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Autore: AlexEinfall    29/08/2015    4 recensioni
[Casey/Severide] Prima mia long-fic su questa coppia, che credo abbia un grosso potenziale.
Severide affronta Casey circa il suo comportamento sconsiderato, ma le cose non vanno mai come ci si aspetta. Questo è l'inizio di qualcosa oppure le resistenze e l'antico astio ostacoleranno la loro strada?
Un giorno qualunque alla Caserma 51 è destinato a cambiare ogni cosa.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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28
Il rapido precipitare degli eventi



  «Sei veramente incredibile.»

  Matt alzò lo sguardo dal videogame, per lanciare un'occhiata al compagno comparso dalla cucina, prima di riportarlo sullo schermo.

  Lo sentì sbuffare irritato e avvicinarsi. Non era propenso a lasciar perdere qualunque cosa lo infastidisse. Avvertì il suo sguardo insistente, capace di distrarlo dal livello di Call of Duty.

  «Cosa?»

  «Puoi almeno mettere in pausa e guardarmi?»

  Matt si morse il labbro, pigiando il tasto del controller con furia, sperando di non morire e dover ripetere la missione per la terza volta. «Uhm, no.»

  Kelly emise un verso irritato e gli parò la vista, costringendolo a lasciare andare il controller con un gesto irritato.

  «Perfetto! Se non volevi che superassi il tuo record avresti dovuto dirlo prima!»

  In sottofondo sentì le esplosioni e la voce strozzata del suo personaggio, mentre le luci incorniciavano la figura tesa di Kelly. Lo guardò e capì che qualunque fosse il problema, doveva essere qualcosa di serio.

  «Tua madre, Matt. Mi prendi in giro? Pensavo fosse una di quelle cose di cui una coppia parla.»

  Matt era confuso. Si alzò per fronteggiare il compagno.  

  «Christie mi ha chiamata» disse Kelly, divincolandosi dalla sua presa. «Non te lo aspettavi, eh? Ci siamo scambiati il numero in ospedale. Mi ha supplicato di farti ragionare, perché a quanto pare non riesce a capire perché proprio tu hai detto a vostra madre di non venire all'inaugurazione. Sue parole: deve prendere una diavolo di posizione

  Matt si accigliò, non certo di voler davvero affrontare quel discorso. Era vero: quando la madre lo aveva chiamato per ringraziarlo dell'invito, lui era riuscito a convincerla a non venire. Non ne andava fiero e sapeva di averla ferita, ma sapeva anche che era per il meglio.

  Non poteva nasondere di sentirsi irritato e a disagio a parlare di questo proprio con Kelly.

  Decise che alleviare la tensione fosse la cosa migliore. Questo prima che Kelly portasse la discussione a un livello ben diverso.

  «La cosa peggiore è che io so perché non la vuoi al Molly's» sputò fuori il moro, guardandolo duramente. «Com'è che mi hai detto un po' di tempo fa? Non so mai cosa potrebbe dire o fare

  Una seconda realizzazione colpì Matt, facendolo sentire offeso oltre ogni previsione. «Scherzi? Vuoi davvero ritorcermi questo contro?»

  «Perché no? Non sei tu che ami così tanto ritorcere contro gli altri le loro parole?»

  «Quando lo avrei fatto?»

  Kelly aprì la bocca per parlare, e Matt seppe che se nel suo discorso fosse uscito il nome di Darden, le cose sarebbero degenerate velocemente. Sentiva all'idea già la rabbia montargli. Kelly, tuttavia, non disse nulla di ciò che Matt temeva.

  Dopo un attimo di teso silenzio, Kelly scosse la testa e mormorò sconfitto: «Credevo avessimo superato questo, ma a quanto pare non riesci davvero ad esporti con me.»

  «Non è così» insistette Matt. Prese un grosso respiro, portandosi le mani al volto per cercare di lavar via la frustrazione. Non aveva scelta, doveva dire tutto. «Senti, non è perché ho paura che dica a tutti che stiamo insieme.»

