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Autore: King_Peter    25/08/2015    13 recensioni
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I was angry with my friend; I told my wrath, my wrath did end. I was angry with my foe; I told it not, my wrath did grow.
And I waterd it in fears, night and morning with my tears; and I sunned it with smiles, and with soft deceitful wiles.
And it grew both day and night, till it bore an apple bright. And my foe beheld it shine, and he knew that is was mine.
And into my garden stole, when the night had veild the pole. In the morning glad I see, my foe outstreached beneath the tree.

(A Poison Tree, William Blake)
Genere: Avventura, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Nuova generazione di Semidei, Semidei Fanfiction Interattive
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Heaven Knows
♔ Official Video Trailer 
 
 


Takeshi ♠ Drago che Morde


 
Takeshi avrebbe voluto mettere a tacere la sua coscienza una volta per tutte.
Yami, il suo gatto, gli si era acciambellato sulle gambe e adesso gli solleticava le braccia con il suo pelo nero. Lui era seduto su una poltrona che odorava di muffa, la stoffa rossa sgualcita che lasciava intravedere il rivestimento interno, per quanto fosse sottile.
La sala ricreativa della Casa Grande era quanto di più squallido si potesse desiderare, visti i muri scoloriti dalla guerra e l'inquietante testa del leopardo impagliato che continuava a fissarlo. Non l'avrebbe mai ammesso apertamente, ma quello stupido Seymour gli dava i brividi, forse per lo scintillio luccicante che si aggirava nei suoi occhi.
Chiuse il libro che aveva in mano, notando come il protagonista possedesse tutte le qualità di un vero eroe: fegato, audacia e cavalleria, cose che, invece, a Takeshi mancavano.
Se doveva essere onesto con sé stesso, quel soldatino che combatteva draghi e salvava fanciulle indifese assomigliava maledettamente a Joel, il suo ragazzo, quello che aveva visto morire fra le fiamme di un incendio. Scosse la testa, la tristezza che rivangava quei ricordi troppo dolorosi, quelli che aveva tentato inutilmente di seppellire, assieme al suo primo amore.
Il caminetto era spento, i resti di un piccolo focolare sepolti sotto fitti strati di cenere, la legna annerita e mezza mangiata dal fuoco. Un timido sole nascente si stava facendo strada attraverso il cielo, i suoi pallidi raggi che illuminavano la landa desolata di Long Island, il muro di Foschia che impediva ai mortali di entrare e ai semidei di uscire.
Tirò su col naso, ripensando a quando i primi mostri avevano attaccato il campo, ferendo e uccidendo semidei a destra e a manca. Tanato non aveva una cabina, al Campo Mezzosangue, ma Takeshi si era sentito lo stesso in dovere di aiutare i semidei, di respingere gli invasori assieme alla resistenza che pochi superstiti avevano formato, anche se poi si era rivelato tutto inutile.
Lui era uno dei traditori, uno di quelli che era passato dal lato della cosa per paura di morire, più che per voglia di vedere i suoi simili sterminati.
Certo, suo padre era il dio della morte, ma questo non gli garantiva un trattamento vip nel momento in cui avrebbe dovuto passare a miglior vita. Ma, sopratutto, non voleva farlo lottando contro qualcosa che, secondo lui, non aveva possibilità di essere sconfitta.
Odiava ammetterlo, ma la cosa era forte, molto più forte di quanto potessero essere i greci e i romani messi insieme, quindi figuriamoci cosa avrebbero potuto fare un pugno di eroi adolescenti disorganizzati e mal equipaggiati contro un nemico di dimensioni epiche. Con i tesori e i cimeli di guerra sottratti al campo, i traditori avevano poi comprato un grosso edificio nel centro di New York, un grattacielo enorme che veniva pattugliato giorno e notte; arpie, grifoni e ciclopi che vi volteggiavano intorno, armati di mazze ferrate e pugnali di bronzo celeste.
A Takeshi era stato offerto un posto, alla C.A.D.M.O., il centro attività di monitoraggio organizzato, ma lui aveva rifiutato, visto che uno dei luogotenenti della cosa lo aveva scelto come suo secondo in comando. Era rimasto al campo, a controllare e prelevare i semidei che dovevano sottoporsi agli esperimenti, piuttosto che essere usato come un cane da caccia per rintracciare altri mezzosangue su cui sperimentare.
