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Autore: madelifje    23/08/2015    1 recensioni
Kajdena sapeva che non avrebbe dovuto lasciarsi coinvolgere. Una ladra balbuziente esiliata dal popolo ignjs non è fatta per questo genere di cose. La sua vita era già abbastanza miserabile anche senza le spie, i pirati, le leggende, i complotti, le maledizioni, le profezie scomode, le alleanze discutibili e gli omicidi.
Avrebbe dovuto scappare quando ancora poteva farlo.
Prima di finire nel posto sbagliato al momento sbagliato, cercando di scappare dalle schiere della Caccia Selvaggia.
Prima che la sua migliore amica ricevesse l'avvertimento che le avrebbe cambiato la vita.
Prima che uno degli otto consiglieri venisse brutalmente ucciso e Alles finisse sull'orlo della guerra.
Prima, perché adesso è tardi.
-
«Un uomo mi ha seguita, oggi. Come faccio a sapere che non l’hai mandato tu?»
«Lo sai e basta», disse Nioclàs con un sorriso. E il lampo di paura che attraversò gli occhi di quella ragazzina bionda glielo confermò.
-
Kaj deglutì, chiamando a raccolta tutto il poco coraggio che possedeva. La situazione era anche più assurda del previsto. Doveva fuggire, possibilmente in fretta. Perdi tempo
«Q-quest’agenzia non ha un n-nome?»
«Ce l’ha», disse pacatamente Occhi Verdi, «"Agenzia"».
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa notte un elfo maschio e adulto ha bussato alla nostra porta. 
Era ferito, con un profondo taglio sul fianco destro da cui fuoriusciva sangue nero come la notte.
Purtroppo i nostri guaritori non sono riusciti a salvarlo. Prima di spirare, l'elfo continuava a ripetere qualcosa a proposito di un "veleno nero".
Sembrava quasi un avvertimento. Secondo i guaritori, si trattava di semplici deliri dovuti alla febbre.

- dal diario di Ilaenys, Somma Sacerdotessa laekur


 


Capitolo due – Segreti
 
 
 


