Salve!
Prima di lasciarvi al capitolo dovrete sorbirvi un discorso. Non ha niente a
che fare con la storia però in qualche
modo c’entra.
Qualche
tempo fa ho pensato di smettere di scrivere in questo fandom. Il motivo? Ho
deciso di non seguire più i One Direction. Nonostante sia ancora ferma nella
mia decisione di tenermi lontana dal fandom, ho, tuttavia, deciso di continuare
le mie storie e, se tutto va bene, di scriverne altre. Non mi dilungo sulla mia
decisione di allontanarmi dal fandom e dai One Direction, vi basti sapere che
non uso più Twitter quindi se sentite il bisogno di dirmi qualcosa lasciate una
recensione o mandatemi un messaggio privato qui. “Purtroppo” i One Direction
sono un fenomeno mondiale, ergo ogni volta che succede qualcosa di “importante”
lo vengo a sapere, in un modo nell’altro, contro la mia volontà (per evitarlo
dovrei tipo smettere di usare internet),
però ignoro tutte le piccole cose che succedono giornalmente e delle quali prima
ero costantemente informata. Non credo che questa decisione possa influenzare
negativamente le mie storie. O almeno spero che non sia così. Per me ormai i
One Direction non sono altro che personaggi delle fanfiction che leggo e
scrivo.
Detto
questo, buona lettura!
*
“Forse
Savan dimentica che alcuni di noi hanno gli esami quest’anno. O una vita al di
là del maledetto glee club”, borbotta Josh a mezza voce, seduto in ultima fila
in aula musica.
Savan
intercetta la sua esternazione – probabilmente grazie al suo super udito o qualcosa del genere –
perciò solleva la testa dal pianoforte, sul quale è piegato da dieci minuti
buoni nel disperato tentativo di rendere impeccabile la parte di Alice (in
piedi accanto a lui, rossa in volto e frustrata per la puntigliosità del
professore) in una delle canzoni che canteranno alla fine del mese sul palco di
una scuola superiore di Brighton, città scelta per la competizione.
“Sei
libero di andare a vivere la tua vita fuori da quest’aula”, sbotta, serio e
minaccioso. È da quando hanno scelto le canzoni per le Regionali che il suo
atteggiamento, solitamente tranquillo e incline allo scherzo, è mutato.
Josh
arrossisce e mormora delle scuse. Savan non vuole sentire ragioni.
“Ora”, sibila.
“Mi
stai cacciando dal glee club?”, esclama Josh, adesso pallido e balbettante.
Savan
si passa una mano tra i capelli – Harry freme – e china il capo sullo strumento
momentaneamente trascurato.
“Lo
vedremo”.
Josh
fa per protestare ma Savan ha ripreso a suonare, incoraggiando Alice a
ricominciare da capo.
“Amico,
fatti un giro e rilassati, per oggi”, dice Niall dando una pacca sulla spalla a
Josh. “Domani Savan si sarà già dimenticato di questo spiacevole incidente”.
Josh
sospira e, mettendosi lo zaino in spalla, esce dall’aula cercando di fare meno
rumore possibile.
“Savan
ha instaurato il regime del Terrore”, sussurra Louis all’orecchio di Harry.
Il
riccio gli poggia una mano sul ginocchio.
“Sta’
zitto o sarai il prossimo”, consiglia.
“Stai
scherzando?”.
Harry
si stringe nelle spalle. Meglio non rischiare.
“No,
sul serio, pensavo che questa fosse una democrazia e invece-”.
Louis
sussulta quando Liam, seduto dall’altro lato, lo pizzica sul braccio. Fortuna
che riesce a trattenersi dal gemere per il dolore.
“Chiudi
il becco”, gli intima l’altro ragazzo.
“Ma
mi annoio!”, protesta Louis in un sussurro che aumenta di volume a ogni parola.
“E ho pure saltato gli allenamenti per venire qui!”.
“Louis,
vuoi fare compagnia a Josh fuori dall’aula?”, domanda Savan senza staccare gli
occhi dai tasti, interrompendo Alice ancora una volta. Forse sarà lei a
strapparsi i capelli entrò la fine dell’ora.
Louis
si irrigidisce e mima l’atto di chiudersi la bocca con una chiave. Liam e Harry
gli rivolgono un’occhiata il cui messaggio è ‘ti avevo avvertito’.
Gli
incontri del glee club sono diventati più lunghi e frequenti in previsione
delle Regionali, alle quali mancano poco più di venti giorni. L’umore sarebbe
alle stelle se non fosse che, come ha incautamente osservato Josh poco prima,
il glee club sottrae tempo allo studio e allo svago. Non che cantare sia un dovere o un’imposizione per loro, ma la
pressione e il perfezionismo di Savan rischiano di renderlo meno piacevole del
previsto. Sono tutti eccitati per le Regionali e tutti vorrebbero fare una
bella impressione sui giudici o, nella più rosea delle previsioni,
classificarsi tra i primi tre contendenti ed essere ammessi alle Nazionali, ma
nessuno è disposto a morire per
questo. Savan li vede più come un plotone pronto a sacrificarsi sull’altare della musica che come un gruppo di
studenti iscritti a un club di canto corale per divertimento.
Alla
fine delle due ore di prove neanche
la metà di loro è riuscita a cantare uno dei propri assoli. Harry si domanda se
e quando riusciranno a cantare tutti insieme.
“Ho
prestato un attimo il telefono a Zayn e quello stronzo ha cambiato la lingua”,
si lamenta Louis mentre si trascinano per i corridoi, lui diretto al campo di
calcio dove intende allenarsi per un po’ anche da solo, Harry verso la fermata
dell’autobus per tornare a casa a studiare.
“Credevo
che la vostra faida fosse finita”, commenta il riccio.
Louis
smanetta col cellulare e non risponde.
“No,
non è finita, non può finire”,
afferma dopo un po’. “Ricordami di fregargli il cellulare e postare su Facebook
tutte le selfie allo specchio che
conserva in galleria”.
Harry
scuote il capo.
“Non
tentare di rendermi tuo complice un’altra volta”.
Tre
giorni prima ha dovuto distrarre Zayn mentre Louis riempiva di sabbia il suo
armadietto. A suo discolpa Harry deve dire che non aveva idea del piano del suo
ragazzo, altrimenti non si sarebbe fatto coinvolgere. Il fatto che Louis se ne
andasse in giro con un sacchetto pieno di sabbia presa chissà dove avrebbe
dovuto essere un campanello di allarme, comunque.
“Ci
vediamo stasera?”, taglia corto Louis. “Passo da te?”.
Harry
annuisce tentando di dissimulare il suo entusiasmo. Sono giorni che non passano
del tempo da soli e anche se non possono replicare l’esperienza del suo compleanno coi suoi genitori nella stanza
accanto qualcosa riusciranno comunque
a combinare.
“Va
bene. Ah, stasera vorrei parlarti di una cosa, ok?”.
Louis
posa esasperato il telefono nello zaino. Probabilmente non è riuscito a
modificare le impostazioni di Zayn.
“È
un cosa seria?”, domanda.
Harry
sbatte lentamente le palpebre.