Dopotutto, anche se il suo lavoro non gli piaceva, aveva fatto bene a cambiare partito, prima che un grifone gli artigliasse la schiena o un lestrigone lo schiacciasse sotto un cumulo di sassi; come invece era successa a molti dei suoi confratelli.
Takeshi faceva ciò che i suoi superiori gli ordinavano, teneva la testa bassa e cercava di non combinare casini, dato quanto i mostri fossero diventati irrequieti e violenti, dopo la conquista del potere. Aveva dovuto rispedirne a decine, fra i meandri del Tartaro, prima che diventassero troppo pericolosi per poter essere controllati.
Sbadigliò, coprendosi la bocca con un mano, la finestra opaca davanti a lui che gli restituiva il riflesso dell'unico ciuffo rosso che spiccava fra i suoi capelli scuri.
- Ciao Tak. - lo salutò Arthur, il suo volto da bambino che nascondeva la freddezza della sua anima, - Ti va una partita? - gli chiese, forse più per cortesia che per vero interesse, mentre afferrava una racchetta malandata da ping pong.
Takeshi scosse il capo, grattando la testa di Yami, il gatto nero sulle sue gambe che cominciava a fargli le fusa, gli occhi languidi e soddisfatti ruotati all'indietro. Arthur sbuffò, soppesando la racchetta come si fa con una spada, prima che nella stanza irrompesse anche l'esuberante figlia di Nike, Astrid Winstone.
- Takeshi. - lo salutò in maniera frettolosa, dandogli le spalle e iniziando a giocare con il figlio di Ecate; i lunghi capelli castani che si muovevano sulle sue spalle come le acque di una cascata.
Il figlio di Tanato non aveva mai incontrato una persona più perfida ed arrogante di Arthur Wever, uno dei traditori aveva contribuito a fortificare lo strato di Foschia intorno al campo, dopo che quello che era successo al Pino di Talia. Astrid, seppur si mostrasse affabile e dolce, nascondeva più insidie di una sirena, gli occhi azzurri come il cielo che tradivano l'oscurità che circondava il suo cuore.
Quei due formavano una strana coppia visto che, fondamentalmente, erano diversi come il giorno e la notte, anche se condividevano lo stesso obbiettivo, ovvero distruggere gli dei e tutta la loro progenie.
Forse era per quel motivo che andavano così d'accordo, eppure Takeshi dubitava che avrebbe sopportato più del minimo sindacale l'attore bambino e l'atleta più sportiva che il campo avesse mai conosciuto.
- Ma che diavolo? - imprecò Takeshi, prima che Yami gli mordesse il dito, infastidito dall'urlo roco e intriso di dolore che spezzò il monotono silenzio della Casa Grande. Incontrò lo sguardo confuso di Arthur, poi alzò gli occhi al soffitto, rumori di passi infilati uno dopo l'altro che gli riempirono le orecchie.
- Sembra che qualcuno stia correndo. - commentò Astrid, lasciandosi cadere i capelli su una spalla, la bocca corrucciata in una smorfia infastidita.
- O stia scappando. - le fece eco Arthur, un sorrisetto sadicamente dipinto sul suo volto, come se avesse appena pregustato una carneficina.
- Merda. - concluse  Takeshi, scattando in piedi e lasciando cadere Yami a terra, prima che si precipitasse verso le scale. Il primo piano della casa Grande adesso ospitava i laboratori sterilizzati e le celle dove venivano ospitati i semidei dopo il trattamento, per lo più sedati e legati a delle macchine che avrebbero dovuto registrare i risultati degli esperimenti.
Il cuore martellava nel petto del figlio di Tanato, mentre saliva gli scalini a due a due, la paura che affinava i suoi sensi, il terrore di perdere la sua libertà che lo faceva correre più veloce: se quel semidio fosse riuscito a fuggire, sarebbe stata tutta colpa sua.
