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Autore: Victoria93    26/08/2015    8 recensioni
Tratto dalla storia:
-"Stai dicendo che sono io la tua ossessione, signor detective...?" gli sussurrò, di nuovo vicinissima alle sue labbra.
"Non lo so...ma mi stai impedendo di pensare. E nessuno era mai riuscito a ottenere un simile risultato nei miei confronti. Direi che le probabilità che tu sia diventata la mia ossessione sono intorno al 62%".
"Odio le tue stupide percentuali" replicò lei, senza riuscire a trattenersi dal ridacchiare.
"E io amo te".- Elle è pronto per dedicarsi al caso Kira, e ben presto incontra gli agenti giapponesi e si prepara allo scontro con il colpevole, come da programma, ma stavolta...il coinvolgimento di un nuovo agente dell'FBI nelle indagini lo porterà a cambiare notevolmente le sue prospettive, in un modo che nemmeno la mente più geniale del mondo avrebbe mai potuto calcolare e prevedere. Una storia d'amore, intensa, passionale, contro cui quasi niente sarà in grado di opporsi...
Genere: Drammatico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'SUGAR AND PAIN'
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Capitolo 25- Too soon, too late
 
Elle continuò a camminare in direzione degli agenti di polizia, le mani in tasca e lo sguardo determinato e sicuro: dopo aver indossato un casco di protezione, imitato da Light, salì insieme a lui sulla macchina da cui Mogi e Ayber erano scesi poco prima, e si posizionò meglio l’auricolare dietro l’orecchio, pronto per dare ordini alla sua squadra.
“Bene. Siete pronti?” disse il detective, rimettendosi in collegamento con Soichiro e gli altri.
“Certo!”.
“Ricordatevi di stare bene attenti affinché non vi veda in volto: tenetelo sotto tiro. Alla prima mossa sospetta, aprite il fuoco, ma non sparate a vista: puntare agli arti inferiori. Ci serve vivo” sottolineò Elle.
“D’accordo” replicò il sovrintendente, affiancato da Mogi e da Aizawa.
“Mogi, adesso gli metta il microfono, come da programma” disse Light.
“Subito!” esclamò l’agente, eseguendo l’ordine.
Non appena il loro contatto audio fu avviato, Ryuzaki socchiuse gli occhi, versandosi una tazza di caffè con il thermos che Light gli aveva appena passato, concentrato al massimo su quello che stava per fare.
“Higuchi. Devi dirci come facevi ad uccidere” gli si rivolse, in tono gelido “Parla”.
All’altro capo, Higuchi rimase in silenzio, e, da quella distanza, Elle capì che aveva appena volto appena la testa, come nel tentativo di sfuggire a quelle presenze invasive e ostili che lo stavano circondando.
“Se ti rifiuti, ricorreremo a qualunque mezzo, pur di farti parlare” lo avvertì Elle, con lo stesso tono.
Dopo un’ulteriore pausa, capì che l’ormai ex imprenditore stava sospirando, ormai arresosi a quella situazione senza via d’uscita.
“Il quaderno…” mormorò lentamente.
“Il quaderno…?” ripeté Ryuzaki, frastornato.
“So che vi sembrerà incredibile, ma se su questo quaderno si scrive il nome di una persona di cui si conosce il volto, questa muore” proseguì Higuchi, abbassando la testa.
Dal canto proprio, Elle continuò a fissare il suo profilo per qualche istante, prima di riprendere a parlare.
“Signor Yagami” disse semplicemente, rivolgendo un ordine implicito al sovrintendente.
“Sì” replicò l’uomo, frugando nella borsa dell’arrestato ed estraendo proprio un quaderno dalla copertina nera “Ce n’è uno nella valigetta di Higuchi; in effetti, ci sono scritti diversi nomi, ma…a me sembra un comune quaderno”.
In quel medesimo istante, il poliziotto lasciò cadere a terra ciò che aveva appena raccolto, finendo per cadere a sua volta sull’asfalto e per lanciare un urlo terrorizzato, la mano destra subito pronta a scattare all’interno della giacca, in cerca dell’arma.
“Che succede, signor Yagami?!” gli domandò subito Ryuzaki.
“Un…UN MOSTRO!!!” gridò l’uomo, completamente atterrito.
“Si calmi: le ricordo, inoltre, che al momento non ha con sé una pistola” gli fece notare Elle, impassibile come di consueto.
“Ah, già…dimenticavo…” disse Soichiro, la voce ancora scossa dai tremiti.
“Tutto bene, sovrintendente?” gli chiese Mogi, chinandosi subito su di lui.
“Ma…m-ma c-come…Mogi…t-tu non lo vedi?” balbettò il sovrintendente, la schiena attraversata da nuovi brividi.
“Dev’essere solo un po’ di stanchezza” lo rassicurò il suo sottoposto, prendendo in mano il quaderno.
Non appena si fu voltato, anche lui lanciò un urlo di terrore e cadde a terra, indietreggiando come poteva.
“Che sta succedendo, Mogi?!” saltò su Light.
“Pare…pare che…c-chi tocchi il quaderno riesca a vedere…i-il mostro!” spiegò Soichiro, senza accennare a riuscire a staccare lo sguardo da quello che solo lui e Mogi erano in grado di vedere.
Ryuzaki corrugò appena le sopracciglia, posando la sua tazza di caffè e appoggiando le mani sulle ginocchia, la presa più salda di quanto non gli fosse congeniale.
“Portatemi quel quaderno, per favore” disse, con tono pacato.
“Sì…” replicò Mogi, avvicinandosi alla loro macchina e porgendoglielo “Ryuzaki, eccolo…”.
Le dita di Elle strinsero istantaneamente la copertina nera del blocco, e fu allora che, alzando lo sguardo, finalmente lo vide: proprio di fronte al signor Yagami, a distanza di non più di dieci metri da loro, c’era un essere dalle sembianze mostruose.
Incredibilmente alto, dalla pelle bianca e squamosa, aveva due occhi giallastri e dalle pupille rosse, che ricordavano quelli di un serpente, e la schiena ricoperta di grossi aculei minacciosi: poteva essere solo…
“Non è possibile…” mormorò lentamente “Quello è…uno shinigami. Ma allora esistono…esistono davvero…”.
In quel momento, la sua mente formidabile venne attraversata da mille immagini e ricordi, bombardata dalle parole di Light e di Ruri e di tutto quello che avevano scoperto in quei mesi d’indagine: il giorno in cui il secondo Kira aveva inviato al quartier generale la pagina di quel diario dell’anno precedente iniziò a farsi largo fra i suoi pensieri, scandendo a caratteri cubitali, di fronte alla sua vista, le frasi che si stavano rivelando più significative in assoluto…
Un appuntamento ad Aoyama…il quaderno…per mostrarsi i rispettivi quaderni…il secondo Kira…lo scambio…i RISPETTIVI QUADERNI…
“Ryuzaki, fallo toccare anche a me!!” esclamò Light, ma lui parve non sentirlo.
Ancora immerso nei suoi pensieri, improvvisamente riuscì a dare un senso a tutto ciò che non gli era mai apparso chiaro fino in fondo, prima di quell’attimo: adesso capiva. Adesso tutto, finalmente, aveva un senso.
*I quaderni sono due…* rifletté, avendone infine la certezza *Non è ancora finita…*.
Solo abbassando gli occhi, si rese conto che il quaderno non era più fra le sue mani: voltandosi leggermente alla propria destra, vide che Light lo stava stringendo, la bocca spalancata e gli occhi attraversati dalla luce della paura allo stato puro.
In effetti, avrebbe detto che fossero gli occhi di una persona che sta fissando letteralmente la morte…perché come poteva, un’espressione come quella, rivelarsi semplicemente umana?
Fu allora che lo sentì urlare: urlava a pieni polmoni, come se qualcuno lo stesse uccidendo dall’interno, come se stesse precipitando in un baratro senza fine, come se il cuore fosse sul punto di scoppiargli o di venire estirpato brutalmente dal suo petto.
Era un grido come non ne aveva mai uditi: un grido di paura, di rabbia, di dolore, di frustrazione…era un grido di aiuto. Quasi come se Light, in qualche modo, lo stesse implorando di salvarlo, anche se nemmeno lui sapeva da che cosa, anche se nemmeno lui poteva dirsi consapevole di quello che gli stava accadendo…
Quando finalmente si fu calmato, ed ebbe abbassato la testa con lentezza, Elle si azzardò a rivolgergli di nuovo la parola.
“Che c’è? Va tutto bene, Light? Coraggio…chiunque si spaventerebbe, vedendo un mostro del genere…”.
Che idiozia. Come se l’urlo di Yagami avesse potuto davvero essere dovuto alla vista dello shinigami: Light poteva anche essere umano, ma non era il tipo da lasciarsi andare così di fronte a qualcosa che poteva al massimo indurlo alla soggezione. Ma allora…
“Ryuzaki”.
La sua voce era fredda, controllata, quasi computerizzata: senza attendere un altro secondo, aveva fulmineamente acceso il portatile collegato all’auto, iniziando a scorrere i dati del caso e continuando a tenere le mani saldamente incollate sul quaderno.
“Sì?” replicò Elle, senza smettere di osservarlo di sottecchi.
“Dobbiamo confrontare i nomi scritti su questo quaderno con quelli delle vittime…” disse Light, senza voltarsi, iniziando a digitare freneticamente sulla tastiera del laptop con la mano libera.
“Ah…sì, giusto. Me n’ero quasi dimenticato…” mormorò Elle.
Mentre Light iniziava a fare quanto detto, il detective migliore al mondo seguitò a osservarlo con attenzione, la schiena attraversata da un brivido e la mente invasa dalle parole che Ruri gli aveva detto la sera precedente…
 
Ti è mai capitato di pensare che…se davvero riuscissimo a far venire il vero e solo Kira allo scoperto…finiremmo per uccidere definitivamente quello che resta di Light?
E mentre ripensava a ciò che aveva affermato e all’urlo agghiacciante uscito poco prima dalla bocca di Light, avvertì a un tratto la sensazione che gli occhi del suo amico avessero emanato un guizzo che, mai, in quel periodo di prigionia trascorso insieme, gli era capitato di scorgere…per un solo istante, avrebbe giurato che il suo sguardo avesse assunto una nuova, inquietante sfumatura rossastra…
 