   Odiava la propria debolezza quando c'era di mezzo la madre, ma non riusciva davvero ad affrontare l'argomento. Non riusciva ancora ad avere quel pezzo della sua vita attorno, non in questa sua nuova vita con Kelly e la Caserma e ciò che aveva faticosamente costruito negli anni. Vedere sua madre era ogni volta vedere il fantasma di un passato che non avrebbe dovuto essere ancora presente. Anzi, peggio, i fantasmi, perché erano tanti, troppi: suo padre, Edward, quel maledetto giorno in cui aveva scordato le chiavi sul tavolino. Per anni si era chiesto se le avesse davvero dimenticate, o se i discorsi deliranti di sua madre lo avessero influenzato. Se non avesse origliato quel litigio al telefono, nel soggiorno di suo padre, avrebbe dimenticato le chiavi? Se non avesse saputo che suo padre teneva sempre la pistola carica a portata di mano, sarebbe stato così negligente?

   Aveva ormai capito che queste domande erano inutili, ma acquistavano un peso enorme quando gli occhi di sua madre lo guardavano dentro, come anni prima.

   «Tu non la conosci, Kelly. Ci sono cose che non sai...»

   La testa di Kelly scattò come colpita da una frustata.

   «Questo è il dannato punto, Matt» ringhiò, puntandogli un dito contro in un'accusa che Matt sentiva pienamente meritata, ma non voleva davvero sopportare. «Tu conosci mio padre e sai tutto di me, o almeno le cose importanti. Io di te non so niente!»

  «Di che diavolo parli? Tu hai sempre saputo tutto quello che è successo.»

  Kelly sbuffò una risata denigratoria, incrociando le braccia al petto e sollevando un sopracciglio.

  «Sul serio? Come della notte in cui tuo padre morì? Nessuno sa nulla di quella notte, perché tu non vuoi parlarne.»

  «Smettila» sibilò Matt, ora sull'orlo della rabbia.

  Si voltò, deciso a chiudere lì il discorso.

  Kelly era di tutt'altro parere, e lo palesò afferrandogli saldamente il braccio e voltandolo con forza.

  Matt poggiò un palmo sul suo petto, spingendo per liberarsi dalla presa. «Non c'è nessun motivo di parlarne, okay?»

  «Certo, perché finora non parlare delle cose ha funzionato così bene!»

  Uno strano pulsare annebbiò la vista e la mente di Matt. Quando riuscì a mettere a fuoco, si ritrovò con il collo della t-shirt di Kelly stretto in un pugno e l'altro sospeso sul suo volto. Lo sguardo del compagno non tradiva la sorpresa e lo sgomento, ma era rigido, duro, quasi sfidante. L'ondata di adrenalina defluì dal corpo del biondo, drenandolo completamente quando realizzò cosa stava per fare. Lasciò andare il compagno e scosse la testa, prima di massaggiarsi le orbite con le dita.

  «Scusa...non volevo colpirti.»

  «Invece volevi farlo» disse la voce di Kelly, nella quale non c'era rabbia, ma resa e una strana orma di dolcezza.

  Matt allontanò le mani dagli occhi e lo guardò, riconoscendo in lui la stessa debolezza che ora lo assaliva.

  «Senti» cominciò il moro, quindi sospirò e guardò altrove. «Forse ho esagerato, okay? Ma...Matt, io voglio solo-»

  «Essere parte della mia vita?» chiese il biondo, sorridendo debolmente.

   Kelly lo imitò.

   «Già, qualcosa del genere.»

   «Ho bisogno di tempo, Kel. Lo sai...»