Certo, non aveva ancora diciassette anni quindi, tecnicamente, non potevano sperimentare su di lui, ma era sicuro che avrebbero sicuramente trovato un modo per punirlo, dato che era lui a doversi assicurare che i mezzosangue passati sotto ai ferri non lasciassero la Casa Grande prima del tempo.
Niente, Takeshi non vedeva niente.
- Dove diavolo sei? - sussurrò, estraendo le sue kama in bronzo celeste e guardandosi intorno, i suoi passi felpati come quelli di un gatto. L'ambiente che si apriva davanti a lui era tappezzato con della carta da parati consunta, scie di mani insanguinate correvano sul battiscopa, mentre dei batuffoli grigi di polvere scivolavano ai lati del corridoio.
Takeshi infilò la testa in un paio di stanze, trovandole entrambe vuote.
Non sentiva più rumori, non sentiva più niente, se non il ritmo impazzito del suo cuore, il tamburo di carne e di sangue che lo teneva ancorato al mondo, che lo faceva sentire vivo.
- Fatti vedere. - gli intimò, continuando a tenere le sue kama davanti a sé, il loro barluccichio bronzeo che si rifletteva sulle pareti spoglie, - Maledizione. - sussurrò, controllando quella che sembrava la camera del fuggitivo. I cavi della macchina a cui era attaccato erano stati strappati violentemente e adesso giacevano rotti sul letto sfatto, mentre i resti della sua colazione erano sparsi per tutta la stanza.
La targhetta sulla porta, aggiornata costantemente con il nome del semidio che occupava la stanza, non gli dava nessun indicazione se non il tipo di esperimento effettuato, ATT-451. Spalancò del tutto la porta, il caos nella camera che sembrava essere un vero e proprio elogio alla follia.
Mentre cercava qualcosa che potesse aiutarlo a scoprire l'identità del suo fuggitivo, i suoi anfibi schiacciarono qualcosa nascosta appena sotto il letto. Si piegò sulle ginocchia, raccogliendo la fotografia che aveva appena calpestato, le schegge di vetro che cadevano a terra tintinnando.
- Una cornice? - si chiese, stupito, visto che ai semidei non era permesso portare oggetti personali, durante il loro periodo di permanenza alla Casa Grande. L'immagine che stringeva fra le dita mostrava un ragazzino sdentato, i capelli ricci e lucidi, assieme a quella che Takeshi ipotizzò essere sua madre.
Prima che potesse rialzarsi o anche realizzare cosa fosse quel rumore alle sue spalle, un oggetto pesante calò sulla sua testa, un vaso, forse, facendogli perdere l'equilibrio. Ebbe solo un attimo per registrare presenza dello stesso ragazzino della foto, prima che lui gli si gettasse addosso di peso, afferrandogli le mani e tenendogliele ferme dietro la schiena.
- Mostri, mi avete tolto tutto. - gli sussurrò ad un orecchio, prima di morderglielo nello stesso modo in cui avrebbe fatto un animale malato di rabbia. Takeshi sputò a terra, soffocando un grido di dolore. - Tu pagherai per le colpe dei tuoi ... -
Prima che potesse terminare la frase, Takeshi gli sferrò un calcio nella zona inguinale, rotolando di lato per toglierselo di dosso. Non sembrava avergli fatto male, non male quanto il figlio di Tanato avesse sperato, visto che lo caricò non appena Takeshi riuscì a rimettersi in piedi, il volto graffiato dalle schegge di vetro sparse a terra.
Sbatté contro lo stipite della porta, il sangue che gli pulsava violentemente alle tempie, il dolore che gli appannava la vista.
Il ragazzino riccio cercò di buttarsi sulle sue armi, ma il ma il figlio di Tanato lo afferrò per una caviglia e lo fece cadere faccia a terra, continuando a tenerlo per una gamba. Si alzò, rifilandogli poi una gomitata alle costole e storcendogli il polso.
Lui ululò di dolore, mentre Takeshi allontanava le sue kama con un calcio, i suoi anfibi che andavano di nuovo a colpire lo stomaco del semidio impazzito, i calci infilati uno dietro l'altro, una raffica di dolore e rabbia che non faceva altro che aumentare la sua frustrazione.