La base era sotterranea.
Vi si accedeva tramite la stazione di Ellerton Lane, nome con cui ci si riferiva anche alla base stessa, superando il cancelletto che vietava l’accesso ai non autorizzati e procedendo per lo strettissimo camminamento fiancheggiante i binari. Una volta arrivati davanti alla botola – pressoché invisibile – bisognava aprirla e calarsi per un tunnel angusto che era l’incubo di Kaj; poi si attraversava un corridoio e ci si trovava davanti alle tre porte della base.
Kaj non sapeva quanti agenti operativi contasse l’Agenzia né quanti di essi avessero come base l’Ellerton. La loro squadra era composta da soli sei membri. Oltre a Klaus, Lambert e lei, c’erano Raavi Narayan, il genio vaya che gestiva la parte tecnica delle operazioni; Simon Tyosh e il direttore Cole. Quest’ultimo era forse la persona più taciturna che Kaj avesse mai incontrato, la personificazione della professionalità. Era passato un mese e ancora le incuteva tantissima soggezione, ma si era resa conto di rispettarlo. 
I rapporti tra Kaj e i suoi compagni di squadra erano ancora un po’ forzati. Tutti sembravano un po’ diffidenti nei suoi confronti, soprattutto Simon e Klaus. Simon, che aveva perso il braccio sinistro in un incidente parecchi anni prima, adesso viveva con una protesi metallica progettata da Raavi, che – stando all’inventore – funzionava anche meglio di un arto vero. Raavi era la persona più amichevole del mondo. Con i ricci capelli neri e gli occhi verdi, sarebbe stato anche un bel ragazzo, se non fosse stato per l’occhio. Sosteneva di essersi costruito da solo quella sorta di monocolo, in grado di ingrandire gli oggetti e conferire la vista notturna. Secondo Simon era inquietante da morire, Klaus lo trovava geniale e Lambert non si esprimeva. Lambert. Lambert era indecifrabile. Non sembrava in confidenza con nessuno, tranne forse Klaus, portava a termine le missioni con un’aria insofferente che spesso faceva venire a Kaj una voglia incontenibile di prenderlo a schiaffi. Lambert non era gentile, non era altruista e non gliene sarebbe potuto importare di meno di quello che gli altri pensavano di lui, ad eccezione di Klaus. Si vedeva che avrebbe fatto di tutto per non deludere l’amico e Kaj era sicura che la cosa fosse reciproca. Klaus cercava sempre di essere gentile con lei quando Lambert era nei paraggi e doveva ancora capire il perché. C’erano poi una cascata di altre sensazioni che Kaj associava a Lambert, ma quelle erano fin troppo complicate.
La ragazza era convinta che col tempo tutti si sarebbero aperti un po’ di più, ma ci sarebbe voluto un po’. Dopotutto, lei non era la persona più socievole del mondo, non poteva aspettare che gli altri si comportassero in modo diverso.
Lavorava all’Agenzia da un mese. Un mese di domande trattenute e di compromessi impliciti: non sapeva ancora perché avessero reclutato proprio lei e nemmeno cosa ci facessero Lambert e Klaus a Villa Poljak, proprio quella sera. L’unica volta che aveva tentato di porre una domanda, si era sentita dire di dare tempo al tempo. Non ci aveva più riprovato. Quel lavoro le piaceva troppo. Da ex ladra, non aveva nessun diritto di lamentarsi per qualche segreto.
Quel giorno era arrivata alla base in leggero ritardo, accompagnata da Lambert. Tutti gli altri erano già in sala riunioni, ad aspettare che arrivasse anche Cole.
Lambert spostò una sedia tra Klaus e Simon e ci si sedette sopra, mentre Kaj trovava un posto libero vicino a Raavi. Ricevette dei veloci cenni di saluto e Simon le offrì distrattamente una mela.
«C’è un laekur ricchissimo che mi ha invitato nel suo attico per la Festa d’Autunno», stava dicendo Klaus.
«E da quando tu vieni invitato alle feste?»
«Da quando non ci sei tu che fai scappare i miei amici, Lambert».
«Questa era cattiva», commentò Simon.
«Aye», fece Raavi.
Lambert fece finta di non averli sentiti. «Per la cronaca: i tuoi amici mi adorano
«Oh certo, ti amano alla follia».
«Fai poco il sarcastico, Valrosson, hai mai provato a parlare di me a quella ragazza castana… Come si chiama? Marianne?»
«Marie». Klaus sembrò particolarmente irritato da quell’ultimo commento.
«Ecco, proprio lei!»
«Comunque, volevo solo dire che siete tutti invitati a quella festa. Sì, Lambert, anche tu. Venite?»
«Ma certo!», si affrettò a rispondere Raavi, entusiasta come al solito. Lambert scrollò le spalle e Simon borbottò che sicuramente avrebbero dovuto lavorare. A detta di tutti, le vacanze all’Agenzia erano un evento raro.
«Kaj?» A dire il vero non era sicura che l’invito fosse esteso anche a lei, per cui si sentì sorridere istintivamente. «Vengo volentieri, grazie».
«Ci sarà anche Marie?» infierì Lambert. Qualsiasi insulto Klaus fosse sul punto di gridargli, venne stroncato sul nascere dall’ingresso del direttore Cole.

 
***
 

Quando Nioclàs raggiunse la stazione, Dilara era già lì. Si trovavano vicino al binario tre. Erano gli unici due esseri umani presenti, la loro unica compagnia consisteva in un gatto che dormiva placidamente su una panchina. Dilara era vestita in modo sobrio, con un abito lungo e un cappello blu scuro. Continuava a sfilare e infilare l’anello che portava al dito, mentre camminava nervosamente avanti e indietro e pregava che Nioclàs decidesse di presentarsi. E lui arrivò. In ritardo di sedici minuti, con la luna che già brillava nel cielo, ma arrivò.
«Sapevo che mi avresti chiamato», iniziò, senza neanche salutarla. «Era solo questione di tempo».
«Un uomo mi ha seguita, oggi. Come faccio a sapere che non l’hai mandato tu?»
«Lo sai e basta», disse Nioclàs con un sorriso. E il lampo di paura che attraversò gli occhi di quella ragazzina bionda glielo confermò.
Lei si infilò le mani in tasca e camminò fino alla banchina, dandogli le spalle. «Mi vuoi dire cosa diavolo sta succedendo?»
«Probabilmente non ci crederai nemmeno adesso, ma poco importa. Vado dritto al punto o vuoi che ti addolcisca la pillola?» scherzò.
«Niente giri di parole». Uno zeppelin passò proprio sopra le loro teste. Qualsiasi parola sarebbe stata coperta dal rumore, perciò Dilara colse l’occasione per osservare il suo interlocutore. Aveva un nome créhl, ma il tatuaggio della città di Frey. Era in grado di rubare i suoni di un’intera città con uno schiocco di dita ed era venuto a cercare proprio lei. Che misteri nascondeva?
Nioclàs, intanto, non faticava a indovinare cosa le passasse per la testa. Il suo sorriso si allargò. Quella ragazza non sapeva davvero niente.
«Come vuoi. Mia cara, c’è qualcosa che non va in te».