“Mi
devo preoccupare?”, continua Louis.
Harry
si morde il labbro inferiore. Si deve
preoccupare?
“Assolutamente
no”, mormora, incerto.
Louis
lo guarda perplesso e insospettito.
“È
tardi, devo andare!”, esclama dopo qualche secondo, risvegliandosi dal suo stato
di trance. “A stasera”.
Harry
lo abbraccia velocemente e si dirige verso l’uscita. Alla fermata dell’autobus,
come era prevedibile, incontra Ed.
“Alice?”,
domanda.
“Non
ci crederai ma è rimasta con Savan a provare ancora un po’”.
Harry
sbuffa.
“Non
so chi sia più folle tra i due”, commenta. “Quindi siamo solo io e te oggi?
Come i vecchi tempi?”.
Ed
fa un sorriso amaro.
“Come
i vecchi tempi”, gli fa eco.
Harry
gli avvolge un braccio attorno alle spalle. Le cose con Ed torneranno come
erano, prima o poi. O almeno spera.
***
“Non
mi piace come mi guarda tua sorella”, osserva Louis gettandosi sul letto di
Harry e attirando verso di sé il cuscino del riccio per abbracciarlo.
“Non
starai insinuando che mia sorella abbia una cotta per te, spero”, ribatte Harry
sedendosi al suo fianco e sfilandogli il cuscino da sotto la pancia. È lui che
merita di essere abbracciato, non il suo cuscino.
Louis
contorce il viso in una smorfia.
“No,
per carità!”, esclama. “Intendevo dire che da quando io e te abbiamo fatto, ehm,
sesso, lei sembra diffidente nei miei
confronti. O magari è solo invidiosa perché io e te ci abbiamo dato dentro e
lei e Niall no?”.
Harry
si copre il viso con una mano.
“Punto
primo, non alludere mai, mai più alla
vita sessuale di mia sorella e Niall, per quanto non esistente essa sia. Punto secondo, non credo proprio che lei ti
guardi male. Sarà una tua impressione”.
“Non
ho detto che mi guarda male, ma…mi
guarda come una sorella maggiore guarderebbe colui che ha corrotto suo fratello”, precisa Louis.
Harry
si gratta il mento.
“Ti
rendi conto che il novantanove per cento delle volte dici cose che non hanno
alcun senso?”.
Louis
si imbroncia.
“Mi
stai dicendo che soltanto l’un per cento delle volte ha senso quello che
dico?”.
Harry
ghigna.
“Almeno
sai far di conto, dovresti essere orgoglioso di te stesso”.
Louis
lo spinge con una spallata.
“Il
mio ego sta risentendo della tua cattiveria”, si lamenta. “È ferito”.
“Vuoi
che gli dia un bacio per farlo stare meglio?”.
Louis
scoppia a ridere.
“Sei
diventato audace, piccolo Hazza”.
Harry
mima il broncio di Louis.
“Mi
stai dicendo che prima ero un codardo?”.
Louis
lo prende per una spalla e lo attira a sé.
“No,
mai”, sussurra sulle sue labbra.
Harry
sorride nel bacio.
“Mia
sorella ti adora, comunque”, mormora, avvolgendo Louis in un abbraccio.
“Possiamo
non parlare di tua sorella adesso?”,
protesta l’altro ragazzo. “O meglio, possiamo non parlare affatto?”.
Harry
si distende sulla schiena tirandosi Louis addosso. Il loro bacio diventa
infuocato in breve tempo: le sue mani scivolano sotto la maglia di Louis e
quelle di Louis affondano tra i suoi capelli.
Da quando hanno fatto sesso Harry non pensa ad
altro tutto il tempo. Sesso sesso sesso. Ci pensava anche prima, ma averlo fatto cambia
tutto. Significa che potrebbero rifarlo.
Ma
tra il dire e il fare c’è di mezzo Louis che, nonostante abbia dichiarato di
non voler parlare, interrompe il bacio per domandare: “cosa dovevi dirmi?”.
Harry
brontola e scuote il capo.
“Te
lo dico dopo”, biascica, attaccando il collo di Louis.
L’altro
ragazzo poggia entrambe le mani sulle sue spalle e lo inchioda al letto.
Sarebbe fantasticamente eccitante se i suoi piani per l’immediato futuro non
divergessero da quelli di Harry.
“Non
tenermi sulle spine”, dice.
“Sei
tu che mi stai tenendo sulle spine”,
ribatte Harry testardamente, alludendo alla sua erezione che Louis può sentire,
eccome se la può sentire.
“Haz,
non esiste solo il sesso nella vita”.
Chi sei tu e cosa ne hai fatto di
Louis?, vorrebbe domandare il riccio.
“Non
dobbiamo per forza fare sesso”, spiega Harry. “Potremmo solo baciarci e poi
fare qualcosa che non è tecnicamente
sesso ma che rientra più o meno nella categoria”.
Louis
aggrotta la fronte.
“Non
mi concederò fino a che non mi avrai detto di cosa volevi parlarmi”, insiste.
Harry
sbuffa e si mette a sedere, costringendo Louis a rinunciare alla sua posizione
privilegiata sopra di lui.
“Allora?”.
“Siamo
impazienti”.
“Harry,
lo sai che gestisco male l’ansia”.
“Non
c’è bisogno di essere ansiosi”.
“Se
permetti questo lo decido io”.
Harry
sospira e poggia la schiena contro il muro.
“Ho
fatto delle ricerche”, ammette.
“Su?”,
lo incalza Louis. “Lo sai che due uomini non possono procreare e poi abbiamo
usato il preservati-”.
Harry
lo interrompe pizzicandolo su un fianco.
“Continui
a dire cose insensate”, gli fa notare.
“Scusa,
è l’ansia a parlare”.
Il
riccio congiunge le mani e le poggia sul proprio grembo.
“Stavo
pensando a quello di cui mi hai parlato qualche tempo fa, alla tua intenzione
di rinunciare all’università e alla carriera teatrale e musicale”. Harry si
ferma per osservare la reazione di Louis. L’altro ragazzo lo guarda con
un’espressione indecifrabile. “E credo che tu stia facendo uno sbaglio”.
La
mascella di Louis si irrigidisce ma il ragazzo non reagisce.
“Non
andare all’università significherebbe gettare al vento anni di studio. Perché
avresti deciso di frequentare gli ultimi due anni di scuola se non hai alcuna
intenzione di continuare?”.
Louis
si ostina a tacere.
“L’università
non è la tua unica possibilità, comunque, se proprio non ti va di studiare”,
prosegue Harry. “Esistono accademie di ottima qualità dove insegnano recitazione
o canto. Dovresti fare delle audizioni ma sono sicuro che non avresti problemi
a entrare in almeno una di queste. E
per quanto riguarda il calcio, all’università è una cosa seria. Potresti
continuare ad allenarti e a giocare in una squadra. E se dovessi scegliere
un’accademia troveresti comunque del tempo per il calcio. Hanno orari molto
flessibili”.
Louis
sbatte le palpebre – segno che è ancora vivo e vigile – e le sue labbra
tremano. Proprio quando Harry è sicuro che stia per parlare l’altro ragazzo
serra le labbra e si rinchiude nuovamente nel suo mutismo.