   Le braccia intorno al suo busto lo presero alla sprovvista. Sussultò, prima di sentire quel familiare calore invaderlo. Matt strinse le proprie braccia intorno alla vita di Kelly, poggiando la fronte nell'incavo del suo collo. Come fossero passati dai pugni a questo non riusciva a realizzarlo. Erano questo, un ossimoro che funziona, qualcosa che sa rompersi e ricostruirsi. C'era qualcosa di così primitivamente splendido in ciò che sentì di esserne sommerso. I suoi genitori litigavano spesso e mai l'amore vinceva, ma lui era cresciuto convinto che esso potesse esistere e trionfare. E ora eccolo, al profumo di docciaschiuma e sigaro, con la barba tra i suoi capelli e muscoli forti contro i propri.

   Kelly liberò una mano per afferrargli il mento e spingerlo a guardarlo.

  «Il discorso non è chiuso, okay?»

  Matt avrebbe voluto protestare, ma il suono di un cellulare lo bloccò. Scioltosi velocemente dall'abbraccio, Kelly recuperò il dispositivo e rispose, schiarendosi prima la voce. Quel suo modo di ricomporre l'immagine dura del Tenente Severide, ogni qual volta qualcosa di esterno lo portava a una profonda autoconsapevolezza, non mancava di far sorridere Matt.

   «Hey-» Fece una smorfia, allontanando leggermente il telefono dall'orecchio. Guardò Matt, accigliandosi. «Sì, è qui con me... cosa?... Shay, rallenta, non capisco niente...Okay, okay. Ti aspettiamo qui.»

   «Che succede?» chiese Matt, appena il compagno ebbe riposto il cellulare con uno sguardo pensieroso.

   «Shay dice che un ragazzino è venuto a cercarti in Caserma. Non è che hai un figlio di cui non sai nulla?»

   Matt si congelò, prima di capire che Kelly stava scherzando. Afferrò un cuscino dal divano e glielo lanciò contro.

   «Dovresti essere tu a preoccuparti di queste cose.»

   



 


   Severide era da sempre convinto di una cosa: ci sono memorie che possono trasportare, senza alcuna articolazione, più emozioni che libri interi di parole. A questa consapevolezza si univa quella che uno sguardo, soprattutto un particolare paio d'occhi, potesse realmente scavarti dentro. Non era semplice da descrivere, ma era una sensazione inafferrabile eppure radicata fin nelle ossa, come gelida nebbia di una frigida mattina d'autunno.

   Aprendo la porta di casa, il sorriso morì sulle sue labbra e sentì chiaramente di essere sbiancato in volto. A corto di parole, si fece da parte, sentendo sui propri tratti gli occhi curiosi di Matt.

  Eppure, uniti alle parole vuote di Shay, questi erano solo dettagli sullo sfondo: il punto focale erano due occhi neri su un volto troppo giovane per tale silenzio. Occhi che lo avevano fissato un secondo, prima di spostarsi altrove, come un sole che occhieggi brevemente dalle nuvole, lasciando sulla pelle una strana sensazione di buio.

  «Hey, ciao» disse Matt con voce calma, quella che utilizzava per i bambini.

  Kelly, ripresosi dallo shock, lo guardò con quella sorta di piacevole invidia nei suoi confronti. Matt sapeva davvero farci con i bambini. Il pensiero era legato ad altri che non voleva davvero affrontare, quindi si riscosse ancora e guardò Felipe entrare in casa seguito da Shay.

  Richiuse la porta, poggiandovi le spalle e sperando di confondersi per un minuto con essa. Aveva bisogno di solo un minuto e avrebbe raccolto i pensieri e... fatto cosa? Non aveva idea di cosa dire o fare.

  «Io sono Matt» continuò il biondo, facendo segno al ragazzo di sedersi.

  Lui ubbidì, poggiando i palmi aperti delle mani sulle ginocchia sporgenti. Matt lo fissò interrogativo, quindi alzò lo sguardo di domanda su Shay.

  Lei fece spallucce e mormorò: «Non ha detto una parola, mi ha solo scritto questo.»

  Matt prese il foglio e aggrottò le sopracciglia, confuso.