A bordo dell’elicottero di Elle, un paio di chilometri più a sud, Ruri represse un gemito di dolore e chiuse di scatto gli occhi, nel tentativo di non pensare alle ferite e di concentrarsi per rimanere lucida il più possibile. Era seduta sul pavimento, data la mancanza di sedili sul retro del mezzo: malgrado Watari avesse insistito affinché si sistemasse vicino a lui, si era rifiutata categoricamente di lasciare la mano di Ayber, e gli era rimasta a fianco, anche dopo che lo avevano posizionato a terra, assicurandolo con delle cinghie per far sì che non si muovesse, nonostante le turbolenze del volo. Lei era riuscita a fare altrettanto, e da allora l’unico movimento che era stata in grado di fare era consistito nello stringere le dita dell’amico, che di quando in quando, nel suo assopimento continuo, si lasciava andare a qualche colpo di tosse, accompagnato dall’espulsione di piccole quantità di sangue.
Mentre Watari virava in direzione del quartier generale, udì a un tratto che il diretto interessato le stava parlando.
“Mentre Robin si occuperà di Ayber, io provvederò a lei: sta perdendo molto sangue, Miss, dobbiamo intervenire in fretta”.
“Sto bene” si sforzò di dire Ruri, con tono molto meno spavaldo del solito “Pensi ad assistere Robin in sala operatoria, avrà bisogno di aiuto”.
Tu hai bisogno di aiuto” la contraddisse Watari.
Per la prima volta, capì che era decisamente arrabbiato.
“Ce l’hai con me?” gli domandò, incerta.
“Tu che dici?!? Hai rischiato di farti ammazzare!! Quante volte devo ripeterti che non voglio che tu ti metta in pericolo in questo modo? Mi hai quasi fatto scoppiare il cuore!” la rimproverò l’anziano, senza voltarsi indietro “E Ryuzaki…era…”.
“Lo so. Senti, mi dispiace: lo so che non avrei dovuto…è solo che…non avrei potuto fare diversamente. Sono stata folle, e so quello che poteva succedere, ma…non è successo” sospirò la profiler.
“Stava per accadere di nuovo, nell’arco di un paio di secondi. Se non fosse stato per Ayber…”.
Quelle parole le fecero male più di ogni ferita, vecchia o nuova che fosse: in modo quasi impercettibile, volse ancora lo sguardo verso il suo amico, che stava tremando in maniera incontrollabile.
“Perdonami…” le disse poi Watari, a voce più bassa “Non avrei dovuto dirlo…ma ero…”.
“Eri spaventato” annuì Ruri, stringendo forte la mano del biondo “Non so come farmi perdonare, Watari…”.
“Non rifarmi mai più una cosa del genere” la pregò l’anziano signore “Mai più. Non sono più un ragazzino e non posso perdere i miei figli. Non di nuovo. Se entro la fine di questa storia succede qualcosa a te e a Ryuzaki…”.
Aveva lasciato la frase in sospeso, come se si fosse rivelato incapace di proseguirla: con un lieve sorriso, Ruri non poté fare a meno di pensare al modo in cui aveva usato la parola ‘figli’ al plurale, e a quello che aveva cercato di dirle in quell’impeto di estroversione, che normalmente non sarebbe mai uscito dalle sue labbra.
Fece per replicare, ma in quel momento Ayber le strinse più forte la mano, attirandosi la sua attenzione e aprendo appena gli occhi, per poi sbattere le palpebre in modo molto confuso.
“R-Ruri…” mormorò, la voce più roca di quanto non lo fosse mai stata.
“Sono qui” lo rassicurò Ruri, carezzandogli appena la fronte con la mano libera “Andrà tutto bene, Ayber: ti portiamo da Robin. Lei…lei è la migliore, vedrai. Ti rimetterà in sesto in un secondo”.
Ayber rise leggermente, ma dovette fermarsi subito, dato il fiotto di sangue che prese a uscire dalla sua bocca in maniera incontrollabile.
“Resisti solo un altro po’” insistette Ruri, rafforzando la presa “Ok? Resisti. Ormai ci siamo…”.
“S-senti, non…devi…devi tornare da Elle. Avrà…avrà bisogno di te…” balbettò Ayber, sempre più pallido ad ogni minuto che passava.
“Anche tu hai bisogno di me. E io non ti lascio solo, non adesso!!” sbottò Ruri, quasi arrabbiata “E appena uscirai da quella sala operatoria, dovrai vedertela con me!”.
“Mhm…s-sembri furiosa…” constatò Ayber, sorridendo suo malgrado.
“Mi prendi in giro?!” lo aggredì la profiler “Tu sei l’uomo più pazzo, scriteriato, fuori di testa che abbia mai avuto la possibilità d’incontrare! Dovevo prenderti a pugni con più decisione, a Quantico, magari ti avrei fatto rinsavire!”.
Ayber ridacchiò di nuovo, fissandola dritto negli occhi.
“Senti chi parla…Miss ‘Seguo-io-Higuchi-in-prima-linea’” tossì ancora, contraendo il volto in una smorfia “Hai fatto prendere un colpo a tutti…n-non venirmi a fare lezioni adesso…”.
“Non ti sforzare” lo interruppe Ruri, scuotendo la testa “Non voglio che perdi energie preziose, e inoltre, non puoi vincere uno scontro verbale con me. Sono brava a metterti all’angolo, ricordi?”.
“Ah, s-sicuro…tu e la tua linguaccia” mormorò Ayber.
Dopo qualche secondo di silenzio, Ruri si accorse che l’amico era scosso da un brivido diverso: prima che potesse davvero rendersene conto, capì che una lacrima era appena sfuggita dagli occhi del biondo.
“Ayber…” tornò a rivolgerglisi, rafforzando di più il loro contatto.
“Dovevo dirglielo prima…” sussurrò Ayber, fissando il soffitto dell’abitacolo in cui si trovavano.
“Cosa?” ribatté Ruri, agitata.
“Che l’amavo…” proseguì Ayber, senza ancora guardarla “Dovevo…dirglielo prima…”.
A un tratto, fu completamente chiaro: Ayber, in quelli che credeva essere gli ultimi momenti della sua vita, non poteva parlare d’altri che di Giselle.
Con un sospiro profondo, Ruri appoggiò la schiena alla parete, chiudendo gli occhi per un istante e sforzandosi di mantenere la voce ferma.
“Lei…lei lo sapeva” gli disse poi “Credo…credo che lei lo sapesse già…”.
“No…” replicò Ayber, sorridendo suo malgrado “Non lo sapeva…n-non…non lo sapeva…”.
Sospirando di nuovo, Ruri si volse verso di lui, fissandolo negli occhi e cercando di trattenersi dal fare qualcosa come urlare, o piangere, o perdere definitivamente il controllo, ma non poteva negare la realtà dei fatti: Ayber le stava morendo davanti agli occhi.
“Senti, se…se muori…se solo provi a morire, io giuro che ti…” balbettò appena, mentre le lacrime prendevano a scorrerle lungo le guance, nonostante i suoi sforzi “Io non te lo permetto. Hai capito? Io non…tu oggi non muori. Mi hai sentito? Tu non muori. A-adesso…adesso ti portiamo da Robin, e tu entrerai in quella sala operatoria, e ti addormenterai, e quando ti sveglierai io ti prenderò a calci e ti riporterò da tua moglie e dai tuoi figli. Hai capito, signor truffatore dei miei stivali? Tu non muori, oggi”.
“Te la saresti cavata bene, nella malavita” ridacchiò il biondo, strizzandole appena l’occhio “S-sei…sei sempre stata brava. Sei la donna più decisa che abbia mai conosciuto. In effetti…avresti mai potuto essere diversa, dopo tutto quello che è successo? Volevo…chiederti scusa, a proposito. Dovevo starti più vicino, dopo la V-Virginia…”.
“Smettila. Non pensare a queste stronzate. Pensa a stringermi la mano e resta sveglio” gli ordinò Ruri “Non puoi morire, hai capito? Devi tornare a casa. Lo hai promesso a Giselle, e…e ai tuoi bambini”.
Con un altro sorriso, Ayber gettò uno sguardo in direzione del suo ventre, perfettamente piatto: l’espressione sul suo volto era più serena.
“Ho fatto centro, vero? Sto per diventare zio…?”.
Ruri si lasciò scappare una risatina nervosa, in mezzo alle lacrime.
“Sei matto? Ti sembra il momento di…”.
“Beh, sei tu quella c-che…che parla di figli. Dimmi che ho ragione. Adoro avere r…ragione”.
La profiler sospirò pesantemente, appoggiando la nuca contro il metallo freddo dell’elicottero.
“Non lo so” ammise, dopo un lungo silenzio “Se lo fossi…dovrei essere almeno di tre mesi. Non so come avrei potuto non accorgermene…”.
“Giselle non si è accorta di aspettare M-Matthew prima del quarto mese. Forse diventerò davvero zio, chi lo sa…” rise Ayber, fissando distrattamente il soffitto “Gli darai il mio nome?”.
“Tu sei davvero matto” rincarò la dose Ruri, ridendo suo malgrado.
“Beh, sono pur sempre un eroe di guerra. I caduti non meritano un onore simile?”.
Sentendolo parlare così, Ruri capì che stava di nuovo pensando alla morte.
“Senti, Ayber…Ayber…Terry…” lo chiamò alla fine, pronunciando il suo vero nome nel tentativo di soffocare un singhiozzo “Devi…devi farti forza, va bene? Io…io voglio che resisti. Ho bisogno che tu lo faccia: solo questo favore, ok? Non ti chiedo altro. Fanculo i soldi che mi devi al poker, però questo…questo voglio che tu lo faccia. Ne ho bisogno…potresti…puoi vivere? Ti prego…”.
“Tu te la caverai” le sorrise Ayber “Non avete bisogno di me. Prenditi cura tu delle ragazze…e Matt…di’…di’ a mio figlio che…”.
“Io non dico un bel niente a tuo figlio, mi hai sentito?! Perché tu oggi non morirai!! Qualunque stronzata sentimentale tu voglia dirgli, gliela dirai di persona, e io ti accompagnerò, se vorrai, ma non ho intenzione di fare il piccione viaggiatore solo perché tu hai pensato di essere così stupido da farmi da scudo, quindi adesso tu risparmi il fiato, ti calmi e pensi a rimanere vivo!!”.
“Ruri…non ce la farò…” sussurrò il truffatore, sorridendole in modo triste.
“No, basta. Smettila. Smettila, mi senti? Smettila, basta” sussurrò Ruri, serrando gli occhi e stringendogli la mano tanto da fargli male.
“Jane…Jane mi sta aspettando…io starò meglio…” la rassicurò Ayber, socchiudendo appena le palpebre.
“No!! No, Ayber, no!!” gridò Ruri, con la massima intensità “No, mi senti? NO!! La tua famiglia ti aspetta, la nostra squadra ti aspetta e…e anche…anche io ti aspetto. Perciò, non puoi morire, hai capito? Fra…fra tre giorni sarà il compleanno di Ryuzaki, e…e lo sai che non ho idea di come si faccia una torta, e avrò bisogno che tu mi prenda in giro mentre lo faccio, quindi…quindi devi restare. E io…io ti riporterò da Giselle. E da Matthew. E da Sophie. Torneremo a casa insieme…ok?”.
Alla vista delle sue lacrime e al suono della sua voce, il biondo rafforzò la presa e le sorrise di rimando, annuendo appena.
“Ok…” mormorò, allo stremo delle forze.
“Ok…ok…” ripeté Ruri, cercando di darsi forza.
“Ci siamo” annunciò Watari, iniziando a planare in direzione del tetto dell’edificio del quartier generale “Ho già detto alla dottoressa Starling di tenersi pronta: lo portiamo subito in sala operatoria”.
 
Scendere dall’elicottero fu quanto di più surreale, dopo il viaggio al suo interno: sulla superficie piana d’atterraggio trovarono Robin ad attenderli, già vestita con il camice da intervento chirurgico e i capelli raccolti sotto la cuffietta, ma con loro sorpresa, poterono vedere che era affiancata da Wedy.
“Che cos’abbiamo?!” gridò la rossa, correndogli incontro e tentando di sovrastare con la voce il rumore provocato dalle pale dell’elicottero, ancora in funzione.
“Ferite da arma da fuoco, sta per andare in arresto! Ho eseguito la respirazione e il massaggio cardiaco tre volte, ma non so quanto possa essergli stato d’aiuto! Gruppo sanguigno 0 positivo, se ce ne fosse bisogno non esitare a utilizzare le riserve che hai tenuto per me nel pronto soccorso!!” replicò Ruri, scendendo dal mezzo e sforzandosi di aiutare Watari a caricare Ayber sulla barella attrezzata, malgrado le ferite.
“Va bene!” replicò Robin, trattenendosi dal chiederle cosa fosse successo esattamente “Ruri, adesso scendi nella sala principale e resta là, d’accordo? Ci penso io!”.
“Cosa?! No, non se ne parla, non puoi operarlo da sola, basta solo che mi disinfetti e che mi lavi per entrare in sala operatoria e poi potrò darti una mano…”.
“È fuori discussione! Non entrerai là dentro, sei ferita, sconvolta e sei amica del paziente! E ogni minuto che perdiamo quassù a discutere è un minuto in meno in cui cerchiamo di salvargli la vita, quindi adesso lasciami lavorare e chiudi la bocca!!” la rimbeccò Robin.
“Ma non puoi operarlo da sola!!” sbottò Ruri.
“L’assisterò io” la rassicurò Watari, lasciandola di stucco “Senta, Miss, non sono un medico, ma mi è già capitato di assistere un vecchio amico in sala operatoria, in situazioni di emergenza…so cosa fare. Però ho bisogno di sapere che lei non tenterà di entrare là dentro…me lo promette?”.
Ruri lo fissò intensamente negli occhi, che, suo malgrado, le stavano diventando sempre più lucidi.
“Ayber…Ayber ha una famiglia!” le uscì detto.
“Lo so. Lasci che ce ne occupiamo noi” la rassicurò Watari “Wedy, puoi pensare a lei? Ha bisogno di aiuto”.
“Nessun problema” annuì la bionda.
“Ok, allora andiamo!! Di corsa!” gridò Robin, iniziando a spingere la barella di Ayber in direzione dell’ascensore, aiutata da Watari “Toracotomia d’emergenza, mi servirà un tubo endotracheale e 90 cc di bicarbonato! Proseguiamo con la ventilazione meccanica, dobbiamo individuare l’emorragia e bloccarla prima che sia tardi! Eseguire un’ecotransesofageo e poi procedere con…”.
Il resto delle parole di Robin venne assorbito dall’ascensore, che aveva preso a scendere ai piani sotterranei a una velocità sorprendente: dal canto proprio, Ruri non riusciva a staccare gli occhi dal punto in cui i suoi amici erano scomparsi, le mani e il corpo ancora sporchi del suo sangue e di quello di Ayber e l’espressione vuota, spenta, come di una persona che ha appena assistito a una diretta esplosione ed è ancora sotto shock per l’avvenuto.
Fu Wedy a riscuoterla dalla sua trance e a posarle una mano sulla spalla, rivolgendole un sorriso d’incoraggiamento.
“Ce la faranno. Vedrai che ce la faranno” le disse, iniziando a guidarla verso l’altro ascensore.
“Spero…possono farlo…tu non credi? Insomma…devono farlo” mormorò Ruri, lasciando che Wedy le facesse mettere un braccio intorno alle sue spalle per aiutarla a camminare.
“Possono farcela, Ruri. Sono sicura che andrà tutto bene” la rassicurò ancora Wedy, premendo il pulsante di chiamata dell’elevatore.
“Come…come mai sei qui? Dove sono gli altri?” domandò l’ex agente, con tono sempre più flebile: non voleva ammetterlo, eppure l’adrenalina e la paura per la sorte di Ayber le avevano permesso di rimanere in piedi fino a quel momento…ma adesso quell’effetto stava svanendo, e le forze la stavano abbandonando.
“Elle mi ha chiesto di andare avanti e di assicurarmi che non facessi altre cose stupide, come tentare di assistere Robin nel tuo stato” replicò Wedy, aiutandola ad entrare nel cubicolo “Certo che Ayber aveva ragione, tu sei davvero fuori di testa. Si può sapere a cosa diavolo stavi pensando? Potevi farti uccidere!”.
“Lo s-so…ma ero convinta che non s-saremmo riusciti a fermarlo in un altro modo. Non potevo…non p-poteva fuggire…” mormorò Ruri, con la vista che le si stava annebbiando.
“Beh, se non altro hai raggiunto il tuo obiettivo. Non so ancora come tu faccia a essere viva, ma senza dubbio le voci sul tuo conto erano vere” sospirò la bionda, mentre iniziava la discesa.
“S-sarebbe a dire…?”.
“Sei tanto impulsiva e fuori di testa quanto in gamba, stupefacente e fortunata. Incredibilmente fortunata” sbuffò la bionda, tamponandole le ferite sulla fronte.
“Non è stata fortuna, contro Higuchi…se…se Ayber non avesse…” mormorò appena, socchiudendo gli occhi.
“Ehi, senti, adesso basta, va bene? Non ti permetterò di startene qui a crogiolarti nei sensi di colpa! Dopo che hai interrotto il nostro contatto audio, Ayber è letteralmente impazzito, nel tentativo di starti dietro e di affiancarsi alla tua macchina per aiutarti, credo che Mogi abbia perso almeno cinque anni di vita, per colpa sua! Quindi, adesso non cominciare a dirmi che non doveva farti da scudo e che lui ha molti più motivi di te per rimanere in vita, perché non è così, ok? Non è così e basta. Se Ayber ha una famiglia, questo non toglie che ce l’abbia anche tu!” la rimproverò la bionda.
“Io…io non ho dei figli!” la rimbeccò Ruri, con un’occhiataccia.
“Davvero?” la interruppe Wedy, con uno sguardo molto penetrante “E che mi dici dei tuoi continui giramenti di testa e dei crampi al basso ventre?”.
Quelle parole la lasciarono attonita, facendole perdere anche quel poco di colore che le rimaneva in volto: ma prima che potesse risponderle, la nebbia cominciò ad oscurarle la vista, e le sue forze l’abbandonarono definitivamente.
“Ehi, ehi, Ruri! Andiamo, forza! Non farmi scherzi, ok? Ruri!! Ruri!!”.
La voce di Wedy continuò a giungerle in modo sempre più flebile, man mano che il profilo della bionda scompariva alla sua vista, ottenebrato dal buio che continuava a incombere su di lei…
E infine, non sentì più niente.
 