“Non
sei sicuro di riuscire a diventare un attore o un cantante affermato?
All’università ti insegneranno molto più di questo. Ci sono tante occupazioni
nel mondo dello spettacolo sulle quali ripiegare. E le accademie ti darebbero
una preparazione tale che è impossibile che tu non riesca prima o poi a ad
avere una parte in uno spettacolo teatrale o un musical, soprattutto se parti
da un talento come il tuo. E il calcio rimarrebbe comunque una possibilità. Gli
osservatori tengono d’occhio le squadre universitarie e potresti fare provini
per giocare a livello professionale anche studiando”.
“Perché
parli come uno di quei dépliant universitari?”, sbotta Louis. Almeno ha
reagito.
Harry
salta giù dal letto per recuperare un plico di fogli che getta sul materasso
accanto a Louis.
“Ho
stampato tutto quello che ho trovato”, dice. “Ci sono le informazioni sui corsi
universitari e sulle accademie migliori del Regno Unito, sulle materie che si
studiano, sulle attività sportive, le date di scadenza per le domande di
ammissione e le date delle audizioni, i punteggi necessari da ottenere agli
esami per essere ammessi, gli importi delle rette e dei prestiti”.
Louis
spinge la montagna di fogli di lato, senza guardarla. Harry non si lascia
scoraggiare.
“Mi
prometti che darai un’occhiata a tutto quanto?”.
Louis
solleva la testa per guardarlo in faccia e per la prima volta un lampo di qualcosa attraversa il suo sguardo.
Purtroppo non è quello che Harry aveva sperato.
“Non
ti prometto niente del genere”, dice e nel suo tono si avverte il gelo.
L’ultima volta che Harry lo aveva visto trasfigurarsi in questo modo e così
rapidamente è stata dopo il loro primo bacio. Una trasformazione del genere non
prefigura niente di buono.
“Lou,
lo so che tu credi di aver preso la decisione migliore per il tuo futuro, ma
non è così. Pensaci”, prega Harry. “Sei ancora in tempo”.
“Pensi
di saperlo tu cosa è meglio per me?”,
replica Louis, tagliente. Il suo volto è immobile come quello di una statua, ma
c’è una tempesta nei suoi occhi, dove le onde della sua rabbia si infrangono
contro le sponde della sua insicurezza.
“Non
ho mai affermato di sapere cosa è meglio per te, ho solo detto che non vale la
pena sprecare il tuo talento e l’impegno che hai messo in questi anni nello
studio per inseguire una carriera ancora più ardua di quella artistica solo
perché la delusione che avrai dopo essere stato rifiutato dalle squadre di
calcio potrebbe essere meno dolorosa”.
Louis
si alza dal letto di scatto costringendo Harry a fare un passo indietro.
“Così
non solo sono un attore mediocre e un cantante senza speranza ma anche un calciatore
senza futuro!”, esclama.
Harry
deglutisce.
“Non
mettermi in bocca parole che non ho mai detto”.
“Non
sono illuso al punto da pensare che diventerò il nuovo Beckham, mi
accontenterei anche di allenare una squadra di bambini, prima o poi”, dice Louis.
“Perché
accontentarti quando puoi avere molto
di più?”, sbotta Harry.
Louis
lo fulmina con lo sguardo.
“Cosa
ne puoi sapere tu?”, domanda, pungente. “Hai idea di cosa fare del tuo futuro?”.
Harry
rimane interdetto.
“È
di te che stiamo parlando”.
“Cosa
ne puoi sapere tu di cosa vuol dire essere all’ultimo anno di scuola e non
avere la più pallida idea di come proseguire quando ti rendi conto che tutto
quello che hai sempre sognato, tutto ciò per cui ha studiato e sudato probabilmente non ti porterà da
nessuna parte? Ho delle responsabilità nei confronti della mia famiglia io, e inseguire i propri sogni non
paga”.
“Lou,
non hai nemmeno iniziato a inseguirli!”, protesta Harry. “Ma sei così
promettente! Hai sempre avuto successo in tutto quello che hai fatto perché sei
in grado di lavorare sodo e di non abbatterti. Sei capitano della squadra da
quando avevi quindici anni, reciti negli spettacoli di fine anno dall’inizio
delle superiori, sei una delle voci migliori del glee club. C’è gente che non
ha fatto neanche la metà di quello che hai fatto tu ed è convinta che diventerà
il prossimo Primo Ministro!”.
Louis
stringe i pugni lungo i fianchi.
“L’università
è diversa dalle superiori”, dice. “Il mondo là fuori è diverso dalle superiori”.
Harry
si passa una mano tra i capelli.
“Hai
solo paura di non essere all’altezza”, mormora. “Hai paura di fallire”.
Louis
applaude accompagnando questo suono grottesco con una risata amara.
“Bravo,
Sherlock”.
Harry
abbassa lo sguardo, demoralizzato ma non ancora sconfitto.
“Lou,
io ti amo e credo in te”, afferma con determinazione e devozione. “Lascia che io creda in te quando tu dubiti di te
stesso, lascia che ti consigli e ti aiuti. Ti prego”.
Louis
diventa rosso in viso, più di quanto non lo sia stato da quando hanno iniziato
a discutere.
“Smettila
di dire sciocchezze!”, esclama. “Smettila di tormentarmi con questa storia
dell’università, del mio talento e delle mie potenzialità. Ne ho le palle
piene!”.
Harry
sgrana gli occhi. Non crede alle sue orecchie.
“Louis”,
mormora.
L’altro
ragazzo apre la porta con uno strattone, prima che Harry riesca a fare
qualunque cosa per fermarlo.
“Cercami
solo quando ti sarai deciso a rinunciare a fare piani sulla mia vita”, sono le sue ultime parole.
Harry
si lascia cadere sul letto ed è sorpreso dal singhiozzo che gli sfugge dalle
labbra.
“Vaffanculo!”,
esclama gettando per aria il plico di fogli che aveva stampato per Louis.
***
“Harry,
è una mia impressione o tu e Louis non vi parlate?”, domanda Niall, il giorno dopo,
a mensa.
Il
riccio solleva la testa per guardare Louis, seduto al tavolo di fronte coi suoi
compagni di squadra.
“Cosa
te lo fa pensare?”, borbotta.
Niall
ride ma l’occhiata che gli lancia Harry lo informa della gravità della
situazione.
“Uhm,
ok”, biascica. “Ti va di dirmi cosa è successo?”.
Harry
allontana il proprio vassoio con il cibo a malapena toccato. Non ha più fame.
“No”.
“Non
lo mangi quello?”, domanda Niall indicando il pollo sul suo piatto con la
forchetta.
Harry
rotea gli occhi.
“No,
mangialo tu”, dice alzandosi in piedi. “Vado a, ehm, vado a prendere un po’
d’aria”.
Niall
gli rivolge uno sguardo compassionevole. Harry lo saluta con un cenno del capo.
Non
ha un piano, se non quello di allontanarsi da un Louis che non lo degna di uno
sguardo e da amici preoccupati e occhiate pietose, almeno fino a quando non
sarà costretto ad affrontarli all’incontro del glee club.