- Non sono io il tuo nemico! - gli disse poi, quando riuscì in qualche modo a bloccarlo, serrandogli un braccio intorno al collo per evitare che si muovesse, - Smettila di lottare come un animale impazzito. -
Lui digrignò i denti, gli occhi iniettati di sangue come se avesse la febbre, la furia cieca che lo portava a cercare di mordere le braccia e le mani di Takeshi. I suoi capelli erano un unico groviglio di sudore e di sporcizia, così ricci da sembrare un roveto pieno di spine.
- Non può farlo. - gli rispose un'altra voce, calma e decisamente non turbata dallo scontro che si era appena consumato, - È stato programmato, per comportarsi in quel modo. -
Jude era in piedi sulla porta, la sua giacca di pelle che risaltava il suo incarnato pallido, sul viso lo stesso sguardo mellifluo che avrebbe potuto avere uno psicopatico. Guardandolo, Takeshi si accorse solo allora di quanto la sua espressione somigliasse a quella di Arthur, il figlio di Ecate che aveva visto poco prima.
Jude era il suo diretto superiore, quello che gli aveva offerto la promozione e che, come diceva il suo nome, poteva tradirti prima che tu te ne accorgessi.
- Che stai dicendo? - gli chiese Takeshi, lottando contro il semidio impazzito per tenerlo fermo, - È stato ... è stato programmato? -
Gli occhi bicolore di Jude scintillarono di malignità, mentre Takeshi cominciava a sentirsi a disagio, tensione e paura che gonfiavano il suo petto.
- Stupefacente, non è vero, arrivare fino al cervello umano? Controllarlo, distruggerlo, sconvolgerlo. - sorrise lui, il calcio della sua pistola in bronzo celeste che gli sporgeva dai jeans, - Sei con noi da un anno e ancora dubito di quanto sia grande il suo potere? -
Takeshi scosse la testa, il semidio impazzito che cercava di rifilargli un calcio negli stinchi, anche se quel trucchetto non attaccava, con lui. La luce fuori dalla finestra opaca disegnava strani motivi astratti sul pavimento, colorando le punte scure degli stivali di Jude.
- Uccidilo. - gli ordinò il figlio di Eris con tono divertito, - È un semplice pedone. Possiamo sacrificarlo, per arrivare alla regina. -
- Jude, ma  ... -
- Uccidilo, prova la tua fedeltà. - ripeté Jude, forse contagiando in qualche modo le sue emozioni, visto che Takeshi si ritrovò a premere il suo avambraccio sul collo del semidio con più forza del dovuto. Gli occhi del semidio si sgranarono per la paura di morire, finché non diventarono completamente rossi, le unghia sporche conficcate nelle braccia di Takeshi
Al figlio di Tanato dispiaceva, ma mors tua, vita mea.
Il respiro gli si fece più affannoso, il petto sconvolto che andava su e giù, finché roteò gli occhi all'indietro e smise di lottare, le mani che ricadevano come quelle di un burattino lungo il corpo, senza più vita. Takeshi lo lasciò cadere a terra, osservando il sorriso compiaciuto di Jude; quello nero che luccicava come se contenesse le ombre della notte, quello azzurro che era più freddo dello stesso ghiaccio.
- Arthur, Astrid. - chiamò, mentre il figlio di Ecate e la figlia di Nike apparivano alla sua destra, attendendo i suoi  ordini, - Consegnate il corpo di questo idiota ai lestrigoni e date una ripulita alla stanza, presto ci servirà spazio per altri ospiti. -
Takeshi si scostò il ciuffo di capelli rossi da davanti agli occhi, ripensando a ciò che gli era stato raccontato quando era arrivato al campo e aveva dovuto scegliere da che parte stare. La cosa teneva più ai semidei, che ai mortali, così aveva creato lo strato di Foschia intorno al campo, riscuotendo le proteste dei lestrigoni; la loro dieta prevedeva carne umana a colazione, pranzo e cena.
Dato che loro sostenevano la causa della cosa, la cosa doveva sostenere la loro. Così erano arrivati ad un patto: ogni mezzosangue che non riusciva a sopravvivere agli esperimenti era di loro proprietà.