   «Hey, amico» provò ancora, sedendosi sulla poltrona, ma in modo da lasciare al ragazzo il suo spazio. «Capisci quello che dico? Come ti chiami?»

   «Felipe» sputò fuori Kelly, staccandosi dalla porta.

  Il ragazzo alzò su di lui gli occhi cerchiati dalle lunga ciglia, e annuì.

  Kelly potè vedere sul volto del compagno il momento esatto in cui quel nome venne collegato alla realtà. Matt saettò lo sguardo tra Kelly e il ragazzo, il foglio di carta stretto in un pugno. Poi i suoi tratti si rilassarono all'improvviso e lui si alzò con calma, approcciando Shay, rimasta in piedi e confusa.

  «Grazie per averlo portato qui, Shay» disse con un sorriso affabile.

  «Se mi diceste cosa succede...» mormorò lei, squadrandoli. «So che mi nascondete qualcosa.»

  «Non essere paranoica» sbuffò Matt, senza mai perdere il sorriso. «Felipe è un mio piccolo vecchio amico, e non gli piace tanto la polizia. Sai com'è...»

  La bionda fissò a lungo il vigile, quindi roteò gli occhi e si diresse alla porta. «Dowson mi ammazzerà e io ammazzerò te, Casey, per avermi fatto perdere tempo» disse prima di uscire, senza curarsi di chiudere piano la porta.

   Appena il paramedico fu fuori portata d'orecchio, i suoi passi pesanti lungo il corridoio del condominio, i lineamenti di Matt tornarono duri.

   Kelly gli afferrò la manica della maglia e lo voltò, bisbigliando: «Che hai intenzione di fare?» Accennò con la testa al ragazzo, ancora seduto sul divano.

  Matt guardò sopra la propria spalla, poi sospirò e si passò una mano sul volto.

  «Sapere cosa vuole da me, immagino.»

  «Matt...» sibilò Kelly. «La situazione non mi piace.»

  I muscoli del braccio del biondo si irrigidirono sotto le sue dita. «Bhe, non l'ho creata io, la situazione» disse a denti stretti, prima di divincolarsi.

  «Felipe?»

  Il ragazzo alzò lo sguardo e lo fissò con occhi calmi e allo stesso tempo vivi. Era come se una strana quiete attendesse sul fondo di quel nero, come un cane accucciato che aspetti la fine della tempesta e il ritorno del padrone dal mare.

  «Tu mi capisci, vero?» chiese Matt, sedendosi questa volta al lato opposto del divano.

  Con suo sollievo, Felipe non si scostò, ma seguì con lo sguardo Kelly sedersi sul bordo della poltrona adiacente. Annuì e tornò a guardare Matt.

  «Bene. Puoi dirmi perché sei qui?»

  Lui vagò con lo sguardo nel soggiorno e Kelly capì in un attimo. Si alzò e aprì uno dei cassetti del mobile della TV, estraendo un foglio di carta stropicciato e una penna.

  Li poggiò sul tavolino e guardò Felipe: «Puoi scrivere, se vuoi.»

  Il ragazzo sembrò accennare un sorriso, l'angolo delle labbra appena sollevato e una piccola fossetta sulla guancia. Kelly pensò che Felipe dovesse avere un sorriso sincero e caldo, ma si ritrovò a chiedersi da quanto tempo non lo mostrasse.

  Prese la penna nella mano destra e cominciò a scrivere velocemente.

  Quando finì, voltò il foglio verso Matt.

   Il biondo lesse in fretta, ma dovette rileggere per comprendere davvero, preso com'era dall'agitazione e dalla sensazione che, qualunque cosa contenesse, quel foglio dovesse essere di estrema importanza.

   «Cristo...» mormorò alla fine, appena un'esalazione.

   Kelly sentì ogni muscolo irrigidirsi, come pronto ad reagire.

   «Cosa? Che dice?»