 
***
 

«Quello che vi propongo oggi è un incarico semplice ma importante», esordì il direttore Cole. Simon fece scrocchiare sonoramente le dita. «Dovete arrestare un pirata. Si fa chiamare Nicodemus e nessuno finora è stato in grado di fornire una sua descrizione fisica. Sappiamo solo che è al comando di una nave chiamata Aquila Reale e che il suo secondo ufficiale è un uomo di nome Zanna». Sullo schermo comparve l’immagine di un volto. Aveva il mento a punta, i capelli neri e gli occhi marrone scuro. Kaj non sarebbe stata in grado di dargli un’età. «I nostri informatori sanno per certo che domani alle tre del pomeriggio si troverà al porto della città di Eyjan, nella Terra Laekur, pronto a salpare per il Mondo degli Elfi. Ovviamente, dobbiamo fare in modo che non ci arrivi mai».
«Che carico trasporta?» domandò Lambert, nonostante fosse abbastanza intuibile.
«Etere», rispose infatti Cole. «Jozic e Kane, spero che non abbiate preso impegni: si parte alle nove del mattino. Più tardi riceverete i dettagli». Kaj era tornata da appena tre giorni, ma non si lamentò: amava andare in missione. E poi, non era mai stata nella terra natale di Dilara.
Cole si guardò rapidamente intorno, poi si sedette. «Bene, Kane, Valrosson, Narayan e Tyosh… potete trattenervi per un paio di minuti?» Cos’è, una specie di scherzo? Kaj si guardò intorno: nessuno sembrava sorpreso. Era l’unica a essere stata congedata. Umiliata, guardò un’ultima volta Lambert e Cole e poi uscì. Detestava essere la nuova arrivata. Sperò che quello che le aveva detto Lambert fosse vero, che dopo quella missione tutti i misteri sarebbero stati svelati. 

 
***
 

«Cosa?! Ascoltami, Nioclàs, ho deciso di darti una seconda possibilità solo perché è successa una cosa seria e sinceramente non ho tempo per le tue idiozie. Convincimi che non sei pazzo come quel maniaco che mi inseguiva oggi pomeriggio e forse potrei anche decidere di non denunciarti».
«Denunciarmi per cosa, esattamente?» Nioclàs alzò gli occhi al cielo e iniziò a camminare in circolo. Dilara rimase ferma a osservarlo. Sembrava preoccupato, in ansia. Aveva qualcosa di serio da dirle, era evidente; la cosa più spaventosa, però, era che Nioclàs Berne sembrava assolutamente lucido e non un folle, come Dilara aveva inizialmente pensato. «Ultimamente gli elfi non sono tranquilli», iniziò il ragazzo di Frey.
«Cosa c’entrano gli elfi?»
«Il bello del non interrompere gli altri, è che ti eviti un sacco di domande inutili», ribatté aspramente lui. Dilara credeva seriamente di detestarlo.
«Sono stati registrati dei grossi movimenti di denaro tra loro e gli abitanti delle Isole Sospese, spie nella città di Frey e un preoccupante numero di ritorni in patria da parte degli elfi che vivevano qui. È possibile che stiano formando un esercito. C’è un gruppo, l’Hawk, che vuole approfittarne per mettere fine una volta per tutte al dominio elfico. Ma hanno bisogno di un’arma. Risale alla Grande Guerra ed è composta da persone. Quattro, per la precisione, i portatori del gene della magia. Sono gli unici esseri umani di Alles in grado di praticare la magia. Il gene è dovuto a un errore, eppure il popolo dell’aria è riuscito a risalire alla data di nascita di queste persone tramite dei calcoli matematici e da lì stiamo lentamente arrivando ai nomi». Finalmente Nioclàs si degnò di guardarla con quegli occhi scurissimi e piccoli. Dilara sapeva quale fosse il proprio ruolo in tutta questa faccenda, l’aveva intuito, eppure aveva bisogno di sentirselo dire.
«E io sarei…»
«La Portatrice laekur, sì».

