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Autore: effe_95    25/08/2015    9 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I ragazzi della 5 A
 

23. Calzamaglie, Sala Studio e Catena di sicurezza.


Dicembre
 
Enea detestava cantare.
Non perché fosse stonato, Oscar gli aveva detto che se la cavava piuttosto bene, ma perché sforzava talmente tanto le corde vocali, che tornava sempre a casa con un forte mal di gola.
Con l’avvicinarsi di Gennaio e la pausa delle feste natalizie sempre più vicina, Alessandro Romano aveva prolungato gli incontri di un’ora, li faceva cantare in continuazione ed Enea non ne poteva davvero più.
Lo spettacolo era previsto per il 10 Gennaio, sempre più vicino.
Enea ormai conosceva gli attacchi delle battute a memoria, le canzoni le aveva imparate tutte ed anche i movimenti, a volte si immedesimava talmente tanto che dimenticava di trovarsi su un palco, era fiducioso, lo spettacolo sarebbe andato bene.
<< Va bene ragazzi !>> La voce allegra del professore lo scosse dai suoi pensieri, Alessandro era appena entrato nel teatro portando tra le braccia tre grossi scatoloni che oscillavano pericolosamente. Lisandro e Ivan si affrettarono a dargli una mano, tossendo entrambi per la polvere che incrostava i cartoni, Enea sentiva l’odore di muffa da metri di distanza.
<< Cosa c’è in quegli scatoli? >> Domandò prontamente Fiorenza, quando i tre li ebbero poggiati sul tavolo più vicino, il professore rivolse un sorriso gioviale a tutti e aprendo velocemente uno dei cartoni, ne estrasse un bellissimo vestito rosa in stile seicentesco.
<< Sono i vostri costumi! Me li hanno prestati da un vecchio teatro dove ho recitato qualche anno fa. >> Spiegò allegramente l’uomo, passando il vestito a Beatrice, la ragazza storse il naso quando sentì l’odore di muffa che impregnava la stoffa. << Ecco … questi sono tuoi >> Borbottò il giovane professore, mentre cercava con una certa fatica di tirare fuori dallo scatolone un vecchio paio di calzamaglie azzurre.
<< Queste? >> Domandò Enea pallido in volto, Ivan, Lisandro, Romeo e Igor non erano messi molto meglio di lui, anche loro ricevettero una calzamaglia di colore diverso.
<< Si lo so, bisognerà apportarvi alcune modifiche, ma una mia amica sarta si è offerta di aggiustarli gratis. >> Commentò allegramente il professore, osservando con un sorriso felice stampato sulle labbra tutti gli oggetti scenografici che era riuscito a farsi prestare.
<< Il rosso non mi sta affatto bene >> Brontolò Ivan osservando le sue calzamaglie sia avanti che dietro, come se una posizione differente avesse potuto migliorarle.
<< Suppongo sia rossa perché sei un Capuleti. >> Commentò distrattamente Lisandro, osservando con fare perplesso un grosso buco proprio sul cavallo delle calze. << Quella di Enea è azzurra perché è un Montecchi >>. Enea sentiva uno strano sapore amaro in bocca, indossare quella roba avrebbe sicuramente danneggiato la sua reputazione.
<< Coraggio, su! >> Li richiamò il professore, era salito sul palco e batteva sonoramente le mani per attirare la loro attenzione << Oggi ripeteremo solo alcune scene, vorrei cominciare con quella del matrimonio >>. Nel sentire quelle parole, tutti salirono frettolosamente sul palco e presero le posizioni stabilite, Alessandro si posizionò dietro la console della musica e appena ebbe caricato il cd fece cenno di cominciare.
Provarono incessantemente per tutte le tre ore di fila, Enea aveva la gola in fiamme, non aveva mai parlato così tanto in tutta la sua vita.
<< Va bene ragazzi, per oggi basta così. Ci vediamo la settimana prossima, viene anche la mia amica sarta per i vestiti! >> Annunciò allegramente Alessandro, mentre infilava la giacca e lasciava velocemente il teatro, correndo come sempre per la fretta.