   Matt sollevò lo sguardo dal foglio e lo rivolse a Kelly.

   «L'indirizzo dei Messer.»

   Prima che il biondo potesse aggiungere altro, il compagno aveva afferrato la giacca poggiata su una sedia. La indossò di fretta e recuperò le chiavi dell'auto. Matt reagì in un istante, afferrandogli la manica e strattonandolo perché potesse guardarlo in volto. La ferrea determinazione che incontrò gli inviò una scarica sinistra lungo la schiena. Per qualche strano motivo, avvertì l'addome avere uno spasmo ed essere percorso da tanti piccoli aghi, lì dove restava la lunga cicatrice, persistente ricordo degli eventi che li avevano portati lì.

  «Che hai intenzione di fare, Kelly?» chiese in un tono di sfida che sorprese se stesso.

  «Tu cosa credi, Matt?» rispose a tono il moro, guardandolo duramente. «Hai idea di quello che ho passato per ottenere quell'indirizzo? Ora dovrei sedermi sul mio culo e fare cosa?»

  «Voight-»

   Kelly sbuffò una risata di scherno.

   «Non provarci, Matt.»

   L'elettricità che correva tra i loro corpi, congiunti flebilmente lì dove le dita di Matt erano serrate intorno alla manica della giacca di Kelly, fu interrotta bruscamente da un'ombra all'angolo del loro campo visivo. Matt lasciò andare il compagno e guardò Felipe. Il ragazzo tendeva il palmo della mano in alto. In un attimo voltò la mano destra in modo da mostrare le nocche e la abbatté sul pamo aperto di quella sinistra. Ripeté il gesto tre volte prima che Matt capisse.

  «Ci sta dicendo di smetterla» mormorò, sentendosi stranamente in colpa.

  Kelly sollevò le sopracciglia scetticamente e Matt roteò gli occhi infastidito.

  «Ricordi il corso di ASL? Qualcuno l'ha davvero seguito, al contrario di te.»

  La risposta del moro fu tagliata dal suono ripetuto della mano di Felipe contro l'altra.

  «Okay» esalò Matt, alzando le mani in segno di resa. «Okay, ho capito.»

  Felipe sollevò le labbra in un accenno di sorriso, quindi portò la mano destra all'altezza del volto e la mosse in fuori, chiudendo le dita.

  «No, non andiamo da nessuna parte» disse Matt risolutamente.

  Il cipiglio sul volto del ragazzo lo fece assomigliare per un attimo al ragazzino che sarebbe dovuto essere.

  Puntò verso se stesso, quindi portò gli indici in avanti.

  Matt guardò Kelly, che li osservava confuso.

  «Vuole andare lui, se non andiamo noi» spiegò con un sospiro, prima di passarsi una mano sul volto.

   Si sentiva in trappola. Sapeva che Felipe aveva rischiato molto per avvertirli, e che era potenzialmente ancora in pericolo. Una parte di se stesso voleva lasciarsi andare alla tentazione di risolvere la questione come aveva desiderato dal primo giorno: a mani nude. La coscienza e quel vago senso di giustizia che aveva cercato di rafforzare per superare la rabbia e la sete di vendetta, tutavia, gli impedivano di prendere lui stesso le chiavi dell'auto e guidare il più velocemente possibile verso i Messer.

   Prese un grosso respiro, chiudendo gli occhi. Quando li riaprì, la mano di Kelly era sulla sua spalla. In una frazione di secondo, quella a lui necessaria per riprendere il controllo, sembrava essersi formata una muta alleanza tra il suo compagno e Felipe. Entrambi lo guardavano carichi di aspettativa.

  Kelly gli afferrò anche l'altra spalla, guardandolo negli occhi fino a bruciargli la mente e appesantirgli il petto.

  «Matt» disse il moro con voce roca. «Dobbiamo farlo, e lo faremo. Fidati di me.»