Takeshi storse le labbra, i loro sorrisi famelici, la bava che gli colava dagli angoli della bocca e l'odore acidulo del barbecue di carne umana che gli ritornavano alla mente, facendogli salire un attacco di vomito.
Arthur ed Astrid afferrarono ognuno il semidio per un braccio, trascinando il suo corpo fuori dalla stanza, mentre Jude sorrideva a Takeshi, i suoi occhi bicolore che rendevano quel sorriso ancora più macabro.
- Tu avrai un altro compito. - gli disse, usando lo stesso tono mellifluo di poco prima, - Devi andare a prenderne un altro. -
- Di chi si tratta? - chiese lui, flettendo la spalla, là dove l'ultimo figlio di Atena che aveva prelevato lo aveva pugnalato, - Non ho nessuna voglia di diventare il puntaspilli di un altro mezzosangue. -
- Oh, sta' tranquillo, questo non ti darà problemi. - lo rassicurò, il sorriso storto, - Theo Bouchard, cabina X. -
 
 
A dirla tutta, la capanna di Afrodite era ancora più squallida del resto del campo.
Gli era stato raccontato che, una volta, c'erano tendine di pizzo e fiori freschi sul davanzale, quindi il paragone sorgeva spontaneo: adesso si ergeva come un castello diroccato di un regno che un tempo era stato molto prosperoso, un gigantesco pugno che saliva dal terreno e si sgretolava in quattro mura percorse da crepe e annerite dal fumo.
Takeshi dubitava che, da quanto i figli della dea erano diventati un po' gli accompagnatori di tutto il campo, visto che non si poteva superare lo strato di Foschia e loro dovevano intrattenersi come potevano, si fossero preoccupati di rendere bella ed accogliente la loro capanna.
- Bouchard. - chiamò Takeshi non appena ebbe messo piede nella cabina di Afrodite, osservando la tendina sgualcita che divideva lo spazio dei ragazzi da quello delle ragazze, - Bouchard! - ripeté, questa volta più forte, ottenendo solo qualche occhiata ancora assonnata dai figli della dea.
Mosse qualche passo, dirigendosi nella zona dei ragazzi, i suoi anfibi scuri che battevano sul pavimento e sollevavano aloni di polvere. Evitò diversi vestiti gettati a terra e calpestati da tutti, un paio di scarpe sporche di fango accostate vicino ad un letto, studiando il volto di ciascun semidio per cercare il suo.
- Bouchard! - esclamò, questa volta la voce carica di  rabbia. Un ragazzo dai capelli biondi scattò sul letto, gli stessi occhi impauriti di una preda braccata. - Sei tu Theo Bouchard? - chiese Takeshi, massaggiandosi la parte alta dell'orecchio, dove il semidio impazzito lo aveva morso.
Lui scosse freneticamente la testa, facendo cenno ad un ragazzo ancora addormentato, il volto immerso nel cuscino di piume di pegaso, le gambe e il torso nudo, coperti solo parzialmente da un lenzuolo sfatto.
Takeshi gli si avvicinò, scuotendolo per le spalle, una prima ombra di barba che correva lungo il mento, una fascia a stampa floreale stretta sulla fronte, che gli teneva indietro i capelli scuri. Certo, non era esattamente quello che lui definiva virile, ma quella fascia conferiva fascino e malia al suo volto già bello.
Era per questo che Takeshi odiava i figli della dea dell'amore, anche se erano quelli più desiderati da tutti: riuscivano a sembrare impeccabili anche dopo lo scoppio di una bomba atomica. Se doveva dirla tutta, quel tizio assomigliava maledettamente a Joel.
Tutto, di lui, dalla morbida linea della bocca al colorito abbronzato della sua pelle, gli faceva ricordare del suo ragazzo morto, lo faceva tornare ai giorni in cui era stato felice, a quando era uno spensierato ragazzino come tutti gli altri.
- Bouchard, maledizione, vuoi svegliarti o no? - lo minacciò, il tono di voce brusco. Lui aprì gli occhi, occhi del blu più intenso che Takeshi avesse mai visto, mentre si tappava la bocca durante uno sbadiglio.