Quando riaprì gli occhi, il mondo le apparve diverso da come lo ricordava: si trovava in un ambiente bianco, dotato di strane attrezzature meccaniche che emettevano curiosi suoni ritmici ben scanditi e provvisto di luci accecanti tanto quanto lo erano le stesse pareti.
Voltando appena la testa, ancora abbagliata dalla luminosità di quel posto, capì d’essere sdraiata sopra quello che a prima impressione le sembrò il lettino di uno studio medico, e che le sue ferite erano state pulite, disinfettate e fasciate; ad un tratto, fece per alzarsi, ma un nuovo capogiro la costrinse a rimanere sdraiata, e un’altra fitta nella zona dell’utero le strappò un gemito di dolore.
Fu allora che udì di nuovo la voce di Wedy.
“Adesso non ricominciare, ok? Vedi di startene buona per un po’, per una volta!” esclamò, con tono severo.
“Che…che cosa è successo?” le domandò Ruri, ancora frastornata “Ma…dove siamo?”.
“È successo che tu sei una pazza incosciente, più di quanto avrei mai immaginato! Roba da non credere! Sei svenuta di colpo e ti ho portata nello studio di Robin”.
Guardandosi meglio intorno, Ruri iniziò in effetti a riconoscere la scrivania dell’amica, i fiori sulla sua superficie e alcune delle fotografie appese alle parete, le stesse senza cui Robin non partiva mai da casa.
“Da quanto tempo sono qui…?” le chiese, sforzandosi di rimettersi a sedere.
“Da due ore. Elle e gli altri sono tornati, prima che tu me lo chieda: sono in riunione nella sala centrale” replicò la bionda, sedendosi vicino a lei e sospirando pesantemente.
“Ma…ma che cos’è successo? E Higuchi? È alla centrale di polizia?” domandò ancora Ruri, con tono concitato.
Wedy sospirò nuovamente e scosse il capo.
“No, Ruri. Higuchi è morto: sembra che Kira ci abbia fregato un’altra volta”.
“COSA?!?!” sbottò Ruri, strabuzzando gli occhi “COME SAREBBE CHE È MORTO?!?”.
“Sarebbe che ha avuto un arresto cardiaco, proprio mentre il signor Yagami e gli altri lo stavano portando via. E ti confesso che questa storia mi puzza di bruciato lontano un miglio…” ammise Wedy, con aria tesa.
Ruri si prese la testa fra le mani, riflettendo alla velocità della luce: com’era possibile che Higuchi fosse davvero morto di arresto cardiaco, subito dopo essere stato catturato? Era opera di Kira, del vero Kira, su questo non c’era alcun dubbio…ma allora…allora significava che c’era Light, dietro tutto ciò? Che avesse calcolato tutto nei minimi dettagli, per fare in modo che giungessero a Higuchi e poi…ucciderlo? Ma era sempre stato insieme a Elle…come aveva fatto?
“Devo parlare con Elle” dichiarò Ruri, facendo per alzarsi in piedi di nuovo “Dobbiamo subito esaminare i nuovi elementi del caso”.
“Oh, no, signorina, tu non ti muovi da questa stanza” la bloccò Wedy, con fare perentorio.
“Wedy, per favore! Sto bene, d’accordo? Non c’è bisogno che…”.
“La questione non è soltanto se stai bene o no. Ma tu sei consapevole delle tue condizioni?”.
Quella domanda la portò a fissare dritto negli occhi la sua interlocutrice, che per la prima volta, del tutto inaspettatamente, non stava indossando occhiali da sole, e che la scrutava con fare indispettito e stranito a un tempo.
“Di che cosa stai parlando? Ok, mi sono ritrovata in mezzo a una sparatoria e ho rischiato la pelle, ma…” iniziò la profiler.
“Ruri, da quanto tempo non hai le mestruazioni?” le domandò Wedy, sospirando leggermente.
“COSA?!? Ma ti sembra il momento di farmi domande del genere?!” la rimbeccò Ruri, attonita.
“Da quanto tempo?” insistette Wedy, con un tono che non ammetteva repliche.
“Oh, va bene!!” esplose Ruri “Non lo so, ok? Sarà almeno…beh, forse due mesi, o forse…beh, non lo so!! Io non sono mai stata regolare…ma che c’entra, scusa?”.
La bionda sospirò per l’ennesima volta, passandosi una mano dietro il collo e fissandola di sottecchi.
“Hai avuto nausee, ultimamente? Giramenti di testa? Sensazione di affaticamento al basso ventre? Tachicardia? Sbalzi d’umore eccessivo?” le domandò, con tono pratico.
“Beh…s-sì, ma…ma sono effetti collaterali propri dell’assunzione dei miei farmaci. Insomma, è…è per questo che io…” balbettò la profiler, impallidendo sempre di più.
Wedy scosse la testa, sorridendole lievemente.
“No, Ruri. Non è per i farmaci”.
“Che…che cosa?!” esclamò Ruri, incapace di staccare lo sguardo dalla faccia dell’amica “No…voglio dire…no! Non è possibile!”.
“Immagino che non fosse programmato” commentò Wedy, incrociando le braccia.
“I-io…io non sono incinta!” sbraitò Ruri, le mani che le tremavano leggermente.
“Oh sì che lo sei. Sei parecchio incinta” la contraddisse Wedy.
“N-non è possibile!!! L’ultima volta che…no! Dovrei essere di tre mesi!!” sbottò la profiler, ancora sotto shock.
“Di 10 settimane, per la precisione” la corresse Wedy, porgendole una cartellina.
“Che…che cos’è?” le domandò Ruri, senza accennare a voler riprendere il suo colorito normale.
“Le…immagini dell’ecografia. Prima di iniziare a lavorare come professionista del crimine, ho fatto tre anni di Medicina a Stanford: a qualcosa sono serviti, alla fine. Robin aveva le apparecchiature necessarie, e io…ho fatto i controlli dovuti, mentre eri svenuta. E non arrabbiarti con me” la precedette, notando lo sguardo della profiler “So che sei un tipo riservato, ma dovevo capire se avevi bisogno d’aiuto, ok? Se ti fosse successo qualcosa mentre era sotto i ferri, Ayber non me lo avrebbe mai perdonato”.
Al sentir pronunciare il nome dell’amico, Ruri ebbe un colpo al cuore.
“Come sta?! Ci sono notizie?” le domandò di slancio.
Wedy le sorrise appena, carezzandole una spalla.
“È uscito dalla sala operatoria venti minuti fa. È stabile; Robin se l’è cavata benissimo”.
Ruri respirò profondamente, abbandonando la testa sul lettino e chiudendo gli occhi per un paio di secondi, senza riuscire a impedirsi di sorridere in modo sereno, malgrado ciò che aveva appena appreso.
“Se c’è un Dio lassù, ha i miei ringraziamenti” mormorò Ruri.
Riaprendo gli occhi, si rese conto che le sue dita stavano ancora stringendo la cartella che le aveva dato Wedy: con la massima lentezza, i suoi occhi azzurri si spostarono verso quelli grigi della bionda, che la stava ancora fissando, a braccia conserte.
“Non gli dai neanche un’occhiata?” le chiese Wedy, con un piccolo sorriso.
Ruri tornò a fissare l’oggetto, le mani attraversate da un fremito che non aveva mai conosciuto.
“Non…non è…è ancora…” sussurrò appena, incapace di formulare una frase di senso compiuto.
“Sta bene, se è quello che vuoi chiedermi. Non so come sia possibile, in effetti” constatò Wedy “Dopo la tua scena da film d’azione e tutti i colpi che avrà ricevuto, è praticamente un miracolo che tu non abbia avuto un aborto spontaneo. L’avevo detto che eri fortunata”.
“Ma…ma non posso…non posso essere incinta” balbettò ancora Ruri, passandosi una mano fra i folti capelli neri “Come…non dovrebbe essere evidente, dopo dieci settimane?!”.
“Assolutamente no. Per ogni donna è diverso” si strinse nelle spalle Wedy “Ci sono stati casi di ragazze incinte che non se ne sono accorte prima del quinto mese di gestazione, quando ormai il bambino aveva iniziato a muoversi. E considerando che i tuoi farmaci provocano una sintomatologia simile a quella causata dallo stato interessante…beh, immagino che il tuo ciclo irregolare abbia fatto il resto”.
Ruri tornò ad appoggiare la testa contro la superficie del giaciglio bianco, lo sguardo ancora scioccato fisso di fronte a sé e il cuore che alternava momenti in cui le batteva all’impazzata ad altri in cui assumeva un ritmo costante e incredibilmente calmo, quasi pacifico; senza nemmeno rendersene conto, finì per portarsi una mano sul ventre, quasi alla ricerca di quel corpo estraneo di cui non avrebbe mai immaginato possibile la presenza.
Sotto lo sguardo attento e benevolo di Wedy, aprì la cartellina con mani tremanti e iniziò a tirare fuori le immagini delle ecografia: all’inizio, i suoi occhi non videro niente.
Poi, pian piano, cominciò a riuscire a distinguere i contorni di una piccola figura, posizionata in un angolo non troppo insignificante del suo utero, che sembrava intenta a cercare la posizione giusta: infine, i suoi occhi, leggermente lucidi, finirono per posarsi su alcuni segni arzigogolati, posti sotto le fotografie dell’interno del suo corpo.
“Questi…questi che cosa sono?” domandò a Wedy, mostrandole ciò di cui parlava.
La bionda le sorrise lentamente, scompigliandole appena i capelli.
“È il suo elettrocardiogramma” replicò.
Ruri continuò a fissarla come se non avesse compreso, quando in realtà la sua mente e il suo cuore avevano capito benissimo.
“È il suo cuore” proseguì Wedy, accennando poi al macchinario alle proprie spalle “Lo vuoi sentire?”.
 