 
***
 

«Spero c-che sia stato interessante».
Lambert sollevò appena lo sguardo dal fascicolo con i dettagli della missione imminente, che stava cercando di studiare. Kaj si era appoggiata alla sua scrivania e lui non l’aveva nemmeno sentita arrivare. Quello che si diceva sui senka plesak, i danzatori dell’ombra, era vero – in un mese aveva avuto modo di accertarsene. Era anche riuscito anche a capire qualcosa del complicato carattere di Kajdena Jozic, ma in quel momento non sapeva proprio dove volesse andare a parare. Per non rischiare, era meglio fare il finto tonto.
«A cosa ti riferisci?»
Gli occhi grigi di Kaj si assottigliarono. «Alla riunione. Q-quello vera», precisò. Lambert alzò gli occhi al cielo. Non aveva tempo per i complessi di inferiorità di qualcuno che non aveva ancora superato l’adolescenza, lui e Klaus dovevano andare fuori a bere. In più, Kaj da arrabbiata tendeva a balbettare molto di più, cosa che avrebbe allungato i tempi di quella conversazione già snervante.
«Sei una novellina. Te l’ho già detto: ancora una missione. Considerala come la prova del nove delle tue abilità. Credi di poter resistere, Jozic?»
L’irritazione di lei era così palese che Lambert dovette compiere uno sforzo sovrumano per non scoppiarle a ridere in faccia. Una ragazzina, c’erano volte in cui Kajdena Jozic sembrava proprio una ragazzina.
«P-perché mi hai reclutato? E non dire che non sei stato tu, perché K-klaus non mi reputa in grado neanche di a-allacciarmi le scarpe». Ecco, quella era una domanda che non si aspettava. Dentro quella testa corvina c’era un bel cervello, non lo poteva negare. La sua proprietaria avrebbe solo dovuto imparare a usarlo meglio.
«Sono stato io», confermò. «Solo perché qualcuno che riesce a portare a termine un furto durante la Caccia Selvaggia è sicuramente degno di nota. So che ce l’avresti fatta, se nella villa non ci fossimo stati noi». Avrebbe dovuto tenere per sé l’ultima frase, perché adesso Kaj avrebbe posto quella domanda e, in fondo, Lambert non voleva ferirla negandole un’altra risposta. Non c’era gusto.
Si alzò, proprio mentre lei apriva la bocca per parlare. «C’è Klaus che mi aspetta. Ci vediamo domani». E se ne andò.
Klaus in effetti lo stava aspettando, seduto sulla solita panchina della stazione di Ellerton Lane. Sembrava minuscolo, se posto a confronto con i quarantacinque metri di altezza delle pareti della stazione. Ogni tappa della rete ferroviaria di Frey aveva un colore diverso – la Centrale, ad esempio, era tutta di platino – e quello di Ellerton Lane era l’ottone. Gli immensi lampadari a olio riflettevano sul pavimento di marmo lucido, facendo apparire l’ambiente ancora più luminoso. Nonostante l’ora, era molto affollato. Creature appartenenti a tutte le razze e perfino automi si affrettavano a raggiungere i binari, completamente ignari di ciò che succedeva sotto i loro piedi, nella base. Era bella, la stazione, soprattutto di notte.
Un uomo delle Isole Sospese con due lunghissime gambe meccaniche evitò per un soffio di travolgere Lambert, distraendo il ragazzo sai suoi pensieri. Imprecò, si passò una mano tra i capelli e attirò l’attenzione di Klaus con un cenno della mano. Il laekur sorrise. «Andiamo?», chiese, alzandosi.
«Dipende: non aspettiamo Marie?»
Klaus scoppiò a ridere e gli diede un leggero spintone.