Per un attimo, rimasero lì a guardarsi, il figlio di Tanato vestito di nero, sporco di sangue e così lontano dal concetto che tutti avevano di bello. Il figlio di Afrodite era nudo, se non per un paio di boxer scuri, la pelle resa lucida ed invitante dai raggi del sole. 
Era attraente, quel fottuto figlio di Afrodite era attraente. Chissà quante dracme aveva racimolato, solo per dare un sorriso anche al più infimo degli uomini.
- Vestiti. - gli disse solamente, mentre un'ombra di confusione passava per gli occhi di Theo, rimpiazzata poi dalla paura, - Sei sordo per caso? Ti ho detto di vestirti. -
Lui annuì, abbassando lo sguardo e muovendosi nella capanna di Afrodite per raggiungere il bagno. Doveva averlo fatto tutti i giorni, dato che non provava imbarazzo o vergogna a girare seminudo fra i letti dei suoi fratelli.
Certo, con un corpo così poteva permetterselo.
Takeshi avrebbe fatto carte false per aver il suo colore degli occhi o l'armonia e la bellezza del suo viso, quella con la quale ogni figlio della dea dell'amore stregava la sua vittima. Aveva scoperto da molto tempo di essere bisessuale, di essere ammaliato da come un corpo sapeva muoversi, dal piacere oscuro che solo la carne sapeva darti.
E non se ne vergognava.
- Se non ti muovi, entro tre secondi ti spedisco contro un cerbero infernale. - gli disse, mentre lui usciva a piedi nudi dal piccolo bagno della cabina, afferrando uno dei suoi tanti vestiti che giacevano ai piedi del letto.
La canotta bianca sgualcita metteva in risalto i suoi tatuaggi, un drago che si avvolgeva a spirale su per il braccio destro, arrivando fino alle dita. Poi Takeshi vide un'ancora, un fulmine e diversi altri disegni di cui non riusciva bene a cogliere il senso, ma che gli stavano maledettamente addosso.
- Vorresti venire con un paio di infradito? - gli domandò il figlio di Tanato, osservando dubbioso le calzature del figlio di Afrodite, mentre lui faceva spallucce.
- Non credo di dovermi preparare oltre. - rispose, la voce stizzita che ostentava coraggio, - Visto che sto per essere usato come una cavia da laboratorio. -
Takeshi fu tentato di mollargli uno schiaffo.
Forse non era solo per il fatto che fossero sempre belli e impeccabili, che odiava i figli della dea dell'amore. Forse anche perché avevano una lingua lunga e biforcuta. Takeshi gli rivolse un sorriso canzonatorio che, nel complesso, rese ancora più acido il suo volto, mentre gli indicava la porta.
- Cammina. -
L'aria era ancora frizzante, quando uscirono dalla cabina di Afrodite. Il figlio di Tanato non riusciva a capacitarsi di come quel ragazzo non provasse freddo, viste le sue braccia scoperte, anche se c'era un timido sole nel cielo. Decise di non chiederglielo.
I ruderi della Casa Grande spiccavano in lontananza, la brutta copia di come doveva essere prima che il campo cadesse in mano ai mostri. Ancora più in là, si poteva scorgere la parete dell'arrampicata, la lava vulcanica che scendeva verso il terreno, una scia di magma incandescente che bruciava qualsiasi cosa ci fosse sul suo cammino.
Se qualcuno gli avesse chiesto di disegnare quello che vedeva, Takeshi avrebbe rovesciato sul foglio tutta la china, visto che il campo era diventato una macchia d'ombra.
- Tu non sei come loro, non è vero? -
Il figlio di Afrodite lo stava guardando con i suoi profondi occhi azzurri, occhi nei quali potevi perderti, se non stavi attento. Camminava a passo sicuro verso la Casa Grande, come se non avesse paura di essere infilzato da un ago e diventare pazzo, come quel semidio con cui Takeshi aveva lottato.
- Sta' zitto e cammina, Bouchard. - gli ordinò lui, guardando dritto davanti a sé, una driade che piangeva lacrime verdi per la morte di un satiro, ucciso dagli artigli di un grifone.