Enea si passò distrattamente una mano dietro il collo, era un po’ stanco, e quella sera non se la sentiva di andare in palestra, inoltre doveva ancora finire la relazione di fisica.
Aveva appena finito di chiudere la cartella quando qualcuno gli picchiò sulla spalla, si voltò e incrociò gli occhi nocciola di Lisandro, l’amico gli stava porgendo una bottiglietta d’acqua fresca. << Ho pensato che dovesse farti male la gola dopo tutto quel parlare e cantare >>. Commentò distrattamente il ragazzo, infilandosi in testa il suo solito cappello e nascondendo i corti capelli castani, quasi completamente rasati, sotto quest’ultimo.
Sotto la luce sbiadita dei lampadari giganteschi del teatro, il viso di Lisandro sembrava ancora più fine, le lentiggini sbiadite si distinguevano appena.
<< Grazie >> Si limitò a commentare Enea, prendendo la bottiglietta, ne svuotò metà in un solo sorso. << Senti … >> Lisandro si girò a guardarlo con aria curiosa quando lo sentì pronunciate quella parole e poi interrompersi << … la scena con Beatrice … sembravi piuttosto coinvolto >> Enea continuò la frase con finta nonchalance, infilando la cartella a tracolla e chiudendo il tappo della bottiglietta. Lisandro sgranò gli occhi, spostò velocemente lo sguardo, infilò le mani nelle tasche dei jeans e prese a giocare distrattamente con i lacci sciolti delle sue stesse scarpe.
<< Beh si, dopotutto Paride è innamorato di Giulietta. Devo essere credibile >>.
Commentò un po’ imbarazzato Lisandro, sempre con lo sguardo basso.
<< Ehi Lisa se … se fosse altro me lo diresti, vero? >> La domanda di Enea non era stata del tutto chiara, ma Lisandro l’aveva capita benissimo. Osservava Enea e Beatrice da quando era cominciata la scuola ed erano capitati malauguratamente seduti l’uno accanto all’altra, conosceva l’amico da anni, ed era piuttosto sicuro che si fosse preso una bella sbandata senza nemmeno rendersene conto.
Senza accettarlo.
<< Certo … >>
Non c’era molta convinzione nella voce di Lisandro, ancora perso nei suoi pensieri, ma Enea non ebbe modo di approfondire l’argomento, perché le ragazze uscirono proprio in quel momento da dietro le quinte, ridendo e parlando.
<< Potevate anche darci una mano a sistemare i vestiti negli scatoloni! >> .
Lo rimproverò immediatamente Beatrice, non appena lei e le altre si fecero un po’ più vicine, Enea si rese conto che lui e Lisandro erano gli unici ragazzi rimasti ancora in teatro.
<< Senti un po’, ma voi donne non vi siete tanto battute per l’emancipazione? >>.
La rimbeccò immediatamente lui, lanciandole uno sguardo di sfida accompagnato da un sorriso sghembo e beffardo. Beatrice avvampò indignata, seguita subito da Catena e Italia.
<< E voi maschi non vi vantate tanto dei vostri muscoli? >> Replicò la ragazza piccata. << Ci sono due scatoloni da mettere sugli scaffali, vai a farlo tu! >>
Enea scoppiò a ridere e alzò le mani al cielo.
<< Se me lo chiedi così gentilmente mi viene il diabete >> La canzonò, Beatrice continuò a fissarlo male, con un cipiglio severo tra gli occhi. << E va bene vado, non fissarmi così. Ci sentiamo più tardi Lisa >> Lisandro guardò prima lui e poi Beatrice con aria preoccupata, poi fece un breve saluto e se ne andò con passo strascicato, le mani ancora nelle tasche.
<< Andante avanti voi ragazze, controllo che lo faccia davvero e poi vi raggiungo >>.
Nel sentire quelle parole, Italia e Catena si voltarono a guardare Beatrice con aria preoccupata, un po’ titubanti.
<< Sei sicura? >> Domandò Italia, Beatrice annuì risoluta, mantenendo lo sguardo di Enea, le mani chiuse a pugno sui fianchi. Ancora titubanti, Italia e Catena non replicarono più nulla e lasciarono a loro volta il teatro.
<< Allora? >> Lo esortò sbrigativamente Beatrice << Muoviti che voglio tornare a casa >>.
Enea ridacchiò con fare stizzito, si tolse la cartella a tracolla e la adagiò su una sedia con accanto la bottiglietta d’acqua semivuota. << Agli ordini, sua maestà >>. La prese in giro facendole un piccolo inchino, Beatrice sbuffò imbestialita e lo precedette dietro le quinte.
