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Autore: Izayoi_1    04/09/2015    2 recensioni
Da Eva ci si aspetta molto ma quando le aspettative di chi la circonda non coincidono più con le sue lei vuole solo una cosa,un anno della sua vita per ritrovare se stessa e rinascere,prima di tornare ai doveri quotidiani. Vuole l'imprevisto e la novità e la cercherà nella city britannica,Londra.Sarà proprio qui che inizierà la sua nuova vita e quando il destino ci si mette ti fa incontrare due occhi color del ghiaccio che lasciano la mente senza pensieri o parole al solo guardarli,un incontro così inatteso per entrambi,una scintilla improvvisa tanto forte da lasciarli incantati.
Salve,questa storia è dedicata a Richard Armitage,mi immagino come sarebbe conoscerlo per caso e cercare di iniziare una storia tra diverse difficoltà.Leggete e saprete :)
Genere: Comico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Richard Armitage
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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"M'accorsi come le sue pupille erano rosse di pianto.                                                                                                                                                                   
Non mi parlò, ma mi ammazzò con un'occhiata,quase volesse dirmi
"Tu mi hai ridotta così"."
Ugo Foscolo

Non poteva negarlo dai pessimi eventi accaduti, alle due settimane che seguirono si respirava un’aria totalmente differente. Eva aprì gli occhi ancora pesanti dal sonno, ci mise un po’ per realizzare dove si trovasse, come le accadeva tutti i giorni del resto. La stanza bianca, l’armadio con le ante specchiate ai piedi del letto, il grande comò di legno sotto la finestra e quella luce che tenuamente illuminava la stanza da letto filtrando attraverso la lunga tenda color crema. Ora ricordava, nonostante fossero trascorsi quattordici giorni dal rientro in quella casa, che credeva di non rivedere più, la sua testa ancora non incamerava l’accaduto. Si girò lentamente, trattenendo quasi il respiro, e girato di spalle, quasi vicino al margine del letto, Richard dormiva. Nel vederlo così la ragazza lasciò quel respiro che aveva trattenuto e tirò gli angoli della bocca con dispiacere, non dormivano più abbracciati dal suo ritorno, lui non la sfiorava più, nemmeno per sbaglio e non avevano più fatto l’amore. Eva scivolò fuori dal letto con delicatezza, rimase per un attimo in mobile a guardare quel corpo addormentato e silenziosamente uscì dalla camera chiudendosi la porta alle spalle. Scese in cucina con tutta l’intenzione di togliersi dalla mente quei stessi pensieri che negli ultimi giorni l’accompagnavano per tutte le giornate, dopo aver deciso di tornare insieme la giovane aveva tutta l’intensione di ricominciare da zero, cominciando a percorrere le classiche tappe che una nuova coppia fa normalmente, quindi l’idea di tornare a vivere a casa di Miriam le sembrava la scelta migliore, avevano bisogno di tempo per elaborare tutti gli eventi, per perdonare completamente i rispettivi comportamenti e per tornare loro stessi in ogni momento della loro relazione. Eppure qualcosa era scappato alla sua previsione, infatti, se inizialmente Richard non aveva obiettato minimamente, anzi, non aveva espresso nessun giudizio, un giovedì pomeriggio, all’uscita dalla redazione se lo ritrovò lì davanti. Ripensava ancora alla gioia di quell’improvvisata, a come in quel momento si sentisse la donna più importante del mondo e non poteva ignorare la bellezza di lui, eppure in quel momento che stava ripensando, doveva capire che qualcosa era cambiato, non doveva fermarsi all’apparenza. L’espressione del suo Richard era diversa, seria e troppo composta, l’azzurro dei suoi occhi era diventato blu intenso e la mascella era tesa. Le era andato incontro non appena aveva messo piede fuori dall’ingresso, mentre era insieme ai suoi colleghi, mentre si scambiavano le ultime chiacchiere della giornata. Le era andato incontro con passo fermo, rigido e mai un sorriso accompagnò il suo avvicinarsi –da lì avrebbe dovuto capirlo- il suo Richard sarebbe stato radioso nel vederlo, tutto di lui sarebbe stato diverso. Non aspettò nemmeno che terminasse di salutare i suoi colleghi che le si era avvicinato con fare prepotente, non lasciando nemmeno pochi centimetri di distanza tra i due corpi e facendo una cosa che il suo Richard non avrebbe mai