 
***
 

«Quindi è l’Hawk che mi sta cercando? E tu come mi hai trovato?»
«C’è un rituale che permette di unire le coscienze dei quattro Portatori. È stato tentato per la prima volta durante la Guerra e ha triplicato la forza del nostro esercito. È quello a cui mira l’Hawk. Io faccio parte di un gruppo vaya che vuole salvarvi la vita evitando in tutti i modi possibili che il rituale abbia luogo. I vostri poteri potrebbero essere sfruttati per il bene della società, per il progresso. Cerchiamo di impedire una guerra, Dilara».
«Tu non sei un vaya».
«No, ma ho passato abbastanza tempo con il popolo dell’aria da capire che hanno ragione. Voi non sopravvivreste al rituale e scoppierebbe una guerra. Per questo dobbiamo trovare i Portatori prima dell’Hawk».
«E ci siete riusciti?»
«Il ragazzo vaya è sparito. L’ignjs è con noi, mentre dobbiamo ancora localizzare il créhl, ma ce la faremo. Adesso devo portare te al sicuro».
«Perché accidenti dovrei credere a quello che dici? Potresti esserti inventato tutto o, peggio, potresti essere uno di loro
«Però, chissà come mai, stasera hai avuto paura e ti sei rivolta a me».
«Alla festa di Boran Matic… hai fatto quella cosa che ha annullato i rumori. Se sono io quella con il gene della magia, tu come hai fatto?»
«Imparerai tutto, ma adesso non c’è tempo. Ti devo portare via».
«Un’ultima cosa. Hai detto che durante la Guerra i Portatori hanno triplicato la forza dell’esercito. Non potrebbe essere sufficiente? Non potremmo davvero sbarazzarci degli elfi una volta per tutte?»
«Peccato che Alles, alla fine, la Guerra l’abbia persa».

 
 ***
 

Quando Kaj arrivò nella Colluvies, era mezzanotte. La stazione di ossidiana era il capolinea e sembrava appartenere a un altro universo. Alla sua destra Frey, in tutta la sua magnificenza, con la Colluvies che si estendeva sui restanti lati e la prateria che si intravedeva guardando a sud. Oltre, la Terra Ignjs. Una pugnalata al cuore, per la ladra.
C’era tanta gente, a dispetto dell’ora, anche se i più erano mendicanti o senzatetto che dormivano negli angoli bui. Chiedevano l’elemosina nella zona più povera della capitale, aggrappandosi disperatamente a tutti quelli che avevano l’aria di possedere un minimo di denaro. Kaj non sembrava certo benestante: avvolta in quel vecchio mantello nero sbiadito, si muoveva per i vicoli furtiva e immateriale come un’ombra – una senka plesak – scivolando silenziosamente verso casa. Ricordava la prima volta che era stata lì. Il degrado e la povertà l’avevano lasciata a bocca aperta. Si era barricata nel nuovo appartamento, ancora privo di mobili, si era seduta sul pavimento e aveva iniziato a piangere. Ogni volta che pensava al suo vecchio quartiere, a Flahm, le veniva da vomitare. Poi, molto lentamente, si era abituata. Chiudeva sempre la porta a chiave, non girava mai senza pugnale, rivolgeva la parola ai vicini solo se strettamente necessario e faceva del suo meglio per essere ignorata. Fino a quel momento aveva sempre funzionato.
Nella Colluvies vivevano anche elfi, gente delle Isole Sospese e creature provenienti dall’altra parte del Mare delle Nuvole. Quelli che, per qualche motivo, avevano dovuto lasciare la propria terra. Gli esclusi.
Come lei.
Per arrivare dalla stazione a casa di Kaj bisognava attraversare il quartiere degli elfi. Era un tragitto che la ragazza aveva fatto innumerevoli volte, abbastanza da non lasciarsi più ingannare dalle apparenze. Kajdena Jozic non si fidava degli elfi. Suo padre li chiamava “maestri degli inganni”. Kaj li aveva sempre disprezzati – per la Caccia Selvaggia, soprattutto – o almeno, fino a quando non era stata bandita. Allora le cose erano cambiate. Poteva continuare a detestare tutti coloro che saccheggiavano le quattro terre ogni sera alle sette, ma nella Colluvies vivevano solo gli esclusi. Probabilmente il Mondo elfico li reputava nocivi tanto quanto il re ignjs aveva considerato pericolosa lei, quindi odiarli semplicemente non aveva senso. Non erano più nessuno, solo ombre sbiadite di cui tutti si erano dimenticati. Kaj ce l’aveva con gli elfi, non con i fantasmi.
Le due razze non andavano d’accordo. La guerra era finita da tanti anni, si coesisteva, erano stati stabiliti addirittura degli accordi. I politici parlavano di pace, ma i politici vivevano a Frey.
A Frey la Caccia Selvaggia non passava.
Quella non era pace e loro semplicemente non ne avevano idea.
 