- Non chiamarmi in quel modo. - lo rimbrottò lui, arricciando il naso, la fascia a fantasia floreale che ancora campeggiava sulla sua fronte, come se non avesse alcuna paura di mostrarla in pubblico.
- E come dovrei chiamarti, eh? - gli chiese, sarcastico, - Ti andrebbe meglio prigioniero? O meglio ancora, schiavo? - continuò, la sua lingua biforcuta almeno quanto quella dei figli di Afrodite. Lui accusò il colpo senza darlo a vedere, le sue infradito che producevano un fastidioso tap tap ad ogni passo.
- Comunque continuo a credere che tu non sia come loro. - disse con un filo di voce, i contorni della Casa Grande ormai molto vicini, - Non ho ancora capito come tu possa essere passato dalla parte della cosa. Si capisce subito che non faresti del male ad una mosca. -
Takeshi scattò. - Senti un po', bambolotto, tu non sai niente di me, chiaro? - domandò, stringendogli il polso. Lui fece una smorfia, mordendosi il labbro inferiore e riuscendo ad apparire sexy anche mentre provava dolore. - Non puoi sparare sentenze quando non conosci tutta la storia. Adesso vedi di camminare e di stare zitto, se non vuoi che ti tagli la mano. -
Lasciò la presa, sotto il suo sguardo indignato. - La cosa mi vuole vivo! - ribatté lui, i loro volti a pochi centimetri l'uno dall'altro, le finestre della Casa Grande che si illuminavano di un lampo azzurro, il nuovo colore della morte.
- Non ha detto in quanti pezzi, però. - gli rispose sarcastico Takeshi, mettendosi dietro di lui e spingendolo con un gesto brusco della mano.
Non appena misero piede nella Casa Grande, lui alzò gli occhi al soffiato, mormorando un'esclamazione di sorpresa in greco antico. Takeshi non poteva dargli torto, visto come i traditori avevano riorganizzato gli spazi, dopo la vittoria della cosa.
Diversi semidei schernirono il figlio di Afrodite, Arthur lo osservò come se non fosse altro che una bestia da macello, mentre Astrid, invece, sorrideva, come se avesse appena compiuto un omicidio e fosse felice. Jude lo stava aspettando al piano di sopra, così condusse il semidio su per le scale.
- Come ti chiami? - gli chiese lui, scalino dopo scalino, le sue infradito che sbattevano contro il parquet scheggiato. Il figlio di Tanato si chiese il perché i figli di Afrodite fossero così impiccioni.
- Che ti importa? - rispose, sgranchiendosi le dita delle mani, l'anello di bronzo celeste, infilato alla mano destra, luccicava del sangue del semidio impazzito.
- Ho letto il tuo cuore, tu non sei una persona cattiva. - gli disse, mentre Takeshi si domandava se lo stesse ingannando. Certo, non che fosse proprio un fervido sostenitore della cosa, ma era pur sempre un traditore, una persona di cui non ci si doveva mai fidare.
Cosa che, invece, quel figlio di Afrodite stava facendo.
Prima che Takeshi potesse spiccicare parola, Jude apparve alle loro spalle, osservando il figlio di Afrodite con un sorriso mellifluo. Gli girò attorno, sfiorandogli i tatuaggi sulle braccia, il suo occhio nero che sembrava farsi ancora più scuro, per quante ombre vi si aggiravano all'interno.
- Ben fatto, Tak. - si congratulò Jude, percorrendo la linea delle spalle del figlio di Afrodite, il quale non si ribellava, forse perché era un gioco a cui era abituato da tanto tempo, - Portalo nella sala 2. Preparalo all'ATT-451. -
- Mio signore, ma è l'esperimen ... - tentò di opporsi Takeshi, ricordando la forza selvaggia con cui il semidio di poco prima lo aveva attaccato
Jude lo zittì con un'occhiata, continuando a toccare e cercare di conoscere ogni centimetro della pelle del figlio di Afrodite, le loro labbra carnose a pochi centimetri le une dalle altre, come un assurdo sogno psichedelico.