fatto con tanta sicurezza davanti ad altre persone, le prese il  mento tra il pollice e l’indice e la baciò, fu tutto molto veloce, Eva non se lo aspettava, stava salutando Jane quando il nome della donna era rimasto a mezz’aria, interrotto da quel bacio così diverso. Il fischio della teiera interruppe i suoi pensieri, riempì la tazza di acqua bollente e lasciò la bustina in infusione. Si stiracchiò ancora un po’ intorpidita e nel mentre che aspettava accese il cellulare, beandosi della calma del sabato mattina. Decise di non ripensare troppo a ciò che avvenne dopo quel bacio ma alcune scene di quella giornata le apparirono comunque prepotentemente davanti agli occhi, le urla di lui nel non voler sentire nessuna ragione, sarebbero tornati a vivere insieme, lei aveva cercato di convincerlo, parlando con calma, urlando, pregandolo, piangendo ma tutto era inutile, il suo Richard era cambiato e lei si riteneva responsabile di ciò. Il rumore di passi che scendevano le scale la fecero tornare alla realtà e quasi con il timore che lui potesse leggere i suoi pensieri solo guardandola, Eva tornò ad occuparsi della colazione. Si trovavano entrambi seduti intorno al tavolo, lei immersa nella sua tazza di thè e lui impegnato a studiare un copione, se non fosse stato per la televisione accesa, che parlava da sola, nessun suono sarebbe circolato. Si trovavano così quando il cellulare di lei, a solo le 10,23 del mattino cominciò a suonare ripetutamente sotto i messaggi di una frenetica Miriam che dava il buongiorno  alle sue amiche del gruppo tutto al femminile creato su whatsApp  e con fare energico proponeva un sabato sera riservato al gentil sesso. Un sorriso si aprì sulle labbra di Eva, aveva voglia di uscire un po’ e le chiacchiere tra ragazze erano la miglior cura per un cuore pesante.
“Sono le 10.25 e il tuo cellulare già è in movimento, chi è?”, il tono di Richard era severo e leggermente arrabbiato. Attese un istante, valutando nella frazione di un secondo se la risposta gli avrebbe potuto dar fastidio o meno e senza mai alzare gli occhi dallo scherzo, sentendo un po’ l’ansia di dover aprire bocca, parlò di getto. “è Miriam e le ragazze, è stata organizzata una serata al femminile questa sera..”, deglutì con forza, “Quelle serate dove diventate improvvisamente tutte single e vi aprite in grandi sorrisi quando il cameriere vi porta il vostro drink?”, il tono era eccessivamente velenoso. “Richard sei ingiusto, sai che nessuna di noi si comporta così, è solo una serata per spettegolare, parlare di vestiti ed altro”.  Intanto il cellulare continuava a suonare mentre si proponevano locali e si ipotizzavano orari, Eva mise il silenzioso capendo dallo sguardo fisso del fidanzato che si stava arrabbiando. Sembrava come che nel suo fissarla la studiasse, come fanno i predatori nascosti con le proprie prede. “è inutile che tu metta il silenzioso per cercare di farmi perdere l’attenzione su questa tua serata- il tono volutamente calcato- siamo sicuri che sia veramente Miriam? Dammi il cellulare”. Non era una domanda. “Richard smettila di fare così, non sto facendo nulla di male, certo che è lei, non ho motivo di mentirti”, “Eva dammi-il-cellulare, non te lo ripeto” scandì bene la frase. La ragazza strinse tra le sottili dita tremanti ancora più forte l’apparecchio che non smetteva di vibrare e trattenne un singhiozzo, “Sei il mio fidanzato, non la mia guardia e io”. Troppo tardi, non riuscì nemmeno a completare la frase che l’uomo con la sua mole di trenta centimetri in più della ragazza la sovrastò e tenendole termo il braccio e dopo qualche tentativo, riuscì a prendere il cellulare. Non c’era riuscita, anche se silenziosamente le lacrime calde avevano cominciato a scorrerle sulla guance, cercava in tutti i modi di interromperle ma più lo faceva e più otteneva il risultato opposto, così lasciò che lui guardasse il risultato dei suoi comportamenti. Lesse ogni messaggio della conversazione, esaminò tutti i nomi che rispondevano, sembrando quasi un professore che doveva bocciare o promuovere uno studente e il suo era l’ultimo esame prima della laurea. “Non ci andrai”, il tono era calmo e il suo corpo era tornato a rilassarsi. Sapeva che avrebbe dovuto controbattere, la lei di qualche settimana fa lo avrebbe fatto, ne era certa ma in quel momento era stanca, si sentiva come se tutte le fatiche del mondo fossero sulle sue spalle e lei inerme non sapeva come reagire.