Mezz’ora più tardi, Wedy le diede finalmente il permesso di uscire dalla stanza e di raggiungere il resto della squadra, un paio di piani più sotto; mentre scendeva le scale, le parole che lei e la bionda si erano scambiate continuarono a rimbombarle nella mente, facendole martellare sempre più il cuore.
Quella singola parola, quell’unica, singola, piccola, apparentemente insignificante parola le stava impedendo di riflettere come un essere umano normale, su qualsiasi cosa che non fosse la notizia appena appresa.
Incinta.
Ancora si domandava come fosse possibile, come fosse anche soltanto concepibile. Non poteva essere davvero incinta.
Tutti quei giorni, quelle settimane, senza accorgersene: era andata incontro a quella che credeva sarebbe stata morte certa, senza pensare più di tanto a quello che si stava lasciando indietro, concentrandosi unicamente sul suo obiettivo…mentre in quel preciso momento, dentro di lei stava nascendo qualcosa che non avrebbe mai immaginato realizzabile.
Un bambino.
Davvero era così? Davvero lei ed Elle…
Il pensiero improvviso del detective le provocò un’altra fitta al cuore: sapeva quanto era stato difficile per lui accettare anche soltanto l’idea della loro relazione…che cosa avrebbe detto, di fronte a quella gravidanza? E se non lo avesse voluto?
Il pensiero di sbarazzarsi di quel piccolo problema le era passato per la mente in modo fulmineo, fin da quando Wedy le aveva messo in mano la cartella contenente quelle ecografie: dopotutto, non aveva ancora compiuto il terzo mese di gestazione, e avrebbe anche potuto optare per la soluzione più ovvia.
Ma quando Wedy le aveva chiesto di ascoltare il battito cardiaco, non aveva resistito alla tentazione e aveva ceduto: e quando infine aveva avvertito quel suono, concentrato, velocissimo e intenso come un battito d’ali, non aveva potuto che sentirsi piena di un sentimento che non aveva mai conosciuto prima.
Neppure quando si era innamorata di Elle, neppure nelle situazioni più intense e appaganti della sua vita…quel bambino era suo.
Era la sensazione più bella che mai avesse avuto la possibilità di provare, l’elemento di vita che aveva cercato per una vita intera: più forte di qualsiasi altra cosa, della sua mente, della sua tenacia, delle sue capacità, della sua intelligenza…
Dentro di lei, c’era una parte di Elle. C’era una parte del suo cuore.
Con un respiro profondo, si rese infine conto d’essere giunta di fronte all’ingresso della sala centrale: cercando di calmare i battiti frenetici del suo cuore, abbassò la maniglia ed entrò.
Ad attenderla, trovò il signor Yagami, Matsuda, Mogi, Aizawa, Watari, Robin, Light ed Elle, che fino a quel momento dava l’impressione d’aver fissato il monitor di fronte a sé, ma che al suo ingresso sollevò di scatto la testa, alzandosi in piedi e avvicinandosi al gruppo, senza più distogliere gli occhi dalla sua figura.
La ragazza capì che stava trattenendo i suoi impulsi, considerando che era ancora ammanettato a Light e che tutti quanti li stavano fissando, ma i suoi occhi furono in grado di parlarle più di quanto avrebbe fatto qualsiasi orazione; prima che potesse aprire bocca, però, si ritrovò avvolta dall’abbraccio di Robin, che si affrettò a ricambiare con energia, sorridendo ad occhi chiusi.
“Sei…sei una pazza fuori di testa!!!” l’aggredì poi l’amica, spingendola via da sé e assestandole una grossa botta sul braccio “Mi hanno detto che cos’hai fatto per fermare quel bastardo…ma sei matta?!?! Potevi morire!!! Meno male che ti avevo chiesto di non fare l’eroina!!!”.
“Lo so, lo so…mi dispiace, va bene?” sospirò Ruri, mettendosi seduta.
Ti dispiace?!?! Hai fatto alzare la pressione di 100 livelli a tutti i presenti!!!” sbraitò ancora Robin, furiosa “Se provi un’altra volta a fare una cosa del genere, giuro che ti ammazzo io, visto che hai sempre tanta voglia di morire!!! Sei una pazza, incosciente, irresponsabile, folle, stupida, idiota, cretina!! E io sono fiera di te!!” concluse, a sorpresa, abbracciandola di nuovo.
Quando si furono separate, Ruri le scompigliò i capelli e le sorrise con affetto.
“Ayber…lo hai…grazie. Grazie davvero, Robin, sei stata…”.
“Sì, lo so” annuì Robin, fingendo di vantarsi “Sono la migliore, non c’è bisogno che tu lo dica”.
“Lo sei veramente” le disse Ruri, posandole una mano sulla spalla “In effetti, sei il miglior chirurgo di questo pianeta”.
“Non ce l’avrei fatta, senza Watari” sorrise la rossina, accennando all’anziano signore, che si affrettò a ricambiarla.
“Il merito è suo, dottoressa Cooper. Dubito che un altro avrebbe saputo fare di meglio” disse l’inventore, posando un vassoio con i pasticcini sul tavolo vicino.
“E tu? Come stai, Ruri?” intervenne il sovrintendente, con un sorriso paterno “Wedy ci ha detto che hai avuto un piccolo tracollo. La dottoressa ha ragione, ci hai fatto prendere un bello spavento! Va meglio, adesso?”.
“Sì…” gli sorrise Ruri “È stato…beh, forse ho preso qualche batosta in più del necessario”.
Rendendosi conto che il suo tono di voce aveva qualcosa di strano, Robin le rivolse subito uno sguardo penetrante, ma poi decise di lasciar perdere, malgrado continuasse a sbirciare l’amica di sottecchi.
“Comunque, dovete aggiornarmi sugli ultimi eventi” disse la profiler, sedendosi di nuovo, imitata dai colleghi “Che cos’è successo? Wedy mi ha detto che Higuchi è morto…”.
“Sì, è così” annuì Aizawa.
Per la prima volta, si rese conto che teneva fra le mani un quaderno dall’aspetto apparentemente normale, ma dall’aria quasi inquietante.
“Che cos’è quello, Aizawa?” gli domandò, alzando un sopracciglio.
Prima che il poliziotto potesse risponderle, gli occhi della ragazza guizzarono per un momento in direzione di Light, incrociando il suo sguardo: con un altro colpo al cuore, capì che qualcosa era cambiato nella sua espressione.
La stessa sensazione che l’aveva avvolta il giorno in cui Light aveva iniziato a implorare lei ed Elle di liberarlo dalla sua prigione prese a vorticarle nel petto e nella mente, ma ora aveva un connotato diverso, più inquietante e incredibilmente oppressivo: in maniera del tutto irrazionale, cominciò a pensare che le sue paure si fossero concretizzate, perché di fronte ai suoi occhi non c’era più Light Yagami, lo stesso ragazzo sincero, spensierato e intelligente con cui lei ed Elle avevano trascorso tutte quelle settimane.
Il suo amico sembrava improvvisamente scomparso: adesso aveva dei tratti diversi, quasi appuntiti, e il suo sguardo appariva inespressivo, gelido e implacabile, dedito al raziocinio e a nient’altro: in un solo istante, sarebbe stata pronta a giurare che i suoi stessi occhi avevano persino assunto una sfumatura rossastra.
“Questo è…lo strumento che Kira utilizza per uccidere” le spiegò Aizawa, attirando di nuovo la sua attenzione e distogliendola dai suoi pensieri.
“Che cosa…?” replicò Ruri, strabuzzando gli occhi “Quel quaderno…?”.
“Dovresti toccarlo, in effetti…” sospirò il poliziotto, passandoglielo.
Non appena le sue dita lo ebbero sfiorato, dovette trattenersi dal cacciare un grido e si ritrasse contro lo schienale del divano: di fronte alla sua vista, era appena comparso un mostro come mai aveva immaginato ne potessero esistere.
“CHE CAZZO È QUEL…QUEL…” sbottò Ruri, impallidendo di nuovo.
“Uno shinigami” le rispose Elle, aprendo bocca per la prima volta “Lo stesso con cui Higuchi parlava in macchina, a dire la verità: prima di morire, Higuchi ci ha confessato che per uccidere basta scrivere il nome di una persona di cui si conosce il volto sul quaderno, e la vittima morirà per arresto cardiaco”.
“Lo confermano anche le istruzioni” proseguì Aizawa, riprendendo in mano il quaderno e tornando alla pagina iniziale “E dicono anche che si hanno a disposizione quaranta secondi per indicare le condizioni della morte, se si vuole fare in modo che essa non avvenga con un semplice arresto cardiaco…”.
“Quindi…Naomi aveva ragione…” mormorò Ruri “Kira poteva uccidere…può uccidere…anche in altri modi, oltre che tramite l’arresto cardiaco. Tutto ha senso…”.
“Dopo aver indicato le cause della morte, si hanno a disposizione sei minuti e quaranta secondi per indicare eventuali dettagli sulle condizioni della stessa…” lesse ancora Aizawa.
“E questo spiegherebbe la manipolazione delle azioni delle vittime precedenti il decesso…c’è dell’altro?” gli domandò, alzando febbrilmente lo sguardo.
“Sì…” replicò Aizawa, andando in fondo al quaderno “Ci sono…delle altre istruzioni. Qui dice che se questo quaderno viene strappato o bruciato allo scopo di renderlo inservibile, tutte le persone che lo hanno toccato moriranno”.
“Eh?!?” sbottò Matsuda “Dici sul serio, Aizawa?!”.
“Sì, qui c’è scritto così…”.
“Ma come?! Potevi dirmelo prima che lo toccassi!!”.
“Guarda che l’ho toccato anch’io…” ribatté Aizawa, guardandolo storto.
“Maledizione!” esclamò Matsuda, portandosi una mano alla testa “Se solo non avessi voluto toccarlo a tutti i costi per poter vedere anch’io lo shinigami!”.
“Se non l’avessi fatto, saresti stato l’unico a non avere una visione chiara delle indagini” lo rimproverò il sovrintendente “È questo che volevi?”.
“Ma no, è chiaro che voglio indagare anch’io nelle medesime condizioni del resto della squadra” rispose Matsuda, con aria offesa.
“Per finire” riprese Aizawa “C’è un’ultima regola: se entro tredici giorni dall’ultima volta che si è scritto sul Death Note non si scrivono altri nomi per perpetrare la serie di omicidi…si muore…”.
Quella rivelazione scatenò il sollievo in tutti loro, tranne che in Ruri ed Elle.
“Ma allora…allora questo scagiona definitivamente dalle accuse sia Light che Misa-Misa, dico bene?” esclamò Matsuda, entusiasta.
“Sì!” replicò Aizawa “Se fossero i due Kira, dovrebbero essere già morti, visto che sono stati imprigionati per cinquanta giorni, e sono ancora sotto sorveglianza”.
“Non è contento, sovrintendente?”.
“Beh, sì…” annuì Soichiro, con un gran sorriso.
A quel punto, la voce di Elle si unì alle loro: il detective era tornato a sedersi alla sua scrivania e aveva preso a costruire piccole torri con alcune confezioni di panna vuote, impalcandole per diversi centimetri.
“Essere bianco” iniziò, rivolgendosi allo shinigami “Il tuo nome è Rem, dico bene?”.
“’Essere bianco’?!” ripeté Matsuda “Ryuzaki, andiamo, ma che modi sono questi?”.
“Che vuoi?” replicò la creatura mostruosa, fissando il detective di sbieco.
“Nel mondo degli umani ci sono altri quaderni…vero?” gli domandò, senza voltarsi.
Dal canto proprio, Ruri poté notare che lo shinigami continuava a fissare il profilo del ragazzo con espressione dubbiosa e un po’ incerta, e che stava prendendo delle lunghe pause, prima di rispondergli.
“Chissà…forse sì…forse no…” fu la sua risposta enigmatica.
“Ma se per caso esistessero altri quaderni, suppongo che le regole sarebbero sempre le stesse, giusto?” chiese ancora Elle.
“Sì, le regole sono le stesse. Nel mondo degli shinigami esistono diversi quaderni, ma le regole sono uguali per tutti: e lo stesso vale per quelli nel mondo degli umani” ribatté Rem, impassibile.
“Ryuzaki” intervenne Aizawa, muovendo qualche passo nella sua direzione “Ormai, tutti i sospetti su Light e Misa sono caduti; è ora di smetterla con la sorveglianza”.
“Sì, ha ragione!” ne convenne Matsuda “Ormai è chiaro che sono innocenti…”.
“Già, ormai è chiaro…” ripeté lentamente Elle, senza staccare lo sguardo dal monitor che riprendeva la stanza da letto di Misa, dove la ragazza stava distrattamente sfogliando una rivista.
Volgendo di poco la testa, Ruri si accorse a un tratto che anche lo shinigami stava fissando Misa, e che la sua espressione, nel volgere gli occhi su di lei, era cambiata in modo tanto impercettibile quanto significativo.
“E va bene” disse Elle alla fine, con voce atona “Vi chiedo scusa per quello che vi ho fatto passare”.
Con la coda dell’occhio, Ruri riuscì a captare un sorrisetto soddisfatto da parte di Light, che svanì nel nulla non appena suo padre comparve al fianco del diretto interessato, posandogli una mano sulla spalla.
“Grazie al cielo…” mormorò Soichiro.
“Già” annuì Light, alzandosi in piedi “Ma questo caso non si può ancora dire risolto del tutto: anche se mi toglierete le manette, non c’è problema se continuo ancora ad indagare qui, no?”.
Le sue parole vennero seguite da un lungo silenzio, al termine del quale Elle non si voltò di nuovo verso di lui.
“No…” replicò, estraendo una chiave dalla sua tasca e staccando le manette dal suo polso e da quello di Light.
Dopo avergli rivolto un altro sguardo di puro trionfo, Light li superò senza dire un’altra parola, salendo al piano superiore; dal canto proprio, Ruri continuò a seguirlo con lo sguardo finché non se ne fu andato del tutto.
Poi, posò di nuovo l’attenzione sul quaderno e su Rem, che ancora non aveva staccato gli occhi dalla figura di Misa, un’espressione indecifrabile dipinta sul volto mostruoso.
“Rem…” gli si rivolse, facendolo voltare nella sua direzione e sorridendogli leggermente “Posso farti alcune domande?”.
“Sì” ribatté lo shinigami, sorpreso dal suo contegno amichevole.
“La persona che è morta stasera, Kyosuke Higuchi…tu lo conoscevi? Voglio dire…hai parlato con lui, giusto? Passavate del tempo insieme?” gli domandò, sporgendosi nella sua direzione.
“Sì. Le regole del nostro mondo prevedono che gli shinigami debbano sempre rimanere al fianco della persona che possiede il Death Note che è arrivato nel mondo degli esseri umani. Higuchi ne era il proprietario, pertanto io dovevo seguirlo in ogni suo movimento”.
“E cosa succede quando l’essere umano che è proprietario del Death Note muore?” chiese ancora Ruri.
Vide che lo shinigami stava esitando, e pensò a un tratto di essere sulla strada giusta.
“Lo shinigami è libero di tornare nel suo mondo, ma non senza aver recuperato il Death Note” rispose poi Rem, con tono cauto.
“Quindi, è questo il motivo per cui adesso sei qui? Perché aspetti di poter recuperare il Death Note?”.
“Esatto”.
“In altre parole, lo stai facendo per darci una mano con le indagini” annuì Ruri, incrociando le braccia “È gentile da parte tua…perché immagino che, volendo, a questo punto potresti semplicemente riprenderti il quaderno e tornartene a casa, a meno che, ovviamente…non ci sia qualcosa che ti trattenga qui”.
Gli occhi gialli della creatura mostruosa la trapassarono da parte a parte, incuranti del silenzio carico di tensione che li aveva circondati, ma Ruri non batté ciglio e sostenne quello sguardo: fino a qualche ora prima, non avrebbe mai creduto di poter sostenere un confronto così decisivo con una creatura di un altro mondo, ma il caso Kira l’aveva sottoposta a più sorprese di quanto non avrebbe mai immaginato, e adesso non si sarebbe più lasciata mettere sotto da niente: quello shinigami sapeva qualcosa, poco ma sicuro. E avrebbe scoperto di cosa si trattava.
“Forse è così…forse no…” disse di nuovo Rem, abbassando infine lo sguardo prima di Ruri.
“Hai detto che gli shinigami devono sempre restare al fianco dell’essere umano che diviene proprietario del Death Note…stai dicendo che sei sempre stato insieme a Higuchi, fin dall’anno scorso? Fin da quando sono iniziate le morti per arresto cardiaco?” domandò ancora Ruri, passandosi una mano sotto il mento.
Rem le rivolse un’altra occhiata, stavolta carica di risentimento e di disappunto.
“Ho seguito Higuchi fin da quando è entrato in possesso del quaderno” replicò Rem.
“Questa non è una risposta” gli fece notare Ruri.
“Ho seguito Higuchi fin da quando è entrato in possesso del quaderno” ripeté Rem, scuotendo la testa “Non posso dirti più di così, dato che è lui che ha toccato il Death Note, quando esso era in mio possesso. E francamente, non capisco bene che cos’altro tu voglia sapere”.
Ruri continuò a fissarlo per qualche altro minuto, per poi sorridergli brevemente.
“Va bene. Grazie, Rem: adesso mi è tutto più chiaro”.
“Un’ultima cosa” intervenne Elle, andandosi a sedere vicino a lei e sfogliando il Death Note fino alla pagina che stava cercando, dove mancava un angolo “Dalla pagina di questo quaderno omicida è stato strappato un piccolo pezzetto di carta…è possibile uccidere anche utilizzando un frammento come questo?”.
“Chissà” ribatté Rem, stringendosi nelle spalle “Non te lo saprei dire, visto che non l’ho strappata io quella pagina…”.
“E dimmi, gli shinigami mangiano solo mele?” domandò ancora Elle.
“Assolutamente no” rispose Rem “Dato che i nostri organi interni si sono atrofizzati, o, per meglio dire…si sono evoluti, non abbiamo bisogno di mangiare”.
“Ok. Direi che è tutto, per il momento” dichiarò Elle “Hai intenzione di rimanere qui?”.
“Per il momento” disse lo shinigami “Nel mio mondo ci si annoia molto, e in effetti m’incuriosisce cercare di capire come andrà a finire questa vicenda”.
“Grazie dell’aiuto, Rem” gli sorrise ancora Ruri, scatenando la sua sorpresa.
 