Kaj si tuffò nella folla, con le mani infossate nelle tasche e lo sguardo dritto davanti a sé. Nessuno fece caso a lei, fino a quando non percepì qualcosa ostruirle il cammino.
«Regalo per la signorina», gracchiò una voce. Era umana. La sua proprietaria era una donnina, quasi sicuramente senzatetto, che gestiva una delle tante bancarelle che vendevano orrendi soprammobili. Come se gli abitanti della Colluvies avessero soldi da buttare. Kaj si chiedeva spesso se davvero quelle persone sperassero di vendere qualcosa. Una cosa era certa: niente era mai in regalo.
«Mi dispiace, vado di fretta».
«Non ci vuole niente ad accettare un regalo». La donnina allungò una mano scura e rugosa da cui pendeva la catenina di una collana.
Kaj si fermò, ancora titubante. «È davvero gratis?»
«È quello che ho detto, no?»
La giornata era stata così disastrosa che forse una stupida collana non le avrebbe fatto male. Le mani chiare di Kaj si scontarono con quelle della sconosciuta e un attimo dopo vennero a contatto con la catenina, riscaldata dal calore corporeo della donna.
Ci volle solo una manciata di secondi.
Kaj ritirò mano e gioiello in tasca, fece quattro passi verso casa sua e realizzò di non aver visto nessun tatuaggio sul collo della venditrice ambulante.
Quando si voltò, però, non c’era più nessuno.
 

 
***
 

Il banchetto di benvenuto al Gran Maestro vaya era pressoché interminabile. Rosaleen se ne stava seduta tra Senan e Saesha, domandandosi quando le portate avrebbero finalmente avuto una fine. Finora ne aveva contate sei, ma gli automi che reggevano i vassoi continuavano a comparire e la conversazione procedeva così piacevolmente che nessuno pareva accorgersene. Il Gran Maestro raccontava della Terra Vaya, del bellissimo palazzo nella città di Meegha in cui si teneva il Congresso e dei preparativi per l’imminente festa dell’atmay.
Rosaleen aveva studiato la società vaya prima di diventare consigliera e ricordava di esserne rimasta affascinata. La capitale su un altopiano, Meegha, la città con le diciotto biblioteche più fornite di Alles; l’immensa fontana di etere che di notte brillava e il palazzo del concilio, situato sulla cima di una montagna. Le sarebbe piaciuto anche imparare la lingua, tuttavia, con tutte le doppie vocali e le parole lunghissime, risultava fin troppo complicata per qualcuno abituato a parlare in créhl o nel linguaggio comune.
«Vorrei tanto vedere Meegha», sospirò cora Jalena. «Flahm è così… monotona».
Aryun non era d’accordo. «Ci sono stato due volte e non volevo più andare via. Una sera eravamo andati a cena sulla terrazza, da là si vedeva il sole tramontare sulla prateria ed era bellissimo».
«Certo», commentò Jalena, «se hai il coraggio di uscire subito dopo la Caccia». Si rese conto di quello che aveva detto dopo neanche due secondi, ma era comunque troppo tardi. Calò un silenzio di tomba. Jalena avvampò. Rosaleen smise di mangiare. Invece di fare finta di niente, i presenti lanciarono occhiate poco discrete a Galion, tuttavia l’elfo continuò a bere il suo vino senza battere ciglio.
«La Caccia non rappresenta un vero e proprio pericolo, cora Jalena», tentò l’Intendente. Rosaleen vide un muscolo contrarsi sul vecchio volto del Gran Maestro.
«Mi permetta di contraddirla, Intendente». Cora Eyros non aveva aperto bocca per tutta la durata del banchetto; se non fosse stata seduta di fronte a lei, Rosaleen avrebbe potuto tranquillamente dimenticarsi della sua presenza. «Il coprifuoco è stato istituito per un motivo: trovarsi fuori da casa durante la Caccia Selvaggia non è piacevole». Ma lui era un figlio della città di Frey, che avrebbe fatto di tutto per difendere il precario equilibrio con gli elfi che chiamavano pace. Non aveva mai provato la Caccia sulla pelle e, Rosaleen glielo augurava, non sarebbe mai stato in grado di capire veramente cosa significasse. Era ciò che pensavano tutte le persone sedute al tavolo, ma solo Eyros probabilmente avrebbe avuto la faccia tosta di dirlo ad alta voce, se Senan non l’avesse anticipata. «È mai stato a Theàri, Gran Maestro?»
 