Il discorso della serata al femminile non era più uscito fuori, Richard si era chiuso nello studio subito dopo il pranzo per studiare il copione e l’aveva lasciata sola. Eva si aggirava davanti quella porta chiusa come fosse un gatto, un attimo prima pronta a bussare e quello subito dopo con la mano a mezz’aria bloccata dal timore ma alla fine, dopo svariati tentativi, aveva trovato finalmente trovato il coraggio. “Non aspetti nemmeno che dica permesso?”, Richard non aveva nemmeno alzato gli occhi. La ragazza fu mortificata da quella frase e per un attimo il suo passo si bloccò ma cercò di non perdersi d’animo. “Amore il tempo è abbastanza mite e non sta piovendo, perché non usciamo un po’?- il non essere stata interrotta e il non aver visto sul suo volto espressioni contrariate la spinse ad avvicinarsi a lui come ormai non faceva da un po’ e con mano delicata gli carezzò la guancia che era fredda come il marmo. Richard seguì quel gesto chiudendo gli occhi e assaporando avidamente quel contatto. Si girò verso Eva che mai come in quel momento gli sembrava bellissima e delicata, “Perché non torniamo nel nostro Starbucks- la voce della giovane era un sussurro e lui sembrava come ipnotizzato- è così tanto che non andiamo”, avrebbe voluto dire altro ma quella frase fu galeotta, come i racconti di Lancillotto e Ginevra lo furono per Paolo e Francesca e dopo mesi, che sembravano anni, le loro labbra si sfiorarono in un modo che fece subito nascere quella familiare elettricità tra i loro corpi. Eva trattenne il respirò e inconsapevolmente il suo corpo si protrasse verso quello di Richard, il quale la teneva bloccata a sé in mezzo alle sue gambe e la mani fisse sui fianchi di lei. I baci da cauti e delicati quali erano divennero pian piano più lunghi, più prepotenti, forti. Sulla pelle delicata del collo Eva sentiva la rudezza della barba del suo fidanzato che con frenesia le passava la lingua dietro l’orecchio. Erano finalmente loro, e quelle lacrime e quelle liti sembravano appartenere ad un’altra vita e finalmente Eva era felice. Ma, improvvisamente, di scatto Richard si allontanò da lei e il suo sguardò piano piano tornò scuro e le occhiaie intorno agli occhi ripresero quel colorito mal sano degli ultimi giorni. “Richard, che succede?”, l’uomo si staccò dalla fidanzata come se fosse stata incandescente, “Vattene, sono impegnato, esci dallo studio e la prossima volta aspetta che ti dia il permesso d’entrare. Eva rimase sbalordita per quel repentino cambio d’umore e lo ammise, anche spaventata. “Richard, per favore torna in te, lo vedevo che eri felice mentre mi baciavi, eri rilassato, per favore vieni sul divano con me, stiamo un po’ insieme, ti va?”, “Eva esci fuori, mi stai stancando”, disse quell’ultima frase con il tono di voce basso e roco, quasi graffiato. “Io non ce la faccio più”, ma la poverina non poté terminare la frase che si ritrovò presa di peso e messa fuori dalla porta che fu chiusa a chiave. Una porta che divideva due stanze ma che rappresentava la stessa situazione, Eva in lacrime e Richard sconvolto dalla rabbia che provava.