Quando Enea la raggiunse ancora ridacchiando, trovò il lungo corridoio polveroso illuminato dalle fioche luci, Beatrice lo aspettava accanto ai due scatoloni.
<< Sono quei due? >> Domandò avvicinandosi, lei si limitò ad annuire bruscamente.
<< Devi metterli lì sopra >> Brontolò, indicando lo scaffale più alto.
<< Ehi, non sono alto mica due metri! A meno che tu non abbia una scala, credo che questi vecchi scatoloni polverosi se ne staranno qui ancora per un po’, non ho ancora imparato ad allungarmi a piacimento >>. La rimbeccò lui, incrociando le braccia al petto, Beatrice spostò leggermente lo sguardo e arrossì, Enea rimase incredulo, non poteva credere che una persona pignola come lei avesse davvero dimenticato che non avevano una scala in teatro.
<< V- vorrà dire che li metterà qualcun altro >> Balbettò lei in imbarazzo, spostandosi imbarazzati alcuni capelli ricci dalla faccia, gli occhi grigi posati su un angolo del pavimento, Enea incrociò le braccia al petto e le sbarrò la strada per l’uscita.
<< Quindi mi hai fatto perdere tempo per nulla, eh? Tutti quei rimproveri inutili! >>.
Beatrice gli lanciò un’occhiataccia quando sentì il tono ironico impregnargli la voce, in quel momento si pentì immensamente di trovarsi con lui, bloccata in quel corridoio deserto dove non avrebbe avuto via di fuga da ciò che provava.
Avrebbe dovuto ricordarsi dell’assenza della scala, era stata stupida.
Enea la osservava appoggiato alla parete, sembrava terribilmente rilassato, eppure Beatrice sapeva benissimo che se avesse anche solo provato a scattare verso l’uscita, lui l’avrebbe bloccata mostrando riflessi perfetti. Le labbra carnose erano piegate in un sorriso di scherno, sollevate sul lato sinistro creando una piccola fossetta sulla guancia spigolosa, il ciuffo castano-dorato ricadeva leggermente sulla fronte, il piumino nero gli fasciava le braccia allenate e robuste, ma erano gli occhi che Beatrice non riusciva a guardare.
<< Mi lasci passare … oppure dobbiamo restare qui tutta la notte? >>
Si decise infine ad affrontarlo, Enea sciolse le mani e le fece un gesto per farla passare.
<< Nessuno ti sta bloccando qui dietro, Beatrice >> La provocò lui.
<< Vuoi forse dirmi che mi lasceresti passare? >> Sbottò lei con una postura rigida, le braccia incrociare al petto, lo sguardo severo.
<< Perché … vorresti che non lo facessi? Dimmi un po’ Beatrice, sei preoccupata che possa baciarti davvero mentre recitiamo? >> Enea ridacchiò << Andiamo, lo so che non vedi l’ora che succeda >>. Beatrice si infiammò di colpo quando sentì quelle parole, liberò le braccia e lo spintonò, era livida e non gli avrebbe permesso di divertirsi con lei.
<< Non ti bacerei nemmeno se fossi l’ultimo uomo sulla faccia della terra! >>
Sputò carica di veleno continuando a spintonarlo, per un momento Enea rimase sorpreso, incassando un colpo dietro l’altro, poi fu assalito anche lui dalla collera.
<< Ah no? Vedremo! >>.
L’afferrò bruscamente per i capelli e posò le labbra su quelle di lei, Beatrice sussultò scandalizzata, ma la stretta di Enea era salda e forte, la premeva contro la parete e faceva pressione perché schiudesse le labbra, trasformando quel bacio in un uragano travolgente.
Beatrice aveva il cervello fuso, senza rendersene conto si rilassò tra le braccia di Enea, che le lasciò andare i polsi per stringerla meglio, lei gli adagiò le braccia attorno al collo e si raddrizzò per continuare a baciarlo, poi tornò bruscamente alla realtà.
Spalancò gli occhi, gli mollò un calcio nell' inguine ed Enea si staccò bruscamente imprecando.
<< D- deficiente! >> Gridò lei sconvolta, portandosi una mano sulle labbra ancora arrossate, indietreggiò e poi fuggì via.
<< Ehi! >> Il richiamo di Enea la raggiunse come una eco.
 