Il
cortile della scuola sarebbe il posto ideale per nascondersi, se non fosse che
il freddo di Febbraio non lascia scampo a chi osa avventurarsi all’aperto.
Harry vuole essere coraggioso e sfidare il gelo.
Si
è appena seduto su una panchina semi-congelata quando qualcuno gli sfiora una
spalla. Harry si volta riluttante.
“Ehi”,
lo saluta Liam, gioviale.
Harry
non ha proprio voglia di fingersi felice di vederlo.
“Sono
venuto qui per rimanere da solo”, ammette.
Il
sorriso di Liam vacilla per un singolo istante.
“Lo
so, ma io credo che ti serva qualcuno con cui parlare, invece”.
Harry
sospira contrariato ma gli fa spazio sulla panchina.
“Fammi
indovinare, Louis si è confidato con te riguardo alla nostra lite e tu sei qui
per cercare di convincermi che lui ha ragione e io torto?”.
Liam
non nasconde la sua confusione.
“No?”,
ribatte. “Cioè, sì, Louis si è confidato con me ma io sono assolutamente
convinto che abbia torto”.
Harry
tira un sospiro di sollievo.
“Bene,
almeno ho la conferma di non essere pazzo”.
Liam
ridacchia.
“No,
Harry, non sei pazzo, solo che penso che l’amore offuschi le tue capacità di
giudizio”.
“In
che senso?”.
Liam
torna serio.
“Secondo
me sbagli a essere così insistente con Louis”, afferma. “È chiaramente confuso
su cosa fare dopo il liceo e credo che tu lo stia, come dire, spingendo a fare
delle scelte contro la sua volontà”.
Harry
è ferito dalle parole di Liam.
“Io
voglio solo il meglio per lui, non voglio che sprechi la sua vita”, si difende.
“Ha
appena diciotto anni!”, sbotta Liam. “E nella sua vita stanno letteralmente
succedendo troppe cose in questo momento
perché lui abbia tempo di pensare al futuro”.
Harry
si agita sul posto.
“Sai
benissimo che le domande di ammissione per l’università hanno una scadenza e
che, oltretutto, per essere ammessi ci vogliono dei punteggi ben precisi che
Louis deve impegnarsi a ottenere agli esami se vuole avere una possibilità”,
dice. “E non supporterai mica il suo piano di diventare un calciatore
professionista? Louis, ha talento, d’accordo, ma non ti sembra un po’ azzardato
puntare tutto su quello?”.
Liam
posa su di lui il suo sguardo calmo.
“Senti,
capisco che tu voglia incoraggiarlo e sono d’accordo con te quando dici che non
dovrebbe rinunciare al suo sogno di recitare e cantare, perché questo è il suo vero sogno, il calcio è solo un ripiego,
però penso che tu debba…lasciargli un po’ di spazio. Che male ci sarebbe se si
prendesse un anno di pausa? O se, addirittura, provasse a ridare gli esami il
prossimo anno se le cose dovessero mettersi male? Secondo me lui sa che hai ragione, ma per adesso è
confuso e spaventato e occupato a pensare ad altro, tra il divorzio dei suoi e
la sua, ehm, lo sai”.
“Omosessualità”,
finisce Harry per lui.
Liam
si guarda alle spalle come per controllare se per caso qualcuno li stia
spiando. È un gesto istintivo e comprensibile,
in un certo senso, ma infastidisce Harry in un modo che non riesce a spiegarsi.
“Se
diventasse un calciatore, in qualunque divisione, anche la più sfigata, non
uscirebbe mai dal fantomatico armadio”, continua Harry. “Il mondo dello
spettacolo, invece, è più aperto. A
meno che non diventi una star di fama internazionale, allora lì le cose si
complicherebbero”.
Liam
lo osserva con un misto di curiosità e saccenteria.
“Allora
è questo il tuo problema. Hai paura che sia costretto a nascondersi per sempre?
E che la vostra storia finisca per questo motivo”.
Il
cuore di Harry accelera pericolosamente i battiti e le mani cominciano a
tremargli. Liam ha toccato un nervo scoperto.
“N-,non
ho detto questo”, balbetta. “Quello che intendevo dire è che la sua personalità
è adatta a un palcoscenico, non a un campo di calcio. È solo su un palcoscenico
che Louis può essere veramente sé stesso”.
“E
questa questione ti importa così tanto per lui o per te? Che Louis sia sé
stesso, intendo”.
Harry
si asciuga i palmi delle mani sui jeans.
“La
tua domanda è ingiusta”, ribatte flebilmente. “Il mio amore per lui è
disinteressato e per quanto fare parte del suo futuro sia la cosa che desidero
di più al mondo, quello che mi importa è che-, è che lui sia felice. Anche senza di me”.
Anche
Liam lo guarda come l’ha guardato prima Niall: con compassione. È davvero un
caso senza speranza? È così palese il dislivello tra quello che lui prova per
Louis rispetto a quello che Louis prova per lui da essere degno di pietà?
“Cosa
dovrei fare secondo te adesso?”, mormora.
Liam
gli dà una pacca sulla spalla.
“Lasciarlo
in pace per un po’”, afferma con convinzione. “Avete avuto una lite, non è la
fine del mondo, tornerà. E quando lo farà devi smettere di asfissiarlo. Il tuo
disapprovare le sue decisioni dimostra che non hai fiducia in lui. Te l’ho già
detto che anch’io penso che stia sbagliando, ma lascia che lo capisca da solo.
Anche a costo di perdere un anno. Sono sicuro che il nostro successo alle
Regionali e quello della sua recita gli daranno quella ‘botta di autostima’ che
gli serve”.
Harry
annuisce. Il parere di un soggetto esterno quale è Liam gli ha permesso di
vedere la questione in maniera più lucida e obiettiva. Ha ancora le sue riserve
ed è ancora più preoccupato del futuro di Louis che del proprio, però Liam ha
ragione: deve dare a Louis un po’ di spazio.
“Sei
diventato un esperto di relazioni”, scherza con un mezzo sorriso.
Liam
incrocia le braccia sul petto e si appoggia con la schiena sul sedile della
panchina.
“No,
sono diventato un esperto di Louis”.
***
Se
deve essere sincero Harry non aveva pensato a San Valentino. È sempre stato perfettamente consapevole
dell’esistenza di questa festività – e come potrebbe essere altrimenti, vista
l’enorme pubblicità che le ruota
attorno? – solo che anche prima di litigare con Louis non ci aveva pensato, nel
senso che non aveva programmato nulla, troppo abituato a non festeggiarlo per elaborare un piano per la ‘festa degli
innamorati’. E, dopotutto, sarebbe stato leggermente incoerente se avesse fatto
grandi programmi per una ricorrenza che ha sempre
criticato.