Lo studio rimase chiuso fino all’orario di cena, nella casa regnava il buio, interrotto solo dalla luce dei lampioni che entrava dalle finestre e il silenzio. Richard si trovava nella sala d’ingresso, intento a sistemare dei fogli, mentre Eva scese gli ultimi scalini diretta a prendere il giubbotto di pelle e la borsa. L’uomo ci mise qualche secondo nel collegare l’abbigliamento della fidanzata ai messaggi di Miriam arrivati quella mattina. Eva non lo degnava di uno sguardo come se non esistesse, ma dio se fosse bella, il vestito blu lungo e i tacchi alti non la facevano passare inosservata e i suoi capelli mossi erano ancora più lunghi di quanto li ricordasse. “Ma dove credi di andare? Ti ho detto che rimarrai a casa, non uscirai a fare la stupida come le altre, vatti a cambiare”. Ma non ricevette risposta, anzi nemmeno lo guardò, la giovane si stava finendo di preparare come se nulla fosse. La rabbia gli montò dentro tutta insieme, “Mi stai sentendo quando ti parlo- l’aveva fatta girare verso di sé con forza- non uscirai da questa casa”, eppure questa volta fu lui che non riuscì a finire la frase. Eva se lo scrollò di dosso con rabbia, “Ma chi sei te, io non ti conosco, non sei il mio Richard, sei solo un secondino che mi tiene incatenata a se con la forza. Io sto per uscire e non tornerò.” Eva si girò sicura di sé, incamminandosi verso i pochi passi che la dividevano dalla porta. L’uomo, però, la prese con forza per le braccia e la strattonò facendole dolere la pelle per quei movimenti bruschi, “Io ti odio per tutto il dolore che mi hai fatto provare, guarda in cosa mi hai ridotto, in qualcosa che trema al solo pensiero di un tuo passo lontano da me e che ti tiene legata con la forza, perché solo l’amore non ti basta”. Le stava facendo male, tanto da farle sentire le braccia diventare più fredde per la scarsa circolazione data dalla stretta. “L’ho fatto per proteggerci, quante volte vuoi che te lo dica? In quanti modi vuoi che mi umili per farmi credere? Tu sei tutto ciò che di migliore poteva capitarmi, ho avuto paura alla minaccia di mio padre è vero ma mai una volta ho voluto pugnalarti alle spalle”. Stavano urlando, come forse serviva ad entrambi per sfogarsi, per lanciarsi quelle parole che non si erano detti. “è questo il Richard che ti meriti, è questo quello che sono diventato quel periodo che ti sono stato lontano. Vedi cosa mi hai fatto?- continuava a farle male- tu sei MIA- pausa, poggiò la sua fronte madida di sudore freddo sulla tempia di Eva- mia..- ripeté di nuovo, il tono più calmo, di chi si è appena liberato di un demone interno che non gli faceva trovare pace. Quelle settimane lui le aveva fatto più male che bene, era vero e in quel momento si erano urlato tutto quel risentimento accumulato e, soprattutto la delusione di molte aspettative disattese. Ma, infondo, non è dagli atti di risentimento più puro che si capisce di quanto amori in realtà si provi?               Rimasero in mobili in quella posizione per un lungo minuto, il respiro di lui era tornato regolare, forse un po affannato ma di sicuro più calmo, mentre Eva era ancora tirata. Richard si staccò da quella posizione e nonostante ognuno dei due fosse immerso nei propri pensieri con gli occhi distanti anni luce, i loro sguardi si incontrarono contemporaneamente, come fossero stati chiamati. Ma era uno sguardo diverso da quello del semplice amore innocente, e che non aveva alcuna somiglianza con gli sguardi di rabbia  ma strillava qualcosa che somigliava al bisogno, bisogno di riaversi, di rimpossessarsi ognuno dell’altro in modo istintivo, carnale. Di ritornare a sentire quei corpi caldi muoversi insieme, il desiderio di sentire quel torace duro sopra i seni sensibili di lei, di avere il respiro mozzato dal desiderio, di sentirsi scorrere dentro quell’eccitazione nata da una semplice spinta e di godere per ogni gemito provocato da quel piacere. Non erano riusciti ad arrivare alla camera da letto, si accontentarono in quel caso del divano, non sentirono minimamente il cellulare di Eva squillare e se ne fregarono dei passanti che dalla finestra avrebbero potuti vederli, erano troppo impegnati a dar retta a quella corrente elettrica.

ANGOLTTO DELLO SCRITTORE
Un Richard prepotente, sicuro di sé e a volte un pizzico cattivo, cosa ne pensate?
Grazie a chi legge e commenta, spero vi piaccia 

   
 
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