All’una meno un quarto l’Intendente congedò i presenti e augurò la buona notte. Dopo aver salutato tutti, cora Rosaleen dalla Terra Crèhl tirò un sospiro di sollievo.
I piani della Torre adibiti alle residenze degli otto consiglieri erano quattro, dal trentesimo al ventisettesimo. Il banchetto si era tenuto al numero trentaquattro, occupato interamente dal Gran Maestro e dal suo seguito. Quella sera Rosaleen non tornò diretta nei propri alloggi, ma fece una piccola deviazione per recuperare il libro che stava leggendo, dimenticato quella mattina in biblioteca.
In seguito se ne sarebbe pentita.
Aveva preso l’ascensore fino al venticinquesimo piano, poi si era incamminata su per le scale – sperava di smaltire tutte le portate del banchetto, le sembrava di aver preso tre chili buoni. Fuori dalle ampie vetrate che decoravano la scala a chiocciola, c’era la luna piena. Rosaleen saliva con un libro sottobraccio e l’ampio vestito verde scuro che frusciava contro i gradini in pietra. La crocchia in cui aveva raccolto i capelli ramati era leggermente scesa, ma non aveva voglia di sistemarla. Pensava al banchetto, all’atmosfera rilassata della prima parte e all’allegria forzata delle ultime portate. Il loro equilibrio era davvero così fragile? L’Intendente si era affrettato a minimizzare il commento di Jalena come se temesse lo scoppio di una nuova guerra contro gli elfi. Era solo lui ad avere una tale paura? Allora perché anche Rosaleen si era irrigidita, nel sentire quelle parole?
Era così immersa in quei pensieri da non accorgersi della presenza di Galion, che procedeva in senso opposto.
«Cora Rosaleen». Sussultò così tanto che dovette appoggiare una mano alla parete di pietra e pregò il dio Carrày che lui non se ne fosse accorto.
«Galion», si toccò nervosamente un orecchio, «non l’avevo sentita arrivare».
I capelli viola gli ricadevano sciolti sulle spalle. Un paio di occhi scurissimi risaltavano sulla carnagione a metà tra il giada e il bianco. Era più alto di Rosaleen di una spanna buona, ma pareva leggero come l’aria. Perché la metteva così tanto a disagio?
«Dicono che la mia gente abbia il passo più silenzioso di quello dei lupi, ci crede?» Eccome, ma fortunatamente era una domanda retorica.
«Una bella serata, non trova?» Come conversazione di circostanza era un po’ debole, tuttavia Rosaleen si accontentò.
«Più che altro, una notte interessante», fu l’enigmatica risposta. «A domani, cora». Rosaleen rispose al saluto quando l’elfo aveva già ripreso a scendere le scale.
La Torre dei Consiglieri godeva di un proprio generatore di corrente elettrica. Erano diffuse anche le lampade a etere, tuttavia producevano una luce più soffusa, poco adatta a illuminare i grandi ambienti della Torre. Essendo un generatore autonomo, i sovraccarichi di tensione non capitavano quasi mai. Per questo, quando tutte le luci si spensero, cora Rosaleen capì che qualcosa non andava.
Rimase ferma immobile, aspettando che la luce tornasse, diventando sempre più inquieta man mano che il tempo passava. Udì del trambusto al piano di sopra. Fece per andare a raggiungere chiunque ci fosse lassù, chiedendo spiegazioni, quando venne travolta da qualcuno che si precipitava giù dalle scale. Rosaleen usò il muro come sostegno. Lo sconosciuto non fu così fortunato e rovinò sulla pietra del pianerottolo. Anche quando i raggi della luna la illuminarono, Rosaleen ci mise un po’ a riconoscere la misteriosa ragazzina arrivata con il Gran Maestro. Portava un abito grigio ghiaccio, tipicamente vaya, e sembrava terrorizzata. Si alzò, posando per la prima volta gli occhi su Rosaleen.
«Ma… ma lei è una cora! Mi dispiace averla urtata, signora, andavo di fretta e non-»
«Va tutto bene, tranquilla». Le tese una mano. «Sono cora Rosaleen dalla Terra Créhl. Tu sei…?»
«Minali Chande», rispose la ragazzina, afferrando titubante la mano. Sul collo magro si intravedevano delle intricate spirali blu, il tatuaggio vaya.
«Come mai non ti ho vista, questa mattina?» Normalmente nemmeno Rosaleen avrebbe mentito, ma sentiva che era l’unico modo per arrivare alla vera identità della ragazzina.
«Cora, mi perdoni, devo davvero andare via. Dovrebbe farlo anche lei, non è sicuro stare qui».
«Tu sai cos’è successo, Minali? Forse dovremmo aspettare, la luce tornerà presto».
«La luce non tornerà affatto, cora». Minali le rivolse un sorriso malinconico e corse via. Solo dopo Rosaleen si accorse che non aveva mai risposto alle sue domande.
Dopo quei due incontri, la consigliera non vedeva l’ora di rifugiarsi nei suoi alloggi e dormire, ma, al tempo stesso, aveva bisogno di capire cosa stesse succedendo. Nel dubbio rimase dov’era.
Dal piano di sopra i rumori si era fatti più agitati. Passi, soprattutto, qualcuno che piangeva e una voce maschile piuttosto adirata. Poi tutto tacque. Era come se qualcuno avesse spento tutti i rumori del mondo, a eccezione del respiro di Rosaleen. Infine, passi sulla rampa di scale proprio sopra di lei. Erano veloci, Rosaleen non fece nemmeno in tempo a pensare di nascondersi  che quel qualcuno l’aveva già raggiunta.
«Per gli dèi, Leen!» Non era mai stata così felice di vedere il cor della Terra Ignjs in tutta la sua vita. «Mi hai fatto paura». Darko aveva il fiatone. Indossava ancora il completo porpora del banchetto, ma la giacca era aperta e la camicia stropicciata, come se avesse corso a lungo.
«Corri nei tuoi alloggi senza entrare nel piano dei laekur e non uscire», le intimò. «Probabilmente ci saranno dei guardiani a proteggerti».
«Proteggermi? E tu dove stai andando? Dio, Darko, cosa succede?»
La fissò dritto negli occhi, spaventato. «Non trovo Jalena».
«Magari è nelle sue stanze… Senan?»
«Con gli altri. Fidati di me, Rosaleen, vai via».
Lei non demordeva e, siccome Darko insistette per accompagnarla, procedettero entrambi fino al piano dei laekur. Qui, dalla porta aperta, uscì Senan. «Eccoti! Vieni, è meglio se ti fai vedere dall’Intendente e dal generale Noymerin». Senan la trascinò per un avambraccio e finalmente lei capì cosa stesse succedendo e perché fossero tutti così spaventati.
Il colore predominante degli alloggi laekur era sempre stato il blu. Entrando, sembrava di trovarsi sul fondo di un lago. Ragion per cui la macchia scarlatta sul pavimento candido risaltava così tanto. Sulla porta alle spalle di Rosaleen apparve Jalena, affannata pallida come un cencio. Erano tutti lì, compreso il Gran Maestro vaya. No, non tutti. Hai visto Galion andare via. Aryun misurava a grandi passi la stanza, privo della sua solita calma. Saesha, invece, era seduta accanto alla cora della Terra Laekur. Tutti i pezzi andarono al loro posto solo quando Rosaleen vide Eyros, che tutti chiamavano “donna di ghiaccio”, piangere disperata. Perché c’era qualcun altro che mancava all’appello.
«Senan», inizio Rosaleen, «ti prego, cosa succede?»
Fu l’Intendente a rispondere. «Questa notte cor Veigar dalla Terra Laekur è stato ucciso».

