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Autore: kk549210    26/08/2015    3 recensioni
Fausto e Attilio: due fratelli diversamente destinati alla gloria e all’onore, che nascondono entrambi un segreto…
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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NdA: In questo capitolo e nei seguenti, che fanno chiaro riferimento a fatti e circostanze storiche reali (più o meno recenti e note), tutti i personaggi sono deliberatamente inventati o ne è stato mutato il nome, a parte uno chiaramente famosissimo e un altro la cui identità sarà spiegata a suo tempo in nota.

 
Il giovane Castore  


Base aerea di Istrana (TV)
10 settembre 1995
1642 ZULU[1]
 

"La fama degli eroi spetta un quarto alla loro audacia; due quarti alla sorte; e l’altro quarto ai loro delitti”[2]. Accarezzandosi sul petto della tuta da volo il gatto con i sorcetti verdi, simbolo del 51^ Stormo, il capitano Attilio 'Korra' Corradini si sentiva in pace con se stesso: la sua mano e i suoi riflessi non erano stati guidati da nessun intento delittuoso, ma solo dall'abilità e dalla perizia tecnica acquisite in tante ore di volo e dopo tante missioni rischiose, sfidando le leggi della fisica e a volte anche quelle della metafisica. Quanto alla Fortuna, la formidabile dea bendata adorata dagli schiavi dell'invitta Roma, l'amica machiavelliana dei giovani, non si sentiva a lei particolarmente debitore.
Quella notte ‘Korra’ avrebbe guidato di nuovo la squadriglia in un attacco su Novo Sarajevo, il quartiere totalmente controllato dall’esercito serbo. Erano venti giorni che le forze aeree della NATO erano impegnate nell’operazione Deliberate Force: notte e giorno i caccia europei si alzavano dalle basi italiane e i presuntuosi Top Gun venivano catapultati dal ponte della Roosevelt, per sferrare l’assalto decisivo alle posizioni nemiche. “Un’operazione chirurgica”, come era stata definita dall’Alto Comando e come riecheggiavano i mezzi di comunicazione: colpire uno dopo l’altro i punti nevralgici della forza occupante, lasciando indenne la popolazione civile. E da quel giorno, anche il lancio degli invincibili missili Tomahawk, deliberato dalla Casa Bianca,  avrebbe contribuito alla risoluzione del conflitto. “Sarajevo è assediata da tre anni, e noi ci siamo mossi solo da venti giorni”: le atrocità compiute al di là dell’Adriatico erano note a tutti, e l’Occidente era rimasto a guardare troppo a lungo. Nonostante l’indignazione, Attilio sapeva che le decisioni non spettavano certo a lui. Obbedire e combattere: questo era ora il suo compito, e il suo animo di ravennate lo spingeva ad agire con ancor più coraggio e ardore a dare il suo apporto per far cessare la guerra fratricida nel cuore dell’antico Impero Bizantino. Quella notte, lui e i suoi uomini avrebbero volato audaci e implacabili nel cielo sopra Sarajevo: un cuor solo e un’ala sola, per scendere in picchiata a 7G e riportare la pace in quella terra violentata.            
Poco gli importava che alla fine gli Americani si sarebbero presi tutto il merito di quella complessa operazione. Pur portando già con orgoglio diverse decorazioni sulla divisa d’ordinanza, il capitano Corradini non era interessato alla fama e alla gloria. Infatti, ripercorrendo di pensiero in pensiero, di azione in azione la sua vita in aeronautica, egli aveva sempre più la ferma convinzione che essa fosse il risultato di una salda e radicata volontà di servire il Paese e di mantenere la pace e la sicurezza là dove fosse necessario e doveroso, e al contempo l'incarnazione di quello che riteneva il suo desiderio più intimo, che aveva coltivato in sé fin dalla fanciullezza. Il sogno di volare. Una passione che si era accesa in lui grazie agli immortali versi di Ovidio letti in Quarta Ginnasio.
 
E già si erano lasciati a sinistra Samo, sacra a Giunone, e Delo e Paro,
e a destra avevano Lebinto e Calimne ricca di miele,
quando il fanciullo cominciò a prender gusto all’audace volo
e si staccò dalla sua guida, e affascinato dal cielo si portò più in alto[3].

O forse, quello che nell’abitacolo lo faceva sentire protetto come in una culla era un istinto atavico, una predestinazione che aveva sentito nascere ancor prima, ascoltando i racconti epici del nonno su Francesco, eroe della Grande Guerra. E ora, sentendosi scorrere ancora nelle vene qualche stilla di quel sangue glorioso, seduto ai comandi del suo aereo, fasciato nella corazza d'acciaio, ‘Korra’ si librava agile, potente e adrenalinico, uccello invincibile nel più alto dei cieli, macchina perfetta di salvezza per i giusti e di inesorabile castigo per i malvagi.  
 

- Che fai lì imbambolato? Non vieni a mangiare? - il tenente Mauro ‘Silvius’ Silvestri si era appena affacciato sulla soglia dell’alloggio. Mauro, il suo navigatore. L'angelo guida in ogni missione, la luce nelle tenebre a ogni atterraggio notturno, la fresca e corroborante compagnia che andava oltre la comunanza cameratesca e la condivisione del rischio. La prospettiva dell'ennesima cena frugale alla mensa ufficiali non lo allettava granché: anche se non particolarmente abominevole, la cucina della base non era certo segnalata sulla Guida Michelin e gli faceva rimpiangere i cappelletti al formaggio di sua madre. Ma il sorriso di ‘Silvius’ era così accattivante che ‘Korra’ lo ricambiò annuendo e lo seguì. Da quel giovane sottoposto emanava una speciale energia, una sorta di malìa ineludibile che lo turbava profondamente e gli faceva rivivere sensazioni dell’adolescenza, sopite ma mai completamente domate. Le spalle larghe e ben costrutte, la linea armoniosa del corpo atletico, il taglio deciso e virile della mascella italica gli richiamavano alla memoria lo scultoreo bagnino di quella famosa estate del ’78, a Lido Adriano.        
Ma il capitano Corradini non poteva certo gettare via la sua promettente carriera per quello. Novello Attilio Regolo, doveva e voleva essere fedele fino in fondo alla Patria e all’Onore e non lasciarsi distrarre in nessun modo dal sentiero che il destino aveva tracciato per lui.
“Alla prossima licenza, chiederò a Maria Teresa di sposarmi”. 
 
[1] Sistema orario militare che fa riferimento all’Ora Zero (GMT)
[2] Ugo Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis (dalla lettera del 4/12/1798)
[3]  Ovidio, Metamorfosi VIII 220-225 (traduzione di  Piero Bernardini Marzolla)
  
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