Ivan stava tentando di studiare, quando qualcuno gli appoggiò un bicchiere di cioccolata calda fumante proprio sulla pagina del quaderno con gli appunti di letteratura italiana.
Immediatamente dopo, insieme alla cioccolata calda comparve anche una barretta di cereali.
Il ragazzo alzò lo sguardo e incrociò gli occhi scuri e profondi di Italia.
Lei lo fissava dall’altro capo del tavolo, i capelli ramati erano sciolti sulle spalle, leggermente mossi sulle punte, i grossi occhiali neri le incorniciavano metà del viso.
<< Era da un po’ che ti osservavo dal mio tavolo … >> Commentò lei, indicando il luogo dove si trovava fino a poco tempo prima in compagnia di Catena, che in quel momento se ne stava con la faccia seppellita nel librone di filosofia. << … e ho visto che non facevi altro che sbuffare e strizzarti i capelli con le mani. Quando sono stressata, o non capisco qualcosa, prendo una cioccolata calda e mangio una barretta di cereali. Mi rilassa, ho pensato che potesse andar bene anche per te >>. Spiegò lei a bassa voce per non turbare la quiete della Sala Studio, dove altri studenti cercavano, chi inutilmente, chi con successo, di studiare.
Ivan la guardò ancora per qualche secondo, sperando vivamente di non avere la bocca aperta come un demente, e che quel maledetto brufolo che gli era spuntato a tradimento sulla fronte si notasse il meno possibile, anche se aveva l’impressione che la luce al neon lo illuminasse come un cartello segnaletico con mille frecce puntate contro.
<< Oh, g-grazie … è un pensiero gentile da parte tua >> Cercò di essere il più disinvolto possibile, abbozzando alla fine della frase un sorriso stiracchiato, il cuore di Italia balzò freneticamente nel petto quando vide comparire le fossette.
<< Io e Catena veniamo spesso il venerdì a studiare in Sala Studio, ma non ti ho mai visto prima >> Il commento di Italia fece sobbalzare Ivan, che cominciò a tossicchiare senza controllo, lei lo guardò con fare preoccupato, mettendosi seduta accanto a lui.
Quel giorno di turno c’era il professor Francesco Scotti, era uno dei più amati del liceo, nonostante insegnasse matematica e fisica, le materie più detestabili, la 5° A non aveva avuto il piacere di averlo come insegnate, ma Italia e Ivan sapevano che era lo zio di Aleskej e il papà di Katerina e Jurij, i gemelli dai capelli biondissimi che chiamano “gocce d’acqua”.
Era un professore tranquillo, ma Italia non voleva sfidare la sorte, e continuare a stare in piedi significava attirare eccessiva attenzione, ma quel gesto fece arrossire Ivan.
<< N- on … >> Cominciò a biascicare, mentre riprendeva lentamente possesso delle vie respiratorie << Di solito non vengo … ma oggi avevo bisogno di concentrazione … >>
E volevo vederti a tutti i costi.
Ivan terminò di formulare la frase nella sua testa, Italia gli regalò un piccolo sorriso e indicò la cioccolata calda. << Se non la bevi si fredda >>. Ivan annuì vigorosamente e afferrò il bicchiere di plastica con troppo zelo, si scottò tutte le mani e fece traboccare un po’ di cioccolata oltre il bordo, dritto sulla manica arrotolata della maglietta rossa.
<< Dannazione! >> Borbottò tra i denti, Italia scoppiò a ridere vedendolo così impacciato.
<< Aspetta, non agitarti >> Gli passò immediatamente un pacchetto di fazzolettini preso dalla tasca del piumino che portava a causa del freddo, e Ivan lo prese rosso in viso e imbarazzato. Era proprio da lui imbrattarsi la maglietta di cioccolata come un bambino.
Si pulì velocemente la mano e prese a passare con zelo il pezzo di carta sulla macchia della manica, allargandola in maniera davvero imbarazzante.
Italia fermò quel movimento frenetico appoggiando una delle sue piccola mani delicate su quella grossa e ruvida del ragazzo, Ivan percepì un brivido risalirgli lungo tutta la schiena fino all’altezza del cuore, che batteva con una certa violenza minacciando di uscire dal petto. << V- vuoi venire a pranzare da me, domani? >> La domanda di Italia lo colse così alla sprovvista che il fazzolettino rattrappito e sporco gli cadde di mano finendo per terra.
Italia aveva le guance leggermente arrossate e puntava lo sguardo ovunque tranne che su di lui, le mani si contorcevano, appoggiate sui jeans stretti e scoloriti.
<< S- si, va bene >> Rispose Ivan, deglutendo rumorosamente, era passato parecchio tempo dall’ultima volta che era stato lui ad invitarla.
<< Per … per ricambiare l’altra volta >> Balbettò lei, irrequieta sulla sedia.
<< Con piacere … a che ora? >> Domandò lui con gli occhi sgranati.
<< Vieni alla mezza >>.
<< Va bene >>.
E non appena ebbe sentito la conferma, Italia scattò in piedi e tornò al suo tavolo.
Ivan guardò la cioccolata e la barretta di cereali con il cuore in subbuglio, era sicuro che non sarebbe più riuscito a studiare Leopardi, e nemmeno a dormire quella notte.
 