Nell’arco di una mezz’ora, tutti dichiararono di voler andare a riposarsi, dopo la nottata assurda appena trascorsa; dopo aver trascorso un po’ di tempo con Ayber, Ruri capì che non avrebbe potuto evitare in eterno quel momento, e finì per dirigersi verso la stanza di Ryuzaki.
A differenza di quanto si sarebbe aspettata, il detective era proprio là, e non sembrava essere impegnato a lavorare: non appena fu entrata, vide che era in piedi, vicino alla finestra, intento a osservare l’alba che spuntava all’orizzonte, le mani in tasca e il profilo corrotto da un’espressione incredibilmente triste.
Quando capì che era alle sue spalle, si voltò verso di lei e le rivolse un altro sguardo penetrante e deciso, senza sorridere.
“Lo so!” lo precedette, alzando le mani in segno di difesa “Lo so che sei arrabbiato e lo so che avevo promesso che non avrei più fatto niente del genere! Lo so che adesso hai voglia di uccidermi e che sono completamente folle…in effetti, ti avevo avvisato, te lo ricordi? Ti avevo detto che ero un casino senza pari, e che stare con me non sarebbe stato facile e che forse te ne saresti pentito. Lo so che sono…lo so, ok? Lo so” ripeté, per l’ennesima volta “E mi dispiace per averti terrorizzato e per essermi quasi uccisa, e per aver incasinato tutto, e per averti fatto credere che non mi avresti mai più rivista, ma per quello che vale, volevo dirti che…”.
“Io ti amo”.
Lo aveva detto nel suo modo semplice, preciso, conciso e diretto, a cui non si sarebbe mai abituata e che continuava a spiazzarla, ogni volta. Lo aveva detto con il tono di chi pronuncia la cosa più naturale del mondo, e al tempo stesso si limita ad affermare una realtà innegabile.
“Cosa…?” riuscì a dirgli, trattenendo a stento le lacrime che le stavano affiorando alle palpebre.
“Me lo sono tenuto per dopo. Adesso…adesso è ‘dopo’” le spiegò il detective, avanzando di qualche passo.
“Che fai, ti metti a constatare le realtà oggettive, adesso…?” gli domandò Ruri, reprimendo una risatina nervosa.
“Smettila di fissarmi in quel modo e vieni qui immediatamente”.
Il tono soave in cui aveva pronunciato quell’ordine non le impedì di precipitarsi fra le sue braccia: prima che potesse rendersene conto, gli aveva già circondato la vita con le gambe e aveva lasciato che lui la lasciasse cadere sul letto, continuando a baciarla e a spogliarla dei vestiti, dotato di una foga che mai credeva avrebbe potuto conoscere.
“Tu sei la donna che amo” prese a sussurrarle, mentre le sue dita affusolate assaporavano il contatto con la pelle della ragazza “Se provi…se provi di nuovo a fare del male alla donna che amo, giuro che non avrò più lo stesso autocontrollo…”.
Ruri non poté fare a meno di sorridergli: quello stesso sorriso che solo lui era in grado di strapparle, di far apparire sul suo volto, quel sorriso che poteva dedicare ad Elle e a Elle soltanto, poiché solo fra le sue braccia poteva dire di sentirsi veramente a casa, come mai in vita sua.
“Ne sei sicuro?” gli domandò, sfiorandogli il volto.
“Al 100%” ribatté il detective, baciandola ancora una volta.
Fare l’amore con Elle non era mai stato così bello: era intenso, profondo, perfetto, era l’unione che aveva atteso da sempre, quella del cuore e della mente, non soltanto del corpo. Era un unico atto capace di scatenare mille emozioni e mille pensieri in contemporanea all’interno del suo spirito e del suo centro vitale, ciò che le dava l’energia, il coraggio, l’ardimento necessario per affrontare tutto.
Fino ad allora, non aveva compreso fino in fondo quanto le fosse mancato stringerlo a sé, potergli sussurrare all’orecchio, poterlo baciare, potergli sorridere nel modo che solo loro conoscevano, poter passare le dita fra quei capelli scuri e potersi perdere in quegli occhi neri come il buio senza che nessuno se ne accorgesse…amava quel ragazzo in un modo che non riteneva neppure concepibile, in un modo capace di avvolgerla completamente, senza più dover pensare al passato, alle cicatrici, alla morte di fronte a cui si era trovata o alla voce di suo padre…Elle era la sua casa. Lo era sempre stato. E mai al mondo, avrebbe mai permesso che qualcosa gliela portasse via.
Adesso finalmente capiva fino in fondo ciò che lui aveva cercato di dirle fin dal giorno del suo intervento chirurgico: sapeva che entrambi se la sarebbero in qualche modo cavata, senza l’altro. Nessuno sarebbe morto a causa della scomparsa di uno di loro, e comunque sarebbero andati avanti, ma né lei né Elle avrebbero mai trovato nuovamente la capacità di apprezzare quanto potesse essere preziosa la vita.
Avrebbero vissuto, avrebbero combattuto, avrebbero anche vinto: ma senza la presenza dell’uno al fianco dell’altra, tutto sarebbe tornato grigio, spento e innaturale come prima del loro incontro, quando la spontaneità, la complicità pura e la possibilità di essere felici fino in fondo semplicemente non esistevano.
Quando infine riuscirono a staccarsi l’uno dall’altra, si resero a un tratto conto che era pomeriggio inoltrato del 29 Ottobre, e che all’esterno aveva preso a piovere a dirotto.
“Ti sono mancata, dovrei dedurne” ridacchiò Ruri, giocherellando con una ciocca dei suoi capelli.
“Più di quanto tu possa immaginare” le sorrise Elle.
Malgrado l’apparente serenità, Ruri capì che c’era qualcosa che non andava.
“Stai bene?” gli domandò, sollevando appena la testa.
“Non proprio” ammise Elle, scuotendo il capo “Ho come la sensazione che la fine di questo caso sia vicina, ma…proprio quando sono a un passo da una risposta definitiva, questa mi sfugge. È più esasperante di quanto avrei mai pensato. Non mi era mai capitato, prima”.
“Sì, capisco” annuì Ruri, alzandosi a sedere come lui “A proposito di quel Death Note…”.
“Light è cambiato, Ruri” la interruppe Elle, fissando lo sguardo sulle lenzuola color panna: non ne era sicura, ma avrebbe detto che il suo tono fosse incredibilmente triste “È…cambiato”.
“Lo so…” mormorò Ruri, posandogli una mano sulla spalla “Credo di averlo capito anch’io…”.
“Che sta succedendo…?” domandò a se stesso il ragazzo, tormentandosi il labbro inferiore “Le cose sono diverse…di nuovo…”.
“In effetti, sembra che tutto quello che abbiamo scoperto ci riconduca inevitabilmente a Light e a Misa…se non fosse per un particolare…” rifletté a sua volta Ruri.
Elle rimase in silenzio per un altro momento, prima di riprendere a parlare.
“Lo shinigami ha detto di non sapere…se è possibile uccidere scrivendo su un frammento di quaderno. Ma se lo fosse…allora ci sarebbero delle possibilità. Tuttavia, una volta che si è usato questo quaderno si muore, a meno che non si scriva un altro nome entro tredici giorni. E sia Light Yagami che Misa Amane sono in vita…tredici giorni…se solo non fosse per questo…”.
“Ho una sensazione strana, al riguardo…” ammise Ruri “Sembra quasi…non lo so. Forse ci siamo concentrati troppo su di un sospetto sbagliato, ma mi rifiuto di crederci. È che ho come l’impressione che…”.
“Vai avanti” la esortò Elle.
“E se il quaderno mentisse?” domandò a un tratto Ruri “Se le regole fossero sbagliate?”.
“Pensi che potrebbero esserlo?” le chiese Elle.
“Beh, non lo so…ma in fondo…potremmo verificare, no?”.
“Stai parlando di provare il Death Note?” ribatté Elle “Devo ammettere che è quello che stavo pensando anche io, ma non mi aspettavo che me lo proponessi…inoltre, mi piacerebbe sapere che cosa ti ha portato a pensare che le regole scritte su quell’arnese siano false”.
Ruri lo fissò per qualche secondo, prima di replicare.
“Lo shinigami” pronunciò infine “Sta mentendo”.
“Già…” annuì Elle “La vera domanda è…perché?”.
“Forse Higuchi non è l’unico essere umano con cui è entrato in contatto” disse lentamente Ruri, riflettendo, per contro, con la solita rapidità “Forse…forse sta proteggendo qualcuno. Qualcuno che in realtà lo ha conosciuto e che adesso finge indifferenza…”.
“Da cosa lo deduci?” le domandò il detective.
“Quello shinigami fissa Misa in modo un po’ troppo insistente. Non mi convince; e sta molto ben attento ad eludere le mie domande, senza mentirmi del tutto. Sta facendo il gioco di Yagami, ci scommetterei la mano destra: e se davvero fosse così, avrebbe anche potuto manomettere il Death Note affinché credessimo vero l’unico elemento che, guarda caso, scagiona definitivamente i nostri principali indiziati…ci sono un po’ troppe coincidenze”.
“Quindi, quel Rem proverebbe qualcosa per Misa?” ribatté Elle, grattandosi la nuca “Una teoria interessante, ma dovrai riconoscere che è un po’ tendenziosa: credi davvero che un mostro del genere possa affezionarsi a qualcuno?”.
“Non possiamo dire di conoscere simili creature abbastanza da poter stabilire che cosa sono in grado di provare e che cosa no” lo rimbeccò Ruri “Ma immagino che dovremmo puntare su questo elemento: se abbiamo ragione e lo shinigami mente, allora la faccenda cambia radicalmente”.
Elle le sorrise in modo soddisfatto, carezzandole appena i capelli.
“Sei veramente in gamba come sembri, allora”.
“Avevi ancora qualche dubbio? Prega solo che i nostri figli somiglino a me” lo prese in giro Ruri.
Di fronte a quella parola, il ragazzo s’irrigidì di colpo, interrompendo il loro contatto e fissandola con l’espressione di chi le ha appena sentito pronunciare qualcosa di incredibilmente sbagliato.
“Figli? Credevo che non volessi figli, Ruri…” le fece notare, allontanandosi di colpo da lei.
“Beh, non…non ho proprio detto così. Ho solo detto che non pensavo sarei stata una buona madre. Mi sembra di ricordare che mi avessi contraddetto, in quell’occasione” replicò Ruri, alzando un sopracciglio.
“Mi sono limitato a dire che avresti potuto essere quello che volevi” la corresse Elle, adesso freddo.
“Appunto. Quindi, potrei anche essere una buona madre, non ti pare?” proseguì Ruri, con un gesto della mano.
“Immagino che ci siano delle buone probabilità” dichiarò Elle gelidamente, iniziando a vestirsi.
Ruri fissò la sua schiena perlacea, incapace di credere a quello che aveva appena sentito.
“Delle ‘buone probabilità’?!” ripeté poi, balzando in piedi “Io ti sto parlando dei nostri figli e tu mi parli di probabilità?!”.
“E a te sembra il momento di metterti a discutere di una faccenda del genere?!” replicò Elle, sforzandosi di controllare il tono di voce “Da te non mi aspettavo un comportamento simile”.
“Perché? Non posso discutere di un possibile futuro con il mio ragazzo?!” ribatté Ruri, incrociando le braccia.
“Ruri, non…”.
“Che c’è di male se voglio una cosa normale nella mia vita?!” sbottò a un tratto, senza riuscire più a trattenersi.
Per contro, Elle le rivolse un’altra occhiata gelida, le mani di nuovo nelle tasche dei jeans che aveva appena terminato di indossare.
“Credevo che sapessi già quello che volevi” le fece notare, la voce priva d’espressione.
“Sì, lo credevo anch’io! Ma forse nella vita non ci sono soltanto i serial killer e il lavoro da stakanovisti, forse non dobbiamo soltanto avere a che fare con questa merda e basta! È questo quello che tu vuoi?! Solo questo?!” gesticolò Ruri, furiosa.
“Non dev’essere per forza la tua vita. Puoi scegliere” replicò Elle, lasciandola di sasso.
“Posso scegliere?! Che cosa posso scegliere, esattamente? Se lasciare che sia tu a prendere tutte le decisioni, astenendoti dal chiedere il mio parere, o se trascorrere il resto della vita ad aspettare che cambi idea?! Ma che razza di uomo sei, tu?!”.
“Io non sono un uomo!!!!” sbottò Elle, alzando la voce per la prima volta.
Vederlo fissarla con quello sguardo fiammeggiante la fece sentire atterrita come niente, e le fece venire voglia di sprofondare, pur di poter sfuggire a quello sguardo accusatorio e a quella voce fredda e implacabile.
“Io non sono un uomo come gli altri!!” precisò poi Elle, ancora furioso “Sono a capo delle indagini sul serial killer più pericoloso di tutti i tempi, sono il primo detective al mondo e sono la giustizia in persona! Non sono un uomo che ha un lavoro normale, che torna a casa la sera e che abbraccia la sua famiglia felice! Ti ho fatto capire che questo non l’avresti mai avuto, stando con me, e tu mi hai detto che lo avresti accettato e che tutto ciò che volevi era che rimanessimo insieme! Non parlarmi di qualcosa che non avremo mai e che non ci appartiene, perché non ha il minimo senso che tu provi a farlo, e io non ho tempo da perdere ad ascoltare certe cretinate, quindi adesso mettiti qualcosa addosso e vieni a darmi una mano con il caso, visto che abbiamo sprecato già abbastanza tempo”.
Ruri lo guardò in silenzio per un paio di istanti, il corpo attraversato da un lieve tremito; infine, con un gesto secco, afferrò la busta dall’aspetto ufficiale che aveva posato sul comodino vicino alla porta, prima di entrare, e gliela lanciò addosso, per poi vestirsi alla velocità della luce.
“Che cos’è…?” le domandò Elle, abbassando gli occhi su di essa, le dita strette vicino ai suoi bordi.
“La cosa che non avremo mai e che non ci appartiene” lo gelò Ruri, aprendo la porta di scatto “Va’ all’Inferno” concluse, prima di sbatterla.
 