  Non poteva non farlo. Non gli accorse che un secondo per ritrovarsi ad annuire, sentendo le dita serrarsi sulle sue spalle. Quindi guardò Felipe e scosse la testa.

   «Tu non puoi venire con noi» disse fermamente, guadagnandosi un altro cipiglio e due braccia esili strette al petto. «Ascolta» continuò con calma. «Non dimenticherò mai quello che hai fatto, ma hai bisogno di essere al sicuro. A me serve che tu lo sia, lo capisci?»

  Il ragazzo spalancò i grandi occhi neri, che si riempirono di paura. Agitatamente, mosse le mani in aria. Matt gli fece segno di rallentare e lui sospirò e ripeté i gesti con più calma, ma mani ancora tremanti.

  «No, non chiamerò la polizia» disse Matt per rassicurarlo.

  Non ora, pensò, ma non lo disse. Felipe avrebbe capito a tempo debito che era per il suo bene.

  «Possiamo portarlo da Sam» disse Kelly. «Non lavora nei servizi sociali?»

  «E credi che Shay non farà domande?»

  «Si tratta di poco tempo.»

  Matt cercò di non rabrividere al concetto insito in quella frase, di non pensare a cosa sarebbe potuto succedere quando avrebbero raggiunto i Messer. Non poteva pensarci, se voleva arrivare fino in fondo.

  «Lo lasciamo lì con una scusa e lo passiamo a prendere...dopo» mormorò Kelly.

  Matt ci pensò su, quindi si rivolse a Felipe. «Va bene per te? Sam è nostra amica, starai bene.»

  Felipe, chiaramente non del tutto soddisfatto,  ma abbastanza furbo da capire di non avere scelta, annuì. Poi mosse ancora le mani, con un'espressione difensiva sul volto e le guance lievemente imporporate.

  Matt sorrise e annuì. «Certo che tornerò a prenderti. Te lo prometto.»

  Sperò non diventasse una promessa tradita.




   Voight strinse i lembi della giacca, in un vago e istintivo gesto di protezione contro il pungente vento che si era alzato nell'aria umida. Guardò intorno a sé, scrutando il parcheggio del café alla ricerca di possibili indizi fuori posto. Era una deformazione professionale e personale, una sorta di muta paranoia che lo spingeva immancabilmente a guardarsi le spalle. Appurato che tutto fosse in ordine -due monovolume e un furgone di una catena di pizza a consegna- scrocchiò i muscoli del collo e si avviò all'entrata nel locale.

  Individuò Tyrone velocemente, poiché gli unici altri avventori erano una famiglia chiassosa e un ragazzo in una stupida divisa a strisce rosse e gialle, chino sul bancone a chiacchierare con un'avvenente cameriera. Li oltrepassò in silenzio e lanciò uno sguardo a Tyrone. L'uomo sembrava nervoso e non certo nella sua giornata migliore.

   Voight ne prese nota e si sedette al tavolo, prendendosi deliberatamente tutto il tempo possibile.

   Se c'era una cosa in cui era particolarmente abile era di certo tirare fili già ben tesi.

   Richiamò l'attenzione della cameriera, libera dal suo imbarazzato flirt con il ragazzo della pizza, per ordinare un caffé nero e un piatto di uova e pancetta, che non sentiva davvero d'aver bisogno di mangiare, ma certo avrebbe fatto con quanta calma possibile.

   Tyrone parlò non appena la giovane si fu allontanata, sporgendosi sul tavolo con aria minacciosa.

   «Uno dei miei è scomparso, e sono sicuro che tu c'entri qualcosa.»

   Voight sbuffò una risata e si risistemò la giacca. Puntò i gomiti sul tavolo, imitando la postura di Tyrone finché questi, leggermente intimidito, reclinò appena le spalle indietro.

    «Cosa te lo fa pensare?»

    «Sappiamo entrambi che i Perez hanno fatto fuori Miguel» disse Tyrone abbassando la voce. «Diciamo che so per certo che non hanno preso-» L'uomo si fermò, mordendosi le labbra.

