e i vestiti sporchi di terra, ma per il resto sembrava stare bene. Fisicamente, si corresse Harry. Quando era tornata a scuola, - Remus ancora disperso nel bosco - Caramell aveva avvisato tutti loro che Sirius avrebbe ricevuto il Bacio.
Kait era in quello stato da allora.

“Non sono d’accordo,” si intromise madama Chips. “È una mia paziente, dovrebbe rimanere qua in infermeria.”

“Dopo, signora, dopo,” le rispose Caramell con un cenno della mano, dopodiché accompagnò Kait fuori dalla stanza, scortati da un Auror. La ragazza riusciva a malapena a pensare. Si sentiva vuota, apatica, come se niente di bello potesse accadere a quel punto - come se un Dissennatore la stesse prosciugando. Perché suo padre avrebbe ricevuto il Bacio e la colpa sarebbe stata soltanto sua.

Era stata lei a farlo evadere e quindi ad aggravare la pena. Era stata lei a imporsi su Harry perché lo lasciasse spiegarsi, quando invece avrebbe solo dovuto urlargli di andarsene. Scappare, finché poteva.

E ora sarebbe morto - no, peggio, avrebbe perso ogni motivo di vivere. Sarebbe stato il fantasma di se stesso. Chiunque avrebbe preferito la morte, al Bacio.

E Sirius non avrebbe avuto scelta.

Per colpa sua.

Kait si fermò in mezzo al corridoio; si sentiva sul punto di svenire e Caramell, al suo fianco, la strinse per un braccio e la costrinse ad avanzare.

Era una Black, cosa si aspettava? Comprensione? Compassione?
Scosse la testa, camminando verso l’ufficio del professor Vitious, dove suo padre era rinchiuso.

Era tutta colpa sua.

Caramell sciolse momentaneamente l’incantesimo di blocco e lei e l’Auror entrarono nell’ufficio; l’uomo si sistemò con la schiena alla porta, lo sguardo fisso davanti a sé. Era lì per impedirle di aiutare Sirius in qualsiasi modo e, allo stesso tempo, per garantirle sicurezza mentre gli diceva addio. Chissà cosa quel pazzo assassino avrebbe potuto farle, pensavano tutti.

“Papà?” chiamò Kait con un sussurro. Gli si avvicinò con passo esitante e gli sfiorò la guancia, cogliendo il suo sguardo rassicurante. “Va tutto bene,” le disse con un sorriso, muovendo le mani quel poco che poteva nonostante le funi incantate che lo tenevano legato alla sedia. “Va bene. È stato bello essere libero per un po’.”

“Non va bene. È tutta colpa mia!” sussurrò al suo orecchio. Sapeva che qualsiasi cosa avesse detto davanti all’Auror sarebbe potuta essere usata contro di lei.

“Non dirlo neanche per scherzo, Hel-Kait,” si corresse. “Non è colpa tua.”

Kait lo abbracciò, nascondendo il viso nell’incavo del collo dell’uomo, che le baciò il capo. “Starai bene. Remus si prenderà cura di tutto.”

“Ma io voglio te.”

Il mago deglutì rumorosamente nel tentativo di scacciare il groppo che gli si era formato in gola e le diede un altro bacio. “Ti voglio bene.”

“No,” si impuntò Kait. Non voleva sentire, non voleva… Non poteva sopportarlo.

“Ascoltami,” mormorò Sirius al suo orecchio. “Quella che avrò non sarà vita. Dovrai… Dovrai dire a Remus di aiutarmi, okay? È il mio migliore amico e i-io non potrei chiederlo a nessun altro.”

“Cosa stai…” rispose Kaitlyn confusa, decidendo di non seguire il ragionamento che il suo cervello aveva compiuto. Si sbagliava, giusto?

“Non puoi essere tu. Mi rifiuto di farti diventare un’assassina,” e a quelle parole, la ragazza sussultò, “ma non sarà vita. Preferisco morire.”

“No.”

“Tesoro, per favor-“

“NO!”

Urlò l’ultima parola e l’Auror, che non era riuscito ad udire alcuna parola da quando i due si erano abbracciati, sobbalzò spaventato. Portò una mano alla bacchetta e avanzò di un passo, tuttavia al cenno di scuse della Black tornò al suo posto.

“Non puoi chiedermelo,” sbraitò lei a voce bassa verso il padre.

“Tu non vorresti la stessa cosa?”

Kait chiuse gli occhi, costringendosi a ricacciare indietro le lacrime, e annuì. “Okay. Okay, lo farò.”

“Chiedi a Remus. Non devi essere tu.”

Annuì di nuovo. “Ti voglio bene,” mormorò al suo orecchio. Il padre, commosso, le sorrise. “Sei così simile a tua madre, sai? Non tanto fisicamente quanto nei gesti.”

Kait sorrise a sua volta, sebbene il cuore le paresse pronto ad esplodere dal dolore.

“Dorcas sarebbe stata fiera di te.”

La ragazza si ritrasse nel giro di un istante, presa in contro piede.
“Scusa?!”

Non ci poteva credere: in punto di morte - o quasi - suo padre sbagliava il nome della moglie defunta? Ma che stronzo!

“Gillian,” lo corresse con tono irritato. Sirius la fissò come fosse un’aliena. “Gillian era la tua madrina.”

Kait trattenne il fiato, ripensando in un istante alle parole della McGrannitt e al sogno che aveva fatto anni prima. Non era possibile. Gillian…

Dorcas?!

“Tempo scaduto,” li interruppe l’Auror. La ragazza si strinse al padre e urlò quando l’Auror la trascinò via di forza, tenendola per le braccia e accompagnandola fuori dalla stanza. “Ti voglio bene!” gridò Sirius.

Non ebbe la forza di rispondergli.










NdA:

Ancora non ci credo che sono qui a postare. Avendo un esame la prossmia settima pensavo di non riuscirci prima minimo cinque giorni e invece eccomi qui :)
Che dire... Finalmente Kait ha scoperto di sua madre. Non l'ho fatta realmente reagire, ma spero possiate capirla - aveva cose più importanti a cui pensare, in quel momento.
Per quanto riguarda Remus, invece, spero che la mia idea vi sia piaciuta. Ho modificato leggermente i comportamenti dei Lupi Mannari, ma preferivo così :P


Spero con tutto il cuore che l'ultimo capitolo sul terzo anno vi sia piaciuto - se vi va, fatemelo sapere :*

Un abbraccio forte,
Dea

  
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