Nonostante
questo si ritrova alla vigilia di San Valentino con il cuore spezzato e circondato
da una coltre di tristezza e solitudine. Perfino suo sorella e Niall usciranno
fuori a cena. Invece Louis non gli parla da giorni e questo contribuisce a
rendere l’imminenza della festa ancora più evidente. Non ci ha mai trovato
nulla di romantico, eppure ritrovarsi a San Valentino da solo, il primo anno in
cui avrebbe potuto non esserlo, è profondamente deprimente. Gli basterebbe
anche solo fare quello che hanno sempre fatto – vedersi dopo la scuola e
rimanere avvinghiati sul suo letto per ore – eppure non avrà neanche questo.
Prima
di addormentarsi invia la buona notte a Louis, sperando di ricevere una
risposta almeno stavolta. E magari il suo perdono.
Il
suo cellulare rimane silenzioso per tutta la notte.
***
Gemma
saluta sua madre sulla porta di casa prima di recarsi all’appuntamento con
Niall.
“Prima
o poi toccherà anche Harry”, sente dire il riccio a sua madre dopo aver chiuso
la porta alle spalle di sua sorella. Anche lei e Robin si stanno preparando per
la loro serata romantica.
Il
riccio ne ha abbastanza di questa euforia per San Valentino e decide di salire
in camera. Se fosse una ragazza si rimpinzerebbe di gelato, Bridget Jones
docet.
Fanculo
a questi stereotipi di genere, Harry mangerà del gelato ascoltando canzoni
tristi e pensando a Louis!
Proprio
quando sente la porta di ingresso chiudersi – segno che i suoi sono finalmente
usciti – e decide che è arrivato il momento di tornare di sotto per frugare nel
freezer, un suono lo avverte dell’arrivo di un nuovo sms.
Harry
deve controllare il mittente due volte prima di convincersi che Louis gli abbia
davvero mandato un sms di sua spontanea volontà. Oggi non lo ha visto a scuola
e mentirebbe se dicesse che per tutto il giorno non ha aspettato altro che un segnale da parte sua, anche solo per
fargli capire che anche lui lo stava pensando.
Hai da fare?
No, a parte strafogarmi di gelato.
Lascia perdere il gelato e fatti
trovare pronto tra mezz’ora. Passo a prenderti.
Il
riccio vorrebbe davvero provare a non dargliela vinta subito, ma la curiosità e
la voglia di rivedere Louis – un Louis pronto a seppellire l’ascia di guerra, o
così pare – non gli lasciano scampo.
Per
questo dopo avergli inviato un sms col suo assenso Harry si getta sotto la
doccia, prende i primi vestiti che gli capitano, lascia un messaggio a sua
madre sul tavolo della cucina ed esce di casa, deciso ad aspettare Louis sui
gradini di ingresso, tanto è impaziente.
Harry
non ha neanche il tempo di interrogarsi sul criptico ‘passo a prenderti’
dell’altro ragazzo che un’automobile vagamente familiare si ferma di fronte la
sua villetta. È la macchina della madre di Louis, ma alla guida non c’è la
donna, bensì Louis stesso.
Harry
solleva il sedere ormai quasi totalmente intorpidito dal freddo dai gradini e
si dirige lentamente verso l’auto. Il suolo gelato scricchiola sotto i suoi
piedi.
“Ehilà”,
lo saluta Louis con un enorme sorriso, come se non fossero intercorsi giorni di
silenzio tra di loro (e notti insonni per Harry).
“Correggimi
se sbaglio ma…tu non hai la patente”.
Il
sorriso di Louis si allarga.
“No”,
conferma.
Harry
deglutisce.
“Ok”,
mormora. “Quindi, ehm, hai guidato fin qui la macchina di tua madre senza patente e, immagino, senza il suo
permesso?”.
Louis
annuisce solennemente.
Harry
si gratta il capo.
“E
come hai fatto?”.
Louis
per la prima volta mostra un’espressione diversa dalla placida gioia di vivere.
“Mi
stai facendo il terzo grado?”, domanda. “Le bambine sono con Mark e mia madre è
ospite di una sua amica per il fine settimana. Non lo scoprirà mai”.
Harry
fa scorrere lo sguardo sulla vettura.
“Non
sapevo sapessi guidare”, commenta.
Louis
batte una mano contro la fiancata dell’auto.
“Mi
piace nascondere i miei assi nella manica”, ribatte. “Sali o vuoi startene lì
impalato tutta la sera a farti mille domande inutili?”.
Harry
è titubante.
“Dove
mi vuoi portare?”.
Louis
sbuffa. Complimenti, Harry, sei riuscito
di già a seccarlo!
“Se
te lo dicessi non sarebbe più una sorpresa. Adesso sali, mi stai facendo
consumare benzina inutilmente”.
Harry
fa il giro dell’auto per prendere posto sul sedile passeggero e non esita ad
agganciare immediatamente la cintura di sicurezza.
“Qualcosa
mi dice che hai paura di stare per morire di una morte orribile”, scherza
Louis.
Harry
si lascia sfuggire una risata nervosa.
“Sai
come si dice, meglio prevenire che curare”.
Louis
per tutta risposta si sporge per baciarlo sulla guancia. Harry rimane inebetito
e incapace di reagire. Non si sentiva così impacciato con Louis dagli inizi
della loro relazione. Basta una lite a sconvolgere gli equilibri e a mettere in
dubbio le vecchie abitudini.
“Quindi,
ehm, hai preparato una sorpresa per me? Per, uhm, San Valentino?”.
Louis
ha gli occhi fissi sulla strada. La sua posa rigida e il bianco delle nocche
delle sue dita avvolte attorno al volante tradiscono l’ansia di cui è vittima.
“Ok,
ok, non parliamo. Pensiamo ad arrivare a destinazione sani e salvi”, propone
Harry, ansioso tanto quanto – se non di più – di Louis. L’altro ragazzo può
simulare tutta la sicurezza e la spavalderia che vuole ma neanche lui è immune
dalla paura di schiantarsi – per sbaglio, distrazione, o errore altrui – contro
un palo.
Evidentemente
a Louis piace complicarsi la vita perché si sta allontanando dalle strade
asfaltate e illuminate a giorno per addentrarsi verso la parte isolata e buia
della città. Harry capisce che si sta dirigendo verso il bosco. Non fa in tempo
a preoccuparsi come si deve che Louis
ferma la macchina.
“Adesso
proseguiamo a piedi”, dice l’altro ragazzo. “Però ho bisogno che mi aspetti in
macchina per un po’ mentre faccio una cosa”.
Harry
avvolge una mano attorno alla cintura di sicurezza.
“Devo
aspettare da solo?”, squittisce.
Louis
ha l’ardire di ridere.
“Non
ti succederà niente”.
“Certo
che no, siamo solo al limitare del bosco, nel buio più totale, lontani dalla
civil-”.
Louis
lo zittisce con un bacio e apre la portiera della macchina.
“Torno
subito”, promette.
Harry
lo sente frugare nel portabagagli per un po’. Poi il silenzio, interrotto solo
dal suono delle cicale. O qualcosa del genere.
Il
subito di Louis si trasforma in venti
minuti buoni, durante i quali Harry non osa staccare gli occhi dal cellulare
per paura di guardarsi intorno e scoprire orribili sorprese nell’oscurità. Non
è mai stato un tipo particolarmente pauroso – né coraggioso, a dire la verità –
però il buio e il silenzio e l’ignorare totalmente la sua posizione e quella di
Louis lo turbano più di quanto sia disposto ad ammettere ad alta voce. Magari
Louis è stato brutalmente ucciso o è caduto in un burrone o-
Il
riccio si lascia scappare un urlo quando qualcuno tamburella le dita sul vetro.