   Voight sollevò le sopracciglia, invitandolo a continuare. In quel momento la cameriera tornò con un timido sorriso e le ordinazioni, svanendo velocemente quando Tyrone le rivolse uno sguardo duro.

   «Sai» disse il detective, ritagliando pezzi di bacon. «Se non parli chiaro, non ti puoi aspettare che lo faccia io. Fammi una domanda se vuoi una risposta.»

   Tyrone sembrò soppesare le sue alternative. Voight fermò il coltello nel mezzo di una fetta di bacon, colto da un'intuizione. Scrutò Tyrone in cerca di indizi che la confermassero.

  Non aveva visto mai il colombiano così afflitto.

  Ritornò al piatto e chiese tranquillamente. «Da quanto è scomparso il ragazzino?»

  Tyrone sussultò visibilmente e coprì la sua sorpresa abbattendo il palmo della mano sul tavolo. A pochi tavoli di distanza, la mamma dei due bambini esclamò un gridolino di sorpresa, poi bisbigliò qualcosa al marito, facendo voltare i figli curiosi.

   «Cosa diavolo sai di questa storia?»

   «So che tieni al ragazzo. Non ti importa dei tuoi uomini, ma di questo sì. Altrimenti non saresti mai venuto da me.» Voight ghignò, nascondendo il tumulto nella sua mente all'idea che al ragazzo fosse accaduto qualcosa. «Vuoi dirmi che hai un cuore tenero?»

   «Assurdità» sbuffò Tyrone. «Nel mio paese non si butta via un regalo.»

   Voight si irrigidì e alzò lentamente lo sguardo. Vide negli occhi di Tyrone una sorta di terrore, quello che giunge nell'accorgersi di aver lasciato andare un dettaglio importante.

  Come aveva potuto essere così ingenuo? Proprio lui, Hank Voight, aveva creduto alla storiella di Tyrone che trovava un ragazzino per strada. Tutti i suoi uomini, quelli che era riuscito a far parlare, avevano giurato che Felipe fosse stato trovato nei sobborghi di Chicago. Perché Tyrone avesse mentito ai suoi stessi uomini non gli importava, non ora, non realmente. Tutto ciò che riusciva a focalizzare era il desiderio di sbattere la testa di Tyrone contro il tavolo.

    «Okay» esalò Voight, congiungendo le mani davanti a sé. Lo indicò con un dito, dicendo a denti stretti: «So esattamente di cosa stai parlando, e ora so che conosci chi c'è dietro questa storia.»

    «Di che diavolo parli?»

    «Container 47» disse Voight, osservando la reazione che si aspettava: Tyrone si inumidì le labbra improvvisamente secche. «I ragazzi scomparsi. Tu sai chi c'è dietro. »

   Tyrone guardò altrove, quindi fece spallucce. «Può darsi.»

   Questa volta fu Voight a battere entrambe le mani sul tavolo. Al rumore di pelle contro legno e delle porcellane tintinnanti, la famigliola si alzò e si sbrigò a lasciare il locale.

   «Se rivuoi Felipe, devi darmi i nomi, i luoghi, tutto quello che sai. O giuro su mio figlio che questo sarà l'ultimo pasto della tua vita.»

   Dopo un lungo, teso silenzio, Tyrone annuì.



Note: Ciao ragazzi! Scusate il ritardo, sono così piena di imprevisti e impegni da riuscire a ritagliare davvero poco tempo per lavorare sulla storia. Eppure non la abbandono, mai.

Piccola nota: ASL, ovvero American Sign Language, è la lingua dei segni usata in America. Poiché ogni Paese ha la sua lingua dei segni, la ASL è diversa dalla LIS (Lingua Italiana dei Segni). 

Il prossimo aggiornamento non giungerà prima di una settimana. Scusate per il disagio!

A presto,

Ax.

















  
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