 



 

Wow. Questo mi è uscito davvero lunghissimo. Chiedo scusa, non era mia intenzione, sono stata sul punto di dividerlo fino all'ultimo secondo, ma poi ho realizzato che gli avvenimenti più importanti succedono nell'ultima parte. E poi, separarlo avrebbe sballato tutta la mia bella scaletta :) Quindi faccio i complimenti agli eroi che si sono sorbiti 4k e passa parole, veramente. 
Capitolo importante. Nioclàs smette di essere così enigmatico e racconta alla povera Dilara tutto (o quasi, chissà). Piccolo appunto per quanto riguarda la storia dei Portatori: non sono una grande fan delle profezie a proposito di un Prescelto che tira tutti fuori dai guai. Proprio per niente. So che questo - e anche il prossimo - capitolo potrebbero implicare una storyline già vista migliaia di volte, quindi ci tengo a precisare che non è lì che voglio andare a parare. La profezia è una parte importante della storia, è vero, ma si tratta di una delle tante. Spero di tirarne fuori qualcosa di originale, ma si vedrà :)
Non sottovalutate né l'omicidio di Veigar né la nuova collana di Kaj, perché saranno piuttosto importanti.
Non mi dilungo oltre perché altrimenti viene fuori l'Iliade, quindi vi saluto. Fatemi sapere cosa ne pensate!
Grazie se siete arrivati fin qui e alla prossima!


Gaia
  
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