Louis,
oltre il finestrino, è piegato in due dal ridere.
“Ti
odio!”, esclama Harry uscendo dall’auto. “Mi hai fatto perdere dieci anni di
vita!”.
“Cristo
che ridere!”.
Harry
prende a pugni una spalla dell’altro ragazzo. Le luci provenienti
dall’abitacolo sono l’unica guida che ha nel buio.
“Ok,
ok, basta, scusa, basta!”, prega Louis.
“Prima
mi molli qui da solo per mezz’ora, poi mi fai venire un infarto!”, protesta
Harry. “Ti sembra divertente?”.
Louis
cerca di ricomporsi ma i suoi sforzi sono vani, mentre Harry continua a
tempestarlo di pugni.
“Scusa,
non l’ho fatto di proposito, giuro”, afferma, afferrando il riccio per il
polso. “Mi farò perdonare, lo prometto. Adesso andiamo?”.
“Il
tuo piano è quello di abbandonarmi nel bosco, vero?”, piagnucola Harry. Se sta
facendo il difficile è solo per farla
pagare a Louis.
“Le
fiabe che leggevi da bambino ti hanno traumatizzato, vero?”, scherza l’altro.
Harry
lo pizzica su un fianco.
“No,
tu mi hai traumatizzato”, replica.
Louis
lo ignora e chiude l’auto, poi, tirandolo per il polso lo trascina verso l’interno
del bosco. Harry si accorge che tiene in mano una lanterna elettrica, spenta. Sarebbe molto più utile se la
accendesse, almeno non dovrebbero farsi aiutare solo dalla luce della luna per
mettere un piede davanti all’altro.
È
sul punto di farglielo notare quando, dopo aver attraversato un sentiero dove
gli alberi sono fitti e il terreno difficilmente praticabile, si ritrovano
davanti un ponticello di legno, sotto il quale scorre un ruscello e lungo il
quale sono disseminate delle piccole candele, a illuminare la via.
Harry
si volta verso l’altro ragazzo, che lo tiene ancora saldamente per il polso.
“Ecco
perché sei sparito per tutto quel tempo”, è l’unica cosa che riesce a dire. Non
sa bene come reagire, sorpreso e sopraffatto.
“Sono
stato via solo venti minuti”, replica Louis con un sorrisetto.
Harry
prende la mano dell’altro ragazzo nella sua e sorride.
“Fai
strada”, mormora.
Louis
lo guida lungo il ponte a piccoli passi. Harry non riesce a credere che l’altro
ragazzo abbia davvero fatto tutto questo per lui. Mentre lui si struggeva,
preda dei rimorsi e delle paranoie, l’altro ragazzo meditava questa sorpresa.
Alla
fine del ponte i due si trovano in una piccola radura, rischiarata dalla luce
della luna. Harry si impone di non pensare ai pericoli del bosco. Si rifiuta di
farsi rovinare questo momento dall’ansia.
Louis
ha steso per terra una tovaglia, sulla quale è posato un cestino da pic-nic.
Poco distante ha montato una piccola tenda da campeggio. Qua e là ha sparso
altre piccole candele. Ha pensato proprio a tutto
in quei venti minuti in cui Harry lo immaginava sbranato da un orso.
“Come
hai fatto a trovare questo posto? Lo conoscevi?”, domanda.
“Se
stai insinuando che porto qui tutte le mie conquiste mi dispiace deluderti”,
ribatte Louis in tono scherzoso. “Ho fatto dei, uhm, sopralluoghi prima di
decidere dove portarti. E non ti preoccupare, non è mai stato ucciso nessuno
qui. O almeno credo”.
Harry
stringe la presa sulla sua mano.
“Questo
vuol dire che sono perdonato?”.
Louis
lo tira per guidarlo verso la tovaglia e lo invita a sedersi.
“Non
dovevi farti perdonare di niente”, afferma.
“E
invece sì!”, esclama Harry, piegandosi sulle ginocchia.
Louis
agita una mano in aria.
“Non
ne parliamo adesso”, taglia corto. “Tu non hai fame?”.
Harry
annuisce anche se il nodo che ha allo stomaco non si è del tutto allentato.
Louis
finalmente accende la lanterna, posizionandola poco distante, in modo che li
illumini ma non li accechi, poi porge a Harry una rosa, tirata fuori da chissà
dove.
Ancora
una volta il riccio non sa come reagire.
“Non
la vuoi?”, lo provoca Louis, sfiorandogli la guancia con i petali del fiore.
Harry
ruota leggermente il viso per annusarla, poi sfila la rosa dalle dita
dell’altro ragazzo, badando a non premere troppo sullo stelo per non pungersi.
Non riesce a distinguerne il colore ma è convinto che sia rossa.
“Uhm,
è molto-, ehm, grazie”.
Louis
non si lascia scoraggiare dalla sua titubanza e dalla sua momentanea incapacità
di articolare frasi coerenti e gli sorride incoraggiante. Una soffio di vento
spegne una delle candele dietro le sue spalle. Harry affonda di nuovo il naso
tra i petali della rosa e inala. Ha un odore appena appena accennato, delicato,
che bisogna rincorrere per trovarlo. Il riccio si sente stringere il petto da
quella strana sensazione di impotenza e smarrimento che ormai ha imparato ad
associare all’amore. È una sensazione che non gli fa paura come le prime volte:
ormai si è arreso a essere suo ostaggio.
“Non
sforzarti troppo per trovare le parole giuste, ho afferrato”, lo prende in giro
Louis. “Assaggiamo i miei sandwich, ti va?”.
Harry
fa cenno di sì con la testa e poggia la rosa sulla tovaglia.
“Sii
sincero se fanno schifo”, dice Louis, passandogli un sandwich.
“Lou,
sono solo panini e io non sono mica uno chef stellato che posso permettermi di giudicare”, scherza Harry, parzialmente
tornato in sé.
“Non
sono solo panini, sono la mia offerta di pace e il mio regalo di San Valentino”, replica.
“Pace
l’abbiamo già fatta, mi pare, e sai quello che si dice dei regali: basta il
pensiero”, dice Harry prima di addentare il panino.
“Sì,
ma il pensiero non sazia uno stomaco
affamato”, protesta Louis.
Harry
rotea gli occhi.
“Sta’
zitto, sono ottimi”, lo rassicura. “Grazie”.
Louis
ghigna e si avventa sul suo panino. Probabilmente ci ha messo dentro tutto
quello che ha trovato in frigo – formaggio, pomodoro, maionese, cetriolini –
però il risultato è lungi dall’essere spiacevole. E poi ha tagliato i bordi e
questo è un punto a loro favore.
“Ne
vuoi un altro?”, domanda quando Harry ha finito e senza aspettare una risposta
solleva il coperchio del cestino da pic-nic. “Oh, quasi dimenticavo, ho portato
il vino!”.