Le cose non migliorarono, con il passare dei giorni: Ruri si chiuse in un mutismo gelido, senza dar cenno di voler spiegare né ad Ayber, né a Wedy, o a Robin o a Watari che cosa le fosse successo, limitandosi ad analizzare il Death Note in ogni sua componente e soffermandosi con attenzione sulla pagina dedicata a Ray Penber, dove Kira sembrava essersi divertito in particolar modo a manipolare le azioni precedenti il decesso, facendo sì che l’agente dell’FBI si recasse alla stazione della metropolitana di Shinjuku e che salisse sulla linea Yamanote poco dopo le 15.
Appena il giorno dopo la loro discussione, subito dopo il ritorno di Misa in libertà, le uccisioni dei criminali erano riprese; in quella precisa occasione, aveva osservato di nuovo le reazioni di Rem di fronte a ciò che stavano preannunciando sulla sorte del responsabile, stando bene attenta a fare in modo che il nome della ragazza venisse ripetuto di frequente nel corso della conversazione: ormai non aveva più dubbi, quello shinigami nascondeva qualcosa, e quel qualcosa era probabilmente legato ai suoi sentimenti per quella ragazza. Era ovvio che la conoscesse da prima e che, in un modo o nell’altro, ci fosse qualcosa che lo teneva connesso a lei e che gli faceva desiderare di proteggerla. Per quanto la riguardava, avrebbe fatto del suo meglio per scoprire se le sue ipotesi erano vere o no.
Sapeva che lavorare sul caso non le avrebbe impedito di pensare continuamente a Elle e a ciò che si erano detti, ma non le importava: ci avrebbe pensato dopo la cattura di Kira. Era anche consapevole che, non appena tutta quella storia fosse finita, probabilmente gli avrebbe detto addio: se avesse dovuto scegliere fra lui e il bambino, ormai era certa di non avere più dubbi.
Il fatto era che lei voleva quel figlio. Lo voleva più di qualsiasi altra cosa, più di quanto non volesse Kira in galera, più di quanto non volesse Elle, più di quanto non avesse voluto continuare a vivere…voleva stringerlo, stare con lui, abbracciarlo, sentire il suo respiro, scoprire che aspetto avrebbe avuto quando dormiva. La sensazione che qualcosa di così unico e importante stesse crescendo dentro di lei la faceva sentire bene, in pace, malgrado le parole di Elle non smettessero di rimbombarle nella mente: l’aveva ferita come non pensava sarebbe mai riuscito a fare, l’aveva fatta sentire piccola, stupida e umiliata.
Le aveva detto chiaramente che non voleva nessun figlio, che non voleva quel figlio, e aveva buttato via la cosa più bella che avessero mai fatto insieme, prima ancora che questa nascesse: un simile pensiero le dava la nausea, e le aveva impedito persino di raccontare della cosa a Robin. Solo Ayber aveva capito davvero che cosa le turbinava per la testa, ricevendone anche una muta conferma da parte di Wedy, e i due avevano deciso di preservare il segreto della ragazza, già sufficientemente provata da tutto quello che stava affrontando.
D’altro canto, Elle non aveva accennato a cercare di rimettere le cose a posto. Non l’aveva avvicinata in alcun modo, non aveva più provato a parlarle, neppure per scambiarsi considerazioni sul caso Kira, non l’aveva più toccata…non l’aveva più neanche guardata. Si era rinchiuso di nuovo nel suo mondo, fatto di razionalità e di calcoli probabilistici, terrorizzato dal ricordo di ciò che aveva visto e di quelle immagini che avevano preso a perseguitarlo, ad ogni ora del giorno e della notte.
Un bambino. Un bambino suo.
Non era possibile. Non poteva essere vero. Non doveva esserlo.
Lui e Ruri erano una coppia, e insieme a Watari avrebbero formato una famiglia. Poteva accettarlo, poteva farcela, poteva di nuovo vivere la propria umanità e lasciare che le cose non fossero sempre sotto il suo controllo…ma un figlio…
Era troppo. Era una debolezza che non poteva concepire, qualcosa di così importante e profondo, talmente tanto da non riuscire a sopportarne la sola idea. Gli avrebbe assomigliato? Sarebbe stato come lui? Avrebbe mai potuto accettare di crescerlo, di prendersene cura, di osservarlo in ogni giorno della sua vita?
E avrebbe mai potuto tollerare il contrario? Di sapere che era vivo, da qualche parte nel mondo, che stava camminando, parlando, correndo, giocando, ridendo…e che non era lì con lui? Che non poteva toccarlo, stringerlo, assicurarsi che non fosse solo frutto della sua immaginazione…Avrebbe mai potuto sopportare l’idea che non sapesse della sua esistenza, così come Christine non sapeva di Watari? Oppure che ne fosse a conoscenza, e che lo odiasse proprio per questo?
Spinto da quei pensieri, il 4 Novembre, dopo aver trascorso un compleanno privo di qualsiasi festeggiamento e di qualsiasi sorriso da parte di Ruri, si diresse ai piani sotterranei del quartier generale, dove sapeva che avrebbe trovato Watari, seduto di fronte ai monitor.
“Ryuzaki” lo accolse l’anziano signore, volgendosi verso di lui non appena ebbe udito aprirsi le porte automatiche “Che cosa c’è?”.
 
Today could’ve been the day…
That you blow up your candles…make a wish as you close your eyes
Today could’ve been the day…everybody was laughing
Instead I’m just sitting here and cry
 
Notando che il suo protetto non accennava a pronunciare un’altra parola, le mani abbandonate lungo i fianchi, Watari ruotò appena la sua poltrona, voltandosi completamente verso di lui.
“Allora?” insisté “Che ti prende? Stai bene?”.
Ryuzaki continuò a fissarlo, senza smettere di riflettere su tutto ciò che gli turbinava nella mente: si sarebbe perso tutto? Il primo compleanno di suo figlio, la sua prima parola, la prima volta in cui avesse camminato sulle sue gambe…si sarebbe perso la sua nascita? Si sarebbe perso la prima espressione che sarebbe comparsa sul suo volto? Avrebbe finito per assomigliare a Ruri, oppure a lui? Si sarebbe perso il primo giorno del resto della sua vita?
 
Who would you be?
What would you look like?
When you looked at me for the very first time?
Today could’ve been the next day of the rest of your life…
 
“Ryuzaki…?” seguitò Watari, alzando un sopracciglio.
“Ruri è incinta”.
Lo aveva detto tutto d’un fiato, senza mutare espressione, attendendo quello che sarebbe venuto dopo: con sua grande sorpresa, dovette infine rendersi conto che il suo mentore stava sorridendo.
“Sì, lo so”.
Prima che potesse chiedergli spiegazioni, Watari aveva già estratto da sotto la scrivania il fascicolo contenente le ecografie di suo figlio.
“Le hai lasciate sul pavimento della camera da letto” spiegò Watari, con un sospiro paziente “Di solito, sei molto più attento a preservare i tuoi segreti”.
“Non voleva essere un segreto” replicò Elle, andandosi a sedere di fronte a lui: con un piccolo sorriso, Watari poté notare che teneva le gambe distese al di sotto della sedia, come faceva sempre quando era con Ruri; probabilmente, si era del tutto convinto che la razionalità non lo avrebbe aiutato troppo, in quella circostanza.
Osservandolo con attenzione, Watari rivide a un tratto il bambino solo e sperduto che aveva accompagnato alla Wammy’s House molto tempo prima, ma in quell’istante gli apparve molto più spaventato d quanto non riuscisse a ricordare.
“Sei venuto qui per parlarmi delle possibilità del caso?” domandò Watari, accavallando le gambe, le mani strette intorno ai braccioli della sua sedia.
“Non serve a niente. Ruri ha già deciso da sola che cosa fare” ribatté Elle, scuotendo la testa.
“E come fai a saperlo, visto che sono giorni che non le rivolgi la parola?”.
“Credi che non la conosca? Ruri vuole questo figlio. Vuole questo figlio più di quanto non abbia mai voluto altro, al mondo. Più di quanto…”.
“Più di quanto non voglia te” concluse Watari, annuendo appena “Credo di aver compreso”.
Elle seguitò a osservarlo, in attesa che proseguisse.
“Allora?” gli domandò infine, con un gesto impaziente della mano.
“Allora che cosa?” replicò educatamente Watari.
“Che cosa dovrei fare?” sbottò Elle, alzando un sopracciglio.
“Andiamo, Elle, sai come vanno queste cose. Si aspetta nove mesi, si fa nascere il bambino…”.
“Mi prendi in giro?!? Quello è mio figlio!!” saltò su Elle, arrabbiato.
“Certo che lo è. E se mi permetti un’osservazione, spero vivamente che non ti somigli” lo rimbeccò Watari.
“Ne stai parlando come se fosse la cosa più naturale del mondo!” proseguì Elle.
“In effetti, è la cosa più naturale del mondo, Ryuzaki” gli fece notare Watari, con tono paziente “Due persone iniziano ad amarsi, e la natura fa il suo corso”.
“Io…io non posso! Tu sai che non posso…non posso fare il padre e basta!” seguitò il detective, con espressione stralunata “Sai quante probabilità ci siano che mi odi e che desideri di non essere mai nato, quando capirà che io sono suo padre? Che dovrei fare, portarlo in giro con me e con Ruri in ogni parte del globo, mentre diamo la caccia ai criminali? Perché è questo che faccio da una vita intera, e credevo fosse quello che voleva anche Ruri! Ma questo…questo è…”.
“Questo” lo interruppe Watari, impugnando una delle ecografie “È tuo figlio. È l’essere umano più simile a te sulla faccia della Terra. Quando verrà al mondo, cercherà suo padre, e non gli importerà se avrà l’ossessione per i dolci, se si siederà in modo strano, o se darà la caccia al crimine in modo ossessivo. Gli importerà di sentire il tuo odore, di vedere il tuo viso, gli importerà di sapere che è amato, a prescindere da qualsiasi altra cosa. E se deciderai di abbandonarlo e di non occupartene, non ci sarà giorno in cui non penserai a lui e in cui non ti chiederai perché hai lasciato che la tua stupidità ti portasse via troppo presto quello che avevi appena iniziato a conoscere o che non avevi mai neppure vissuto per un momento. Hai rischiato di fare lo stesso errore con Ruri: non perdere di nuovo qualcosa di così importante. Ricordati quello che ti ho detto lo scorso inverno, ragazzo mio: non finire come me”.
 
Not a day goes by that I don’t think of you
I’m always asking why this crazy world had to lose
Such a ray of light we never knew…gone too soon
 
Il riferimento alla famiglia di Watari fu in grado di zittirlo del tutto, convincendolo ad abbassare la testa: alla fine, annuì lentamente e fece per uscire, quando la voce del suo mentore lo richiamò indietro.
“Lo so che non sei pronto…” gli disse, con un sorriso paterno “Ma nessuno lo è davvero, quando succede…”.
Ryuzaki fece per replicare, ma l’inglese lo precedette.
“Allora” disse, sorridendogli ancora “Immagino che sia tutto pronto per domani. Per questo, ti senti pronto, invece?”.
“Sì” replicò Elle, ignorando la strana sensazione che provava al petto.
“Lo sai che è pericoloso…”.
“Lo so; ma non abbiamo scelta, Watari. Dobbiamo averne la conferma definitiva. A che punto sei con il quaderno?”.
“È già tutto sistemato” lo rassicurò il suo mentore “Andrà bene, vedrai”.
“Solo se riusciamo a rimanere vivi…” mormorò Elle.
“Sei sicuro di voler correre questo rischio?” gli domandò ancora Watari “Potresti morire, lo sai…e non pensi che dovresti parlarne con Ruri?”.
“No. È fondamentale che lei non sappia niente: non coinvolgerla, Watari. Cercherebbe di fermarci, e non posso permetterlo. Anche se adesso mi odia, non…”.
“A volte mi domando se non ti abbia sopravvalutato” sospirò Watari, alzando gli occhi al cielo “O forse è solo colpa del tuo quoziente intellettivo troppo alto: magari è per questo che non capisci che ti ama e che farebbe qualsiasi cosa per aiutarti”.
“Proprio per questo non deve sapere. Ci muoveremo domani: attento a non commettere errori” gli disse Elle, facendo di nuovo per andarsene.
“…e lo shinigami?” lo bloccò per l’ultima volta Watari, con uno strano tono di voce.
Impercettibilmente, Elle si concesse di sorridere.
“…farà la sua parte”.
 
In quello stesso momento, diversi piani più sopra, Ruri alzò a fatica lo sguardo dalle pagine del Death Note, che aveva continuato a sfogliare febbrilmente in cerca di indizi: per l’ennesima volta nel corso di quei giorni, le venne un irrefrenabile istinto di piangere. Sapeva che era in gran parte dovuto agli ormoni della gravidanza, ma non riusciva a tollerarlo; in più, ripensare a Elle e a ciò che sarebbe venuto in seguito le faceva ancor più male e la deconcentrava di più ogni giorno.
L’aver preso consapevolezza del suo stato interessante, inoltre, le faceva paradossalmente accusare di più i sintomi di quella condizione, costringendola a trattenere nausee sempre più frequenti e provocandole fastidiosissimi crampi al basso ventre.
Presa da un momento di vera e propria frustrazione, chiuse di scatto il quaderno e si prese il volto fra le mani, scoppiando deliberatamente a piangere e lasciando che i suoi singhiozzi lavassero via tutto il dolore, la paura e l’avvilimento che le stavano lacerando le membra; ancora una volta, non poté evitare di pensare alle parole di Elle e alla consapevolezza che non avrebbe mai visto crescere quel bambino. Chissà se si sarebbe mai domandato qualcosa sul suo conto, sulla sua vita, su quello che sarebbe diventato…chissà se in qualche modo avrebbe mai provato qualcosa per lui. Di una cosa era sicura: per conto proprio, lo avrebbe amato più di qualsiasi altra cosa al mondo, più di quanto non avesse mai amato suo padre…più di quanto non avesse mai amato il sapore dell’aria.
Amava Elle, lo amava davvero…ma se veramente non voleva quel figlio, le loro strade si sarebbero definitivamente separate.
 