- Sala 2, fa' in fretta. - lo rimbrottò Jude, prima di scoccare un ultimo sguardo languido al figlio della dell'amore. Entrambi i ragazzi rimasero a guardare il punto dove Jude era sparito, poi si scambiarono un'occhiata muta, piena di paura, da una parte, e rassegnazione dall'altra.
- ATT-451. - ripeté lui, il rumore delle sue infradito che riempiva l'assurdo silenzio del primo piano della Casa Grande, - Che ... che vuol dire? - chiese, mentre entravano in una stanza compresa di un lettino e macchinari scientifici.
C'era un pannello di controllo delle frequenze cardiache, un defibrillatore, diversi aghi, uno più grande dell'altro, e persino delle cinghie per tenere fermo il semidio in questione se avesse tentato di ribellarsi. Il figlio di Afrodite osservò impaurito la stanza, fermo sullo stipite della porta finché Takeshi non lo spinse dentro, chiudendosi la porta alle spalle.
- Mi dispiace. - rispose il figlio di Tanato, facendolo sdraiare sul lettino senza che lui protestasse, come se ormai si fosse già arreso. Gli bucò la vena nell'incavo del braccio, infilandovi una flebo, armeggiando poi con diverse boccette colorate. - Ma temo che tu non abbia nessuna voglia di scoprirlo. -
E così facendo, gli iniettò del tranquillante dritto in vena.
 
 

 
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♔ King says: Ask me ♔

 
Ma buongiorno, ragazzi, anzi, visto che ci siamo, buon pomeriggio!
Inizio col dirvi che sono stato davvero molto felice di aver visto ben 34 persone disposte a partecipare a questo "progetto".
Si, inizialmente avevo postato il prologo solo per vedere come andava, ma dopo la grande affluenza ho deciso bene di continuare, anche perché ho già una trama bella dettagliata in testa AHAHAHAHAH
Per la vostra caparbietà e anche per aver scelto di immolarmi i vostri pargoli :')  vi meritate un biscottino blu :3
Ci tengo a precisare che i personaggi che mi avete mandato erano tutti bellissimi, però dovevo compiere ugualmente una scelta. Vi chiedo solo di non prendetevela se il vostro OC non comparirà tra i principali, ma sarà un semplice personaggio secondario.


► In questo capitolo abbiamo visto in azione Takeshi, il figlio di Tanato che ho adorato sin dal primo momento in cui ho letto di lui. (anche in altre storie AHAHAH I'm a stalker xD) Si parla anche di Jude, altro personaggio principale che vedremo più avanti :')
Inoltre, vengono presentati anche due personaggi secondari, come la figlia di Nike, Astrid Winstone (Milk_Chocolate_394) e l'ambiguo figlio di Ecate, Arthur Wever (Maico).
Ho provato, oltre a rispettare l'IC - spero - di Takeshi, anche a fare un po' più di luce sulla situazione in cui vige il campo. Quindi è per questo che ho aggiunto il particolare dello strato di Foschia, dei lestrigoni e anche dei figli di Afrodite che fanno gli accompagnatori (AHAHHAHAHAHAHAHHA) - non volevo essere volgare - visto che il campo è, sostanzialmente, sigillato.
Per quanto riguarda la C.A.D.M.O. a cui accenna Takeshi nella parte iniziale, è un'associazione che vedremo nei capitoli seguenti. Rendetevi conto che ho già fatto fuori un semidio anonimo, quello che era stato sottoposto all'esperimento ATT-451, ripetuto poi su Theo: secondo voi, che cosa si cela dietro questo nome? 
Altro biscottino blu per chia avanza delle ipotesi AHAHHHA

► Ho deciso di dare un capitolo ad ogni personaggio principale, alternando buoni e cattivi, maschi e femmine, anche se credo che ci potrebbero essere altri cambiamenti :3 Non seguirò un aggiornamento preciso, visto che non so quando e quanto riuscirò a scrivere.
Posso solo sperare che il capitolo vi sia piaciuto, visto che ho fatto del mio meglio. Per qualsiasi cosa potete contattarmi qui su Efp o sul mio profilo Ask (il link è all'inizio dell'angolo autore).
Alla prossima, 

King. 



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Soon on Heaven Knows: Rain ♠ Ali di Corvo
 
  
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