Harry
ridacchia accettando il calice che Louis gli porge.
“Un
bel rosso dritto dritto dal discount dietro casa mia!”, esclama.
“Non
potevo aspettarmi altro da te”, scherza Harry.
Louis
si imbroncia mentre gli versa da bere. Le mani di Harry hanno un leggero
tremolio che rende il lavoro difficile all’altro ragazzo.
“Almeno
ho aggiustato il tiro portando dei calici di vetro”, si giustifica. “Se mia
madre scopre che li ho presi sono fregato”.
“Dici
che si incazzerà più per questo che per la macchina?”.
Louis
versa il vino sulla tovaglia.
“Non
ricordarmelo, per favore!”, prega.
Harry
scoppia a ridere.
“Tutto
ciò è molto…romantico”, osserva con cautela.
Louis
scontra il proprio calice contro quello di Harry a mo’ di brindisi.
“Non
sapevo quali fossero i tuoi sentimenti nei confronti di San Valentino”,
ribatte. “Io non posso definirmi un grande fan ma…per la prima volta nella vita
mi è venuta veramente voglia di festeggiarlo”.
Harry
assaggia il vino. Neanche il contenitore lussuoso
riesce a donargli un sapore decente, ma a caval donato non si guarda in
bocca.
“Come
mai?”.
Louis
gli offre un altro panino, che Harry rifiuta perché non ha molta voglia di
mangiare in questo momento.
“Quando
stavo con Eleanor era lei che ci teneva, a me non è mai importato molto”,
spiega. “Quest’anno, invece, uhm, ha assunto un significato diverso? Non lo so,
penso comunque che sia una festa stupida, però volevo fare qualcosa di carino
per te, ecco”.
Harry
stringe la presa sul calice.
“Meritavo
davvero che facessi qualcosa di carino per me?”.
Louis
beve il vino nel suo bicchiere in un unico sorso e se ne versa dell’altro.
“Tu
meriti tutte le cose carine del mondo”, ribatte. “Anzi, tutte le cose
meravigliose”.
Harry
si guarda intorno, guarda gli alberi, le fiamme delle candele, le ombre da loro
proiettate, la tenda che Louis ha montato…poi guarda Louis, il viso illuminato
per metà dalla lanterna e per metà dalla luce della luna. Lo merita qualcosa di
così meraviglioso?
Sa
di aver agito per un fine giusto, ma
è anche consapevole che Liam abbia ragione. Pretendere di prendere decisioni
per Louis significa insinuare che lui non abbia la capacità di farlo da sé. Forse adesso Louis non avrà il pieno
controllo sulla propria vita o la mente lucida per decidere sul proprio futuro,
ma è proprio per questo che Harry deve dargli tempo. Un conto è suggerirgli
delle alternative, un altro imporgliele.
Il
riccio rabbrividisce. Louis si blocca con il calice a mezz’aria.
“Oh,
hai freddo”, osserva. “Aspetta che vado a prendere una coperta”.
Harry
finisce il vino ma non se ne versa dell’altro. Gli gira già abbastanza la testa
così.
“Ecco”,
dice Louis, poggiandogli una coperta sulle spalle. “Devo ammettere che non è il
periodo dell’anno ideale per una scampagnata all’aria aperta”.
Harry
si aggiusta meglio la coperta e si volta a guardarlo con un’espressione carica
di adorazione e preoccupazione insieme.
“Lou,
lo sai che ti amo, no? E questo è il mio problema più grande, perché per me è enormemente frustrante vedere che tu, che sei la persona che amo e stimo
di più al mondo, hai paura e non ti senti all’altezza. Proprio tu non hai niente di cui aver paura e
semmai sono gli altri che non sono alla tua altezza. Su questo non si discute e
non mi stancherò mai di ripetertelo. Però…ho esagerato, lo ammetto di avere
esagerato. Non sono io che devo
prendere decisioni che spettano a te
e mi scuso per aver messo in dubbio la tua capacità di giudizio, per aver
insistito fino a sfinirti, per non aver preso in considerazione la tua
situazione attuale e per averti detto cose che non penso. Tu puoi fare tutto
quello che vuoi, l’unica cosa che non mi dà pace è che tu possa lasciarti
guidare dall’insicurezza e che opti per un ripiego invece che per qualcosa che
vuoi veramente. Però spetta a te decidere. Io non sono nessuno per giudicare”.
Harry
non osa guardare in faccia l’altro ragazzo dopo questo effluvio di parole. Gli
sembra di non essersi espresso con sufficiente chiarezza e di essere ricaduto
negli stessi errori.
Louis
gli sfiora la mano e il riccio è sorpreso da questo contatto improvviso che non
si aspettava.
“Non
devi censurarti, Harry”, mormora. “Non devi avere paura di dirmi quello che
pensi solo perché per una volta ho reagito male. Ho sempre contato sulla tua
onestà e ci tengo veramente alla tua sincerità”.
Harry
è confuso.
“Cosa
vuoi dire?”, domanda. “Non mi sono censurato. Ho solo fatto un esame di
coscienza e ho capito che non ho alcun diritto di dirti che stai sbagliando”.
Louis
ruota il viso verso di lui.
“Ma
lo pensi”, afferma. “Pensi che sto sbagliando”.
Harry
arrossisce, colto in flagrante.
“Sì,
lo penso, ma quello che io penso non
è importante. Forse mi sono convinto
di sapere quali sono i tuoi sogni e i
tuoi desideri per il futuro. Forse non ho capito assolutamente niente di te”.
“Mi
hai capito meglio di chiunque altro”, è la laconica risposta di Louis.
Questo
contribuisce ad aumentare le ansie e le preoccupazioni di Harry, confermando i
suoi sospetti.
“Mi
trovo in un momento della mia vita in cui si aprono di fronte a me più strade e
ho la paura costante di prendere quella sbagliata”, ammette Louis. “E non è per
mancanza di fiducia in me stesso. È semplicemente realismo. Alcune di queste strade sono più incerte di altre. Alcune
potrebbero condurmi a un totale fallimento, altre a un più digeribile insuccesso,
altre ancora a un accettabile successo. E io non so cosa fare. Mia madre
continua a domandarmi a quale università voglio mandare la domanda di
ammissione, Mark a telefonarmi per informarmi sui prossimi provini per le
squadre di calcio, e tu…tu continui a parlarmi del mio talento, del mio futuro
come cantante o come attore e…non sono pronto a prendere una decisione. Credevo
di averla presa ma ho dovuto rimettere tutto in discussione. Vorrei che tutti
mi lasciassero in pace per un po’, ecco. Lasciatemi finire la scuola – se
riesco - e poi ne riparliamo. Non posso pensare
per adesso. Sarò esagerato? Sarò lagnoso? Probabile. Ma mi dispiace, non ce la
faccio”.
Harry
gli poggia una mano sulla spalla.
“Avevi
ragione, l’altro giorno”, dice. “Non ho idea di cosa significhi essere nella tua posizione. Ho ancora due anni di
scuola e nonostante me ne lamenti, ogni tanto, preferisco questo a quello che
mi aspetta dopo. Qualunque cosa sia”.