Would you have been president?
Or a painter, an author? Or sing like your mother?
One thing is evident…would have given all I had…
Would have loved you like no other…
 
Improvvisamente, si rese conto che qualcuno la stava osservando: alzando gli occhi, vide che lo shinigami era scivolato nella stanza e che l’osservava, con espressione triste.
“Rem?” gli si rivolse, asciugandosi le lacrime.
“Stai piangendo” constatò l’essere sovrannaturale, con uno strano tono.
“S-sì…non è niente…” si affrettò a dirgli “Adesso mi passa”.
“Perché piangi? È a causa di quel ragazzo?”.
Le parole dello shinigami la sorpresero, facendole fissare lo sguardo in quello della creatura e portandola a sorridere con amarezza.
“Sei più perspicace di quanto non credessi” sospirò, stringendosi nelle spalle.
“Non sei la prima ragazza che vedo piangere per colpa di un uomo”.
Sentirlo parlare così le fece alzare gli occhi di scatto, concentrandoli di nuovo in quelli dello shinigami, che non aveva smesso di osservarla.
“Stai parlando di Misa Amane…?” gli domandò, scegliendo le parole con cura.
Dopo un silenzio interminabile, Rem chinò appena la testa e sospirò con tristezza.
“Sì” ammise.
“Tu la conosci, vero?” proseguì Ruri, alzandosi in piedi e avvicinandosi alla creatura “La conosci bene?”.
“Può darsi” replicò Rem, con tono incerto.
“Sai…è una brava ragazza. Insomma, è ingenua, e a volte può essere insopportabile, e forse non è troppo sveglia, ma è una brava ragazza…è facile imparare a volerle bene. Io non ci ho messo poi molto” proseguì la profiler.
Dopo un’ulteriore pausa, Rem tornò a fissarla nuovamente, ma stavolta i suoi occhi avevano una luce diversa, meno ostile e più tenera.
“Sì…so che cosa vuoi dire” mormorò appena.
“Sai, Rem…ho la sensazione che Misa sia in pericolo” sospirò Ruri, passandosi una mano dietro la nuca.
“Lo è. Ed è a causa dello stesso ragazzo per cui piangevi fino a poco fa” le disse subito lo shinigami, con tono accusatorio.
“Ti sbagli. Misa è in pericolo per colpa di un ragazzo, questo è vero: ma non si tratta di Elle. Si tratta di Light”.
Quelle parole sembrarono lasciare di stucco la creatura, che non seppe come replicare.
“Immagino che sia lui l’artefice di tutta questa situazione…probabilmente, pur di proteggere Misa, ti ha perfino chiesto di scrivere delle regole sbagliate sul Death Note, così da scagionarla. In effetti, hai ragione, in questo modo Misa non andrebbe mai in galera e non verrebbe condannata a morte, e teoricamente potrebbe stare con Light…” proseguì Ruri, con l’aria di chi la sapeva lunga.
“Questo è ciò che desidera. Questo la renderà felice” affermò Rem, con voce atona.
“Davvero?” replicò Ruri, facendogli alzare di colpo lo sguardo “La renderà felice stare con una persona che non la ama e che continuerà a sfruttare il tuo affetto per lei per raggiungere i suoi scopi? La renderà felice vivere al fianco di un uomo che la userà come un giocattolo fin quando non si starà stancato di lei, ferendo i suoi sentimenti e gettandola via quando non ne avrà più bisogno?”.
Rem la fissò con decisione, al tempo stesso insicuro su come proseguire.
“Questo non puoi saperlo” la contraddisse Rem.
“So che Light Yagami è Kira, e che si è servito di Misa per raggiungere i suoi obiettivi. So che l’ultima parte di ciò che lo rendeva umano è morta definitivamente, quando ha riacquistato i ricordi che probabilmente lui stesso ha deciso di perdere, dopo la sua prima settimana di prigionia. So che, con ogni probabilità, sei stato tu a convincere Misa a lasciarlo fare. So che le vuoi bene e che stai cercando di aiutarla, ma è quello che voglio fare anch’io!”.
“Perché?!”.
“Perché Misa è diventata mia amica, e io non la voglio sulla forca” affermò Ruri, fissando l’essere dritto negli occhi “Perché so che si è fatta coinvolgere da questa storia unicamente perché si sentiva sola, triste, impaurita e perché si è innamorata di un tipo che non la merita e che di certo non merita il suo amore. Perché qualche giorno fa mi sono resa conto che avevo perso definitivamente un amico, e non voglio che succeda di nuovo. Voglio aiutare Misa, Rem, dico davvero: pensi forse che Light Yagami lo farebbe fino in fondo? Pensi che fosse preoccupato per lei, quando si è fatto rinchiudere in prigione? Non ha nemmeno voluto guardarla. Non ha chiesto di lei, non ha chiesto dove fosse, come stesse e non ha chiesto di poterle parlare. A Light non è mai importato di Misa, gli è importato di avere un ulteriore mezzo per vincere, Rem. E che cosa succederà quando, per qualsiasi motivo, tu non sarai più qui a proteggerla? Che accadrà quando fra una settimana, fra un mese, fra un anno, Misa aprirà gli occhi e capirà di essere rimasta sola al mondo, perché né io, né tu, né Ryuzaki saremo ancora qui per darle una mano? Quando, in un modo o nell’altro, comprenderà che Light non l’ha mai amata, e che lei ha passato tutta la vita ad annullarsi nella speranza che lui iniziasse a farlo?!”.
Rem la fissò per un altro lungo istante, prima di riprendere a parlare.
“Tu sei innamorata” affermò infine “È per questo che capisci così bene la determinazione di Misa, anche se sei molto diversa da lei”.
“Non ha importanza” sospirò Ruri “So solo che le voglio bene e che è stata una vittima, in questa vicenda. Se ci darai una mano a mandare Kira in galera, giuro su quello che vuoi che aiuterò davvero Misa. Potremo farle perdere la memoria, se vorrai; in ogni caso, io le starò vicina, e farò in modo che Ryuzaki non la incrimini. Troverò il modo di farla stare bene e le darò la famiglia che non ha mai avuto. Farà parte della mia, e la terrò al sicuro. Ma tu devi fidarti di me e di Elle e aiutarci”.
Lo shinigami ricambiò il suo sguardo per un lunghissimo istante, prima di abbassare gli occhi e di sospirare pesantemente, dandole le spalle e iniziando ad attraversare la parete opposta.
“Rem…?” lo chiamò indietro Ruri “Rem, non mi hai risposto!”.
“Ruri…” le si rivolse Rem, con tono triste “Il bambino che hai in grembo…è una femmina”.
 
La sera successiva, un temporale improvviso iniziò a imperversare sopra le loro teste, scuotendo i muri dell’edificio con violenza e senza il minimo ritegno; fin dal primo mattino, Ruri si era resa conto che Ryuzaki non era in circolazione, e che non si vedeva da nessuna parte. Il pensiero l’aveva inspiegabilmente turbata, nonostante fossero giorni che non si rivolgevano la parola: con la massima stizza, iniziò a cercarlo dovunque, solo per assicurarsi che non fosse sparito nel nulla, come una nuvola di fumo. Non voleva ammetterlo, ma quel pensiero l’avrebbe comunque straziata, nonostante il suo rifiuto, nonostante le sue parole, nonostante la sua freddezza.
Alla fine, decise di salire sul tetto della loro base: e fu proprio lì che lo vide.
Il capo chino sotto la pioggia, i capelli completamente fradici, aveva le mani in tasca come di consueto e sembrava fissare un punto imprecisato del cemento, gli occhi venati da una tristezza pregna di consapevolezze e di parole mai pronunciate.
Muovendo qualche passo verso di lui, si accorse che lui aveva percepito subito la sua presenza, e che la stava guardando con espressione indecifrabile.
“Che cosa stai facendo?” gli domandò, sforzandosi di rimanere fredda, quando fu a distanza ravvicinata da lui.
“Niente. Non sto facendo assolutamente niente di particolare” replicò Elle, abbassando subito gli occhi “Ascolto il suono delle campane…”.
Dal canto proprio, rialzando lo sguardo, Elle non poté fare a meno di pensare, per l’ennesima volta, che i suoi occhi erano veramente meravigliosi: in effetti, sperava tanto che il bambino li ereditasse da lei.
 
Who would you be?
What would you look like?
Would you have my smile and her eyes?
Today could’ve been the next day of the rest of your life…
 
“Le campane?” ripeté Ruri, alzando un sopracciglio “Quali campane?”.
“Oggi devo dire che fanno davvero un baccano assordante” proseguì Elle, volgendo appena lo sguardo verso il cielo plumbeo, che continuava a riversare su di loro frequenti e intense gocce di pioggia.
“Ma…io non sento niente” mormorò Ruri, confusa.
“Dici sul serio? Eppure, è tutto il giorno che vanno avanti. È impossibile ignorarle” sorrise lievemente Ryuzaki “Dev’essere una chiesa. Forse c’è un matrimonio…o forse…”.
“Ma ti senti, quando parli?!” lo interruppe Ruri, con tono secco “Non mi rivolgi la parola da giorni, e adesso ti metti a parlare delle campane? Sei proprio fuori di testa come pensavo, allora”.
Elle ricambiò la sua occhiata, per poi stringersi nelle spalle, assumendo di nuovo la sua consueta espressione da bambino rimproverato e sperduto, che così tante volte ormai le si era rivelata, mettendo da parte la maschera del ragazzo glaciale, freddo, spietato e razionale al limite della follia.
“Scusami” mormorò Elle “Hai ragione…dico sempre cose senza senso, ricordi? Non starmi a sentire…”.
Per contro, Ruri non distolse gli occhi dai suoi, per poi muovere qualche passo nella sua direzione, portandosi sempre più verso di lui, fin quando non furono tanto vicini da potersi toccare; infine, in maniera impercettibile, e con gran sorpresa del detective stesso, prese a scostargli i capelli bagnati dalla fronte, carezzandolo appena e facendo sì che lui chiudesse gli occhi al suo tocco.
“Ruri…” mormorò appena, finendo per aprire gli occhi.
“Sssh” lo zittì Ruri, scuotendo la testa “Stai zitto”.
“Ma…”.
“Ti ho detto di stare zitto. Non dire una parola, ok? Lo so già…” sussurrò la ragazza, appoggiando definitivamente il palmo della mano sulla sua guancia.
“No, non lo sai. Sono stato…non è quello che volevo…”.
“Non le voglio le tue scuse, solo perché credi di stare per morire!!”.
Quelle parole le erano uscite di getto, senza che potesse controllarle, liberando così anche la sua frustrazione, il suo dolore e la sua profonda paura: le aveva nascoste a se stessa per tutto il giorno, eppure qualcosa le diceva che c’era qualche elemento che non era al suo posto, che Elle aveva omesso di dirle ciò che doveva sapere e che ben presto tutto sarebbe potuto crollare, senza che se ne rendesse conto. Ma come poteva finire tutto in quel modo? Senza una ragione, per un mero colpo di fortuna del loro avversario? Come poteva il mondo perdere quella luce che avevano appena trovato, eppure che le sembrava di non aver mai conosciuto? Era troppo presto…
 
Not a day goes by that I don’t think of you
I’m always asking why this crazy world had to lose
Such a ray of the light we never knew…
Gone too soon…
 
Elle le sorrise di rimando, stringendola contro il suo petto e permettendole di dare libero sfogo alle lacrime.
“Non ti sto chiedendo scusa per questo…” le assicurò, baciandole la fronte.
“E allora perché?” ribatté Ruri, la vista annebbiata dalle lacrime.
“Perché è giusto così. Sono stato l’uomo che non avrei dovuto rivelarmi, e avrei dovuto essere migliore per te. Tu non ti meriti questo…e io non voglio che passi la vita ad aspettare, come Misa”.
“È diverso” scosse il capo Ruri “Io non mi aspetto che succeda niente. Se non vuoi questo figlio, va bene così, Elle…”.
“Io voglio questo figlio”.
Quelle quattro parole furono in grado di paralizzarla, immobilizzando ogni suo senso e facendole spalancare gli occhi, il cuore che non trovava pace.
“Cosa…?” riuscì infine a sussurrare, la voce strozzata.
“Voglio tutto quello che possa fare parte di noi” continuò Elle, sorridendole in modo triste “Solo che ho paura che non dipenderà da me…”.
“Perché stai dicendo questo…?” ribatté Ruri, alzando la voce ad ogni parola “Non stiamo…non è il tuo funerale, santo Dio! Nessuno ha stabilito per oggi la tua data di morte, e tu oggi non…è solo un giorno come un altro! È solo un temporale, tu hai un’allucinazione dovuta al troppo zucchero e oggi sta piovendo come in quella maledetta giornata in cui siamo stati così stupidi da credere che potessimo sperare di amarci senza vivere la relazione più incasinata della storia!”.
Ryuzaki sorrise di fronte al suo impeto e la prese di nuovo fra le braccia, giocherellando appena con il ciondolo che lei portava ancora al collo.
“Non lo hai buttato via” constatò, allargando il suo sorriso.
“No. Ci ho pensato, ma non ce l’ho fatta” ammise Ruri, tirando su con il naso “Non riesco a odiarti, anche se ci ho provato tante volte…anche se vorrei farlo anche adesso. Stupido detective con i presentimenti di morte…”.
 