Catena aveva osservato la scena di sottecchi dal suo tavolo.
Era seriamente intenzionata a studiare Kierkegaard, ma era anche preoccupata per la sua migliore amica, perché Italia era innamorata di Ivan e avrebbe dovuto dirglielo.
Quando la vide avanzare verso di lei rossa in viso e con i pollici alzati, le scappò un sorriso sincero e sperò che l’indomani andasse tutto bene.
Italia si affrettò a raggiungerla e prendere un astuccio colorato dalla borsa.
<< Vado un attimo in bagno … meglio evitare il mar rosso in agguato >>.
 Aveva gli occhi luccicanti quando le comunicò la sua urgenza, sembrava allegra e raggiunse la porta baldanzosa, probabilmente senza nemmeno accorgersene.
Catena scosse la testa, ancora sorridendo, e tornò a concentrarsi.
Era immersa nella lettura da qualche minuto quando qualcuno le posizionò un cupcake sgargiante sotto il naso. Guardò il dolce con le sopracciglia contratte, aveva un’intensa glassa rossa e tante stelle colorate di bianco e giallo sopra, era un po’ ammaccato ai lati, c’erano due piccoli solchi che mostravano chiaramente la pressione esercitata da due polpastrelli.
Sollevò lo sguardo e incrociò gli occhi da cerbiatto di Oscar, che si era seduto di fronte a lei e la fissava. Indossava il piumino nero, leggermente sbottonato sul maglione blu notte, e se ne stava curvo sulla sedia come un vecchio. << E questo? >> Domandò lei, con voce flebile.
<< E’ per farmi perdonare … più o meno >>. Mormorò lui moscio sulla sedia, con lo sguardo perso sul libro di filosofia, senza guardarlo realmente.
Catena sospirò pesantemente e allungò una mano nel tentativo di prendere quella del ragazzo, solo che Oscar era troppo lontano e si rifiutò di aiutarla, quasi come se volesse punirsi, privandosi del contatto fisico con lei.
<< Ne abbiamo già parlato Oscar, ho detto che non fa nulla. Ti ho già … >>
<< Lo so >> La interruppe lui sollevando lo sguardo, aveva gli occhi gonfi e pieni di sonno arretrato << Solo che non posso smettere di pensare quanto sia stato disgustoso con te! >> Sbottò massaggiandosi gli occhi, Catena provò un moto d’affetto nel petto quando lo vide compiere quel gesto.
<< Non hai dormito stanotte? >>
<< No … ho avuto un incubo >>
Si guardarono ancora una volta negli occhi, quelli di Oscar arrossati.
<< Non lo farò mai più … aspetterò che sia tu a dirmi quando sei pronta. Aspetterò anche tutta la vita se vorrai >>. Catena resse il suo sguardo, si sentiva stranamente tranquilla.
<< Lo so >> Replicò con voce calma << E so anche che non sei il tipo da dire quelle cose >>.
Fu Oscar ad abbassare ancora una volta lo sguardo, ma lei lo pungolò con la matita richiamando nuovamente la sua attenzione. << Per questo ti ho perdonato >>.
Prese tra le mani il cupcake e cercò in qualche modo di tagliarlo a metà, spalmando un po’ di glassa sulla carta che lo avvolgeva.
<< Dividiamo il cupcake? >> Gli porse l’altra metà sorridendo, Oscar sospirò rassegnato e prese la sua metà, sorridendo mestamente.
<< Sei troppo buona con me, non ti merito >>
<< Lo so … ma non posso lasciarti andare, io sono la tua catena di sicurezza, e reggerò finché me lo permetterai. >>
E poi ti amo.
Catena quel pensiero se lo tenne per se, pensando che dopotutto fosse troppo presto per lui, Oscar continuava a guardarla intensamente, con la sua metà di cupcake ancora integra, poi si sciolse in un sorriso bonario.
<< Cerca di reggere tutta la vita allora >>.
 
 
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Effe_95 

Buonasera a tutti.
Spero di non aver pubblicato troppo tardi anche questo capitolo, chiedo scusa in tal caso.
Allora, la prima parte del capitolo è stata difficile da scrivere, ma ricordo di aver accennato ad alcune di voi che tra Enea e Beatrice avrebbero presto avuto una svolta improvvisa.
Beh, spero che vi sia piaciuta :)
Per la parte di Italia ed Ivan, in realtà sono io quella fissata con la cioccolata e le barrette di cereale, e ho passato questa mia passione (?) anche ad Italia. E' vero che è rilassante, ma poi mi lamento sempre dei chili di troppo, se questo non è piangere sul latte versato xD
Spero che nell'ultima parte Oscar si sia fatto un po' perdonare, e finalmente vi ho svelato perché ho deciso di chimare Catena proprio così.
Grazie mille come sempre per l'appoggio.
Alla prossima spero, risponderò alle vostre fantastiche recensioni il prima possibile.

 
  
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