Louis
gli accarezza le dita con le punte delle proprie.
“Non
è poi così terribile finire la scuola”, scherza. “Solo che tutti si aspettano
che tu sappia subito cosa vuoi fare dopo. Dicono che hai avuto anni per
pensarci, ma non è vero. Non ho mai fatto piani concreti e, ok, forse è stata una mia mancanza, però, non lo so…ho
bisogno di altro tempo”.
Harry
rimugina sulle sue parole prima di fare la domanda che gli preme. È un rischio.
“Però,
ehm, un’idea su cosa ti piacerebbe fare nella vita ce l’hai, no?”.
Louis
annuisce.
“Sì,
certo, sì”, risponde, ridacchiando nervosamente. “Però quello che voglio fare
non corrisponde necessariamente a quello che posso fare. Mi serve tempo per valutare le mie opzioni”.
Harry
si morde l’interno della guancia.
“La
storia del calcio era, uhm, una cavolata o vuoi provarci veramente?”.
Louis
gli stringe la mano.
“Tentare
non nuoce”, dice. “Poi si vedrà. Intanto voglio impiegare le mie energie per
finire l’anno e contribuire a farci vincere le Nazionali, che ne dici?”.
Harry
annuisce e decide di lasciare cadere l’argomento, per il momento. Louis si fa
più vicino, tanto che il riccio sente il suo fiato caldo sulla guancia.
“Non
avrei dovuto trattarti come ti ho trattato, scusami”, sussurra, come se ci
fosse bisogno di non farsi sentire, anche se non c’è letteralmente nessuno nei paraggi. “Non avrei dovuto
ignorarti per giorni”.
Harry
scuote il capo energicamente.
“No,
avevi ragione a essere arrabbiato, te l’ho già detto, ho esagerato”.
“E
io ti ho già detto che apprezzo la tua sincerità e che non è colpa tua se ho
reagito come ho reagito. Il tuo discorso è capitato nel momento sbagliato, mia
madre mi aveva già dato sui nervi con la storia dell’università quel pomeriggio
stesso”.
Harry
si sente invadere dai sensi di colpa.
“Mi
dispiace, non volevo stressarti”, mormora. “Prometto che non sarò più così
pressante”.
“E
io ti prometto che terrò sempre in considerazione le tue opinioni. E…apprezzo
il tuo supporto. Lo apprezzo veramente”.
Harry
sorride e sporge il viso in avanti in un tacito invito a Louis – che non stacca
gli occhi dalle sua labbra da quando si è avvicinato – a baciarlo.
Louis
gli prende il viso tra le mani e soddisfa la sua richiesta. Non passano che
pochi istanti prima che si allontani per guardarlo negli occhi, così
intensamente che Harry trattiene il fiato, anticipando quelle parole che così
tanto desidera sentirsi dire e che per lui, nella sua testa, sono un mantra
costante, un pensiero fisso che sfugge alla sua volontà.
“Sei
la cosa migliore che mi sia capitata nella vita”, dice Louis, invece,
accarezzando col pollice il labbro inferiore di Harry.
Non
è quello che si aspettava, e forse la sua espressione trasmette il suo
momentaneo disappunto, perché Louis aggrotta la fronte e gli sorride con
un’ombra di rassegnazione. Ma a Harry non servono quelle parole, in questo momento, non quando Louis ha organizzato
tutto questo per lui. Ci sono modi di manifestare l’amore che vanno al di là
delle parole. Ci ha messo un po’ a capirlo.
Louis
lo bacia di nuovo, stringendogli il viso con una mano e facendo scorrere
l’altra dal collo alla spalla, per poi sfiorargli il petto, l’addome e scendere
giù, fermandosi all’altezza della cintola dei pantaloni di Harry.
Louis
lo fa stendere sulla schiena e si mette a cavalcioni su di lui. Harry è
ubriaco, ma non è stato il vino.
“Lou,
Lou, quella tenda l’hai portata per usarla?”, domanda.
Louis
ride nascondendo il viso nel suo collo.
“Certo”.
“Ci
andiamo?”.
Louis
gli strizza il fianco con una mano.
“E
tenda sia”.
***
Ricordi che ti avevo promesso di
darti un altro regalo il giorno del tuo compleanno? Ho fatto finta di
dimenticarlo, ma non l’ho dimenticato. È un libro che ho comprato in un momento
di audacia e stupidità. L’ho divorato. Sono delle poesie. Alcune parlano di me,
o con me. Non pretendo di capirle, ma le ho sentite. Non posso più tenerlo, non
saprei come spiegarlo a mia madre se lo scoprisse. Non ha senso gettarlo via,
voglio darlo a te. Solo tu mi puoi capire.
Ho messo un segnalibro in una
pagina. Vorrei leggessi il frammento che ho sottolineato. Leggi tutto il libro,
se vuoi. Oppure no.
Tuo,
Louis.
Harry
scarta il pacchettino che Louis gli ha dato quando lo ha lasciato sulla porta
di casa, pochi minuti prima, nel cuore della notte. I suoi sono addormentati
nell’altra stanza. Sua sorella non è ancora tornata.
Ha
il cuore in gola dopo aver letto la breve lettera di Louis, alla luce della
abat-jour della sua camera, come un ladro che ha i minuti contati per
commettere il suo misfatto senza farsi scoprire.
Non
si preoccupa neanche di leggere il titolo del libriccino e va dritto alla
pagina col segnalibro di velluto rosso che Louis ha lasciato per lui.
Sul
fondo della pagina le parole che l’altro ragazzo ha sottolineato, con una
matita dal tocco così leggero che si distingue a malapena, gli saltano subito
agli occhi.
Ci
sono modi di manifestare l’amore che vanno al di là delle parole e ci sono
parole per l’amore che non riusciamo a manifestare.
You’re in a car with a beautiful
boy, and he won’t tell you that he loves you, but he loves you. And you feel
like you’ve done something terrible, like robbed a liquor store, or swallowed
pills, or shoveled yourself a grave in the dirt, and you’re tired. You’re in a
car with a beautiful boy, and you’re trying not to tell him that you love him,
and you’re trying to choke down the feeling, and you’re trembling, but he
reaches over and he touches you, like a prayer for which no words exist, and
you feel your heart taking root in your body, like you’ve discovered something you
didn’t even have a name for”.
*
ANGOLINO:
spero
che mi scusiate se ho deciso di non tradurre la poesia. Non è difficile da
tradurre, ma non mi sono sentita “all’altezza”, ecco. Si tratta dell’ultimo
frammento di un lungo componimento dal titolo “You Are Jeff”, contenuto nella
raccolta di poesie (a tematica omosessuale) di Richard Siken, Crush. Non importa se non lo conoscete,
non è esattamente famoso, se non in alcuni fandom. Decisamente non quello dei One Direction. Le sue
poesie sono piuttosto forti, però mi
sono sempre piaciute e ho grande stima per quest’uomo.
Comunque,
grazie a chi segue ancora questa storia e a chi, nonostante tutto, continuerà a
farlo. Vorrei promettervi di aggiornare più spesso ma non mi piace fare
promesse che non sono sicura di mantenere.
Alla
prossima!