Not a day goes by…I’m always asking why…
 
Elle le sollevò appena il mento, fondendo le sfumature dei suoi occhi con quelle di lei, e carezzandole di nuovo la guancia.
“Cosa c’è?! Ti arrendi? È finita? Moriresti davvero per catturare Kira?!” lo incalzò, quasi provocandolo.
Di rimando, Elle le sorrise con infinita tristezza, pronunciando quelle parole che tanto amava e da cui si sentiva così terrorizzata.
“Tu moriresti nel tentativo di impedirmelo?” ribatté, con la sua consueta calma.
La ragazza non ribatté, lo sguardo conficcato nel cemento che li avvolgeva e che impediva a entrambi di precipitare materialmente nel vuoto, nonostante i loro spiriti avessero già iniziato a farlo da un molto.
“Ruri, io…”.
“Non mi dire addio. Non dirmi che mi ami, se intendi dirlo perché pensi che sia la tua ultima occasione” lo fermò Ruri, con voce spezzata.
“Che importanza può avere?” obiettò Elle.
“Ha importanza per me. Non ti azzardare a pensare di…senti, io sono ancora qui, va bene? Sono uscita da quella sala operatoria, sono sopravvissuta all’esplosione di una macchina, a una sparatoria, e sono anche riuscita a impedire a nostra figlia di morire prima di nascere!! Tu non hai il diritto di pensare di potermi salutare adesso, solo perché stamattina hai sentito le campane, hai capito? E non venirmi a raccontare stronzate sul camminare verso la luce o il guardarmi dal Paradiso, perché altrimenti risparmio il fastidio a Kira e ti uccido io in questo momento!”.
Elle le rivolse un altro sorriso triste, una mano in tasca e l’altra intenta a sfiorarle i capelli.
“Hai detto ‘figlia’?” le chiese poi, come se nulla fosse “Davvero è una bambina…?”.
“Elle, non…senti, non dire così, va bene?” lo pregò Ruri, aggrappandosi al tessuto zuppo della sua maglia, come se la sua presa gli avesse impedito di andarsene per sempre “Mi dispiace, ok? Mi dispiace se non ti ho dato la possibilità di accettare quello che era successo, mi dispiace se non sono stata paziente, se non sono stata comprensiva, se non…se non sono stata quello che pensavi che fossi. Ma adesso…adesso non puoi…n-non puoi…”.
“Non sei stata quello che pensavo fossi” confermò Elle “Sei stata molto di più. Sei stata straordinaria, forte, incredibile…sei stata la persona migliore che io abbia mai conosciuto, e io non ti sarò mai abbastanza riconoscente per quello che hai fatto per me, e anche per Watari. Mi hai fatto provare un calore che non avevo mai avvertito in vita mia, e mi hai fatto capire che cosa significava vivere. Sei stata la mia migliore occasione, e la mia migliore amica. E mi hai dato ciò che nessuno mi aveva mai dato…un’altra, vera occasione. Una vera famiglia. Qualcosa di completamente mio…” mormorò, carezzandole la pancia, ancora piatta.
“Allora non dire addio” singhiozzò Ruri, affondando il volto nel suo collo e stringendosi alle sue spalle, come se si fosse trattato di due ancore di salvezza.
“Non è un addio” le mormorò Elle, finendo per unire le labbra alle sue in quello che entrambi ritennero essere il loro bacio più significativo, persino più del primo.
Dopo un silenzio infinito, Elle riprese a sussurrarle all’orecchio.
“Ruri…” le disse, con un tono diverso da qualsiasi altro usato in precedenza.
“Sì…?”.
“…grazie per avermi amato”.
La voce di Light li distolse improvvisamente l’uno dall’altra, facendoli voltare nella sua direzione: il ragazzo gli stava facendo segno di rientrare, sostenendo che ci fossero delle novità.
 
Una volta di nuovo nella sala del quartier generale, Elle si avviò verso la sua postazione al computer, l’espressione impassibile e le mani in tasca come di consueto, mentre Ruri, incurante degli sguardi che gli altri le stavano indirizzando, a causa dei suoi vestiti e dei suoi capelli fradici, si posizionò alle sue spalle: nella stanza, oltre a loro, c’erano solo i poliziotti del precedente quartier generale e lo stesso Light
“Ryuzaki!” lo accolse Matsuda “Cos’è questa storia che un altro Paese ha acconsentito ad usare il quaderno per eseguire le condanne a morte?”.
“Watari” esordì Elle, sedendosi al proprio posto e fissando lo sguardo sul monitor, dove troneggiava l’iniziale del suo mentore “Ottimo lavoro”.
“Grazie” replicò l’anziano.
“Non perdiamo un secondo di più: inizia i preparativi per il trasporto del quaderno” proseguì il detective.
“Bene”.
“Cos’è questa storia, Ryuzaki?” domandò Light, con tono indagatorio.
Elle puntellò appena il suo cucchiaino sulla superficie del Death Note, con espressione cupa.
“Voglio provare il quaderno” rispose, scatenando la sorpresa di tutti, tranne che di Ruri.
“Ma che bisogno c’è di fare una cosa del genere?!” protestò Aizawa “Abbiamo già verificato l’autenticità del quaderno!”.
“E poi, chi scriverà i nomi?” proseguì Matsuda “Lo sai bene che, una volta che avrà iniziato a scrivere, dovrà farlo all’infinito, ogni tredici giorni!”.
“Faremo in modo che a scrivere il nome sia un detenuto la cui condanna a morte sia prevista entro tredici giorni: se una volta trascorso questo arco di tempo sarà ancora vivo, commuteremo la sua pena con una più lieve” ribatté Ryuzaki, gelido.
“Ma così facendo…la vita di un uomo…” disse lentamente Yagami.
“Ci siamo quasi!” esclamò Elle “Se chiarisco questa cosa, il caso sarà immediatamente risolto”.
Accadde tutto in un momento: fu così veloce, improvviso, banale, che Ruri non se ne rese neanche conto: le luci della stanza si spensero di colpo, accendendo quelle rosse d’emergenza, quasi come se quel maledetto temporale avesse voluto catapultarli sul set di un film dell’orrore dall’esito incerto.
“Che succede?!”.
“Un blackout!”.
Le voci dei poliziotti intorno a lei e a Elle si stavano facendo spaventate, quasi come se un tornado li avesse improvvisamente coinvolti nella sua spirale; stava accadendo tutto così in fretta, quasi come se non ci fosse modo di fermarlo, quasi come se un meccanismo si fosse azionato, senza che nessuno le avesse spiegato prima come bloccare quella mostruosa serie di eventi. Perché provava quella sensazione di orrore? Perché sentiva che era tutto completamente, totalmente, radicalmente sbagliato?
Ad un tratto, la voce di Elle giunse alle sue orecchie: stava chiamando il suo mentore, con un tono preoccupato e, per la prima volta, spaventato.
“Watari…Watari!!”.
In quel preciso istante, tutti i monitor della sala centrale vennero invasi da un’unica scritta.
“Cancellazione dei dati?!” lesse Aizawa, esterrefatto “Che significa?!”.
“Avevo detto a Watari che doveva sbarazzarsi di tutti i dati raccolti…nell’eventualità che gli fosse accaduto qualcosa…” mormorò Elle, con espressione cupa.
“Nel caso gli fosse…?”.
“Ma non sarà mica…?!”.
“Dov’è lo shinigami?! Dov’è Rem?!?” sbottò Ruri, volgendosi freneticamente intorno.
“Non lo so…è sparito!” le rispose il sovrintendente “Cosa diavolo significa…”.
“Ascoltate!! Lo shiniga…” fece per dire Elle.
Il resto della frase non uscì mai dalla sua bocca.
In quel preciso istante, Ruri fissò lo sguardo sulla sua schiena, ed ebbe l’impressione che il mondo si stesse muovendo al rallentatore, quasi come se quella recita che qualcuno chiamava vita si stesse interrompendo, o, per meglio dire, la stesse tagliando fuori dalla scena…fuori dagli odori, fuori dai sapori, dai colori, dal tempo e dallo spazio…da ogni dimensione che conosceva.
Lo vide precipitare lentamente, con calma, quasi come se lo stesse facendo apposta, come se avesse avuto tutto il tempo del mondo per farlo, quasi come se precipitare fosse stata l’unica cosa a cui ambiva: era semplice, banale, scontato. Dopotutto, chi può vincere contro un essere di un altro mondo?
Non seppe come, eppure, prima che toccasse terra, riuscì a precedere Light, che si era sporto in avanti per sorreggerlo, spingendolo via e afferrando Elle fra le sue braccia, sorreggendolo dal pavimento e fissando così gli occhi nei suoi: in quell’unico sguardo, e in quel lieve sorriso che gli stava attraversando il volto, vide riflessi quegli stessi colori e profumi di cui aveva ormai perduto la percezione. Senza che neppure se ne rendesse conto, di fronte al suo sguardo, riflessi negli occhi dell’unico uomo che aveva mai amato, presero a rincorrersi tutti i momenti che avevano vissuti insieme, facendole rimbombare nelle orecchie e nel cuore ognuna delle parole che erano uscite dalle loro bocche…tutte quelle sciocchezze, miste a cose così importanti, tutti quei momenti così piccoli, tanto da sembrare inesistenti…tutte quelle minuscole, eppure così grandi cose che avevano progettato di fare insieme, e che stavano svanendo sempre più, al passare di ogni minuto…ma non stava succedendo. Quel genere di cose non succedevano alle menti migliori del mondo…non a lei. Non a loro. Non a Elle.
 
Ruri, devo supporre.
Non mi piace il tuo modo di fare, non mi piace il tuo essere invadente, e non sopporto i tuoi metodi. In effetti, sei tu quello che non mi piace.
Non ti piace che qualcuno prenda decisioni al posto tuo.
Hai intenzione di continuare a fissarmi all’infinito?
Credo proprio che mi toccherà darti la mia fragola ad ogni occasione.
Sei completamente pazzo.
Sei molto bella. Sei davvero molto bella.
Non…non possiamo essere amici.
Dico sempre cose senza senso…non starmi a sentire.
Sei insopportabile, te lo ha mai detto nessuno?
Di questo passo, rischio di innamorarmi di te.
E se mi innamorassi di te anch’io?
Allora saremmo privi di senso insieme…
Se proprio vuoi avere paura va bene, ma abbi paura insieme a me.
Non morirai, Ruri…non ti posso perdere.
Sei il solito ingordo! Non ho idea di come possa sopportarti!
Tienitelo per dopo…
Tu moriresti per catturare Kira?
Tu moriresti nel tentativo di impedirmelo…
 
Ma niente, niente aveva più senso. E infine le sentì: quelle stesse campane di cui le aveva parlato Elle, quelle campane che non avrebbero annunciato il loro matrimonio, ma la loro morte. Quelle campane che avrebbero segnato la vittoria di Kira. Ma non poteva permetterlo. Non lo avrebbe fatto. No. No. No.
“Elle…?! ELLE!!!” iniziò a gridare, mentre lo sguardo del detective si faceva sempre più appannato “ELLE!!! ELLE!!!!!!!!!!!!!!”.
Con un ultimo sospiro, capì che lo sguardo di Elle, completamente catturato da quello di lei, si era posato solo per un istante su Light, che le stava alle spalle, quasi nel tentativo d’avere una conferma di tutto ciò che gli aveva permesso di conoscersi, di combattere insieme, di giungere a un risultato. Sapeva che non sarebbe morto senza essere sicuro al 100% d’avere ragione.
E anche se non poteva vederli, era sicura che gli occhi di Light avrebbero rappresentato la migliore delle confessioni.
Ma non stava davvero succedendo…non Elle. Non in quel momento. Non prima di…no. Era troppo presto.
 
Not a day goes by that I don’t think of you
I’m always asking why this crazy world had to lose
Such a beautiful light we never knew…gone too soon…
You were gone too soon…
 
Un urlo di disperazione le uscì spontaneo dalle labbra, mentre gli occhi di Elle si chiudevano definitivamente, lasciandola sola e senza via di fuga.
Neppure lei riuscì più a sentirsi distintamente, come se la sua mente si fosse ovattata, isolandola dai rumori e non riuscendo più a permetterle neppure di udire la sua voce: non sentiva il contatto con le braccia di Matsuda e Aizawa, che cercavano di calmarla e di allontanarla dal corpo di Elle, non sentiva il fremito delle sue mani e delle sue gambe, non sentiva più nemmeno la creatura presente nel suo ventre…né le lacrime lungo le guance, né il battito del cuore, incerto se continuare a contrarsi freneticamente o se fermarsi del tutto.
Infine, percepì soltanto le sue dita tornare a stringersi intorno al tessuto della sua maglia bianca come l’avorio, e il suo capo piombare sul petto del detective, quasi nella speranza di udire di nuovo il suo battito cardiaco, quasi nella speranza che fosse tutto un incubo, e che avrebbe finito per risvegliarsi su quello stesso petto, scorgendo il sorriso amichevole e canzonatorio di lui. Ebbe la sensazione di svenire, presa dall’ennesimo capogiro e da un grande senso di nausea, e infine perse i sensi, desiderosa di svegliarsi in un mondo in cui finalmente avrebbe potuto abbracciarlo di nuovo, per non separarsene mai più.
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: ……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………….*indossa l’armatura e comincia a correre* NON UCCIDETEMIIIIIIIIIIIIIIII!!!!!! NO, NO, VI PREGO, ASPETTATE!!!!! Non è proprio come sembra!! Cioè è come sembra…voglio dire che il cuore di Elle non batte più…però non è proprio…NO, POSATE LE ASCE!!! VE LO GIURO, SONO INNOCENTE!!! Continuate a leggere, e non biasimatemi per questa scena!! Ho già messo qualche accenno qua e là che dovrebbe darvi un paio di indizi…ma può anche darsi che Elle sia morto veramente, chi può dirlo…e magari l’ho fatto solo per confondervi le idee…ODDIO, RIECCOLI, AIUTOOOOOO!!! *si mette in salvo dalla folla inferocita*. Sentite, aspettate il prossimo capitolo, ok?? PROMETTO che lo posto appena possibile, esami permettendo :D <3 Che posso dire? La canzone di questo capitolo era ‘Gone too soon’ dei Daughtry (ascoltatela, è bellissima), e come molti di voi avranno capito, la sottoscritta è una grande fan di ‘Grey’s Anatomy’, avrete notato le citazioni, spero che non vi abbiano stonato e che non vi siano dispiaciute troppo :D Mille ringraziamenti a SelflessGuard, Lilian Potter in Malfoy (ho paura della tua reazione dopo aver letto il capitolo), Robyn98 e MaryYagami_46 per aver recensito lo scorso capitolo, e grazie tantissimo anche a LidjaLoveAvengedSevenFold (spero di averlo scritto bene XD) per aver inserito la storia fra le preferite e le seguite, ci terrei tanto che commentassi anche tu :D Detto ciò, passo e chiudo! Devo nascondermi dalla vostra furia omicida, dopotutto! Un grosso bacione dalla vostra Victoria e al prossimo capitolo :D <3 
   
 
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